giovedì 16 febbraio 2017

LA NOZIONE DI 'OLAM' NELLA CULTURA EBRAICA



 ed il culto solare giudaico-cristiano, da Noè a Hebron 


  


a)     Il Magnus Annus Platonis
ed il concetto equivalente di Olām fra gli Ebrei

        Dato che gli Ebrei riducendo d’un decimo la durata del Manvantara di 64.800 lo hanno praticamente identificato al Mahāyuga di 6.480 anni, non vi era necessità d’un termine distinto per differenziare il Grande Eone dall’Eone, per dirla in termini greco-latini.  Bastava la parola ’Olām a qualificarli entrambi.  Se si aggiunge il fatto che il calendario lunisolare ebraico non parte dall’esatto inizio dell’ultimo Eone (dopo il ‘Duemila’ il penultimo…) e cioè dal 4.480 a.C., bensí 720 anni dopo ossia dall’inizio del P.V. in Aldebaran (come per altri popoli d’origine mesopotamica ossequianti fin dall’Alta Antichità la Luna e la Stella), si spiegano certe tradizioni orali del giudeo-cristianesimo, trasmesse anche all’islamismo.  Ecco perché nell’essenico Libro dei Giubilei, e poi nella tradizione giudeo-cristiana, si è creduto sino ad epoca moderna (certi musulmani devoti ed illetterati lo credono ancor oggi) che il mondo avesse solo 6.000 anni!  Per la verità l’Essenismo, in certo senso l’esoterismo del Sadducismo (al modo come il Cabalismo lo è rispetto al Farisaismo ed il Sethianismo nei confronti dello Gnosticismo), adottava un calendario solare di tipo noaico, assai piú antico evidentemente di quello mosaico (P.Sacchi, Storia del mondo giudaico- S.E.I., Torino 1976, P.I, Cap.IX sgg).  Ciononostante, il punto di vista ciclico farisaico ha prevalso in tutta la storia del giudeo-cristianesimo, almeno a livello exoterico, sino a condizionare il punto di vista saddocita stesso.  Se il cristianesimo ha adottato il calendario solare erculeo, trasmesso ai Romani dai Greci secondo quanto è presupposto nella leggenda della fondazione dell’Urbe (i 12 Avvoltoi di Romolo), è per via della paganizzazione cui è andato soggetto in tempi constantiniani.  Anche se, come vedremo tra poco, la trasmissione del calendario solare essenico è continuata per via segreta, nella saga graalica; oltreché implicitamente, tramite gli emblemi devozionali della fede cattolica e di quella ortodossa, nella storia sacra della Passione, Morte e Resurrezione dell’Unto.



b)     Platone, Noè, l’Atlantide ed il calendario solare noaico-atlantideo

        Se vi è un punto debole nella cosmologia egizio-platonica dell’Atlantide è il fatto che, strano a dirsi (sebbene ciò non sia mai stato notato da alcuno, ci pare almeno), non compaia nella descrizione estremamente incisiva del grande filosofo nessuna figura di rilievo di quel tempo lontano, per altro verso cosí bene tratteggiato.  Manca insomma una figura del tipo di Noè, benché la Chiesa del Medioevo abbia identificato i due Diluvi, noaico ed atlantideo.  Orbene, il calendario solare duodenario ebraico è di lontana origine noaica, origine che dal punto di vista ellenico – precisamente platonico – potremmo dunque definire atlantidea, stando almeno ai presupposti tramandatici da Platone nel Timeo.  A riprova di quanto attestato dalla tradizione egizia e da quella ebraica, lo stesso calendario solare è stato rintracciato sinanco nel XX sec., presso i Maya-quiché, dal paletnologo svizzero R.Girard; vale a dire nell’effigie solare delle 12 Coppe minori ai lati rettangolari della mitica ‘Tavola’ imbandita, con 3 grandi Coppe al centro.  Infatti la citazione da parte di Platone di Poseidone come dio oggetto di venerazione nell’Atlantide implica indirettamente l’esistenza d’un calendario solare del tipo di quello eracleo, adottato in Grecia in associazione col Triregnum divino formato da Zeus, Poseidone e Ade.



c)      Il Pentateuco, i nomi divini ebraici
e la doppia posizione di Yahveh nel culto secondo la Genesi

STORIA DEL PENTATEUCO, versioni precedenti e tradizione orale (vide A.Soggin, Introduzione all’Antico Testamento- Paideia




d)    Origini noaiche della Trinità cristiana e dei contrassegni apostolici

        Il calendario solare di tipo essenico-noaico è rispecchiato nella simbologia eucaristico-duodenaria dell’Ultima Cena, la quale presuppone come sottintesa un superiore simbolismo trinitario.  Per capire quanto appena postulato, bisogna rammentare che Noè corrisponde in Grecia ad Eracle e in India a Ka.  Della corrispondenza della figura greca con quella indiana già sapeva l’Antichità (attraverso la relazione storica di Megasthene), la quale decretava infatti un culto sincretico agli ultimi due; anche autori moderni come il ten.colonnello James Tod (1782-1835), ufficiale della British East India Company ed orientalista, sostennero la tesi dell’affinità fra i due personaggi delle rispettive tradizioni.  Meno accettabile è invece l’altra che identifica Eracle a Balarāma, il fratello di Ka; giacché questi equivale ad Ificle, non ad Eracle.  L’etimo d’altronde ci aiuta, poiché il gr.Heraklēs (lett. 'Foglio di Hera') pare la contrazione del scr.Hari-Ka.  Pure a livello mitologico si riscontrano notevoli somiglianze fra l’inventore greco dello Zodiaco Solare e quello indiano.  Oltretutto, le due figure hanno entrambe un doppione col medesimo simbolismo solare.  Basta pensare da un lato ai due Eracle dei quali ci parla Erodoto nelle sue ‘Storie’ e, dall’altro, all’esistenza in India di un Ka auriga accanto ad uno pastore.  La loro verà identità è mal compresa tanto in Grecia quanto in India, probabilmente per il fatto che uno si è sovrapposto all’altro.  Potremmo definire il primo, cioè  il pastore, di discendenza atlantica e di epoca tardo-paleolitica; il secondo, ossia l’auriga, appartiene per contro ad epoca mesolitica e si ambienta nettamente in terra eurasiatica.   In quanto a Noè, il loro legittimo doppione nella letteratura biblica, si può affermare con certezza che possegga tutti i requisiti leggendari per appaiarsi ad essi: ha peraltro un fratello, Melchisedec, che quasi si confonde con lui.  Proprio come Baladeva ed Ificle nei confronti di Eracle e Krishna.  Inoltre, Noah è egualmente signore dell’Arca degli Animali (Zodiacale) ed un corrispettivo piú recente.  Dunque constatiamo che tutte e tre queste figure hanno doppioni nelle rispettive tradizioni tali per cui ci rimandano da un lato alla Fine del Paleolitico, dall’altra alla Fine del Mesolitico.  Su di essi è intervenuta poi una confusione ciclica, per interferenza delle due leggende l’una sull’altra, che li ha unificati in unico personaggio. 



e)     La Trinità e i Misteri Graalici

        Del resto, la simbologia esoterica della Tavola Eucaristica è stata trasmessa al Medioevo europeo mediante il Graal; R. de Boron nel suo ‘Racconto’ (Cap. XI sgg) fa derivare difatti da essa per mediazione della Tavola del Graal istituita da Giuseppe d’Arimatea su invito celeste – con accanto il miracoloso Pesce pescato da Hebron ed alludente a Cristo – quella di Merlino, la cd.’Tavola Rotonda’ del Castello di Camelot.  Nella storia della Tavola del Graal il posto vuoto non è ancora quello lasciato tale in attesa del ‘Tredicesimo Cavaliere’ in forma di Unto novello, ma piuttosto il seggio assente del traditore Giuda, il cui ruolo nella saga posteriore sarà ricoperto da Lancillotto.  Che vi sia una relazione fra le due cose è provato dal fatto che, in seguito al rinnovo della pena (pure Lancillotto abbandona la compagnia dopo il tradimento con Ginevra), sarà proprio Galahad (il figlio del prode cavaliere) a riscattare il padre e per questi l’intera umanità peccatrice.  Nella leggenda graalica sono scomparsi apparentemente i 3 Piatti (a forma di larghe coppe) centrali piú grandi presenti nella simbologia amerinda, ma il De Boron associa apertamente la Tavola del Graal alla Santissima Trinità, defininendoli “quei tre esseri pieni di grazia che sono una sola cosa”.  Non solo, ma la Coppa del Graal, unica rimasta delle tre precedenti amerinde (e, si può supporre, atlantidee), viene ingiunto a Giuseppe per bocca del Cristo medesimo di porla “esattamente al centro” della nuova tavola allestita in ricordo della Tavola dell’Ultima Cena a casa di Simone.  Ecco l’aggancio preciso del cristianesimo esoterico alla tradizione amerinda: i Maya, infatti, o meglio i loro discendenti chorti, ponevano secondo R.Girard al centro della loro Tavola Rettangolare una piatta coppa di maggiori dimensioni rispetto alle altre due.  La Coppa Centrale era attribuita al Figlio Maggiore, le altre due vicendevolmente al Padre e al Figlio Minore.  Inutile aggiungere che il Figlio Maggiore svolgeva veci consimili a quelle del Cristo ed il Figlio Minore a quelle dello Spiritio Santo.  Addirittura, quest’ultimo era effigiato talvolta dall’Aquila, talvolta dal Colombo. 



f)      La Colomba dello Spirito Santo

        Vedi nota del R.P.

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