lunedì 29 maggio 2017

IL CULTO DI PICO IN AREA INDO-MEDITERRANEA, DALLA SICILIA AL DECCAN







1.      Premessa

        Storici delle religioni e paletnologi, tranne qualche eccezione che conferma la regola, hanno sempre pigliato poco sul serio la mitologia, facendo poco o nulla per adattare il materiale archeologico agl’insegnamenti dei miti.  A poco sono serviti gli studi di Eliade onde dimostrare che i miti sono storie vere, paradigmatiche, ecc.; la pratica è, sostanzialmente, diversa dalla teoria.  Seppure i miti non descrivano fatti storici, hanno la capacità d’incunearsi nel passato dell’uomo, offrendo a questo un contenuto che altrimenti il semplice reperto sarebbe incapace d’illustrare.  Il mondo della mitologia non è un mondo fantastico, bensí un mondo reale, piú che reale.  È il mondo vero, privato delle sue illusioni e riportato alla sua realtà potenziale, oltremondana.  Essendo i miti validi su vari piani, vi è anche il piano storico e quelli correlati (sociale, antropologico) che potrebbero venir analizzati con tal formidabile metodo.  Stando dunque al mero piano storico, da non confondere con quello storicistico che è una formula convenzionale da rigettare, il passaggio da un culto ad un altro – sia pure nella preistoria – rientra in codesto ristretto ambito.  Pertanto, dilatando il concetto di storia (o, se se si vuole, di etnologia; ad essa allineata nei compiti, pur con con una mitologia sua propria, secondo i presupposti strutturalisti di Lévi Strauss)(1) oltre i canoni consueti ed accademici della registrazione d’archivio dei dati, troveremo che l’idea tramandataci dagli antichi di Pico quale dio dell’Età del Bronzo – in senso cosmologico, non archeologico – risponde ad una conoscenza effettiva.   È una nozione, insomma, tutt’altro che peregrina.  Debbono allora di necessità essere esistite tracce, anche sul piano esclusivamente paletnologico, di siffatto sviluppo mitico-cultuale.  E difatti tale orme sono reperibili, se si vuole analizzare il materiale pleistocenico con cura e sguardo privo di pregiudizi (2), tanto in Europa (3 quanto in Asia (4).  Nell’osservare determinate raffigurazioni della preistoria europea e di quella asiatica c’è balzata subito alla mente l’intuizione che in quelle peculiari forme potesse celarsi un’epoca dimenticata della nostra cultura, ma con sicuri agganci per quanto inattesi nel mondo pagano antico, particolarmente greco-romano.  Sotto quest’aspetto non vi è da stupirsi se proprio in Sicilia, la Sicilia non ancora colonizzata del Tardo Paleolitico, sono state rinvenute incisioni parietali ritraenti uno scenario rituale, simile a quello reperibile nel Magdaleniano in Francia, che può farci rammentare la mitologia di Pico, l’antenato di Fauno e Latino.    



2.      Pico nella preistoria

        Nel secondo caso summenzionato si ha a che fare con Lascaux, in Dordogna.  Ci si trova di fronte ad immagini pittoriche su parete rocciosa, circa le quali il prof. Anati scriveva negli Anni Ottanta quanto segue: “Osservando alcune delle composizioni del Paleolitico, ad esempio la scena del pozzo di Lascaux, con il personaggio «mascherato», il bisonte, il dardo e lo standard «ad uccello», ci si rende conto che un enorme patrimonio concettuale ancora sfugge alla nostra comprensione…  I teorici della semiotica potrebbero rimboccarsi le maniche e mettere alla prova la loro disciplina, affrontando l’interpretazione dell’arte preistorica.”  Egli notava di fianco alla figura che il bisonte era in posizione d’attacco, ma che il dardo l’aveva solamente sfiorato, non trafitto; e che il confronto era avvenuto con una figura itifallica dalla testa d’uccello e corpo umano, fiancheggiata da uno “standard” d’uccello (da parte nostra preferiremmo usare il termine “totem”).  Inoltre, che il tipo di relazione intercorrente tra le due entità era contrassegnato da un bâtonnet; cioè un bastoncino, presente al suolo nell’ambito della scena.  Continuando poi nell’argomentazione sulla semiotica sopra enunciata il Professore dichiarava, senza mezze misure: “Gli psicogrammi sono segni che trasmettono sensazioni da chi li raffigura a chi li recepisce.  Si tratta di un livello ancora più astratto di quello del simbolo che, essendo tale, ha un suo preciso significato.  Lo psicogramma opera a livello del subconscio, come certi segni archetipici che la nostra memoria cosciente non sa più definire, ma che, nelle profondità del sommerso, provocano reazioni associative e sensorie, avvalendosi di lunghezze d’onda che sfuggono alla fascia delle ordinarie trasmissioni, ma che sono di sorprendente chiarezza.”     

continua


3.     Da Pīcus Ferōnius a Pīcus Mārtius


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4.     Indra e Verethragna, gli omologhi indoiranici di Pico


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Note


(1)     C.Lévi Strauss, Antropologia strutturale- Il Saggiatore, Milano 1966 (ed.or. Anthropologia structurale- Plon, Parigi 1958), Cap.I sgg.  Se ci si limita da un lato (nel metodo storico) a prendere in considerazione soltanto i dati oggettivi o quelli che si reputino tali e dall’altro (nel metodo etnologico) le abitudini inconsce (ammesso, e non concesso, che esista l’inconscio quale categoria reale al di là delle teorie psicanalitiche) o ritenute tali, è evidente che si finisce per ricadere in quelle “costruzioni frettolose, che finiscono sempre col rendere le popolazioni studiate «riflessi della nostra particolare società», delle nostre categorie e dei nostri problemi” (ibid., p.28).  Secondo quanto denotato da Boas.  Il rischio, è ovvio, c'è anche diversamente ossia uscendo dal seminato.  Proprio per questo è bene, analizzando i reperti ancestrali, rifarsi a categorie arcaiche.
(2)     Concordiamo nel metodo e nelle prospettive con quanto elaborato negli anni, dal 1968 in poi, da parte del Centro Camuno di Studi Preistorici; cui abbiamo aderito per un certo periodo (fino a che non ci siamo gravemente ammalati), partecipando ad un importante Simposio (Prehistoric and Tribal Art- Symbol and Myth) tenuto a Capo di Ponte all’inizio dell’autunno 1993 con nostro materiale fotografico, seppur non del tutto inedito.  Il prof.Anati, in un suo vecchio scritto (E.Anati, Origini dell’arte e della concettualità- Jaca B., Milano 1989, pp. 32-4) esprimeva l’idea di creare una ‘storia totale’ dell’umanità unendo l’archeologia alla tradizione orale e alla letteratura.  Di qui abbiamo preso le mosse noi stessi coi nostri studi, benché molto a latere, partendo dalle citazioni e dalle osservazioni in campo italico-latino nella Riv. Arthos da parte del prof. R. del Ponte et al.
(3)     Per il materiale europeo basterà al momento consultare An., op.cit., p.170, fig.105; oppure l’art. di A.Leroi-Gourhan (Les signes parietaux comme «marques ethniques», Altamira Symposium, 1981, pp.289-94) da cui è tratta.
(4)     Per il materiale asiatico vide VS. Wakankar & R.R.R. Brooks, Stone Age Painting in India- Taraporevala, Bombay 1976, p.56., figg. n.numm. supra et infra; il testo da cui siamo partiti per elaborare il nostro maxi-art. presentato all’XI Simposio Valcamuno, col titolo di Le arcaiche figure tricorni nella glittica della Civiltà dell’Indo e nell’arte rupestre del subcontinente indiano.

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