Ricordiamo che uno dei compiti principali
attribuiti da tutte le tradizioni all’Ultimo Messaggero della Divinità
(Profeta, Inviato, Budda od Avatar che dir si voglia), è quello di ridurre essenzialmente ad unum
tutte le pratiche exoteriche ed esoteriche sparse nel globo. Il che significa che nel ‘Cuore’ del Profeta
tutto è stato già teurgicamente riportato al Verbum, insomma all’Essere
(l’Uno, il Principio), terminologia equivalente a quella dello Śabda o
del Sat indú. Se volessimo però
essere maggiormente precisi dovremmo parlare di azzeramento delle tradizioni,
anziché di semplice ritorno al principio.
Poiché la meta vera di colui che la tradizione indiana definisce il
‘Decimo Avatar’ non è la sola reintegrazione a livello microcosmico nel Sacro
Suono dell’Aum (1), equivalente all’Amen latino, seppure
gli occidentali attuali al modo dei loro antichi antenati ignorino in gran
parte il valore di ciò che precede l’Uno.
I Romani non disponevano dello Zero, limitati com’erano al virgiliano e
fallico contrassegno dei Penati (l’I dantesco), con ciò dimostrando di
aver cura soprattutto del Paradiso Perduto – il Latium pre-civilizzato ad immagine della
‘Terra Nascosta’ – piuttosto che dell’Assoluto.
L’Immanifesto (simbolicamente rappresentato dalla Bianca Conchiglia, che d’altronde equivale al
Candido Loto oppure alla Candida Rosa) ossia il Paradiso Celeste, volendo usare una
diversa metafora, è infatti il vero fine dell’azione
avatarica. Giacché l’Uno, pur essendo
ancora di per Sé non manifestato, indica tuttavia il Principio della
Manifestazione. Solamente lo Zero Metafisico
è indice della Non Manifestazione. Per
la verità, se si vuole indagare piú a fondo, pure i latini disponevano seppure
molto reconditamente di codesta simbologia dello Zero Metafisico tramite la
figura primordiale di Giano. Secondo
Ovidio infatti, il Dio degl’Inizî (cfr.
con Ganeśa in India) aveva un tempo forma sferica e veniva dai
predecessori chiamato ‘Chaos’ (2).
Salvatore Ruta identifica correttamente
questa forma suprema del nume al Cerchio quale icona grafica dell’Uno-Tutto (=
Uno-Zero), menzionando un passo di Evola (3) che assimila a sua volta
anch’esso giustamente lo Hén-tó-Pán alchemico della Grande Opera all’Ouróboros/
Torqués (il secondo termine l’abbiamo aggiunto noi) greco-celtico. Segno che il concetto dello Zero era presente
almeno sul piano ontologico se non dal punto di vista matematico parimenti nel
mondo greco ed in quello celtico, oltreché in quello romano ed indiano (4). Potremmo dire, pensando a Zurvān Akarana, nell’intera
cultura indoeuropea. Poiché tale
cultura ovviamente ha serbato traccia, seppure ridotta ai minimi termini, della
fase di monismo non duale – cfr. in India con
l’Advaita, il Vedānta della Non Dualità – propria del
primo quarto dell’Età Aurea. In altre
parole, del I Ciclo Avatarico. Un’altra
assimilazione possibile del Cerchio (di nuovo segnalata da Evola e ripresa dal
Ruta), questa volta
2
sul piano cosmologico, è con l’Uovo del Mondo (scr.Brahmānda). Non siamo d’accordo però sull’equiparazione della Sfera all’Androgine, che pare peraltro venga suggerita anche da Platone nel ‘Convito’ (5), ma se consideriamo attentamente le cose ci accorgiamo che non è realmente cosí. Il filosofo greco descrive il ‘Terzo Sesso’ (6) come formato da una Sfera contenente un capo bifronte, con le due facce orientate in posizione opposta. Tale Sfera, equivalente a quella dell’Universo incorporante l’Asse Solstiziale, è già quindi un motivo androginico; non la Sfera in senso caotico, dove Cielo e Terra appaiono ancora indistinti. Lo stato caotico precede infatti l’androginia, in cui la polarità non si è ancora manifestata, ma è già nell’atto di manifestarsi. Androginico è l’Uno, il Principio; mentre lo Zero è caotico, pre-androginico, pre-iniziale. Nel simbolismo zen (vedi in Suzuki la doppia figurazione in 10 fasi della presa al laccio del Bove da parte del Mandriano), il Cerchio allude egualmente ora al Caos finale, ora alla momentanea risalita verso l’Uno prima che anche tale trascendenza sia superata con una ridiscesa nel mondo. L’ascesa e l’allontanamento dal mondo indicano pertanto la Liberazione dal Samsāra nel Nirvāna, se ci è permesso di utilizzare la dottrina mahayanica; la ridiscesa nel mondo stabilisce invece un’equazione, o per meglio dire una non dualità di tipo duale, fra il Nirvāna e lo Çūnyatā. Cfr. con il il Bedhābheda, il Vedānta della Differenza-non differenza.
2
sul piano cosmologico, è con l’Uovo del Mondo (scr.Brahmānda). Non siamo d’accordo però sull’equiparazione della Sfera all’Androgine, che pare peraltro venga suggerita anche da Platone nel ‘Convito’ (5), ma se consideriamo attentamente le cose ci accorgiamo che non è realmente cosí. Il filosofo greco descrive il ‘Terzo Sesso’ (6) come formato da una Sfera contenente un capo bifronte, con le due facce orientate in posizione opposta. Tale Sfera, equivalente a quella dell’Universo incorporante l’Asse Solstiziale, è già quindi un motivo androginico; non la Sfera in senso caotico, dove Cielo e Terra appaiono ancora indistinti. Lo stato caotico precede infatti l’androginia, in cui la polarità non si è ancora manifestata, ma è già nell’atto di manifestarsi. Androginico è l’Uno, il Principio; mentre lo Zero è caotico, pre-androginico, pre-iniziale. Nel simbolismo zen (vedi in Suzuki la doppia figurazione in 10 fasi della presa al laccio del Bove da parte del Mandriano), il Cerchio allude egualmente ora al Caos finale, ora alla momentanea risalita verso l’Uno prima che anche tale trascendenza sia superata con una ridiscesa nel mondo. L’ascesa e l’allontanamento dal mondo indicano pertanto la Liberazione dal Samsāra nel Nirvāna, se ci è permesso di utilizzare la dottrina mahayanica; la ridiscesa nel mondo stabilisce invece un’equazione, o per meglio dire una non dualità di tipo duale, fra il Nirvāna e lo Çūnyatā. Cfr. con il il Bedhābheda, il Vedānta della Differenza-non differenza.
Nelle saghe celtiche medievali (Mabinogion)
è presente sempre in relazione allo stesso argomento un’incantatrice di nome Arianrhod
(‘Ruota d’Argento’), personaggio equiparabile alla Fata Morgana (7), che
è tutt’uno con la ‘Regina del Mare’ (8).
La Riemschneider rimanda per la comprensione del tema ad un suo vecchio
articolo (9). Codesta dea celtica
ci fa venire in mente la ‘Regina del Mare’ paleosiberiana, ripresa da Afanasjev
nella fiaba del Pesciolino d’Oro e sostituita da parte dei Grimm
con Dio (cosí come l’aspirazione a divenire uno Czar, ossia un
Cesare, è sostituita dal desiderio di divenire un Kaiser). Orbene Morrigan, la sposa di Dagda-Manannan
(il ‘Re del Mare’ sacro nell’isola di Man e Signore dell’occidentale ‘Terra dei
Beati’, o Tir Tairn-gire, similmente al Poseidone platonico),
costituisce secondo la suddetta autrice la figura centrale della tradizione
celtica; quindi è probabile che ella rappresentasse simultaneamente, oltre
all’incarnazione della “Ruota degl’Inganni” (cfr. con gli specchî argentei
dell’arte cinese del Periodo Han, II sec. a.C.-II sec. d.C. c., emblemi del
traviamento temporale verso il dualismo oltre cui si eleva solamente il Sacro
Monte paradisiaco del K’un-lun )(10), anche la Non Essenza del Caos. Il Tao (la ‘Via’ ), direbbero i cinesi, il
cui emblema – un cerchio vuoto – non per nulla è associato anche da loro alla
grande dea, la Regina Madre dell’Occidente (11); sorta di Kali (12)
o di Aditi (13) sinica, avente come la Shakti indú un doppio significato,
ora in rapporto alla
3
Dualità cosmica ora allo Zero Metafisico. Infatti il consorte Manannan – secondo il De Vries (14) figlio dell’arcaico nume oceanico Lir/ Ler e custode dei tesori marini, ai quali attingono i pescatori – funge ad un tempo da dio paradisiaco e da dio infero, al pari dello Yama indú.
3
Dualità cosmica ora allo Zero Metafisico. Infatti il consorte Manannan – secondo il De Vries (14) figlio dell’arcaico nume oceanico Lir/ Ler e custode dei tesori marini, ai quali attingono i pescatori – funge ad un tempo da dio paradisiaco e da dio infero, al pari dello Yama indú.
Yama, non meno di Iānus ha
iconograficamente in dotazione la Verga (Danda)(15), che
può anche essere latinamente (vedi Penati) concepita come un Fallo ad immagine
dell’Uno. Potremmo addirittura tracciare
un parallelo fra tale Verga-Fallo e il Dente Aureo del Matsyāvatāra (16), dente cui difatti è
assegnabile parimenti un valore genitale in relazione al Progenitore mitico (17),
Brahmā; i.e., il detentore originario della suddetta effigie ittica. Yama è inoltre in base all’etimo
androginicamente il ‘Gemello’ della sorella-consorte Yamī (cfr. con gli
Adamo ed Eva biblici, anche loro prima della bipolarizzazione creati in forma
di essere unico), non diversamente da quanto Iānus lo è rispetto a Diana. O meglio, a Venīlia, poiché questa
pare essere al dire d’Ovidio la sposa vera del Dio delle Origini. In Grecia compare un’analoga relazione fra il
fallico Urano e Afrodite Urania, la quale prima d’essere associata al Delfino
(l’Uno) od alla Tartaruga (il Due), veniva emanata dalla Conchiglia (lo Zero)
(18). La corrispondente dea del mare
cretese aveva d’altronde nel suo tempio a Cnosso un pavimento di
conchiglie. Tardivamente Citerea è stata
identificata alla Perla – simbolo per gli Gnostici della Sophía –
all’interno della Conchiglia e ciò costituisce in pratica un raddoppiamento del
simbolo dello Zero Metafisico, distinguendo il senso immanifesto da quello per
così dire ‘shaktico’. Nel caso della
coppia cosmogonica Urano-Urania (Afrodite), coppia che in India assume i nomi
di Varuna-Varunāni/ Vāruni, la bipolarità potrà
sembrare piú spinta, ma la figura primeva fra gli orfici di Eros Protogonio ci
prova che tra i due numi è avvenuta la scissione testimoniata leggendariamente
dal racconto teogonico esiodeo (19).
Eros infatti presenta tratti intermedî fra Urano e Afrodite. Stessa cosa si potrebbe dire del Kāma (20)
induista rispetto a Varuna e Varunāni. Insomma è l’Androgine primevo, equivalente al
Rebis alchemico. Qualcosa d’analogo deve essere accaduto fra i
palestinesi Yaw/Yam ed Aštaroth. Significativo peraltro che Yama, non meno di
Giano, sia connesso pure allo Zero per mezzo dell’altra sua arma, il Laccio (Pāśa)(21). Unendo assieme le due armi simboliche
della Verga e del Laccio, graficamente riducibili alla somma di 1 e 0, qualora
ci rifacessimo nel contempo alla storiella avatarica narrata in nota (22) potremmo
persino asserire che Yama –
siccome equiparabile a Manu (il Macrantropo) – presiede alla
dieci manifestazioni avatariche (23).
Che poi il Laccio e la Verga siano addivenuti strumenti del ‘Primo
(dunque Giudice) dei Morti’ – cfr. con Minosse in Grecia, Yam in
Palestina e Yima in Persia – onde
acchiappare e di conseguenza punire le anime giunte nel Regno degl’Inferi, è
fatto
4
mitologico successivo alla decadenza di ruolo del Primo Nume.
4
mitologico successivo alla decadenza di ruolo del Primo Nume.
Come ha notato il Ruta (24),
menzionando M.N. Stiskin, il Caos in Giappone è emblematizzato dallo Specchio
Divino, una delle 3 insegne sacre dell’Imperatore. Lo Specchio è in questo caso quello della dea
solare Amaterasu, probabilmente d’origine artica, ed è dunque uno
Specchio Aureo. La differenza fra i due
specchî (potremmo dire anche fra le due ruote, i due anelli, le due collane, i
due cerchî), solare e lunare, ripropone figurativamente la diversità fra la
perfezione positiva del Maestro Ultimo e quella negativa dell’Avversario che a
lui si è opposto alla ‘Fine dei Tempi’ (25).
Note
1. Il Para-śabda o ‘Suono Supremo’
– immagine dell’Uno – viene emesso dallo Śanka o
Conchiglia, emblema indiano dello Zero oltreché del ‘Terzo Orecchio’. Secondo l’epica hindu (G.Acerbi, Kālacakra.
La Ruota Cosmica- Univ. “Ca’ Foscari”, Venezia 1985, tesi di l., Vol.I,
P.II, Cap.V, pp. 418-22) il culto dell’Aum caratterizzava il primo ciclo
umano nell’Età Aurea. In tal senso,
evidentemente, l’Aum è da intendere dunque in relazione non al ‘Terzo
Orecchio’ bensí al ‘Terzo Occhio’. In
altre parole, alla forma visibile del Paradiso invece che a quella invisibile.
2. Cfr.
per le due citazioni S.C. Ruta, Il Dio Giano e lo Specchio Divino- La
Cittadella N.S. ( gen.-mar. ’01 ), A.I, N°1, Messina 2001, p.11 ss. Ciò, intendiamo il doppio ruolo di Giano come
Zero e come Uno (Caos e Principio ), è probabilmente la ragione – neppure tanto
inconsapevole visto quanto egli dichiara – per la quale persino un luminare
della cultura latina quale il prof. Del Ponte ha esitato ad attribuire a Giano
il ruolo chiaro che gli compete di dio aureo in ‘Dei e miti italici’ (Ecig,
Genova 1985, Cap.II, § sgg), benché poi (a p.55) sia stato costretto
incoerentemente dalla sua indubbia conoscenza del tema ad attribuirgli un
“retaggio iperboreo”. Sull’argomento
vedi anche il nostro Giano e Ganesha, dèi delle origini. Un confronto
mitologico fra le tradizioni della penisola italica e quelle della penisola
indica - Ritorno al Paradiso Perduto (blog, pross.)
5
3. Tratto da La Tradizione Ermetica.
4. Una storiella indiana krishnaita, di tipo avatarico,
racconta di come i dieci numeri originarî si atteggiassero boriosi cercando di
prevalere l’uno sull’altro. Le cifre piú
grosse volevano svettare su tutte, mentre le due piú piccole (ovviamente lo
Zero e l’Uno) se ne stavano silenziose ed appartate, fino a che decisero di
unirsi insieme a formare il Dieci ed allora cominciarono a dominar le altre.
5.
Plat., Symp.-189/
e.
6.
Op.cit., 190/ a-b.
7. M.Riemschneider, La religione dei Celti-
Il Falco, Milano 1979 (ed.or. Die
Religion der Kelten, ediz. e d.d.p.
n.citt.), Cap.II, p. 44.
8. Riem.,
op.cit., p.41.
9. M.Riemschneider,
Ruota e Anello come simbolo degl’Inferi- Symbolon ( N°42 ), 1946, sgg.
10. M.Loewe, Ways to
Paradies. The Chinese Quest for
Immortality- G. Allen & Unwin,
Londra 1979, Cap.III sgg. Gli
specchî quadrati – emblemi della Terra – col motivo a TLV (un espediente
decorativo in antecedenza carico di sensi simbolici, con riferimenti polari
legati alle pratiche degl’indovini e a concezioni cosmologiche postulanti
l’idea d’un Divino Architetto) mettevano in comunicazione il defunto
coll’Aldilà, possedendo un valore di amuleti al fine di proteggere la vita dei
trapassati. Gl’indovini (geomanti dotati
di compasso, come a dire capaci di trascendere le vicende terrene) è ovvio
avessero fiducia nel Tao e nei principî dello Yin e dello Yang,
che ne rappresentavano la forma dinamica a livello cosmico. In almeno 2 casi
rilevati si fa menzione del resto nelle iscrizioni sugli specchî della Regina
Madre d’Occidente, in relazione alla vita futura degl’Immortali (Hsien);
tratteggiati iconograficamente quali personaggî alati oppure a cavalcioni delle
nuvole, sebbene altrove compaiano in veste di saggî con teste serpentine. Nel mezzo di certi di essi si scorge l’Orsa
Minore, con la Stella Polare; attorno a tal asterismo soo raffigurati 2 cerchî
concentrici – emblemi l’uno del Cielo e l’altro (crediamo) del Mondo Intermedio
– il piú interno dei quali riporta 12 caratteri alludenti ai Dodici Rami
dell’Albero Cosmico (Polo Artico). Cfr.
pp. 76, fig.11 e 80, fig.12. Una volta
compare invece, in uno specchio del 10 d.C., l’immagine stessa della Regina
Madre seduta sul suo trono (a fr. di p.161, tav.22) e sono fissate le
Direzioni. Le 2 iscrizioni prima
menzionate sono invece piú tarde.
11. Lo.,
op.cit., Cap.IV sgg. La
Regina Madre d’Occidente (Hsi Wang Mu) era considerata dispensatrice di
vita perpetua ed arbitra del mondo, alla maniera della Ereś-ki-gal sumerica (vedi il Poema di Gilgameś, dove assume il ruolo di Signora della Tavola dei
Destini). Al pari di costei aveva
parzialmente una valenza infera e dimorava in una grotta sulla sommità d’una
Montagna, disponendo d’un potere magico illimitato. Poteva difatti favorire ogni delizia terrena
nella sua Terra d’Abbondanza, come ‘Miele di Rugiada’ e ‘Uova di Fenice’,
capaci di lenire gli affanni umani; od alternativamente spingere ancora piú in
alto, sino a conferire celestialmente l’Immortalità. Abile nello zufolare, era descritta dallo Shan-hai-ching
con Coda di Leopardo e Denti di Tigre.
In certi luoghi (ad es. a Ma-wang-tui) ed in certe occasioni
veniva tratteggiata con l’intera Testa di Tigre e Coda Serpentina o di Drago,
od in varianti equivalenti; tutte suggerenti il concetto d’una divinità
onnipotente, capace di dominare perfettamente lo Yin e lo Yang, regolando
cosí tutti i ritmi cosmici. Ella
indossava un caratteristico copricapo, lo Sheng
6
(Triplice Corona, in seguito divenuta Settemplice), e le stavano da presso 2 Lepri col Pestello delle Erbe onde ottenere l’Elixir di Lunga Vita in un’ambientazione simbolica tipicamente lunare; oppure il Rospo, spesso detenente fra le zampe egualmente il Vaso delle Erbe. Altri suoi emblemi erano: il Corvo a Tre Gambe (a volte unito al Sole), la Volpe a Nove Code (9 come i ‘i Cieli ed i Muri’ del Monte Paradisiaco nel poema T’ien-wen, o le ramificazioni delle lampade taoiste) oppure il Mostro a Nove Teste (chiamato K’ai Ming e ritenuto custode del K’un Lun), il Guardiano munito d’Alabarda nonché anime di supplicanti giunte a chiedere la Grazia. La cima del paradisiaco K’un Lun (cfr col Sineru o Sumeru buddista), dimora della dea, era visitata di quando in quando da un nobile viaggiatore, dietro la cui effigie s’adombrava ovviamente lo ierofante. Lassú s’ergeva l’Albero del Mondo (cfr. nota prec.), sostituito talvolta da un Pilastro. La Regina Madre era affiancata nella Terra d’Occidente, l’Asse Polare per i cinesi collocandosi in effetti ad ovest, da un Re Padre Occidentale. Anche Ta Yü (lett. il ‘Grande Pesce’), il costruttore del Min-tang o Loggia taoista, simboleggiante il Padiglione del Mondo) e primo dei Dieci Imperatori (equivalenti dei Daśāvatāra indú), si diceva avesse studiato con lei (p.95). La Vecchia Signora dell’Occidente era inoltre circondata nella contrada cd. della ‘Debole Acqua’ dalla ‘Gente Beata’, chiamata pure ‘Gente della Musica’ (ibîd.), specie di gandharva cinesi in stile taoista. L’espressione aveva sicuramente riferimenti shamanici. Il luogo ove Ella era collocata, geograficamente parlando, era quello a nordovest delle “sabbie ondeggianti” (deserti centroasiatic ). Bisogna notare che l’interesse per la Terra Pura Occidentale del buddismo sorse in Cina storicamente pressappoco nel medesimo periodo in cui si venerava la Terra Occidentale della Regina Madre, il cui centro era costituito dal Monte K’un Lun. Tanto che esploratori e mercanti cercarono d’aprirsi un itinerario reale in siffatta direzione. Una premonizione circolava in proposito: il prossimo avvento della “gente dagli occhi diritti”. Una profezia sull’avvento in oriente dell’occidente europeo.
6
(Triplice Corona, in seguito divenuta Settemplice), e le stavano da presso 2 Lepri col Pestello delle Erbe onde ottenere l’Elixir di Lunga Vita in un’ambientazione simbolica tipicamente lunare; oppure il Rospo, spesso detenente fra le zampe egualmente il Vaso delle Erbe. Altri suoi emblemi erano: il Corvo a Tre Gambe (a volte unito al Sole), la Volpe a Nove Code (9 come i ‘i Cieli ed i Muri’ del Monte Paradisiaco nel poema T’ien-wen, o le ramificazioni delle lampade taoiste) oppure il Mostro a Nove Teste (chiamato K’ai Ming e ritenuto custode del K’un Lun), il Guardiano munito d’Alabarda nonché anime di supplicanti giunte a chiedere la Grazia. La cima del paradisiaco K’un Lun (cfr col Sineru o Sumeru buddista), dimora della dea, era visitata di quando in quando da un nobile viaggiatore, dietro la cui effigie s’adombrava ovviamente lo ierofante. Lassú s’ergeva l’Albero del Mondo (cfr. nota prec.), sostituito talvolta da un Pilastro. La Regina Madre era affiancata nella Terra d’Occidente, l’Asse Polare per i cinesi collocandosi in effetti ad ovest, da un Re Padre Occidentale. Anche Ta Yü (lett. il ‘Grande Pesce’), il costruttore del Min-tang o Loggia taoista, simboleggiante il Padiglione del Mondo) e primo dei Dieci Imperatori (equivalenti dei Daśāvatāra indú), si diceva avesse studiato con lei (p.95). La Vecchia Signora dell’Occidente era inoltre circondata nella contrada cd. della ‘Debole Acqua’ dalla ‘Gente Beata’, chiamata pure ‘Gente della Musica’ (ibîd.), specie di gandharva cinesi in stile taoista. L’espressione aveva sicuramente riferimenti shamanici. Il luogo ove Ella era collocata, geograficamente parlando, era quello a nordovest delle “sabbie ondeggianti” (deserti centroasiatic ). Bisogna notare che l’interesse per la Terra Pura Occidentale del buddismo sorse in Cina storicamente pressappoco nel medesimo periodo in cui si venerava la Terra Occidentale della Regina Madre, il cui centro era costituito dal Monte K’un Lun. Tanto che esploratori e mercanti cercarono d’aprirsi un itinerario reale in siffatta direzione. Una premonizione circolava in proposito: il prossimo avvento della “gente dagli occhi diritti”. Una profezia sull’avvento in oriente dell’occidente europeo.
12. Cfr. E.Neumann, The
Great Mother. An Analysis of the Achetype- Princeton Un., Princeton (N.J.)
1972, figg. 65 e 66. Anche se il fatto non è bene segnalato
dall’autore (Cap.VII, pp. 152-3), la dea Kālī (Mahāakālī) quand’è
unita al suo paredro si presenta iconologicamente in due forme
fondamentali (vedi foto): la prima forma citata (vedi terracotta dipinta del
XIX sec.) costituisce la controparte creativa del dio Kāla (Śiva),
o Mahākāla che dir si voglia, su cui la dea eleva la sua danza al fine
di trasformare il mondo oppure si adagia sessualmente altre volte in un coito
sacro (mithuna); la seconda forma ne rappresenta la trascendenza
nell’Assoluto, dato che Ella divora le budella del cadavere inerte del
dio. Nelle icone ove Kālī-Mahāakālī
è sola, col Laccio (fig.182) o senza Laccio (fig.67), è sempre possibile
ovviamente in simultaneità la suddetta doppia interpretazione.
13. Nella
mitologia vedica Aditi rappresenta la controparte di Daksa,
alter-ego di Prajālpati con ‘Testa di Capra’ anziché di ‘Antilope’, che
è da lei generato ma nel contempo la genera (R.V.- x. 72, 3-5). Un
controsenso logico indicante da un lato rispettivamente la metafisica dello
Zero e dall’altro la metafisica dell’Uno o, se si vuole, del <Grande Uno>
(cin.Tai-i).
14. J.
De Vries, I Celti- Jaca B., Milano 1961 (ed.or. Keltische Religion-
W. Kohlhammer, Stoccarda 1982), P.II, Cap.II, p.118.
15. M. & J. Stutley, Dizionario del’Induismo- Astrolabio-Ubaldini,
Roma 1980 (ed.or. A Dictionary
7
of Hinduism- Routledge & Keegan, Londra 1977), s.v.YAMA, p.504, col.a.
7
of Hinduism- Routledge & Keegan, Londra 1977), s.v.YAMA, p.504, col.a.
16. In
proposito si esamini G.Acerbi, Il culto del Narvalo e della Balena e di
altri mammiferi marini nello sciamanesimo artico- Avallon, N° 49, Rimini
2001, pp. 55-78 sgg.
17. Ac., art.cit., passim.
18. R..Graves,
I miti greci- Longanesi, Milano 19795 (ed.or. Greek Myths-
Penguin, Londra-Harmondsworth 1955), p.40, §11.
19. Hes.,
Th., vv. 176-206.
20. Non
per nulla uno dei nomi di Kāma è I.
21. Come
alla 15.
22.
Vedi n.4.
23. Stessa
cosa potrebbe dirsi, mutatis mutandis, di Giano. Non è anche costui legato sia alla Verga sia
al Cerchio? Si voglia intendere questo
simbolo matematico in senso geometrico od aritmetico (Cerchio/ Zero), statico o
dinamico (Cerchio/ Ruota). D’altra parte
sappiamo che anche alla sapienza sibillina latina era nota, seppure piú
sinteticamente, la dottrina del ciclo denario.
Cfr., al riguardo, G.Acerbi, Dante e Virgilio: profezie antiche e
medievali sull’avvento dell’Età dell’Aquario– Arthos (gen.-dic. ’98), A.II,
NN. 3-4, Pontremoli [Ms] 1998, pp. 107-8.
24. Art.cit alla n.2
25. Si
confronti in proposito H.Mriga, Il ‘Secondo Avvento’ e la figura antinomica
dell’Anticristo- Nel Regno Perduto della…, on line (23-09-06), pp.
1-7 (datt.) ( http://mriga.blog.kataweb.it
).
Nessun commento:
Posta un commento