lunedì 29 maggio 2017

IL CULTO DI PICO IN AREA INDO-MEDITERRANEA, DALLA SICILIA AL DECCAN







1.      Premessa

        Storici delle religioni e paletnologi, tranne qualche eccezione che conferma la regola, hanno sempre pigliato poco sul serio la mitologia, facendo poco o nulla per adattare il materiale archeologico agl’insegnamenti dei miti.  A poco sono serviti gli studi di Eliade onde dimostrare che i miti sono storie vere, paradigmatiche, ecc.; la pratica è, sostanzialmente, diversa dalla teoria.  Seppure i miti non descrivano fatti storici, hanno la capacità d’incunearsi nel passato dell’uomo, offrendo a questo un contenuto che altrimenti il semplice reperto sarebbe incapace d’illustrare.  Il mondo della mitologia non è un mondo fantastico, bensí un mondo reale, piú che reale.  È il mondo vero, privato delle sue illusioni e riportato alla sua realtà potenziale, oltremondana.  Essendo i miti validi su vari piani, vi è anche il piano storico e quelli correlati (sociale, antropologico) che potrebbero venir analizzati con tal formidabile metodo.  Stando dunque al mero piano storico, da non confondere con quello storicistico che è una formula convenzionale da rigettare, il passaggio da un culto ad un altro – sia pure nella preistoria – rientra in codesto ristretto ambito.  Pertanto, dilatando il concetto di storia (o, se se si vuole, di etnologia; ad essa allineata nei compiti, pur con con una mitologia sua propria, secondo i presupposti strutturalisti di Lévi Strauss)(1) oltre i canoni consueti ed accademici della registrazione d’archivio dei dati, troveremo che l’idea tramandataci dagli antichi di Pico quale dio dell’Età del Bronzo – in senso cosmologico, non archeologico – risponde ad una conoscenza effettiva.   È una nozione, insomma, tutt’altro che peregrina.  Debbono allora di necessità essere esistite tracce, anche sul piano esclusivamente paletnologico, di siffatto sviluppo mitico-cultuale.  E difatti tale orme sono reperibili, se si vuole analizzare il materiale pleistocenico con cura e sguardo privo di pregiudizi (2), tanto in Europa (3 quanto in Asia (4).  Nell’osservare determinate raffigurazioni della preistoria europea e di quella asiatica c’è balzata subito alla mente l’intuizione che in quelle peculiari forme potesse celarsi un’epoca dimenticata della nostra cultura, ma con sicuri agganci per quanto inattesi nel mondo pagano antico, particolarmente greco-romano.  Sotto quest’aspetto non vi è da stupirsi se proprio in Sicilia, la Sicilia non ancora colonizzata del Tardo Paleolitico, sono state rinvenute incisioni parietali ritraenti uno scenario rituale, simile a quello reperibile nel Magdaleniano in Francia, che può farci rammentare la mitologia di Pico, l’antenato di Fauno e Latino.    



2.      Pico nella preistoria

        Nel secondo caso summenzionato si ha a che fare con Lascaux, in Dordogna.  Ci si trova di fronte ad immagini pittoriche su parete rocciosa, circa le quali il prof. Anati scriveva negli Anni Ottanta quanto segue: “Osservando alcune delle composizioni del Paleolitico, ad esempio la scena del pozzo di Lascaux, con il personaggio «mascherato», il bisonte, il dardo e lo standard «ad uccello», ci si rende conto che un enorme patrimonio concettuale ancora sfugge alla nostra comprensione…  I teorici della semiotica potrebbero rimboccarsi le maniche e mettere alla prova la loro disciplina, affrontando l’interpretazione dell’arte preistorica.”  Egli notava di fianco alla figura che il bisonte era in posizione d’attacco, ma che il dardo l’aveva solamente sfiorato, non trafitto; e che il confronto era avvenuto con una figura itifallica dalla testa d’uccello e corpo umano, fiancheggiata da uno “standard” d’uccello (da parte nostra preferiremmo usare il termine “totem”).  Inoltre, che il tipo di relazione intercorrente tra le due entità era contrassegnato da un bâtonnet; cioè un bastoncino, presente al suolo nell’ambito della scena.  Continuando poi nell’argomentazione sulla semiotica sopra enunciata il Professore dichiarava, senza mezze misure: “Gli psicogrammi sono segni che trasmettono sensazioni da chi li raffigura a chi li recepisce.  Si tratta di un livello ancora più astratto di quello del simbolo che, essendo tale, ha un suo preciso significato.  Lo psicogramma opera a livello del subconscio, come certi segni archetipici che la nostra memoria cosciente non sa più definire, ma che, nelle profondità del sommerso, provocano reazioni associative e sensorie, avvalendosi di lunghezze d’onda che sfuggono alla fascia delle ordinarie trasmissioni, ma che sono di sorprendente chiarezza.”     

continua


3.     Da Pīcus Ferōnius a Pīcus Mārtius


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4.     Indra e Verethragna, gli omologhi indoiranici di Pico


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Note


(1)     C.Lévi Strauss, Antropologia strutturale- Il Saggiatore, Milano 1966 (ed.or. Anthropologia structurale- Plon, Parigi 1958), Cap.I sgg.  Se ci si limita da un lato (nel metodo storico) a prendere in considerazione soltanto i dati oggettivi o quelli che si reputino tali e dall’altro (nel metodo etnologico) le abitudini inconsce (ammesso, e non concesso, che esista l’inconscio quale categoria reale al di là delle teorie psicanalitiche) o ritenute tali, è evidente che si finisce per ricadere in quelle “costruzioni frettolose, che finiscono sempre col rendere le popolazioni studiate «riflessi della nostra particolare società», delle nostre categorie e dei nostri problemi” (ibid., p.28).  Secondo quanto denotato da Boas.  Il rischio, è ovvio, c'è anche diversamente ossia uscendo dal seminato.  Proprio per questo è bene, analizzando i reperti ancestrali, rifarsi a categorie arcaiche.
(2)     Concordiamo nel metodo e nelle prospettive con quanto elaborato negli anni, dal 1968 in poi, da parte del Centro Camuno di Studi Preistorici; cui abbiamo aderito per un certo periodo (fino a che non ci siamo gravemente ammalati), partecipando ad un importante Simposio (Prehistoric and Tribal Art- Symbol and Myth) tenuto a Capo di Ponte all’inizio dell’autunno 1993 con nostro materiale fotografico, seppur non del tutto inedito.  Il prof.Anati, in un suo vecchio scritto (E.Anati, Origini dell’arte e della concettualità- Jaca B., Milano 1989, pp. 32-4) esprimeva l’idea di creare una ‘storia totale’ dell’umanità unendo l’archeologia alla tradizione orale e alla letteratura.  Di qui abbiamo preso le mosse noi stessi coi nostri studi, benché molto a latere, partendo dalle citazioni e dalle osservazioni in campo italico-latino nella Riv. Arthos da parte del prof. R. del Ponte et al.
(3)     Per il materiale europeo basterà al momento consultare An., op.cit., p.170, fig.105; oppure l’art. di A.Leroi-Gourhan (Les signes parietaux comme «marques ethniques», Altamira Symposium, 1981, pp.289-94) da cui è tratta.
(4)     Per il materiale asiatico vide VS. Wakankar & R.R.R. Brooks, Stone Age Painting in India- Taraporevala, Bombay 1976, p.56., figg. n.numm. supra et infra; il testo da cui siamo partiti per elaborare il nostro maxi-art. presentato all’XI Simposio Valcamuno, col titolo di Le arcaiche figure tricorni nella glittica della Civiltà dell’Indo e nell’arte rupestre del subcontinente indiano.

mercoledì 24 maggio 2017

CRITICA ALLA TEORIA KURGANICA





a)   Linee generali



       Tra le varie teorie sulla patria originaria indoeuropea la piú accreditata a livello generale a tutt’oggi è la ‘teoria kurganica’ di M.Gimbutas, che ha sfruttato gli studi precedenti di O.Schrader e V.G. Childe (1).    Secondo tale teoria, fondata sui presupposti postulati alla Fine dell’Ottocento (2) da parte del filologo tedesco O.Schrader (1855-1919), i popoli di lingua indoeuropea erano nomadi e provenivano dalle steppe ponto-caspiche (a nord del Mar Nero, del Mar Caspio e del Lago d’Aral) per ragioni legate al vocabolario indoeuropeo; che non conosceva né l’asino né il cammello, ma soltanto il cavallo (3).  Di qui ad arrivare alla supposizione generale che gl’Indoeuropei fossero nomadi e avessero addomesticato il cavallo, anche per uso alimentare, il passo fu breve.  Ma ciò non trova alcun riscontro tradizionale, a parte i versi rigvedici dedicati al sacrificio del cavallo.  Avremmo anche qualcosa da dire sulla questione del nomadismo.  Il nome di Ari (nell’accezione indo-iranica), o di Eroi (in quella greco-ellenica), la dice lunga su codesto preteso nomadismo.  Gli è che, come al solito, si è fatta confusione fra Ari e Turi; sono questi ultimi ad essere stati per loro natura dei nomadi, ovviamente in senso pastorale.  Gli Ari, secondo l’etimologia del nome, erano degli orticoltori od in senso piú ampio degli artigiani: l’agricoltura primitiva era appunto una forma di ars, naturalmente intesa nel senso antico di modus operandi rituale.  Ogni forma d’arte aveva un archetipo celeste.  Erano i nomadi, non i sedentari a praticare il sacrificio e l’alimentazione carnea, come insegna la storia biblica di Caino e Abele.  In questo caso abbiamo a che fare con un lato orticolo differenziato, proprio degli Eroi (Gibborīm)(4) essendo discendenti di Seth e non di Caino.  Detto etnologicamente si può ipotizzare che essi derivino dagli orticoltori avanzati del continente americano, dotati di aratro (vedi l’etimo) e di bastone trapiantatoio nonché dediti alla coltivazione sia pur rudimentale delle leguminose o dei cereali , ai tempi del Tardo Paleolitico; e non dagli orticoltori primitivi dei Mari del Sud, maggiormente rozzi, che usavano il bastone da scavo onde alimentarsi di tuberi.  Tuttavia il principio d’un relativo sedentarismo vale per entrambi, come insegna Guénon ne Le Règne ( Cap.XXI sgg).  Sennonché dopo l’abbandono della loro patria oltreatlantica, situata probabilmente all’incirca dove è oggi la Groenlandia, è chiaro che gli Ari hanno dovuto sopravvivere in qualche modo; persino deprendando, come è confessato tra le righe nel Rigveda, ed è congetturabile si siano adattati al nuovo ambiente assumendo in seguito le maniere e i costumi delle nuove genti colle quali son venuti a contatto.  Principalmente i Turi, biblicamente i Lamekiti (cioè i Ramaiti), nei confronti dei quali devesi essersi sviluppata per convenienza tanto una forma d’imitazione quanto un’aperta ostilità dovuta ad una maggior raffinatezza tradizionaale.  Tutte le lotte fra Dei e Titani, che ritroviamo nelle mitologie indoeuropee rispecchiano 



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in divinis tali atteggiamenti umani.  I Titani sono demonici, amano il sangue come tutti gli Antenati (i Padri), sono serpentini ma nel contempo piú regali e fieri.  Gli Dei esigono il sacrificio vegetale – seppure nell’ultima Epoca si adeguino ai sacrifici cruenti, che non erano loro propri in origine – ed amano fertilità e fecondità, principi che sono alla base del vivere borghese.  Apollo o Dioniso sono un esempio dei primi (la contrapposizione che ne ha fatto Nietzche è aberrante, tant’è che rientrano entrambi nei canoni indiani shivaiti, corrispondendo alla complementarietà planetaria fra il Sole e Saturno), Eracle ovvero Ka dei secondi.   Circa la diffusione geografica del cavallo si sa ormai che era presente sul suolo amerindo pressappoo fino al 12.000 a.C., ossia fin quasi all’epoca dell’abbandono di quelle terre da parte degli antenati oltreatlantici degli ari.  Si pensa che la fine di quell’animale sia dovuta al fatto di essere stato oggetto di caccia, ma forse la realtà è un’altra.  È possibile, anzi probabile, che si sia estinto per cause diverse: climatiche, ad esempio.  La caccia in passato era meno diffusa di quel che si vuol far credere.  Non esistevano i popoli cacciatori se non solamente in certe contrade ove non c’era modo di sopravvivere altimenti.  Il rispetto verso la natura e gli animali in genere costituiva un punto fondamerntale della religione dei nostri antenati.  Unicamente nel mondo moderno e contemporaaneo, col suggerimento degli studi medico-nutrizionali, si è foraggiato il consumo di carne in larga scala con uno scempio senza precedenti nei confronti dei nostri fratelli animali.  Se è vero che gli Ari avevano mantenuto nella loro cultura un legame ideale col mondo iperboreo, come sembra (visto che nelle tradizioni ebraiche, non per nulla, Adamo muore alla nascita di Noè)(5), è chiaro che il loro nutrimento non poteva essere a base di carne.  Ciò era contrario a tutte le tradizioni che facevano leva sull’agricoltura, presso le quali la caccia costituiva solamente un optional occasionale.  Si stigmatizzava il versamento inutile del sangue sulla terra, che era creduta divenire sterile altrimenti.



b)  La teoria nei dettagli

       L’ipotesi del suddetto indogermanista, per usare la terminologia tedesca, è stata ripresa nella prima metà del Novecento dall’archeologo australiano  Gordon Childe (1892-1957), ritenuto il padre della moderna paletnologia ed autore di opere importanti (6).  Sin dai primi anni del suo operato scrisse, secondo la moda del tempo, The Aryans (7).  Sennonché il punto di vista limitativo di quest’autore è legato al concetto di ‘rivoluzione neolitica’, attraverso cui sarebbero nate le classi 



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sociali, cosa del tutto falsa; giacché l’esistenza delle classi è tradizionalmente messa in relazione all’esistenza delle varie Epoche cicliche, ciascuna in rapporto con una determinata casta.  Circa l’esistenza d’una Urheimat  indoeuropea nella zona fra il Mar Nero ed il Caspio invece la tesi può essere grossolanamente accettata, dal momento che concorda involonriamente a grandi linee col dato scritturale dell’Armenia quale sede di espansione del ceppo noaico.  Anche perché è evidente che l’espansione, pur partendo probabilmente dalla zona fra la Turchia, la Georgia e l’Azerbaijan si è diretta necessariamente da un lato verso nordovest e dall’altro verso nordest.  Le fonti di Childe erano il filologo ed archeologo tedesco G.Kossinna (1858-31) per certo diffusionismo, nonostante questi ponesse l’Urheimat nelle regioni attorno al Baltico (Svezia Meridionale ecc.), cosa vera soltanto in tempi protostorici ma non nella preistoria, e la dottrina marxista per certa teoria sociale (8).  Nella seconda metà del Novecento gli subentrava l’archeologa e linguista lituana Marija Gimbutas (1921-94), rifugiatasi negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra e divenuta assistente all’Università di Harvard a Cambridge (Mass.).  È stata costei ad introdurre il concetto di kurgan per le tombe a tumulo e ad identificare presumibilmente il processo d’indoeuropizzazione alla diffusione del kurganismo (9).  Alla Fine del XX sec. la teoria è stata aggiornata da J.P. Mallory (1945-)(10), tramite il suo In Search of the Indo-Europeans (11), e da altri studiosi.  Rispetto ai precedenti ricercatori, il professore oxfordiano di Archeologia Preistorica ha utilizzato anche le fonti letterarie oltre a quelle archeologiche e filologiche.  Ciò è un fattore a suo favore, ma a nostro parere è assai piú interessante la tesi contrapposta dell’archeologo britannico C.Renfrew (1937-)(12).  Colin Renfrew ha sostenuto che i Proto-indoeuropei abbiano vissuto fra il VI ed il V mill. a.C. in Anatolia, donde si sarebbero irraggiati altrove – parallelamente all’agricoltura neolitica – non per trasferimento fisico, bensí per espansione culturale. 



c)  Conclusioni
     


       Una delle sciocchezze che si attribuiscono alla Gimbutas e agli altri che ne seguono gl’insegnamenti è che le <religioni> indoeuropee fossero dei culti patriarcali in opposizione a quelli matriarcali delle <religioni> pre-indoeuropee.  Questa contrapposizione, favorita indirettamente dalla scuola mediterraneista del Pestalozza & C., è assolutamente inadeguata, siccome il patriarcalismo ed il matriarcalismo hanno a che fare semmai con i cicli epocali e non colle etnie.  Ciò 



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precisato, è chiaro che esiste una differenza fra i culti dell’età del Ferro e quelli dell’Età del Bronzo.  È la figura sofoclea di Edipo ad insegnarcelo, ovvero dell’Uomo incapace di comprendere il Padre (Urano, da lui ucciso… ossia trasformato in deus otiosus) e tutto proteso a venerare la Madre (Demetra), cui si ricongiunge… idealmente nei riti di fecondità e fertilità (13).  Per la verità l’ossequio al Padre Celeste risale all’Età dell’Oro.  L’Età del Bronzo vedeva di già un culto duodenario legato agli dei della pioggia, con un tredicesimo nel ruolo supremo.  L’archeologia spezzetta la presunta cultura proto-indoeuropea in una miriade di sottoculture, che è arduo associare ai veri Proto-indoeuropei: dal VI mill. in poi abbiamo la Cultura del Bug-Dnestr, di Samara, di Chvalinsk, del Dnepr-Donec, di Sredny Stog, di Majkop e di Jamna (14).  Analizzandole singolarmente, constatiamo unicamente che si tratta di culture sicuramente tra di loro intrecciate.  Come facciamo però ad esser sicuri che sono davvero quello che si pretende che siano?  Cosa hanno a che fare cogli studi letterari e mitologici degli indoeuropeisti in materia di Storia delle Religioni?  Praticamente nulla.  E come si fa allora a collegare quei ritrovamenti a tali studi?  Non può che essere un azzardo.
       La Cultura di Bud-Destr ad esempio si è espansa per un millennio e mezzo (6500-5000) nelle praterie dell’Ucraina e della Moldavia, intorno ai fiumi Dnestr e alla parte meridionale del fiume Bug.  Si trattava, a giudizio di coloro che l’hanno messa in evidenza, d’una cultura venatoria e quindi cade il presupposto essenziale perché sia considerata una cultura aria.  Difatti non è stata rintracciata alcuna traccia d’agricoltura (15).  Attraverso la ceramica, che non compare all’inizio, si è notata un influsso della Cultura di Starčevo, proveniente dall’Europa Orientale e dai Balcani (16).  In quanto alla cultura di Samara, sviluppatasi presso il Volga fra il VI mill e l’inizio del V, è stata ritenuta di certo a torto dalla Gimbutas l’Urheimat proto-indoeuropea (17).  Su che basi non si capisce bene.  Forse per le sepolture a copertura di pietre o a cumulo di terra.  La Cultura di Chvalynsk (18), presso il Volga, è una continuazione di quella di Samara e sfocia nella Cultura di Jamna.   La Cultura del Dnepr-Donec era una dedita a caccia e pesca, alternata alla raccolta (19).  I defunti venivano inumati nei pozzi e ricoperti di ocra (20).  La popolazione era di tipo cro-magnôide, perciò non poteva trattarsi di iafeti (21).  Come volevasi dimostrare.  La Cultura di Srednij Stog (4500-3500) era localizzata fra i fiumi Dnepr e Don, a nord del Mar d’Azov.  Era coeva colla Cultura di Chvalynsk (22) ed ebbe contatti colla Cultura di Cucuteni-Trypillian (5500-2750), di tipo agrario, fiorita in una regione compresa fra parti delle attuali Romania, Ucraina e Moldavia (23).  La Cultura di Majkop (3500-2500)(24) è coeva alla Cultura di Jamna, un poco piú settentrionale.  Appartiene alla Russia Meridionale, a ridosso del Caucaso, ed è influenzata dalla cultura di questa regione, la Cultura di Kura-Araxes o 



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transcaucasica £400-2000)(25).  Infine viene la Cultura di Jamna (3600-2300), carattterizzata dalla tomba a fossa (pit-grave) ovvero della tomba ad ocra (ochra-grave), una cultura nomade con annessa qualche pratica agricola sulle sponde dei fiumi.  La sua particolarità è l’inumazione nei tumuli (kurgan)(26).   Continua la Cultura di Chvalynsk e quella di Srednij Stog e si estende poi nei Balcani.   Ribadiamo, tutto ciò non ha praticamente niente a che fare col problema dell’origine indoeuropea e poco con quello dell’espansione di tale etnocultura in Europa e in Asia.  A meno di dimostrazioni significative, che non ci pare siano ancora avvenute.  L’idea malloryana che i guerrieri dell’ascia da combattimento o della ceramica cordata fossero gli antenati dei popoli celtico-germanici e balto-slavi non ha alcun fondamento.  L’Ascia è di origine asiatico-ramaita, come insegna la figura indiana di Rama dell’Ascia (Paraśurāma), che non è legata agli Ari bensí ai Turi persiani, pre-iranici.   La teoria kurganica presuppone inoltre nel IV mill. il passaggio dai Balcani o dal Caucaso degli Hittiti in Anatolia, la formazione d‘un nucleo proto-indoeuropeo nell’Europa Orientale prima e successivamente il trasferimento di questo fino alla Scandinavia e alla Russia; la formazione da parte dei Tocari della Cultura di Afanasevo (3500-2500 (27), estendentesi fino in Mongolia ed in Cina, in Kazakistan e Tagikistan nonché presso il Lago d’Aral.  I legami indubbi colla Cultura di Andronovo (2000-1200) pongono tuttavia dei problemi irrisolti.  La stessa teoria suppone che nel III mill. i nomadi della steppa abbiano abbandonato codesto regime di vita per stanziarsi in zone ove vigeva uno stile di vita urbanizzato di tipo CABM (BMAC).  In tal modo sarebbe stata colonizzata l’Asia Centrale.  Per ragioni a noi ignote, quantunque il prof. Sarianidi abbia ipotizzato un cambiamento di clima dovuto ad avvenimenti calamitosi naturali, si sarebbero alfine spostati dapprima in India e poi in Iran.  Da qui in parte avrebbero invaso il subcontinente indiano sottomettendo i nativi ed imponendo il sistema delle caste, in parte si sarebbero spostati in Iran raggiungendolo all’inizio del I mill. a.C.  La dottrina hindu dei Vara, ad ogni modo, connette le classi a ben altro e non le  pone in relazione ad alcuna invasione o conquista.  In Europa la cultura dei tumuli avrebbe dato origine a quella dei campi d’urne.
       Inutile aggiungere che in questo amalgama frazionato di sottoculture varie è difficile districarsi se non si è degli specialisti del settore.  Qualcosa di vero ci deve pur essere in questa ricostruzione, benché non ci convinca del tutto. Dato che non ne esiste una alternativa.  Vi è chi parla delle Vie dell’Ambra, ma questa discesa è tardiva.  Non si può immaginare che tali genti provenissero dalla Scandinavia in tempi preistorici.  Non ci sono basi per poterlo sostenere.  Tanto piú che i Germani stessi nelle loro tradizioni sostenevano di esser venuti da Asía.  I germanisti 



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dichiarano che l’interpretazione di codesto termine come riferito all’Asia è solo un’interpretazione popolare, ma spesso la saggezza popolare risulta maggiormente profonda delle tesi accademiche.  La pretesa superiorità del combattimento a cavallo da parte degli Ari, secondo gli storici dell’equitazione, non può essere avvenuta prima del periodo fra il 1100 ed il 1000 a.C.  In precedenza il cavallo sarebbe stato adibito al tiro del carro oltreché allevato per uso alimentare non meno dell’altro bestiame.  Abbiamo già espresso le nostre obiezioni a tale congettura, anche perché in questa maniera oltre a trasformare l’invasione aria in India in un avvenimento assai tardivo non si spiega la sottomissione degli indigeni al potere ario. Bisogna alfine ammettere che, nonostante tutto, il quadro degli avvenimenti ricostruito da tale teoria rimane tuttora molto confuso.




Note

(1)   Cfr. Wikipedia, l’Enciclopedia on line, s.v.: TEORIA KURGANICA.
(2)   Per un quadro dettagliato di quella che era la visione generale del problema indoeuropeo alla Fine del’Ottocento cfr. I.Taylor, The Origins of the Aryans- Bahri P., N.Delhi 1980 (I ed. 1889).
(3)   Wikip., s.v.: OTTO SCHRADER. 
(4)   Intens. di gabar (‘potente’).
(5)   R.Graves & R.Patai, I miti ebraici e critica alla Genesi- Longanesi 1969 (ed.or. Hebrew Myths. The Book of Genesis- Cassell, Londra 1964), §19.d, p.132.
(6)   Wikip., s.v.: VERE GORDON CHILDE.
(7)    V.G. Childe, The Aryans: A Study of Indo-Europeans Origin- P.Kegan, Londra 1926
(8)   Wikip., s.v.: GUSTAF KOSSINNA.
(9)   S.v.: MARIJA GIMBUTAS.  Le sue osservazioni sono state raccolte nell’opera postuma, a c. di AA.VV., The Kurgan culture and the Indo-Europeanization of Europe. Selected articles from 1952 to 1993- Institute for the Study of Man, Washington 1997.
(10)   S.v.: JAMES PATRICK MALLORY.
(11)   J.P. Mallory, In Search of the Indo-Europeans: Language, Archaeology and Myth- Thames & Hudson, Londra 1989.
(12)   Wikip., s.v.: COLIN RENFREW.
(13)   Il mito è spiegato in modo conveniente ed approfondito nel nostro Edipo e l’enigma della Sfinge tebana- Heliodromos N.S. (aut. ’98-inv. ’99), N° 15, Catania 1999, pp. 6-14.
(14)   Ibid. come alla 1.



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  (15)   Wikip., s.v. CULTURA DEL BUG-DNESTR. 
(16)   S.v.: CULTURA DI STARČEVO.
(17)   S.v.: CULTURA DI SAMARA.
(18)   S.v.: CULTURA DI CHVALYNSK.
(19)   S.v.: CULTURA DEL DNEPR-DONEC.
(20)   Osservava in proposito il Prof. R. del Ponte (Pres. a c. di, L.B.G. Tilak, Orione. A proposito dell’antichità dei Veda- Ecig, Genova 1991, pp. 6-7, n.5) che siffatta pratica – riferita dalla Gimbutas ai kurgan, non rientrava nel costume indoeuropeo ma piuttosto in quello mesopotamico.  Noi preferiremmo dire 'turano', cioè centrasiatico.
(21)   G.Acerbi, L’Isola Bianca e l’Isola Verde- Simmetria on line (N°41, apr. 2016), p.10/col.a.
(22)   Wikip., s.v.: CULTURA DI SREDNIJ STOG.
(23)   S.v.: CULTURA DI CUCUTENI-TRYPILLIAN.
(24)   S.v.: CULTURA DI MAJKOP.
(25)   S.v.: CULTURA DI KURA-ARAXES.
(26)   S.v.: CULTURA DI JAMNA.
(27)   S.v.: CULTURA DI AFANASEVO.





 


Illustrazioni 

1)  V. Gordon Childe,  Anni '30.
2)  G. Kossinna, 1925.
3)  Mappa dell'espansione indoeuropea secondo Kossinna.  Questa cartina è valida solo se si ipotizza che gli Iafeti siano giunti in Europa dall'America Settentrionale, cioè separatamente dai Semiti e dai Camiti.  Ma non ci sono prove a dimostrarlo, a parte la logica.  La Bibbia, del resto, aserise diversamente.
4)  M.Gimbutas.
5)  Mapa dei kurgan.




Fonte: Wikimedia Commons.



Fig.1


Fig.2


Fig.3

 Fig.4

 Fig.5