venerdì 30 dicembre 2016

L'AMERICA E L'ENIGMA DELLE DUE, ANZI TRE, ATLANTIDI







a)   Introduzione

       Nell’Ottocento il massone Ignatius Donnelly aveva catalizzato l’attenzione su una cartina del XVI sec., che raffigurava un’isola in mezzo all’Oceano Atlantico.  Di lí è nata la leggenda dell’Atlantide posizionata al centro dell’oceano omonimo.  Nel secolo successivo gli oceanografi ci hanno spiegato che la dorsale atlantica non è sufficiente a spiegare una simile emersione insulare.  Per cui la leggenda è rimasta, ispo facto, una pura fantasia letteraria; magari con significati utopici, visto che è stata decantata dall’autore della ‘Repubblica’, ma senza un punto d’appoggio reale nella geografia antropica attuale.  Naturalmente vi è chi ha provato a localizzarla un po’ dappertutto nel globo, ma si tratta in genere di fantasie documentaristiche, tendenti a dar significato a determinate scoperte archeologiche o a leggende che altrimenti sarebbero rimaste nell’anonimato.  Coll’aiuto di altri studiosi  cercheremo piú innanzi di analizzarle in breve, passandole in rassegna ad una ad una, ma diremo subito fin da ora che a differenza di altri i quali vagano nel buio noi sappiamo bene ove trovarla.  Non per questione di arroganza intellettuale o di orgoglio mal riposto, cose che disdegnamo alquanto, ma per il semplice fatto che ci basiamo su una cosmografia ben precisa; la quale non apparteneva solamente all’antica Grecia, ma era dominio comune di altri popoli, ad esempio della popolazione mesopotamica, iranica o di quella indiana.  E non importa dunque stabilire se furono i Pelasgi o gli Elleni, i Paleodravidi o i Protoari a disegnarla, visto che tutti costoro la praticavano senza distinzione gli uni dagli altri con rispetto verso una tradizione percepita come ideale sovraetnico.  Per via della loro comune origine noaica, dato che non siamo fra coloro che fanno razzisticamente degl’Indoeuropei un’etnia a parte, rientrando essi nell’alveo iafetico di provenienza atlantica e non asiatica (come certuni studiosi, anche di grande valore come Tilak e Parpola, hanno preteso basandosi su presupposti erronei)(1); secondo quanto abbiamo in altri scritti già dimostrato (2), cosa per cui sarebbe qui fuori luogo ripeterci. 

 



b)   Le teorie sull’Atlantide


       Come abbiamo già sottolineato, dopo la smentita di Donnelly attarverso l’analisi oceanografica della dorsale atlantica, altri hanno provato a formulare teorie alternative, ponendo quel perduto arcipelago – non continente, a meno di considerare l’intera America cosí come questa si presentava durante il Tardo Paleolitico nel suo complesso – un po’ dappertutto.  Il che ha di fatto consegnato il racconto di Platone al regno del fantastico e dell’utopico, oltreché dell’oblio.  Solamente le ricerche dell’ing. Jim Allen, di ebraica origine, in terre andino-caraibiche hanno scardinato quella vetusta visione delle cose.  Allen, a differenza di altri, facendo degli studi sullo stadio greco come mezzo di misura è giunto al problema dell’Atlantide indirettamente, provando con acume a conferire nuova linfa a vecchie idee ormai cristallizzate.  In tal modo ha dato alla narrazione platonica, ereditata dagli egizi tramite l’antenato Solone, una base geografica solida.  Le altre, invece, appaiono tutte campate per aria; pertanto non proveremo qui ad enumerarle neeppure sommariamente, mostrando pregi e difetti, per quanto sia possibile in uno spazio ristretto.  Sarebbe un lavoro inutile.

       Cominceremo però col dire che a differenza di R.Ellis (3), il testo presentato dalla pubblicità editoriale del sottotitolo italiano in copertina alla fine dello scorso secolo come «L’ultima e piú accurata sintesi» e che abbiamo adoperato quale canovaccio di base per codesta sintesi, noi non dividiamo gli scrittori che si sono occupati dell’argomento fra ‘buoni’ e ‘cattivi’; come si faceva alle scuole elementari, suddividendo in due la lavagna.  Ci stupisce ad esempio vedere il Berlitz, che ha approntato un’interessante sintesi (4), collocato fra quelli che alla maniera del Donnelly (5) hanno concesso le briglie sciolte alla fantasia (6); mentre fra i razionalisti – classifcati quali “storici classici seri" (7) – troviamo un J.V. Luce (8), che sinceramente – ci permettiamo di aggiungere – ci pare non abbia capito quasi nulla del tema in questione.  Tant’è che l’ha confuso coi ritrovamenti dell’I.a di Thera, fatto assai grave, perché è palese come ciò rientri in quei propositi sopra stigmatizzati di offrire da un lato una spettacolare propaganda a delle ricerche di minor portata e dall’altro d’assicurasi il favore accademico degli ambienti che autofregiano le proprie ricerche d’un alone di serietà e rigore scientifico.  In questo caso vi è una quasi totale incomprensione del soggetto, che – lo ripetiamo – altro non è che un caso di cosmografia tradizionale ed in tale ambito dovrebbe rientrare.  In effetti, quel che vale per l’Atlantide vale pure per tutte le altre terre denominate <mitiche> in altre tradizioni che non quella greco-ellenica, le quali vanno dall’Avalon od il Tir nan Og celtico all’Airyana Vaēǰah o allo Khwanērah antico-persiano (pre-iranico); dalla Thyle Iperborea all’Ultima Thyle greco-latina, dall’Ilavta all’Uttarā Kuru hindu. L’Ellis, meravigliandosi della particolare durata della leggenda sull’Atlantide (9), se ne domanda la ragione additando il fatto (da lui supposto) che tale racconto non faccia parte di alcuna cosmologia religiosa (e in ciò sbaglia).  Vide supra.  La verità è l’esatto opposto.  Infatti, è chiaro come Platone abbia inserito la leggenda, ricevuta dagli Egizi tramite lo zio Solone, in un insieme di nozioni cosmologiche che fanno da base al Timeo, non avendo scritto un romanzo né ideato una società utopica.  Perché mai avrebbe dovuto prendersi gioco del proprio antenato altrimenti?  E, soprattutto degli Egizi, che sicuramente stimava.  La leggenda faceva dunque parte del culto egizio delle origini e, in certo senso, divenne parte integrante anche della cosmologia greca.  Basta dire che quello che l’Induismo definisce Yuga, cioè l’Eone, è denominato nella cosmologia greco-latina Magnus Annus Platonis.  E da dove proviene tale definizione se non dal Timeo platonico?  Prendere la leggenda dell’Atlantide di per sé, come un mito filosofico, è già alterare il testo fin dall’inizio della nostra ricerca.  No, il testo va collocato nel suo alveo naturale, che è quello cosmologico.  Platone, come il nostro Evola che sempre dichiarò di rifarsi a lui, non era solo un filosofo.  Era anche un cosmologo e un metafisico, per quanto la definizione del secondo vocabolo dipenda storicamente dal suo avversario e per certi versi discepolo – nonché continuatore – Aristotele. 




c)   Conclusioni

       Secondo Jim Allen, viceversa, l’estensione dell’Atlantide avrebbe interessato da un lato il Mar Caraibico e dall’altro la parte settentrionale dell’America del Sud, fino alla cordigliera delle Ande.  Però, se vogliamo attribuire a tale scoperta un contenuto maggiormente veridico, occorre rifarsi per forza di cose alla cosmologia platonica, la quale – detto per inciso – è la medesima che ritroviamo altrove sotto altro nome.  In particolare, nel Vicino e nel Medio Oriente, ma per qualche via è giunta anche all’Estremo Oriente.  Riguardo l’America nondimeno troviamo nozioni cosmologiche similari, pur in un quadro generale notevolmente diverso a causa della lontananza geografica e delle scarse comunicazioni marittime (31)

       Non vogliamo discutere in questa sede  la questione delle influenze cosmiche sulla cosmografia (32), il nome di codesta dicliplina già lo sottintende; perciò diamo per scontato che gli eventi catastrofici ricorrano, per conformazione diretta, alle posizioni astrali.  Le quali ovviamente non corrispondono alla previsioni astrali, siccome è evidente che queste ultime possono anche risultare errate; a seconda delle interpretazioni, corrette o meno che siano.  Siccome il periodo che va dal 10.960 a.C. al 2.000 d.C. forma, come si sa, il V Grande Anno (scr.Mahāyuga), è chiaro che il IV andrà dal 23.920 al 10.960 a.C.  Dato che ogni Grande Anno ha a che fare con una Razza, etnicamente parlando, non può che trattarsi in questo caso della cd. ‘Razza Rossa’; donde sono discesi i Nativi americani e, secondo le tradizioni bibliche, Noè ed i suoi figli.  È vero che la Genesi non attribuisce alcun luogo geografico preciso alla storia del Diluvio, benché il punto di sbarco dell’Arca sia verosimilmente l’Ararat; tuttavia la tradizione cristana medievale – fino all'ex-gesuita e poi scienziato spagnolo Seguenza – identificava il Diluvio atlantideo a quello noaico, come riteneva del resto anche Guénon (33).  Le tradizioni ebraiche fanno del resto di Noāh il figlio del <secondo> Lemek, il quale equivale simbolicamente a Šēt, di cui è discendente; a differenza del <primo>, un cainita (34).

       Quindi è evidente che, essendo il patriarca Noāh equiparabile alla <seconda> Atlantide (in termini archeologici dovremmo dire ‘Recenziore’), è plausibile che Šēt – suo antenato in ottava – facesse parte pure lui del Ciclo della Razza Rossa; una razza mista, comunque, a differenza delle 3 precedenti (la Bianca, la Gialla, la Nera). In sostanza, da Adamo ovvero la Razza Bianca provengono tutti i rami razziali della nostra umanità: a partire da Eva, nata dalla sua stretta carne o meglio da una costola e quindi discendente diretta (la Razza Gialla)(35); per passare poi a Caino (allonimo del greco Crono), che ha generato il ceppo negroide da un lato e quello australoide dall’altro (36); ma anche ad Abele (Apollo), il quale <muore> unicamente per la Genesi, che è costretta dunque a far del cacciatore Lamek (Orione) – il <primo> Lamek – non suo figlio come dovrebbe essere e come infatti appare nei Purāa attraverso la storia del <primo> Rāma (Parśu ovvero Perseús), figlio del sacerdote solare Jamadagni.  Da Lamek (Rama) discendono i Turi, nonché (una volta passato il Nilo, venendo da est, quando l’India era ancora collegata via terra coll’Egitto e l’Etiopia probabilmente attraverso una serie di isole) i Paleonegritici (37).  Gli uni sono tutto ciò che rimane, insieme ai Paleoasiatici, del versante orientale della Razza Bianca; gli altri dopo esersi spinti fino al Polo Sud nel vecchio continente di Bharata (Lemuria in termini moderni, secondo la supposizione dei biologi) ora in gran parte sommerso costituiscono l’altra metà, antartica anziché australe, della Razza Nera.  Dunque anche per eslusione non può che essere Šēt (omologo secondo del latino Sātur-n-us, dell’egizio Sēth, del fenicio Sath e del norrenico Sathur secondo il D’Olivet)(38) l’antenato mitico di tutti gli altri popoli; ovvero della Razza Rossa e dei suoi discendenti camitici, semitici e jafetici (39).  Dei 2 Eoni concernenti il Ciclo della Razza Rossa (23.920-10.960 a.C.), il primo va assegnato perciò a Šēt, il <terzo> figlio di Adamo; il secondo a Noè, fratello di Melchisedek.

       Questa cosmologia postula l’esistenza di una serie di 10 cicli, ciascuno dei quali coincide con quel che va sotto il nome di ‘Eone’.  Ciò specificato, chiameremo ‘Grande Eone’ l’intero ciclo denario, sebbene vada precisato che nella tradizione greco-latina i nomi dei periodi ciclici tendono a fluttuare da una misura di grandezza ad un’altra.  La stessa cosa vale d’altronde per il ‘Grande Anno’, propriamente un ciclo di 2 Eoni, ossia di 12.960 anni, ma si usa applicare tale denominazione (Magnus Annus Platonis) nondimeno al ciclo di 6.480 anni, ovvero al semplice Eone.  Quel che in India va cioè sotto il nome di Yuga (‘Ciclo’), o semplicemente ‘Periodo Avatarico’; ma in questo caso la consapevolezza è venuta meno, visto che non vi è una denominazione particolare in proposito.  La definizione di 'Ciclo Avatarico', che ci sembra invece appropriata, l'abbiamo dedotta noi da tale constatazione.  Il doppio Yuga, cioè il vero Grande Anno, è chiamato invece Mahāyuga; mentre il Grande Eone vien denominato, come è risaputo grazie a Guénon, Manvantara.  Le grandezze numeriche indicate dai testi, soprattutto per il Kalpa, che è l’insieme di 14 Manvantara, hanno solamente un valore simbolico, andando molto oltre la nostra vita umana.  Si tratta in realtà del maggior ciclo umano a noi noto, ossia quello di 6.480x10(x14)=907.200 anni, insomma quasi un milione di anni; dei quali, secondo la tradizione induista, 453.617 sarebbero già trascorsi.  Non è possibile, dunque, alcuna comparazione colle date dei paletnologi.
       Orbene, dal punto di vista della cosmografia ellenica, l’Atlantide considerata in alcuni dei Dialoghi platonici (un terzo pare, disgraziatamente, sia andato perduto e potrebbe essere ritrovato in futuro svelandoci ulteriori misteri su quella data ecumene geografica) riguarda evidententemente l’Eone precedente al Diluvio che la distrusse.  Cioè, in definitiva, il periodo fra il 17.440 e il 10.960 a.C.  È vero che Platone dichiara una data piú tardiva, quasi di 1.500 anni, ossia il 9.500 c.; ma questa si riferisce al momento effettivo dell’inondazione (non calcolabile numericamente), che va a cadere nel ciclo successivo, non alla fine del precedente ciclo.  La discrepanza fra le due date è dovuta al fatto che i fattori astrali scatenanti le calamità (siano quali siano, essi dovrebbero essere oggetto della geologia in concomitanza cogli studi astrologici, ma allo stato attuale delle conoscenze è una pura illusione…) agiscono dapprima sulla superficie terrestre, determinando variazioni della litosfera, tali da provocare nell’arco di 1.000-1.500 anni una catastrofe naturale.  Secondo gli antichi questi fattori (le famose ‘cause seconde’, la Prima Causa essendo l’Ordine Divino) non erano nient’altro che i 7 Pianeti congiunti in un’unica costellazione, secondo la scienza sono altri fattori astronomici concomitanti.  Noi naturalmente propendiamo per la prima tesi, che non è una pura ipotesi, ma un dato tradizionale e come tale assolutamente insindacabile.  Poiché, come insegna la logica indiana, il Niāya, la Tradizione ha un valore gnoseologico indiretto; seppur inferiore a quello della tautologia e della deduzione, di cui l'induzione non è che uno specifico ramo (41).  A meno di dimostrare, come talvolta accade – vedi ad es. quel che ha fatto Tilak nei confronti del ‘Cane’ celeste della tradizione hindu – che trattasi di un equivoco tramandato nel tempo.  Personalmente ne possiamo citare un altro di questi equivoci pseudo-tradizionali: la pretesa abbastanza diffusa, nell’ambito del Tetramorfo, d’identificare l’Aquila allo Scorpione e l’Angelo all’Aquario.  No, è errato, essendo esatto il contrario; poiché è l’Aquila che reca nel becco l’Acqua, il Soma per dirla all’indiana.  Mentre l’angelo preso in considerazione in tale simbolismo è l’Angelo della Morte, omologo dell’Uomo-scorpione.
 
                                                              Giuseppe Acerbi




Note




(1)       L’accostamento inusitato fra Tilak e Parpola è dovuto semplicemente al fatto che entrambi hanno sostenuto la provenienza asiatica degl’Indoeuropei, il primo a partire dalla Siberia e il secondo dall’Asia Centrale.  Curioso che il professore finlandese non citi il primo, che pure è famoso per la sua teoria artica, neanche per osteggiarlo.  Questo modo d’ignorare le cose, tipico del mondo accademico, non gli fa onore.  Personalmente sono convinto che siano entrambi in errore, dal momento che gl’Indoeuropei non sono mai esistiti, appartengono ad uno pseudo-mito secondo quanto hanno teorizzato certuni; insomma sono un’invenzione dell’Ottocento su base linguistica, come ben sapeva Max Muller (1823-1900), per nascondere la loro discendenza noaica da Oltreatlantico in forma di Iafeti. 

(2)       Cfr. in proposito G.Acerbi, Uttara Kuru, il Paradiso Boreale nella cosmografia e nell’arte indiana- Alle pendici del Monte Meru (8-06-13/29-07-15); inoltre Id., L’Isola Bianca e l’Isola Verde- Simmetria on line.  Per un maggior approfondimento è da consultare il nostro saggio, che speriamo di ultimare fra breve tempo, Il Re Pescatore e il Pesce d’Oro. Aspetti della Rivelazione Primordiale- Quaderni di Simmetria, Roma 2018?  Purtroppo, dopo 24 anni di faticosa preparazione, abbiamo subito quest’anno anche un maledetto hackeraggio a computer spento e scollegato, cosa che ha scompaginato l’intero libro costringendoci ad un lavoro supplementare inatteso.  Link    

http://www.simmetria.org/editoria/la-rivista-on-line/976-rivista-on-line-n-41-l-isola-bianca-e-l-isola-verde-di-g-acerbi

                     Circa il libro di cui sopra, non essendo ancora pubblicato, citiamo qui un articolo (La figura del Re Pescatore in India e nel Nordeuropa) uscito su ‘Alle pendici del Monte Meru’ (19-12-12), che ne è in qualche modo una brevissima sintesi in relazione al capitolo iniziale e a quello conclusivo:
  http://allependicidelmontemeru.blogspot.it/2012/12/la-figura-del-re-pescatore-in-india-e.html

(3)       R.Ellis, Atlantide. L’ultima e piú accurata sintesi sul mistero dell’isola scomparsa- Corbaccio, Milano 1999 (ed.or. Imagining Atlantis, 1998).
(4)       C.Berlitz, Il mistero dell’Atlantide- Sperling & Kupfer, Milano 1976 (ed.or. The Mistery of Atlantis- Grossett & Dunlap, N.York  1969).
(5)       I.Donnelly, Atlantis: the Antediluvian World- Harper & Bros, N.York 1882; II ed. Dover 1976.
(6)       Ell., op.cit., Pref., p.15.
(7)       Ibid.
(8)       J.V. Luce, La fine di Atlantide: nuove luci su unantica leggenda- Newton C., Roma 1976 (ed.or. Lost Atlantis. New Light on an Old Legend- Thames & Hudson, Londra 1969).




(continua fra 9 e 30)







(31)       Stando a Platone (Tim.- iii. 24e-25d; Crit.- iii. 108e ss) gli Atlantidei avrebbero non solo comunicato via-mare  con gli antichi abitanti della Grecia e dell’Europa (evidentemente pre-noaici), ma anche guerreggiato con essi venendo sconfitti, pur avendo dalla loro parte una superiore tecnologia bellica.

(32)       Per un quadro generale delle influenze cosmiche durante il Manvantara cfr. G.Acerbi, I numi erano numeri: carattere matematico della vetusta astrologia e della conseguente teogonia (Alle pendici del Monte Meru, 24-07-11).

(33)       R.Guénon, Forme tradizionali e Cicli cosmici- Mediterranee, Roma 1974
(ed.or. Formes traditionnelles et Cycles cosmiques- Gallimard, Parigi 1970 ), Cap.III n.num., p.40.

(34)       Gen.- v. 28-9.  Si noti che i 2 Lemek (corrispondenti ai 2 Rāma indiani, Paraśu e Candra) – descritti rispettivamente in iv. 17-8 e v. 6-31 – vengono biblicamente identificati, il che accade pure nel testo sacro con Noè e Giuseppe; ma si tratta in tutti e tre i casi, in realtà, di 2 personaggi ben distinti.  Il primo Lamek infatti è figlio di Metushael, pronipote di Caino, benché poi suo uccisore; e il secondo, discendente in settima di Seth, figlio di Metushelah.  Insomma, essi appartengono a due rami umani distinti, l’uno essendo quello turano-abelita (spintosi prima in Persia e poi fino al sud dell’India per passare indi in Africa a formare il ceppo paleonegritico); l’altro equivalendo al ramo sethita, d’origine atlantidea, sebbene pre-noaica.  Erroneamente, invece, il testo biblico menziona il primo Lamek fra i Cainiti.  Avrebbe dovuto farne un abelita, anzi il figlio di Abele; ma siccome fa uccidere Abele da Caino, si afferma di conseguenza in modo incongruo che Abele non ha avuto figli.  Se fosse cosí, da chi sarebbero discesi le genti pastorali, che sono in parte anche degli avi degli ebrei?  Vedi Askenaziti.  Come può accadere che il testo biblico sbagli?  Secondo uno studioso, il defunto pastore valdese Alberto Soggin, la storia di Caino e Abele non era difatti di provenienza ebraica e ciò spiega a sufficienza l’incongruenza. 

(35)       Sul significato cosmografico del Periodo Evaico cfr. H.Mriga, Il viaggio degli Adamiti all’Emisfero Australe, I- Nel nido del Simorgh (18-08-15), §a, p.3.

(36)       Circa il Periodo Cainita cfr. Mr., art.cit., II, §b sgg.

(37)       Circa il Periodo Abelito-Lamekita cfr. art.cit., II, §c sgg.

(38)      F. d’Olivet, Storia filosofica del genere umano- Atanòr, Roma 1973, L.Pri., Cap.Pri, p.56, n.4.
 
(39)       Circa il Periodo Sethita cfr. cit., II, §d sgg.


(40)       G.Acerbi, Dante e Virgilio: profezie antiche e medievali sull’avvento dell’Età dell’Acquario- Arthos, N.S., A.II, Vol.I, NN. 3-4, p.

 (41)       G.Acerbi, Logica antica e razionalismo attuale- La cittadella, N.56 (apr.-giu. 1998, XIII) pp. 7-8.

              

 

Illustrazioni

1.  Ignatius Donnelly (datazione incerta)
2.  L'Atlantide in una raffigurazione immaginaria, nella prospettiva di una nave che proviene da nord - in basso - e va verso sud (Athanasius Kircher, Mundus Subterraneanus, Amsterdam 1665).



Fig.1

Fig.2


 Link 1: una città è stata trovata sul fondo dell'Oceano Alantico, nei Caraibi, fra lo Yucatan e Cuba.  Sembrerebbe avere oltre 6.000 anni.  Si tratta dell'Atlantide?



Link 2:  Storia approssimativa della collocazione dell'Atlantide.  
 


Link 3Ibid.
 


Link 4Ibid.
 


Link 5Ibid.



Link 6Ibid.



Link 7Ibid.

 


Link 8Ibid.




Link 9Ibid. I P.)
 


Link 10Ibid. (II P.)




Link 11Ibid., con estensione dell'argomento a Lemuria.




Link 12Ibid. (in ingl.)

 


Link 13Ibid. (in ingl.)

 


Link 14Ibid. (in ingl.)

 


Link 15Ibid. (in ingl.)




Appendice 1: l'Archeologia proibita, ricca di utilissimi spunti per il problema trattato (il migliore di tutti i video ivi presentati).



Appendice 2: La ricerca dii Hancock si spinge varie parti dei continenti per delneare la perdita d'un ntica civiltà che avrebbe influenzato, a suo parere, tutte le altre da noi conosciute: questa civiltà è ovviamente l'Atlantide,ma si omette il nome, perché gli accademici al solo sentirne pronunciare i nome asseriscono che l'argomento noon è scientifico.



Appendice 3: Il punto di vista, in sintesi, di Hancock sull'Atlantis.



Appendice 4: Idem, ma in maniera più diluita (I P.).



Appendice 5: Idem (II P.).