sabato 24 febbraio 2018

NOTA SUL SACERDOZIO ROMANO PAGANO






       Ciclicamente il sacerdozio romano pagano, rapportato a quello cristiano (1), può dirsi altrettanto debole a causa del prevalere nel mondo occidentale europeo fin dall’Antichità d’un sentimento aristocratico prevalente.  Per questo non esistono scritture romane pagane, cosí come non esistono scritture pagane elleniche nonostante l’affinità dei culti pagani greco-romani tramandataci dai letterati e dai poeti antichi latini con quelli consimili della letteratura indoeuropea asiatica o nordeuropea.  Ragion per cui il giudizio proprio di quel sacerdozio praticamente ci manca e per stilare un giudizio esterno su di esso abbisognamo dunque d’una comparazione da un lato coi culti pagani affini di tipo vedico-avestico oppure celto-germanico e, dall’altro, coi culti della religione che di quella antico-romana ha preso il posto nel tempo a partire dalla Tarda Antichità.  Ossia, il Cristianesimo.

  






Note


(1)       Il rapporto fra sacerdozio cristiano e sacerdozio pagano è assolutamente lecito, visto che la sede principale comune di entrambi è stata l’Urbs.  Non solo per questo, del resto, poiché tutte le religioni che non hanno subito una degenerazione temporale hanno sempre manifestato quella che Eliade in un suo celebre saggio ha definito <nostalgia delle origini>; in altre parole, non c’è una gran differenza fra il concetto giudaico-cristiano di Sanctum Regnum e quello pagano di Saturnia Tellus.

ALCUNE NOTE SUL MAKARA







       Il Makara, come ha notato la Viennot (1) nei fregi budhisti appare raramente solo, privo di attributi.  Di solito occupa il centro d’un motivo circolare, sia a Mathurā che a Bhārut (2).  La Viennot si rifà chiaramente a Coomaraswamy, che nel suo studio sugli Yaka (3) ha serbato un importante capitolo all’argomento (4), facendo del Makara un genio delle acque e come tale veicolo delle divinità fluviali.  L’autrice si serve nel suo scritto, onde ottenere i propri scopi, d’un articolo pubblicato in precedenza (5).  Dopo aver esaminato l’abbinamento fra Kāma e il Makara, la Viennot passa ad esaminare la loro presenza sui toraṇa (6) o le balaustre buddhiste, ove il mitico animale è veicolo d’una divinità o generatore d’un rizoma vegetale.  Ciò prima del IV sec. d.C., epoca in cui ha costituito un fondamentale elemento decorativo.  Talora sono delle spirali che li sostituiscono (ad es. su 2 placche votive jaina di Mathurā) (7), le quali però fungono piú da nāga che da makara.  Altre volte (8) s’inseriscono a lato del trono o sul piede-destro dei torana, a mo’ di guardiani, di quali spuntano i viticci.  Il Makara può anche risultare veicolo di qualche personaggio divino, come gli yaka o le yakinī.  A tal proposito occorre rammentare che Ka nella Bhagavad Gītā afferma di Sé: “Io fra i pesci sono il Makara.”



   


Note


(1)       O.Viennot, Le Makara dans la sclpture de l’Inde- Art Asiatiques (Ann. del Mus.Guimet e del Mus.Cernuschi), Parigi 1958, Fasc.3, Tom.V, P.I, pp. 183-206; P.II, Fasc.4, pp. 272-92.
(2)       Vien., op.cit., P.I, p.187, fig.4 e p.272, fig.28. 
(3)       A.K. Coomaraswamy, Yakas: Essays in the Water Cosmology- Munshiram M., N.Delhi 1971 (I ed. Smithsonian Inst., Washington 1928-31, 2 P.).
(4)       Coom., op.cit., P.II, Cap.4, pp. 47-56.
(5)       O.Viennot, Typologie du makara et essai de chronologie- Art Asiatiques, T.1, fasc.3, pp. 189-208, Parigi 1954.
(6)       Sono dei passaggi ornamentali, i quali seondo il C.Humphreys, Dizionario Buddhista- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1981 (ed.or. A Popular Dictionary of Buddhism- Curzon P., Londra 1975), s.v. TORANA, p.150) potrebbero aver a che fare – almeno nell’etimo cogli archi shintoisti giapponesi, chiamati Torii.  Imitano i corrispondenti passaggi in pietra in uso prima dell’arte Maurya (III sec. a.C.).
(7)       Ibid. come alla 2, p.188, fig.5.
(8)       Ib., p.190, fig.6.