sabato 17 dicembre 2016

I CICLI AVATARICI E LO SPOSTAMENTO DEI POLI TERRESTRI






a)  Le ipotesi sullo spostamento dei Poli Terrestri

       Nota è da millenni la rilevanza dello slittamento dei Poli Celesti a livello sidereo, a causa di speciali miti assai antichi come quello induista del Frullamento dell’Oceano di Latte (i.e. l’Oceano Artico)(1), che presenta d’altronde delle convergenze colla mitologia iranica (2).  Seppur in questo caso la scena appaia un po’ mascherata, al Soma (Luce) essendo sostituita la Kvarenah (Luce di Gloria).  A darne testimonianza sono, parallelamente, le tradizioni amerinde (3).
       La scuola anglo-statunitense, che fa capo a Hancock e Wilson,  basandosi sugli studi del compianto prof. Charles Hapgood (4) ha postulato uno spostamento dei Poli anche in campo terrestre.  Geograficamente questi spostamenti varierebbero dall’Alaska alla Scandinavia, passando da un lato per la Groenlandia e dall’altro per la Siberia.  Il punto debole di tali rilevamenti – lo diciamo subito – è che non sono stati fatti in base a qualche teoria cosmografica, ma sul piano semplicemente geofisico.  Gli antichi, avendo diversamente dai moderni una ben precisa idea di ordine in relazione al cosmo (da κοσμέω = ‘ordino’), non avrebbero mai lasciato che le loro osservazioni in campo fenomenico s’applicassero ad un mondo caotico.  Ogni osservazione naturale era catalogata ed inserita in un preciso schema ordinatore, capace di trasformare la fenomenica in una determinata sequenza temporale o spaziale.  In questo caso dunque, volessimo applicare le acquisizioni scientifiche o supposte tali (5) dei giorni nostri al fenomeno dello slittamento polare terrestre e del pari allo schema rivelativo avatarico, dovremmo comportarci come gli antichi.  Disgraziatamente la scienza contemporanea possiede un metodo che risulta estraneo all’ordine naturale, quindi non si possono mescolare elementi eterogenei.  Anche se noi per necessità di discussione proveremo a confrontarli ora di seguito, pur tenendo distinti i due campi d’indagine. 
       Chiarita questa importante questione metodologica, passiamo ad esaminare i dati; e, non disponendo della possibilità di osservazioni dirette per evidenti ragioni, ci limiteremo a riflettere sul piano semplicemente teorico.  Come abbiamo altrove (6) indicato, il fatto che i popoli paleosiberiani siano stanziati attorno all’Artide costituisce di per sé già una prova dello spostamento del Polo Boreale da una zona che manteniamo per ora incognita a scopo dialettico a quella nel cui ambito essi hanno sempre dimorato in passato ed ancor oggi dimorano.  Evidentemente, non si può pensare che gli stessi abbiano voluto emigrare in zone tanto improvvide ed ostili alla vita sociale ed individuale.  L’unica cosa sensata al riguardo sarebbe immaginare che quelle popolazioni si siano trovate in condizioni climatiche sfavorevoli in un momento ancestrale della loro vita clanica ed, anziché abbandonare il loro ambiente 



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natale, si siano man mano adattate ai cambiamenti intervenuti per quanto possibile.  Un’analoga logica, mutatis mutandis,  andrebbe applicata alla fauna ed alla flora.  Come si può ritenere che l’orso bianco o la volpe argentata si siano spostati appositamente in quel clima cosí invivibile dove oggi sopravvivono a stento?  Circa i cetacei, è risaputo che le zone artiche abbondano di kril.  Siffatto minuscolo cibo può averli senza dubbio attratti e condizionati, ma ci pare non basti a giustificare la loro permanenza ai bordi della banchisa di ghiaccio, presso la quale talvolta rimangono intrappolati andando incontro ad una morte orrenda.  Ciascun vivente ama una temperatura favorevole alla vita e solo per costrizione, o qualcosa di simile, è credibile si sia adattato ad un clima sfavorevole.  Colle conseguenti modificazioni, fisiche e comportamentali, che le scienze naturali c’insegnano s’instaurino in questi casi. 
       Non a caso gli antichi hanno stabilito delle relazioni elementari fondamentali fra Climi, Caratteri, Direzioni, Ecumeni, Razze, Caste ecc.  Il che non implica, indirettamente, la fissità della geografia del globo.  Loro stessi ci hanno tramandato notizie di cataclismi innumerevoli, venuti a sconvolgere l’ordine naturale a piú riprese.  Rimane tuttavia un punto, che non va toccato: la fissità dell’asse polare, il quale può cambiare inclinazione secondo certuni (vedi ad as. le teorie del Barbiero), ma non spostarsi.  La teoria di Hapgood non prevede del resto uno spostamento reale dell’asse, ma piuttosto un drammatico scivolamento della superficie terrestre (litosfera) sul sostrato magmatico sottostante (astenosfera) sospeso sopra uno strato di rocce parzialmente fuse (mesosfera), tale da provocare ingenti mutamenti climatici ed altre gravi calamità di quando in quando in una data zona geografica; viceversa quella dell’ing. F.Barbiero (7) si basa su una variazione dell’inclinazione dell’asse, che otterrebbe effetti egualmente deleteri, ma su un’area maggiormente vasta e con superiore istantaneità.  Rimane il problema della periodicità di tali eventi, che il Barbiero difatti pare suggerire parlando di un ciclicità di di c.6.000 anni; ma tale durata è approssimativamente quella propria dei cicli avatarici, i quali nel giro di 6.480 anni conducono da una settemplice congiunzione planetaria ad una successiva.  Sicché, vi è da chiedersi, non è che per caso il tutto rientra nella fenomenica provocata dalle grandi congiunzioni astrali?  Ossia nella serie di cataclismi che ci hanno tramandato gli antichi, assai simili invero agli accadimenti descritti oggi dalla scienza; dalla moría enorme di piante, animali e uomini, alle spaventose ventate piroplastiche.  Ovviamente, il linguaggio arcaico è piú immaginifico di



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quello odierno, ma a ben guardare si avvicina al nostro oltre ogni attesa.             Proviamo adesso a considerare quale ipotesi di lavoro una variabilità periodica fra 3 punti geografici delle 2 zone circumpolari, artica ed antartica, similmente a quel che avviene nella spostamento ciclico in ambito siderale.  Il Polo Celeste infatti si sposta a nord da Vega al Dragone e da questo alla S.Polare, per ripetere poi il movimento all’inverso in un tempo complessivo di 26.960 anni (8); a sud, in parallelo, i 4 segmenti del perno stellare vanno da Sirio a Canopo, da Canopo alla Croce del Sud, dalla Croce del Sud a Canopo e da Canopo a Sirio, per ricominciare il movimento oscillatorio daccapo.  Supponiamo che i 3 punti si trovino alle estremità ed al centro degli odierni circoli polari, partendo per una miglior prospettiva dal Circolo Polare Artico, giacché il Circolo Polare Antartico per la conformazione delle terre attualmente  emerse non garantisce le medesime possibilità di calcolo teorico.  Nel caso in cui i dati geologici vengano meglio precisati in futuro dagli specialisti in materia, oppure da parte nostra vengano involontariamente misconosciuti od alterati quelli effettivi oggi a disposizione, potrà comunque rimanere valida l’ipotesi della periodicità presa in considerazione.  In altre parole, supponiamo che lo spostamento dei Poli terrestri avvenga, non meno di quello dei Poli Celesti, lungo un arco di tempo di 6.480 anni.  Cosa che naturalmente lo legherebbe, come già precisato, alla questione del Punto Gamma; ovverossia, alla precessione equinoziale.  In base a tale congettura, dovremmo dunque immaginare che il Polo Boreale durante gli ultimi 6.000-7.000 anni si sia spostato da un punto-X alle I.le della N.Siberia, presso le quali si trova all’incirca attualmente.  Coll’utilizzo d’una cartina in dettaglio del Circolo Polare Artico ci accorgeremo che una variazione significativa del circolo polare avverrebbe se il Polo passasse dall’Alaska alla Terra di Baffin, oppure dalla Scandinavia alle I.le della N.Siberia; questi sono i 3 punti probabili di spostamento, in analogia con quelli del Polo Celeste.  Occorre però stabilire preventivamente quale sia il moto giusto da adottare nel rilevare lo spostamento, in senso destrogiro o levogiro?  Il movimento destrogiro, descrivente un cerchio tenendo il centro sempre a destra, è proprio del Sole e pertanto è definito ‘solare’; l’altro, che compie il cerchio avendo il centro a sinistra, è la rotazione della Grande Orsa rispetto all Piccola ed è perciò definito ‘polare’.  Se lo spostamento geografico intervenuto negli ultimi 6.480 anni è stato di tipo polare dovrà esser avvenuto da destra a sinistra, al modo delle scritture semitiche; che, difatti, pigliano la S.Polare ad orientamento del loro senso grafico.  Non è a caso che le civiltà amerinde abbiano conferito un particolare alone di sacrità alla suddetta stella, visto che le culture 



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precolombiane discendono dalla tradizione sethita; nata in un ciclo (23.920-17.440 a.C.) in cui, esattamente, la Polare dominava l’Artide non meno di oggi nel suo movimento di ritorno al Dragone.   Riassumendo, lo spostamento in area artica del polo geografico durante l’ultimo ciclo avatarico (precessionale), il X, dovrebbe dunque esser avvenuto secondo l’ipotesi sopra formulata dalla Scandinavia alle I.le della N.Siberia.  E nei 9 cicli avatarici precedenti, nel seguente modo: I Ciclo, dalla Terra di Baffin alla Scandinavia; II, dalla Scandinavia alle I.le della N.Siberia; III, dalle I.le della N.Siberia all’Alaska; IV, dall’Alaska alla Terra di Baffin; V, dalla Terra di Baffin alla Scandinavia; VI, dalla Scandinavia alle I.le della N.Siberia; VII, dalle I.le della N.Siberia all’Alaska; VIII, dall’Alaska alla Terra di Baffin; IX, dalla Terra di Baffin alla Scandinavia.  Bisogna alfine verificare se i dati geofisici possano corrispondere a quelli teorici.     



b)  Osservazioni scientifiche sul dislocamento della litosfera


       In un loro interessantissimo libro alcuni autori (9) hanno tracciato un quadro completamente nuovo sulla formazione delle glaciazioni.  In passato si credeva che la terra fosse soggetta, di quando i quando, a glaciazioni di vasta portata per cause allora ignote.  Oggi, grazie a Hapgood, sappiamo che le cose non stanno esattamente cosí.  Nel senso che le glaciazioni pare non interessino l’intero globo, ma zone limitate che per cause geologiche si vengano a trovare nei pressi dei Poli.  Lo scorrimento improvviso della crosta terrestre (10), diversamente da quello lento descritto dalla teoria della tettonica
a placche, è dovuto al fatto che la terra al centro è formata da un nucleo solido, metallico (ecco la ragione per cui i pianeti sono soggetti al magnetismo solare e stellare, come l’astrologia insegna peraltro da millenni, da quando la geologia ancora non esisteva come scienza).  Sopra di questo stanno la mesosfera e l’astenosfera, strati meno solidi e responsabili del movimento della litosfera, praticamente la crosta che sottilmente ricopre l’astenosfera. 
       Orbene, la litosfera fa in modo che determinati territori si spostino dalle regioni climatiche nelle quali essi si trovano ad altre, sí da relegarli in regioni magari climaticaticamente piú sfavorevoli.  Oppure, il contrario.  Se il movimento è diretto verso l’esterno, parrebbe, si verificano i fenomeni testé descritti; altrimenti, allorché il movimento è diretto verso l’interno, si formano corrugamenti e rialzi della crosta che vanno dai teremoti alla formazione di 



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catene montuose.  Ovviamente il tutto dipende dalla portata, piú o meno ampia, del fenomeno; che si coniuga, come detto, coll’altro maggiormente lento.



     c)  I rilevamenti

        Partendo da una considerazione inoppugnabile, la maggior stratificazione di ghiacci in due zone terrestri tra di loro agli antipodi (la Groenlandia e l’Antardide maggiore), i Flem-Ath (11) ci spiegano che tale localizzazione della glaciazione risulta asimmetrica rispetto all’asse terrestre.  Però, irrazionalmente, la geologia ufficiale non ha fornito alcuna spiegazione di questo strano fenomeno.  La teoria di Hapgood interviene appunto nella questione a render conto dell’asimmetria.  Vale  dire, vi è stato in tutta evidenza uno spostamento unilaterale della crosta terrestre, tale per cui la Groenlandia non si trova piú al Polo Boreale come un tempo, mente l’Antartide Maggiore si trova tuttora al Polo Australe.  Ciò tuttavia parrebbe smentire la nostra precedente supposizione d’una regolarità nei movimenti tellurici del sottosuolo.  Andiamo avanti, per ora, senza commentare.
       Fin dal X millennio av. l’E.V. l’Antartide Minore, secondo la teoria suddetta, si sarebbe trovata al di fuori del Circolo Polare Antartico.  Anche al polo opposto si sarebbe verificata una situazione analoga, dato che da parte di vari ricercatori si sarebbero rinvenuti parecchi reperti biologici probanti una diversa situazione climatica rispetto all’odierna.  Lo scopo era di dimostrare il popolamento del Nuovo Mondo tramite il passaggio dallo Stretto di Bering, noto solo dalla prima metà del XVIII sec. in poi, all’Alaska Settentrionale.  Le condizioni rinvenute apparivano quelle d’un clima prima temperato, anziché polare.  Ciò significa che il Polo Artico trovavasi altrove.  Precisamente in Canada.  E il Circolo Polare Artico si spingeva sino alla zona settentrionale degli Stati Uniti.  Ad ogni modo, nel XX sec. archeologi ed antropologi hanno scoperto l’esistenza d’un istmo facente da ponte fra il Vecchio e il Nuovo Mondo.  L’hanno chiamato Beringia in onore dello scopritore danese dello stretto omonimo, Vitus Jonassen Bering; il quale era nato nello Jutland e con una ciurma di 18 membri raggiunse l’isola di Bering, ove morí – forse di scorbuto – connotando per sempre il luogo col proprio nome.  Prima di lui, dopo la scoperta dell’America, vi erano state solamente supposizioni al riguardo.  La Beringia prima del X mill. av. l’E.V. era una delle tante terre emerse a causa 





del minor livello degli oceani.  Secondo gli studiosi americani aveva l’aspetto d’una tundra, secondo quelli russi d’una steppa (12) Una volta scioltisi i ghiacci, attorno al 9.600 a.C., la Beringia fu sommersa lasciando però libero dai ghiacci un corridoio fra Alaska e Canada, che serví alle tribú paleoasiatiche per popolare l’America (13).  A quel tempo né l’Alaska né la Siberia erano piú ghiacciate.  La presenza del corridoio fra lo Yukon e la Valle del fiume Mackenzie dipendeva da una diversa traiettoria dell’arco solare, dovuta a variazioni della crosta.  Prima del 90.000 a.C. il Polo N. si trovava nello Yukon, il territorio canadese separante il Canada dall’Alaska.  Ed il Circolo Polare Artico racchiudeva una zona fra la Siberia Nordorientale e il Nordovest dell’America.  Beringia ed Alaska, pertanto, erano racchiuse in questa morsa di gelo.  Non era possibile alcun passaggio dall’Asia all’America.  L’Europa viveva in un clima caldo e la Groenlandia era senza ghiacci.  La dislocazione dal 91.600 a.C., durata sino al 50.600, avrebbe viceversa prodotto una glaciazione in Europa e in Groenlandia.  Dopo lo scioglimento della calotta glaciale in Alaska si aprí una via di scorrimento fra Asia e America.  Onde è probabile che prima del 50.600 l’America sia stata popolata.  Vi è un reperto di circa 55.000 ani fa a testimoniarlo (14)Nel 50.600 un nuovo dislocamento avrebbe condotto il Polo Nord piú ad est della Baia di Hudson, coinvolgendo tutto lo «scudo canadese» e liberando l’Oceano Artico.  Era cosí possibile attraversare la Beringia e ancor meglio tramite l’Alaska giungere fino alla costa californiana.  Donde si era in grado di raggiungere il Sudamerica, fino all’Antartide Minore, che i Flem-Ath identificano all’Atlantide.  A nostro parere incoerentemente e vedremo, in seguito, perché.
       La dislocazione finale del 9.600 a.C., di cui abbiamo poco sopra riferito, creò l’ennesima variazione climatica.  L’Antartide Minore, entrando nel Circolo Polare Antartico, costrinse la popolazione che eventualmente l’abitava a fuggire.  Non siamo d’accordo nell’identificare questa porzione di suolo coll’Atlantide.  Per noi la vera Atlantide è quella Centrale, andino-caraibica, messa in luce dall’ing.Allen (15).  Però è probabile che si possa parlare di 3 Atlantidi (16), al modo come oggi si parla di 3 Americhe, tenendo conto però che la situazione delle terre emerse era oltremodo diversa a quel tempo rispetto ad oggi.  L’Atlantide Meridionale comprendeva possibilmente anche l’Antartide Minore; anzi, vi è da credere che da quel luogo provenissero i Cainiti che hanno popolato l’America dal lato meridionale (17).  Per poi incontrarsi coi Sethiti, sí da forgiare etnicamente una nuova razza, la Razza Rossa per l’appunto.  L’Atlantide Centrale, cioè la vera Atlantide cosí come l’ha menzionata Platone in 2 o 3 dei suoi Dialoghi (uno disperso, parrebbe) ci 




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risulta possa essere invece quella andico-caraibica, oltre la quale è credibile ne sia esistita una terza, la quale deve aver avuto un ruolo particolare nell’accoglienza dei superstiti della terra Iperborea fra il 17.440 e il 10.900 a.C.  È la terra che Guénon (18) identifica alla Tullan dei Toltechi.
       Giacché Noè nasce, secondo la tradizione ebraica (19) alla morte di Adamo, il legame è interpretabile in codesta maniera: gli Adamici (Iperborei) – almeno, sul versante occidentale del globo – vengono meno in quanto stirpe primordiale al momento della loro trasformazione in Noachiti (Atlantidei).  I Noachiti possono esser intesi come le genti ibride formate dall’unione dei Sethiti e del ramo sudoccidentale dei Cainiti, o forse anche dell’analogo ramo degli Abeliti.  Questa unione, con netta prevalenza sethita, non può che esser divenuta sostanziale nell’Atlantide andino-caraibica, quale frutto dell’emigrazione fatidica dall’Atlantide Meridionale da un lato e dall’Atlantide Settentrionale dall’altro.  Insomma le 2 Americhe in tempi antidiluviani, posto che la parte centrale dovette presentarsi in maniera assai meno frastagliata di quella odierna, in cui su un vasto mare galleggiano arcipelaghi relativamente minuscoli.  Platone parla di un’isola assai grande e compatta prima del continente vero e proprio.  Quell’isola che calcoli erronei d’un passato recente avevano collocato nel mezzo dell’Atlantico (vedi ad es. Donnelly).  Il Ciclo Noaico, nella cosmologia tradizionale, dovrebbe corrispondere al periodo fra il 17.440 e il 10.960 a.C.  Il periodo seguente, vale a dire dal 10.960 al 4.480 a.C., avrebbe invece a che fare col dominio dei 3 <Figli> di Noè: i biblici Cam, Sem e Iaphet, che è possibile a nostr’avviso identificare rispettivamente ai Kāma, Soma e Pra-jāpati vedici, già preesistenti al Diluvio Noaico.  Essi sono i fautori della colonizzazione mesolitica dell’Eurasia, dove già dimoravano popolazioni miste in proporzioni assai diverse; alcune di provenienza austronesiana (minoritarie), altre di matrice turanica ossia uralo-altaica (maggioritarie) ed altre ancora di derivazione paleoasiatica.
       Torniamo alla Baia di Hudson ed al 9.600 a.C. dei Flem-Ath, allorché il Polo Nord si spostò oltre la Groenlandia e la Terra di Baffin, ovvero in pieno Oceano Artico.  Una volta sommersa la Beringia, s’interruppe definitivamente il passaggio fra Asia ed America.  Conseguenze ulteriori immaginabili furono un secondo popolamento dell’America da parte delle genti intrappolate in Alaska ed obbligate a spingersi verso sud, sebbene esistano scarse prove archeologiche a suffragio di quest’ipotesi.   Le nuove condizioni recarono alle popolazioni siberiane ondate di freddo e di gelo.
     I dati forniti dai Flem-Ath possono essere confrontati con quelli maggiormente dettagliati riportati da altri studiosi della medesima scuola di idee (21).




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d)  Nostre conclusioni


       Le nozioni cosmologiche degli antichi, specialmente i dati tratti dalla cultura hindu, che appare la piú completa in tal senso, evocano un mondo assai diverso rispetto a quello ipotizzato dalle scienze moderne ed in particolare dalla paletnologia.  Benché molti abbiano provato a conciliarle, rimane pur sempre un certo scarto fra di esse.  Le scienze moderne sono di per sé caotiche, quelle tradizionali prospettano al contrario un mondo regolato da fattori ciclici invariabili.  Secondo la prospettiva astrologica, che è propria delle scienze antiche, ogni avvenimento naturale dipende dalle posizioni astrali.  Come si fa a pensare che, essendo la Terra geologicamente formata nel suo nucleo interno di metalli, non sia soggetta al magnetismo astrale?  Personalmente noi non lo crediamo.  Perciò, cominciamo a delineare il quadro degli avvenimenti del passato cosí come ce l’insegna l’antica cosmologia hindu.       
       Innanzitutto, secondo tale punto di vista i Diluvi non dipendono dai movimenti irregolari della crosta terrestre, bensí dalla congiunzione dei Sette Pianeti, cosa che avviene ogni 6.480 anni (22).  Quanto avvenuto il 3 Maggio del 2000 tuttavia, allorché essi si sono congiunti strettamente in Toro, ha dimostrato che la nozione va presa cum grano salis; ossia che gli effetti della settemplice congiunzione non agiscono in modo immediato provocando cataclismi, ma lentamente, quasi fossero degli effetti collaterali.  Il tempo necessario affinché si operino dunque avvenimenti devastanti non è calcolabile esattamente, dipendendo da fattori secondari; ma si può star certi che essi un giorno o l’altro avverranno, come le piogge in primavera e d’autunno, il caldo e la siccità d’estate o il freddo e la neve d’inverno.  È probabile ad ogni modo che codeste grandi congiunzioni smuovano sul piano elettromagnetico la crosta, sebbene la fenomenica che la riguarda si sviluppi posteriormente alla data di tale straordinaria congiunzione.  Sta di fatto che dei sommovimenti del globo sono testimoniati, in tali frangenti, dalle Scritture. 
       Il  Ciclo Avatarico (che altro non è se non il Manvantara medesimo di cui parlano i testi puranici ovvero, come veniva definito in Occidente, il ‘Grande Eone’) comprende 10 periodi della durata di 6.480 anni, nei quali a dominare è sempre una data sede geografica.   Si va in direzione solare a partire dal Polo Artico, supposto come fisso, sino al NE; poi a E e a seguire tutti gli altri Punti Cardinali ed i Punti Intermedi, comprendendo nel novero il Polo Antartico (SE, S, Polo Antartico, SO, O, NO, N).  Alla fine d'ogni ciclo la sede geografica subisce dei mutamenti tali da pregiudicarne il dominio e si passa in tal



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maniera alla sede successiva.
       Se si considera perciò la sede primeva, il Polo Artico, il dominio relativo a questa direzione riguarda il periodo ciclico fra il 62.800 e il 56.320 a.C.  In questo periodo il clima al dire della moderna climatologia, abbiamo visto, era favorevole ad un insediamento in un’isola eventuale dell’Oceano Artico (l’Oceano di Latte del mito indiano) o in Siberia, poiché il Polo Nord reale trovavasi nel Canada Nord-occidentale.  Pure la Groenlandia e l’Europa erano ghiacciate.  Diversamente da quanto hanno teorizzato i Flem-Ath il ciclo è finito con una grande inondazione (fatto che si ripete ogni c.6.500 anni al dire della cosmologia hindu), Il Diluvio di Manu.  Ciò non è detto esplicitamente in alcun testo, ma lo si deduce attraverso inequivocabili citazioni sulla fine degli Yuga – i cicli avatarici sono tali – presenti qua e là nel Mahābhārata.
       Il successivo Ciclo del Nordovest è perdurato fra il 56.320 ed il 49.840 a.C.  Nel periodo indicato la geologia suppone sia avvenuta una dislocazione.  Benché vi siano oltre 1.000 anni di differenza fra i 2 assunti, può darsi che se ne siano sentiti gli effetti un po’ piú tardi.  I miti narrano in proposito del Frullamento dell’Oceano di Latte, vale a dire dell’Artide.  L’evento non è delucidato solamente dai miti indiani, ma – se li sappiamo leggere adeguatamente – anche da parte di quelli iranici od amerindi (21).  Hanno siffatti miti a che fare coi cambiamenti climatici supposti dalla scienza moderna?  In altre parole lo scioglimento dell’Oceano Artico potrebbe aver determinato la fine dello Śvetadvīpa, l’<Isola Bianca> cara a molte tradizioni (indiana, greca, amerinda) dopo c.12.000-13.000 anni di esistenza.
       Il Ciclo dell’Est è subentrato fra il 49.840 ed il 43.360 a.C.  Riguardava un continente dislocato nell’Oceano Pacifico e noto nei testi hindu come la ‘Terra del Cinghiale (Vārāhī), ma già non aveva piú a che fare coll’Artide, benché qualcuno confondendo i miti indiani e quelli celtici parli della ‘Terra del Cinghiale Bianco’ come dell’Artide.  Esiste anche in India appunto, il mito dello Śvetavarāha (alternativamente a quello del Matsya), avendo però un riferimento non precisamente avatarico (22).  La nuova ecumene chiamasi Bhadraśvadvīpa.  Un parziale sprofondamento di essa alla fine del ciclo condusse a quello successivo, il Ciclo del Sudest (43.360-36.880).  Con questo periodo avatarico termina il Ciclo Paradisiaco biblico e sprofonda anche l’intero Bhadraśva.  Rimangono solo arcipelaghi vari sparsi per l’oceano, come insegna un mito indigeno, il mito della “pesca delle isole” (attribuita dai locali ad un nume primordiale).  Il Ciclo Australe (che induisticamente potremmo definire 'shivaita' e biblicamente 'cainita') dura fra il 36.880 e il 30.400 a.CSeguono il Ciclo Antartico (30.400-23.920 a.C.), il Ciclo del Sudovest  



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(23.920-17.440 a.C.) ed il Ciclo dell'Ovest di stampo krishnaita-eracleo ossia noaico (17.440-10.960 a.C.).  Questi ultimi 2 cicli si svolgono in un diverso continente, il Ketumāladvīpa.
       Il Ciclo del Nordovest è invece quello dell'Atlantide Iperborea (10.960-4.480 a.C.) ed infine il Ciclo Nordico riguarda l'Uttara Kuru ovvero l'Ultima Thule' (4.480 a.C.-2.000 d.C.), sebbene codesta definizione sia applicabile anche all'Atlantide Iperborea od all'insieme delle 2 terre del ciclo nordico inteso come dvīpa in senso mahayugico.  Si può difatti intendere l’Uttarākurudvīpa come il sorgere d’un vero e proprio continente distinto dagli altri 4 (Śvetadvīpa, Bhadraśvadvīpa, e Ketumāladvīpa)(23).
       La situazione dopo l’ultima dislocazione del 9.600 – evidente conseguenza ritardata, a nostro giudizio, della grande congiunzione planetaria del 10.960 a.C. – provocò lo scioglimento dei ghiacci attorno alla Baia di Hudson.  Questo è in sostanza il ‘Diluvio’ ricordato da Platone, sebbene la descrizione dell’Atlantide tramandataci dal filosofo greco si riferisca a tutt’altro, ovvero alla fine del ciclo precedente (occidentale).  La Siberia, intanto, che prima possedeva un clima variabile fra la tundra e la steppa, andava congelandosi.  Anche il Ciclo Nordico, come tutti gli altri 9, è caratterizzato da un Diluvio, che i Greci chiamano di Deucalione e che sommese gran parte dell’isola Creta riducendola alla superficie odierna.  Gl’indiani chiamano quest’inondazione il ‘Diluvio di Dvārakā’ (o Dvāratī), poiché futrono sommerse le isole rsidenziali di Ksa (il secondo Krishna) e dei Krishnaiti.  Di un’eguale diluvio parlava il popolo sumerico, relativo al Dilmun.  Le zone settentrionali dell’Eurasia sono diventate per questo motivo il centro di raccolta di molte popolazioni senza piú fissa dimora, che in seguito si sono di nuovo spostate verso sud, dando vita a nuove compagini etniche miste.
       Nel 2.000 d.C., diversamente da quanto parevano indicare i dati cosmologici tradizionali, spacciati accademicamente per ‘millenarismo’, non è successo nulla in apparenza conseguentemente all’incontro celeste dell’Ebdomade Planetario in un unico Segno, quello del Toro.  Tuttavia, da tempo continua ad essevi ai Poli uno scioglimento relativamente veloce dei ghiacci in seguito al venir meno dei ghiacciai polari, tanto che – al dire degli scienziati stessi – potrebbero causare in futuro un’inondazione assai calamitosa.  Anche se il tempo preciso dell’evento nessuno ancora è in grado di stabilirlo.
                                                                          
                                                             Giuseppe Acerbi

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Note
 

1)    M. & J. Stutley, Dizionario dell’Induismo-Ubaldini, Roma 1980 (ed.or. A Dictionary of Hinduism- Routledge & Kegan- Londra 1977), s.v.Samudramathana, p.385, coll. a-b.
2)    G.Acerbi, Aspetti shamanici nel culto di Ganeça, il dio dalla testa di elefante- Arcana (N°1, gen.), Roma 2012, § sull’Elef.B.; ripubbl. su ‘Alle pendici del Monte Meru’ (blog, 13-06-15).
3)    D.A. Mackenzie & C.Squire, Encyclopaedia of Myth and Legend in Art, Religion, Culture and Literature- Caxton P., N.Delhi 1992 (I ed. n.cit.), Vol.VII, Delhi 1992  Cap.11, pp. 190-2
4)      Le opere di C.H. Hapgood citate da parte di G.Hancock in Impronte degli Dei. alla ricerca dll'inizio e della fine- Corbaccio, Milano 1996, Bibl., p.640 (ed.or. Fingerprints of the Gods- 1995), sono in ordine cronologico le seguenti: Lo scorrimento della crosta terrestre- Einaudi, Torino 1965 (ed.or. Earth’s Shifting Crust: A  Key to Some Basic Problems of Earth Science, con Pref. di A.Einstein, Pantheon 1958; Piri Reis Map of 1513, ? 1962; Maps of the Ancient Sea Kings: Evidence of Advanced Civilization in the Ice Age- Chilton B., Philadelphia-N.York 1966 (rist. Paperback 1997); The Path of the Pole- Chilton B., Philadelphia-N.York 1970 (rist. Paperb. 1999).
5)        Qui ci si vuol porre in una posizione di agnosticismo culturale, a scopo d’indagine, senza negare codeste acquisizioni o dar per scontata la loro effettiva veridicità.
6)       G.Acerbi, Il mito del Gokarna ed il drammatico agone fra Perseo e Medusa- Alle pendici del Meru (17-01-13), p.12, n.12.
7)        F.Barbiero, Una civiltà sotto ghiaccio. Alle soglie della più importante scoperta archeologica di tutti i tempi- Edizioni del Nord, Milano 2000, Cap.Sett. pp. 90-1.
8)        Questo numero di anni, qualora venga raddoppiato in 53.840, non è molto distante approssimativamente dai 51.000 che costituiscono pressappoco il tempo di ricorrenza del fenomeno dislocatorio secondo la teoria hapgoodiana.
9)        Rand & Rose Flem-Ath, La Fine di Atlantide. Alla riceca della civiltà misteriosamente scomparsa sotto i ghiacci dell'Antartide- Piemme, Casale Monferrato  1997 (ed,or.When the Sky Fell: In Search of Atlantis- S.Martin P. 1995),
10)     F.-A., op cit., Cap.I, pp. 14-7.
11)     Op.cit., Cap.VI, p.96 ss.  
12)     La tundra è la regione che va dalla banchisa polare alla taiga (la foresta subartica di conifere), mentre la steppa è una prateria secca ove crescono erba ed arbusti in un clima continentale.
13)     Ibid., p.106, Map.13.
14)     Ibid., p.109, n.11.
15)    J.Allen, Atlantis: Lost Kingdom of the Andes- Floris Books, Londra 2009 (il libro è stato tradotto dalla Longanesi).



12

16)    H.Mriga, Il Capricorno nel Bene e nel Male. La simbologia solstiziale dei 'Tre Figli' d'Adamo, con un’indagine sull’origine dei culti demonici in rapporto al Cainismo, all’Abelismo e al Sethismo - Nel nido del Simorgh (blog, 10-02-15), p.8, n.3.  Cfr., inoltre, R.Guénon, Forme tradizionali e Cicli cosmici- Mediterranee, Roma 1974 (ed.or. Formes traditionnelles et Cycles Cosmiques- Gallimard, Parigi 1970), Cap.II n.num., p.29.
17)    Mr., art.cit., §a, p.3.
18)    Ibid. come alla 16.
19)    R.Graves & R.Patai, I miti ebraici e critica alla Genesi- Longanesi 1969 (ed.or. Hebrew Myths. The Book of Genesis- Cassell, Londra 1964, §19.d, p.132.
20)    Cfr. G.Hanckock, Impronte degli Dei- Corbaccio, Milano 1996 (ed.or.  Fingerprints of the Gods. Evidence of Earth’s Lost Civilization- Three Rivers P.,  N.York 1995), Cap.51 sgg.
21)    G.Acerbi, Aspetti shamanici nel culto di Ganesha, il nume dalla testa elefantina, con paralleli in Iran, in Giappone e in America- Arcana (N°1, gen. 19xx), pp. ?.; riproposto in Alle pendici del Monte Meru (blog, 13-06-15). p.4.
22)    In questo caso, infatti, il Pesce e il Cinghiale vanno intesi in senso traslato quali immagini brahmaniche dell’inizio del Manvantara.

  




Illustrazoni

1.  J.V. Bering (1680-1741); Mus. della Marina, San Pietroburgo.



Fig,1



  Appendice

a)  Piramidi sotto il ghiaccio dell'Antartide?









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