mercoledì 25 ottobre 2017

APEDEMEK, IL DIO-LEONE NUBIANO


ed i suoi epigoni egizio-ebraici 







a)   Introduzione


       Vi è in India un’icona tricicipite del dio Sūrya (1), che viene paragonata ad una analoga di Śiva (2) o addirittura maldestramente alla Trimūrti (3); ma in realtà essa ha rapporto diretto solamente col Trideva shivaico (Tatpurua fronteggiante l’Est, Aghora posto al centro ma rivolto al Nord e Vāmadeva fronteggiante l’Ovest)(4), oltre al fatto che ogni terna rimanda in genere ad una tipologia iconologica di carattere tretâyugico.
       Anche nell’arte mesopotamica, precisamente babilonese (Epoca di Larsa)(5), troviamo una figurazione del dio solare non troppo dissimile.  In questo caso abbiamo a che fare con una scena demiurgica, ritratta in una terracotta del II mill. a.C. rinvenuta a Khafage, ove un nume munito di daga affonda il suo ferro nel ventre d’un ciclope solare: il nume per la verità è trioftalmico anziché tricefalo, ma la tri- o la mono-oftalmia è chiaramente correlata alla tricefalia e alla tricornia.
       Egualmente rinveniamo una triplice immagine del Sole, seppur a carattere profano, nell’arte islamica.  Non si tratta infatti d’un dio, il che sarebbe incoerente colla dottrina monoteistica musulmana, bensí d’una triplicazione del disco del luminare diurno con tanto di lineamenti umani.  Il contesto, in tal caso, è quello astrologico-astronomico.
       Un’ulteriore terna a cui può essere paragonato il suddetto Surya Tricefalo è quella d’un nume indiano poco noto, Jvaradeva (dotato di 3 Teste, 3 Gambe, 6 Braccia e 9 Occhi), presente nella mitologia śaiva ma noto soltanto nel Sud del Deccan (Bhavāni, cittadina del Tamil Nadu di oltre 30.000 abitanti, a c. 15 km da Erode e 100 da Coimbatore)(6).  Benché lett. il ‘Dio della Febbre’, a nostro parere questi è un signore shivaico della conoscenza, in quanto apritore della <triplice porta solare>: l’alba e la primavera evidentemente alludono alla fonte della Gnosi (scr. Jñāna), il mezzogiorno e l’estate alla sua acquisizione e il tramonto o l’autunno alla scomparsa della stessa (7).  Cosí come accade giornalmente ed annualmente colla luce e il calore solare.  Mitologicamente però è – in alternativa a Mohinī (l’avatar femminile di Viu) il distruttore di Bhasmāsura, un demone che per il suo ascetismo aveva ottenuto in dono da Śiva il potere di trasformare in cenere (bhasma) chiunque fosse stato toccato dalla sua mano.  Qualcuno (8), tuttavia, ha identificato acconciamente un’insolita icona nepalese con quella del distr. di Coimbatore (sottodistr. di Erode) di cui sopra.  Dopo averla messa a confronto con altre immagini shivaite, secondo il tema del tripāda  (Bhṛṅgi, Bhairava, Agni), Bhattacharya si accorge che la descrizione deducibile dall’iconografia della scultura nepalese – ora in una coll. priv. di Chicago – calza a pennello con quella d’un dio menzionato nel V.Dh.P.- iii. 73, anche se in Pd.P.- vi. 13, 27  lo stesso dio è descritto in termini differenziati, ma in ogni caso concordanti.  A seguito di questa constatazione l’autore elenca con molta precisione e rigore accademico tutta una serie di icone tamil (ben 6, oltre a quella da noi utilizzata, che però non riporta) le quali, variando da Jvaradeva al quasi omonimo Jvarahareśvara, ben illustrano l’intera mitologia del personaggio, la sua collocazione letteraria a livello puranico e la relativa iconografia.  Il Bhattacharya mette inoltre ben in rilievo il meccanismo della febbre, che pone in contrapposizione a livello mitologico Śiva e Viu, nonché a livello settario shivaiti e vishnuiti.
       In sintesi, tutte le figure indicate mancano invero d’una testa: è la ‘Prima Testa’ di Brahmā, che non meno della ‘Prima Zampa’ del Toro del Dharma è venuta meno colla Fine del Satyatuga (9).



a)   Il Dio-leone

       Si consideri ora un analogo nume solare tricipite di foggia meroitica, dotato di tre teste leonine e di quattro braccia secondo lo stile indiano, inciso su una parete del tempio solare di Naqa in Nubia (10); questa regione accludeva un tempo il territorio fra il Sud dell’Egitto attuale e il Nord del Sudan, il quale pressappoco fra il 2100 a.C. e il 352 d.C. venne designato quale Regno di Kush (11).  Tale divinità, raffigurata in alternativa con testa leonina su corpo antropomorfico (12) od ofidico (13), oppure in forma intera di leone (14), era chiamata Apedemek/Apademek ed in qualità di nume bellico concedeva la vittoria ai devoti: veniva venerato in alcuni templi nuba, eretti nella nuova capitale Meroë in mezzo al deserto (15), a Naqa e a Musawwarat-es-Sufra (regione di Butana).  A differenza che nel culto nubiano il dio in quello egizio fungeva da divinità meroitica e perciò minore, sostituendo Osiride in una triade concernente Iside e Horus (16).  

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b)   Il Γλύκων gnostico

       Una simile effigie numinosa, chiamata Glicone (25), è stata ossequiata dai Sethiti, come si deduce da un’incisione su pietra dei primi secoli dell’era cristiana.  In tale immagine si vede un serpente leontocefalo colla testa solare raggiata.


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c)    Equivalenti buddhisti



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Note

(1)   V.C. Srivastava, Sun-worship in Ancient India- Indological P., Allahabad 1972, Cap.VI, pp. 318-9, inoltre tav.27.
(2)  Vedi la Maheśamūrti custodita a Bombay (Mus. Principe di Galles dell’India Occidentale) in O.C. Kail, Elephanta. The Island of Mistery- D.B. Taraporevala Sons & C., tavv. 7-11.
(3)   La Trimūrti allude agli aspetti dinamici, non statici, della Divinità: creativo-produttivo, conservativo-preservativo e distruttivo-trasformativo.
(4)   Ka., op.cit., Cap.4, p.13/ coll.a-b.
(5)   A.Parrot, I Sumeri- Rizzoli, Milano 1960 (ed.or. Sumer- Gallimard, Parigi 1960), Cap.VI, p.291, fig.358/a.  Da notare che tre facce sono in relazione alle <Tre Porte> del tempio da dove la triplice icona è tratta.  Esse sono poste rispettivamente ad E, a N e ad O.  Manca, cosí come fra le 3 facce, quella rivolta a S.
(6)   H. Krishna Sastri, South-Indian Images of Gods and Goddesses- Bhartya P.H., Varanasi 1974, p.167, fig.106 (comm. al Cap.IV, §xxv, p.165.
(7)   La nostra interpretazione di Jvaradeva è parallela a quella che vien data del Trideva, in proposito del quale M. & J. Stutley scrivono nel loro Dizionario dell’Induismo- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980 (ed.or. A Dictionary of Hinduism- Routletge & Kegan P., Londra 1977 ), s.v. MAHEŚVARA: “In Maheśvara trovano coordinazione le tre energie principio della conoscenza, che sono la comprensione (jñāna), la volontà (icchā) e l’azone (kriyā).  Gli autori spiegano in aggiunta che nello Shivaismo kashmiro il mondo viene inteso non come l’opera statica d’un Piano Divino, bensí quale frutto dinamico d’una volontà proveniente dalla Mente Universale che è insita nella Natura.
(8)   G. Bhattacharya, Identification of a Strange Stone Page from Nepal: Nepal and Tamil Nadu Connection- South Asian Archeology (Proc. of the Sixteenth Conf. of the Europ. Assoc. of S.Asian Archeologists, 2-6 Lug. 2001), Vol.II (Hist. Arch. and rt Hist.), 2001, pp. 393-400.  
(9)   Non si confonda il simbolismo delle 4 Zampe del Toro Dharmico o delle 4 Teste di Brahma  (Brahmāśiras) coi 4 Passi di Vāmana.  Vero che anche questi posseggono un significato solare, ma vanno in aumento e non in diminuzione.  La simbologia quaternaria di Teste e Zampe, in altre parole, ha un senso cosmogonico ed involutivo; quella dei Passi, viceversa, un senso cosmografico ed evolutivo.  Notiamo ancora che se Śiva possiede 5 Teste (Pañcānana), rispetto a Brahmā o al suo equivalente latino Iānus, è perché 3 di queste 5 Teste equivalgono alle 3 delle quali si è detto alla n.prec.  Le altre 2 sono, invece, Sadyojāta (rivolta a S) e Īśāna (rivolta in alto ossia verso il Paradiso Celeste).  Per meglio chiarire, Brahmā nel Satyayuga era identificato a Manu, l’Adamo indiano.  La Cabala difatti attribuisce ad 'Ādam ha-admoni, ovvero all’Adamo Primordiale, il medesimo numero di teste.  Siffatto numero implica che gli uomini avessero la capacità di guardare in ogni direzione (in senso solare), cioè che disponessero d’ogni facoltà umana al completo.  La Testa che vien meno nel Tretāyuga è proprio la capacità di percepire la verità per intero: dunque rimangono soltanto le teste relative ai 3 periodi meno luminosi nei quali suddividiamo la giornata, essendosi dissolta quella in rapporto al mezzogiorno e al solstizio estivo.  Non importa se l’attribuzione del simbolismo delle Teste (scr. Anana) sia avvenuta tardivamente, o persino in tempi recenti; quel che conta è la validità della simbologia in sé, la quale rappresenta un aspetto irrinunciabile della dottrina.  Se il passaggio da una situazione all’altra vi ene spiegato fornendo al nume erede di quello primevo, anziché 3 sole Teste, addirittura 5 è perché in tal caso si passa dal simbolismo involutivo quaternario a quello distributivo quinario.  Insomma la ‘Quinta Testa’ di Brahmā, che una famosa studiosa (S.Kramrisch, Presence of Śiva- Priceton U.P., Princeton 1981, Cap.IX, p.254 ss) ha interpretato come equipollente a Mgaśiras – cosa indubbiamente giusta se rapportata al Kaliyuga – e che egli in un mito taglia durante il III Ciclo Avatarico (Vm.P.- S.M. xxviii. 4-5 e 20) oppure sul picco del Meru (Kū.P.- ii. 31. 1-3) – ma questa’ultima è una cattiva interpretazione, che non trova riscontro nel testo citato – per porla a coronamento trascendente delle proprie altre teste: 4, corrispondenti ai suoi 3 <Figli> e alla Śakti in base alla suddivisione quinaria del Manvantara, in cui Mahādeva funge da Divino Pitamāha in sostituzione (lett. <figlio>) del deus otiôsus Brahmā.  Per rendere plausibile codesto trasferimento di dominio si dice in M.P.- iii. 32-40 che le 4 Teste di Brahmā si siano formate mentre questi roteava le sue 4 Teste per poter contemplare senza satdio la figlia appena nata da una metà del suo corpo, insomma la Creazione o Sovrannatura che dir si voglia (nel mito Sāvitri aliâs Śatarūpā ossia ‘Colei dalle Cento Forme’).  Un modo diverso per rapprsentare la stessa cosa è la simbologia di Sadāśiva, in cui quest’ultimo svolge la parte di Īśāna nel Pañcānana di cui sopra ed altre 3 figure (Mahādeva ad E, Bhairava a S e Nandivaktra ad O) quella dei 3 figli di Śiva, mentre Umāvaktra sostituisce Pārvatī nella parte femminile della sacra famiglia.  Circa le 5 Teste di Gaeśa, va specicificato che il terzo figlio di Śiva non meno del padre ha varie sfaccettature, che risalgono anche in tal caso in un modo o nell’altro ai 5 Mahāyuga sviluppantisi all’interno del Manvantara.  Riassumendo tutte le pentadi elencate non sono che una figurazione varia del 5 Grandi Elementi  (Pañca Mahā-bhūta).   Per questo tanto Śiva quanto Gaeśa fungono da Bhūtapati (‘Signore degli Elementi’).
(10)   Per l’icona cfr. il doc. Africa 5: stranezze e grandezze della civiltà africana- RAI (Yout., 11-11-94), min. 30’31”. 

(11)  S
(12)  Silvered Sunlight (sito, 23-05-14).
(13)  C                              di   pitone
(14)  C intera figura leonina
(15)  Citare la vecchia capitale e l’epoca del trasferimento a Meroe
(16)  Ibid. come alla 10, min. 3031”.  


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(25)  Charb.-L., op.cit., P.Quatt., Cap.Cent., §IV, p.773, fig.X.