lunedì 31 dicembre 2012

LE SACRE ACQUE DEL GANGE E LA VIA LATTEA






            Nella fantascienza contemporanea, su suggerimento di alcuni scienziati, i buchi neri sono stati spesso immaginati quali tunnel per superare la barriera spaziotemporale (in gergo dicesi “orizzonte degli eventi”) mediante astronavi futuribili e passare in universi paralleli; insomma, per viaggiare nel tempo (1).  Ma l’astrofisica contemporanea ci dice altro, ovvero che il buco forma in genere un immane vortice di materia ultracondensata al centro delle galassie.  Attorno a cotal perno d’antimateria si condenserebbero a spirale, a causa dell’enorme forza gravitazionale da esso esercitata, tutti gli altri astri formanti la parte visibile della galassia.  La Via Lattea, una scia stellare all’umanità tanto cara nella sua apparenza celeste fin dalla notte dei tempi, non sarebbe astrofisicamente parlando che una semplice sezione d’una delle varie volute della nostra galassia (dal gr.galaxías = latteo), che da essa ha preso il nome.
            Davvero formidabile dunque l’intuizione d’un regista nostrano, P.Corsicato, che in suo film dal titolo evocativo (2), ha paragonato i suddetti vortici cosmici alle misteriose vagine delle femmine.  Anche se ciò ad esser sinceri potrebbe valere piú per la vicina Galassia d’Andromeda che per la nostra, dato che in termini astrofisici la Via Lattea è considerata una galassia a barra, da cui si dipartono i braccî spiralici.  La trama della pellicola, ambientata in un assolato e contemporaneo Suditalia fatto di donne di malaffare, si snoda attraverso un ricorso allegorico a temi cosmogonici tradizionali sull’origine del mondo (questa la base del noto dilemma dell’Uovo e della Gallina, due simboli che fanno capolino nel film) come l’Autocreazione; vedi mito dell’Onanismo Primordiale, rispecchiatosi nel vizio di Adamo, protagonista guardone del movie.
            Riguardo invece la natura del movimento a spirale logaritmica, lo aveva già spiegato Stiskin in suo lucido saggio (3), l’universo si scompone fisicamente in forme del tutto similari, ancorché invisibili ad occhio nudo.  Ciò valendo tanto per le massime proporzioni quanto per le minime.  Dalla galassia all’atomo, dalla pianta alla conchiglia, dalla cellula al capello, il mondo assume apparenze convergenti, riproponenti a livello dello spazio siderale indefinito quant’è possibile osservare anche a livello infinitesimale od intermedio.  Anche la mente, al dire dello Stiskin, sarebbe soggetta a tal principio d’evoluzione-involuzione spiralica.   E siccome vi è una relazione indubbia fra la realtà fenomenica e quella metempirica, è chiaro che nella triplice sfera materiale, psichica e spirituale ogni cosa ha il suo posto in modo assolutamente confacente alla propria essenza.  «Cosí in alto, come in basso» recitava in Grecia una vecchia formula ermetica.  Le faceva eco, tantricamente, un’analoga formula indiana: yathâ pinde, tathâ brahmânde («Tanto nel pinda, quanto nel Brahmânda»).  Vale a dire, l’embrione riproduce nelle sue fasi evolutive esteriori le stesse dell’Uovo del Mondo (lett. del Brahma).  A dimostrazione che l’Antichità sapeva già tutto, a grandi linee, pure del mondo fenomenico.  L’Uovo del Brahma, giacché Brahmâ equivale pressappoco a Kâma (il Desiderio), corrisponde all’Uovo d’Argento covato dalla Notte donde al dire di Esiodo sarebbe nato Eros Protogeno all’inizio dei tempi.




            Il buco nero tanto per rimanere in argomento non fa altro allora, se accettiamo la legge universale d’analogia riconosciuta dagli antichi, che riprodurre su scala macrocosmica esteriore nel caso della galassia barrata il Fallo (Linga) di Daksha (lett. “il Destro”, nel senso di abile); una delle 10 forme di Prajâpati, il Signore delle Creature, fungente da ipostasi brahmano-shivaita di costui munita di Testa Caprina siccome creatore secondario.  E, nell’altro caso, la Vulva (Yoni) dell’eterna consorte Aditi (cioè ‘Illimitata’); raffigurata negli anelli di pietra internamente cavi dell’antico induismo, in quanto Gran Madre primeva, nell’atto d’allargarsi spaventosamente sino a contenere entro di sé il cerchio vuoto interno quale immagine del Cielo nel suo triplice perpetuo atto creativo-conservativo-distruttivo.



Il Gange e la nascita dei Gemelli

            Ricorda la Kramrisch (4), valentissima indologa americana scomparsa nel ’93, che la Gan (il Gange, ma esiste anche una dea omonima che ne è la personificazione quale consorte di Ҫiva-Mahâdeva) discende dal piede di Vishnu – dond’è chiamata Vishnupadî – e perciò è detta aver dimorato una volta in cielo.  Ecco perché è denominata alternativamente Devabhutî (sgorgata dagli Dei).  Vi sono due miti che ne spiegano la discesa sul mondo, dopo esser stata ricevuta da Shiva nelle ciocche dei proprî capelli – in codesta funzione noto come Gangâdhârâ affinché tutto non affogasse in essa: uno riguarda il rishi Bhagîratha, discendente di Sagara (l’Oceano), il quale fece tapas (‘ascesi’) per ottenerne la discesa; l’altro – evidentemente piú antico – concerne Prajapati ed il mito dell’incesto cosmogonico da parte di questi sotto forma di cervo colla figlia Rohinî (5), tema che interpreta la deiezione del Gange quale caduta del Seme (Soma) del Signore delle Creature sul Picco del Monte Meru.
            Cosí comincia paradossalmente la vita paradisiaca dell’Uomo (Manu) e di ParÑu (la Donna, lett. ‘Costola’), riproducenti nel loro analogo peccaminoso incesto – l’una è figlia dell’altro – quello divino.  Se tale mitema allude ontologicamente al rapporto primevo fra Dio Padre e la Creazione, sul piano cosmologico il chiaro riferimento è all’inizio del Kaliyuga, cioè ad Orione (Soma ha 27 spose, preposte ai 27 asterismi dello Zodiaco Lunare) e alla Settima Pleiade (Aldebaran).  Il Pd.P. -vi. 240. 39-48 afferma sul tema che il Gange dopo la discesa si suddivide in 4 Fiumi fluenti cardinalmente attorno al Meru, cosa che rammenta da presso i fiumi paradisiaci biblici.  Quello a sud, l’Alakanandâ (ma è sottinteso anche gli altri 3), si riversa verticalmente in 3 distinti sentieri (Tripathagâ) definiti Mandâkinî nella porzione celeste identificata alla Via Lattea, Ganin terra e Bhogavatî agl’inferi (6).  Inutile aggiungere che tantricamente la Triplice Corrente (Trinadî) – in tal caso la Ganga è però associata orizzontalmente alla Yamunâ ed alla Sarasvatî – si riferisce alle arterie invisibili del corpo umano: Sushumnâ, Idâ e Pingalâ; correlate alla Triplice Via del Sacrificio, 



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simboleggiata dal Tridente (Triçûla).
            Per i greci la Via Lattea fu originata da un fiotto di latte sgorgato da un capezzolo di Hera, indotta coll’inganno da Athena ad allattare il figliastro Eracle, concepito da Zeus nel grembo di Alcmena.  Secondo James gli Egizî l’immaginavano invece un uranico Nilo, controparte di quello terreno od infero.  Per le menti dei rishi indiani essa era elargitrice di Soma (Somadhârâ), l’elisir vitale, e rappresentava il Sentiero delle Ombre (Hayyapâtha), vale a dire dei Padri (Pitripâtha).  A Ganga, figlia di Parvata (la Montagna) o piú specificamente di Himavat (l’Himâlaya), è legata una delle leggende fondamentali della tradizione hindu; ossia la storia della miracolosa nascita di Skanda-Kârttikeya, il figlio delle Pleiadi (Krittikâ).  Siffatto mitologema, secondo la O’Flaherty  (7), s’inserisce nel quadro complesso d’una mitologia frammentaria che nella sua interezza non compare in alcun testo, ma che è possibile ricostruire collezionandone pazientemente i frammenti varî ed unendoli in ordine logico.
            La leggenda racconta in sostanza di come Mahâdeva dopo l’avventura con Mohinî, fosse ritornato da Pârvatî per far l’amore colla sposa; ma i loro giochi amorosi preoccupavano gli Dei, ansiosi che dal seme del dio potesse finalmente nascere il figlio tanto atteso capace di sconfiggere il demone Târaka, sconvolgitore dell’intero mondo.  Indra, il Re degli Dei, mandò allora Agni sotto forma d’uccello nella loro camera nuziale a raccogliere il seme nel becco.  La dea però, seccata dell’intervento esterno, maledí le mogli degli altri dèi a divenire sterili.  Non appena il Dio del Fuoco bevve il divino seme tutti gli Dei ne divennero pregni, ma non potendolo sopportare a causa del grande calore che emanava, dal medesimo furono costretti a versarlo nel Gange (per il Kâlikâpurâna nel ventre di Gangâdevî), che lo fece arrestare vicino ad un canneto.  Colà fu raccolto dalle Krittika, le quali facevano il bagno proprio nei pressi, e da esso nacque Karttikeya (var.:  due gemelli, K. e Viçâkha, presto riunitisi in un solo corpo).
            L’elemento di maggior interesse del paradossale racconto è il versamento del seme da parte del doppione Ҫiva/ Agni nella Ganga, od in Gangadevi, al fine di generare Skanda (8).  Questi è la personificazione dell’Anno Sacro (Yajña) e Ganga, essendo associabile ad Annapûrnâ (9) quale aspetto benevolo di Durgâ presiedente alla fecondità e alla fertilità, indica il principio femminile sottostante al Soma siccome Liquor Vîtae.  Ciò che è tutt’uno col Seme Divino infuocato del Gran Dio.  Il Fuoco è il divoratore dell’Alimento, ma nel contempo lo conserva trascendendolo; come fa il sole col mare quando lo fa evaporare, sí che possa poi a tempo debito il cielo ristorare la vegetazione rinsecchita di benefica pioggia.  Dietro questo simbolismo igneo-pluviale vanno naturalmente rintracciati i significati reconditi, non basta intenderlo sul piano letterale.  La polarità cosmica dell’Alimento (Acqua) e del Divoratore (Fuoco) è soltanto apparente.  Shiva, il 'Gran Dio', è l’uno e l’altro nella propria Unità Divina.  Bisogna inoltre spiegare perché mai il seme sia assunto a posteriori dalle Pleiadi e chi rappresenti codesto loro figliastro a livello astrale.
            L’identità fra Soma ed Orione l’ho già discussa sopra, ora resta piuttosto da 



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individuare la ragione della tramissione materna del seme da Parvati – il cui ruolo di partoriente è reso a volte piú esplicito – a Ganga, e da costei alle Krittika (10).  Di solito però ne ha 6 soltanto ed allora vengono intese in relazione alle stagioni dell’anno monsonico indiano.  È innegabile comunque che la leggenda riportata si collochi astralmente a lato della Via Lattea, l’Etereo Gange (Âkâçagan); esattamente come quella di Prajapati, dove la trasformazione del Divino Padre e della Divina Figlia rispettivamente in Cervo e Cerbiatta è un’evidente allusione al Mriga e alla Mricelesti di vedica memoria.  In altre parole, ad Orione e ad Aldebaran.  Colla Testa di Gangadhara che in sostituzione di quella originaria di Dhruva (la Polare) rinvia di nuovo a Mrigaçiras (Testa di Cervo), altro rimando nel Veda al fatidico asterismo lunare; nonchè al calendario lunare kaliyugico, allorché la suddetta costellazione trovavasi al Punto Vernale, segnando l’inizio de ll’Anno Lunare (11).  Anche se l’autore tende a raccogliere in modo tipicamente indiano astronomia ed astrologia, senza distinzione.  Sicché il Figlio del Gran Dio cioè di Kâla (lat. Càelus), nume addetto al divenire temporale, non può che incarnare l’Anno in quanto espressione eminente del Tempo.  L’Anno Sacro fu adottato dagli antichi e celebrato ritualmente assai prima della scoperta ufficiale da parte d’Ipparco della precessione equinoziale (12).  Le Pleiadi nel percorso lunare mensile precedono zodiacalmente Orione e perciò fungono simbolicamente da baglie del neonato, ma è Parvati-Aldebaran la vera madre, che è piú prossima.
            Resta ancora da chiarire un punto.  Da dove deriva la premonizione divina dell’inimicizia fra Skanda e Taraka?  Tal punto non è facile da comprendere, né ci pare del resto sia stato mai compreso da alcuno, che si sappia.  Se si vuole capire veramente, credoamo sia necessario prima distinguere Târaka dal corrispettivo femminile Târakâ.  Non importa che nessun mito li colleghi, ciò succede spesso ai travestimenti demonici di Mahadeva.  Vedi ad es. Kâla e Kâlî, dagli studiosi superficialmente distinti prima delle riflessioni del prof. Przyluski in un noto art. del ‘38, quasi che i due paredri non avessero niente in comune se non il nome (13).  Quando bastava pensare ai loro vicendevoli doppioni Mahakâla e Mahakâlî.  Qui accade lo stesso.  A nostro giudizio infatti le storie dei due Taraka ripropongono in mutata veste una medesima tradizione, avente perciò un’unica chiave di lettura.  Occorre premettere che il riferimento astrale in entrambi i casi è la Stella Polare.  Al maschile Taraka risulta l’avversario di Karttikeya, al  femminile (var.Târâ = Stella) è la sposa rapita da Soma, metonimia che come insegna Coomaraswamy va interpretata quale passaggio da una tradizione all’altra.  Questa volta il protagonista maschile non è Skanda, ma il corrispondente dio lunare, che in origine raffigurava probabilmente la Luna in Orione come meta calendariale connessa al P.V.; donde ben si comprende la logica scomposizione successiva del termine nel doppio significato di luminare notturno o di costellazione principale del calendario basato su di esso.  Siamo quindi convinti che il passaggio di funzione dalla Testa di Dhruva a quella di Shiva equivalga sommariamente all’analogo trasferimento di dominio, contrassegnato pur esso dalla Ganga, dal primordiale Taraka all’escatologico  Karttikeya; colla sola differenza che nel primo caso si ha 



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a che fare ciclicamente coll’inizio del Tretâyuga, nel secondo coll’inizio del Kaliyuga.  Comparando colla ‘Bibbia’, l’un passaggio equivale a quello da Adamo a Caino, l’altro da Adamo a Nimrod.
            Occorre tener conto del resto  che la Settima Pleiade, esattamente come accade in Grecia, anche in India assume altri nomi: principalmente Svahâ, la lasciva moglie di Agni, al posto di Parvati, Ganga o Rohini.  Come tale s’oppone alla casta Arundhatî, di cui a fatica riesce a prendere il posto.  Quest’ultima è messa in relazione con una stella dell’Orsa Minore, venerata peculiarmente da chi sceglie il matrimonio celestiale: ci si sposa all’aperto come nei tempi primordiali, senza rito religioso, solamente accendendo un fuoco e mirando l’Orsa.  Le Sette Pleiadi sono considerate nei testi sacri le mogli dei Sette Rishi (Saptarisha), un tempo chiamati Sette Orsi (Saptariksha = ‘Orsa Maggiore’), dai Romani invece definiti Sette Buoi-da tiro (Septem Triônes).  Nel ruolo maschile non sempre avviene lo sdoppiamento fra Agni e Rudra.  Spesso è il Dio del Fuoco a svolgere interamente la parte paterna.  Per di piú, esistono versioni dove le 6 teste del figlio dipendono dalle 6 scintille (i raggî spirituali, ad esclusione del settimo avente funzione suprema) fuoriuscite dai 6 volti assunti da Shiva per combattere i Démoni (Asura).  In questo caso nascono invero dapprima 6 figli, ma l’abbraccio della madre – Parvati per l’occasione – è tale da ridurli ad 1 con 6 teste…
            Concludendo, non possiamo trascurare il parallelismo che lega codesto mito indiano a quello latino di Romolo e Remo, ov’è il Tevere a sostituire il Gange.  Un’analoga leggenda troiana, segnalata dal Pestalozza (14), postula la nascita dell’apollineo Ánios da Rhoiò e dell’affidamento del figlio allo Skámandros, il fiume nei pressi di Troia. 

                                                                                                   Giuseppe Acerbi

Note


(1)      Cfr. in proposito K.Minýas, Gli enigmi della ‘Macchina del Tempo’ (in un noto film degli Anni Duemila): la letteratura itineraria ed i suoi significati allegorici dall’Antichità ad oggi– Il Giardino delle Esperidi (on line, 5-05-09), pp. 1-9.
(2)      I buchi neri, Italia 1995.
(3)      M.N. Stiskin, Lo Specchio Divino. Studio sullo Yin e Yang e la religione Shinto- Ubaldini, Roma 1972 (ed.or. The Looking Glass God. A Study in Yin and Yang- Autumn P., Kyoto 1971).
(4)      S.Kramrisch, The Presence of Ҫiva- Princeton U., Princeton [N.J.] 1981.
(5)      G.Acerbi, La leggenda del Cervo, della Cerbiatta e del Cacciatore…- V.d.T. ( lug.-set. ’91 ), A.XXI, N°83, Palermo 1992, pp. 147-58 sgg.
(6)      Da notare che in sanscrito tutti i fiumi sono di genere femminile, poiché sono considerati delle correnti (nadî). 



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(7)      W.D. O’Flaherty, Ҫiva. The Erotic Ascetic- Oxford U., Londra-N.York 1981 (I ed., con altro tit., id.  1973).
(8)      Cfr. colla figura complementare ma unica di Rudrâgni, nume addetto al compito d’annullare l’universo nel Mahâpralaya alla fine d’ogni era cosmica.
(9)      Omologa dell’Anna Perenna romana e dell’Anna mesopotamica.
(10)   A riprova di quanto testé affermato, si rileva talora nell’iconografia di Skanda (anche se raramente) la presenza di 7 Teste, rimando indubbio alle 7 stelle della citata costellazione.
(11)   Cfr. al riguardo L.B.G. Tilak, Orione. A proposito dell’antichità dei Veda- Ecig, Genova 1991, col nostro commento a pie’ pagina.
(12)   Ibîd.,Cap.VIII, pp. 244-5, n.+.
(13)   J.Przyluski, From the Great goddess to Kâla- I.H.Q., Vol.XIV, N°2 (giu. ’38), Caxton P., Delhi 1985 (I ed. 1938), pp.267-74.
(14)   U.Pestalozza, Religione mediterranea. Vecchi e nuovi studi- Cisalpino-Goliardica, Milano 1971 (I ed. Fr.Bocca, Milano 1951), Cap.I, pp. 32-6.



Illustrazioni



1.  Emersione dell’Universo dalle Acque Primordiali (Prayodhi-jala), per distinzione dei due principî opposti e complementari di Linga e Yoni (gouache su carta, Nepâl, XVIII sec. ).


2.   Emersione dell’Universo dalle Acque Primordiali, con manifestazione degli anu od atomi (pittura,  Râjasthân, XVIII sec., coll.priv.).


3.   Bagnanti immergentisi nelle Pure Acque, sgorganti dall’Aldilà attraverso i monti e lambenti un bianco Ҫivalinga Mandir  (miniatura, India).


4.   Apâm Napât, il Figlio delle Acque (ill.pop. cont., India).


5.   Neptûnus, dio delle fonti latino (Jan de Boulogne, scultura, P.za Maggiore, Bologna, XVI sec.).


6.   Nethuns, dio delle fonti etrusco (ill.pop.cont.).


7.   Nechtan, dio delle fonti irlandese (idem).


8.   Hiranyagarbha, l’aureo embrione (tempera, Sc. Kângra, XVIII sec., Bharat Kala Bhavan, Benares).


9.   Eros-Fanete, il Primo Nato, preposto allo Zodiaco Solare nell’Uovo Cosmogonico (bassorilievo, Mus. di Modena).


10.  Agni-tattva, il principio igneo-espansivo (tempera, Raj., Bhâgavata P. in caratt. arab., c.XVII sec., coll.priv.).


11.   Soma-tattva, il principio umorale-ricettivo (legno dipinto, Tanjore, c.XVIII sec., coll.priv.).


12.   Samudra (= Sâgar/ Sagar), signore delle acque oceaniche, col Dugongo (bassoril., India).


13.   Indra, re dei Deva, con corona tricuspidata e seme di loto nella mano in varadamudra ad elargire grazie  (lega di rame dorata, Nepal, IX-X sec. d.C.).


14.   Indra con Vajra, contrassegno devaico del fulmine, ed elefante delle piogge (bassoril., St. Khmer, That Phanom Rung, Thailandia, XII sec.).


15    Parjanya, dio delle piogge, coi colori dell’iride (ill.cont.).


16.   Giove Pluvio (incisione all’acquaforte, libro d’antiquariato, Italia, 1770).


17.   Le Apsaras natanti nelle acque cosmiche a sostegno dei Bodhisattva (decorazione pittorica del soffitto, santuario rupestre mahayanico, Grotte di Tun-huang, Cina, VII sec.).


18a.   Le Sirene nella tradizione europea in forma di nude fanciulle (G.Apperly, pittura ad olio, G. Bretagna, 1947).


18b.   Idem in forma ittica (H.J.Draper, pitt. di stile preraffaellita, G.B., 1909 ).


18c.   Id. in forma aviaria (J.W. Waterhouse, pitt. ad olio su canapa, G.B., 1891).


19a.  Varuna su Granchio con Tridente (ill.pop.cont.).


19b.   Forco, figlio d’Oceano e padre delle Sirene, con chele ed antenne di Granchio nonché reggendo Torcia e Cestello dell’Abbondanza  (affresco, dett., Mus. del Bardo, Tunisi).


20.  Varuna, su Makara, con Laccio e Vaso dell’Abbondanza (acquerello, Raj., XVII sec.).


21.   Il Vaso, emblema di Giovanni Evangelista (Giampietrino, olio su tela,  XVI sec.).


22.   Manu, il Primo Uomo secondo il Veda, col Calice dell’Abbondanza (bassoril., dett., Ketapanârâyana Mandir, Bhaktal, XVII-XVIII sec. d.C.).


23.   Pûrnakalaça con motivi floreali (incisione su avorio, Begram, II sec. d.C.).


24.  L’Om, il sacro monosillabo raffigurante la vibrazione primordiale (gouache su carta, diagramma, Raj., c.XVIII sec.).


25.  Il Nâda-bindu, ossia il seme del suono donde emana l’intero universo (pittura, diagramma, Raj., c.XVIII sec., coll.priv.).


26. Il Brahmânda (pietra, Benares, espress.contemp. d’una forma trad., coll.priv.).


27. Lo Ҫâlagrâma, equivalente vishnuita del Brahmanda (idem).


28.  Caturmukha Brahmâ col Pûrnakumbha su Loto (ill.pop.).


29.  Gangâ col Pûrnakumbha su Loto (id.).


30.  Sâdhu in pellegrinaggio a Gaumukh, la fonte del Gange, con vaso propiziatorio (A.Dilwali, foto, dett.).


31.  Yogi che medita a Benares, sulla riva del Gange, con vaso propiziatorio (A.Arya, idem.).


32.  Processione di sadhu nel luogo gangetico ove si allestisce ogni 12 anni il Kumbha Mela, rituale eziologico dedicato al mito del Samudra-mathana (?, foto, Haridwar, dett.).


33 Sadhu e devoti che si bagnano nelle acque del Gange durante il K.M. (id.).


Fonti

1.       A.Mookerjee & M.Khanna, The Tantric Way- Thames and Hudson, Londra 1989, ill. a p.58.
2.       Ibîd., p.107, ill.n.num. 
3.       R & S. Varma,  The Himalaya Kailasa-Manasarovar in Scriptures, Art and Thought– Lotus B., Neuchâtel 1985, tav.78.
4.       On line.
5.       Ibîd.
6.       Ib.
7.       Ib.
8.    A.Mokerjee, Tantra Art- Rupa & C., N.Delhi-Calcutta-Alla-habad-Bombay 1994, tav.32.
9.    J.Campbell  ( a c. di ), The Mysteries- Princeton U., Princeton 1955, pp. 200-1, tav.III.
10.   Mook, op.cit., tav.36.
11.   Op.cit, tav.38.
12.   On line.
13.   Ibîd.
14.   Ib.
15.   Ib.
16.   Ib.
17.   Ib.
18a  Ib.
18b  Ib.
18c  Ib.
19Ib.
19b  Ib.
20.   Ib.
21.   Ib.
22.   K.Bharatha Iyer, Animals in Indian sculpture- Taraporevala, Bombay 1977, tav.132.
23.   P.k. Agrawala, Pûrna Kalaça or the Vase of Plenty- Pritivi P., Varanasi 1985, p.45, tav.XI.
24.   Mook. &  Kh., op.cit., p.106, ill.n.num.
25.   Mook., cit., tavv..2-4.
26.   Ibîd., tav.33.
27.   Ib., tav.34.
28.   On line.
29    Ibîd.
30.   K.Singh, Ganga…- Frank Bros & C., N.Delhi 1987, ill.16.
31.   J.Mahayan, The Eternal Ganga- Soantech, N.Delhi 1989,p.57,  ill.n.num.
32.   On line.
33.   Ibîd.

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 Fig.6

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