In un piacevole saggio in 2 paragrafi contenuto in un suo libro del
periodo senile (1) Evola afferma di contro a Guénon che “storicamente la civiltà
tradizionale non la si possa dire né
orientale né occidentale”. E premette a
tale affermazione che Guénon nei suoi libri Orient
et Occident e La crise du monde
moderne (2) aveva in mente “una
morfologia della civiltà”. A questo
riguardo ciò che “Guénon aveva in vista era l’Oriente come esempio di una
civiltà «tradizionale», ossia di una civiltà in cui tutti gli aspetti
principali dell’esistenza hanno un
orientamento dall’alto verso l’alto.
Soprattutto l’India, in parte il mondo dell’Islam, di ciò ci hanno
offerto un esempio precipuo fino a tempi recenti.” Fa presente però che in tal modo si
contrappone esclusivamente l’Occidente moderno, non l’Occidente greco-romano
portato all’azione e neppure quello cristiano dedito alla vita
contemplativa. E giustamente asserisce
che pure “l’Europa medievale del Sacro Romano Impero, l’ecumene medievale
europeo (3) è stato «tradizionale»,
come lo fu la romanità, già centro di gravità e forza organizzatrice
dell’Occidente.” Nel contempo obietta
comunque che “l’orientamento tradizionale nelle forme di una civiltà globale ha
sussistito più a lungo, ed ha presentato espressioni più complete, in Oriente.” E conclude questo ragionamento in maniera previdente
(anche perché è nato dopo Guénon ed ha vissuto fin quasi alla metà degli Anni
Settanta), quasi parafrasando Mircea Eliade, ossia ipotizzando la possibilità
che “ben presto in Asia tutto si riduca a forme residuali popolari involute e
opache, simili a quelle che, del resto, ancor oggi – il riferimento è al tempo
di stesura del saggio – sono rilevabili in qualche zona «sottosviluppata»
europea, specie nel Sud, con una religiosità tradizionale mista a superstizioni
e con un tenace attaccamento ai costumi di una vita non «modernizzata» e
abbastanza arcaica (lui la definisce “primitiva, ma ci sembra un termine un po’
esagerato).”
Fin qui tutto bene, l’autore è assolutamente condivisibile, diciamo che
va oltre il guénonianismo. Sennonché poi
finisce per invischiarsi in un ragionamento fallace, apparentando l’Europa alle
civiltà indoeuropee (4), che in
realtà – come lui stesso dichiara – sono in parte orientali, in parte
occidentali. Basta pensare che persino
la stirpe norrenica, da taluno considerata a torto alla base dell’originaria
razza europoide (il termine è però scorretto, poiché una razza del genere non è
mai esistita, semmai sarebbe lecito parlare di ceppo caucasoide), tramanda
nelle proprie tradizioni di essere giunta nelle plaghe nordiche da Asía (5). Questo apparentamento
serve ad Evola per evidenziare le lacune nell’antitesi fra Oriente ed
Occidente, ma è chiaro che non si può prender in considerazione un’epoca in cui
l’Asia e l’Europa ancora non esistevano e neppure gli stati territoriali. Una contrapposizione ad ogni modo ha preso avvio fin
dall’Antichità, poiché la civiltà greco-romana ha mostrato da un certo momento
in poi (escludendo la sua nascita, che ha tratti nettamente arcaici sia
2
nel caso dell’Ellade omerica e pre-omerica, sia nel caso della prisca romanità) tendenze verso l’immanenza che hanno dato come situazione finale quella desacralizzazione che oggi ritroviamo dappertutto ed in ogni settore della vita e che ha contaminato in tal senso – sicuramente ad un fine apocalittico-provvidenziale, ma le conseguenze saranno pagate comunque – l’intero pianeta. Questa contrapposizione non riguarda le differenze fra civiltà arie ed anarie, come vorrebbe Evola, od almeno non soltanto quelle. E per complicare il quadro, di per sé già abbastanza confuso, il Nostro tira in ballo il Buddhismo, che ritiene indoeuropeo nelle origini e quindi assimilabile allo spirito europeo antico, votato ad una visione attiva della vita. Mentre il Cristianesimo sarebbe semita e quindi connesso ad una visone contemplativa, di tipo orientale. Per quanto concerne il Cristianesimo il discorso sarà affrontato piú avanti e sarà l’autore medesimo a venirci in aiuto, contraddicendosi un poco.
Inutile insistere sul fatto
che non condividiamo tal modo di procedere intellettualmente, benché il
ragionamento non sia del tutto errato. Vi
sono sicuramente aspetti cultuali che, come ha dimostrato Dumézil (6), avvicinano gli Sciti (o meglio gli
Shaka, loro prossimi in spazi maggiormente orientali, donde discende Siddharta),
ai Celti; mentre, per contro, il Nazarenismo in cui rientra il Cristianesimo
nascente ha parecchio in comune col Vishnusimo.
Tanto che qualcuno ha ipotizzato un interscambio fra le due fedi, gli
studiosi occidentali parlando di prestiti all’India e quelli indiani di
prestito ad Israele. Il problema non è
ad ogni modo etnico, quantunque si possano ravvisare elementi etnici in
siffatte somiglianze piú che non fattori diffusionistici, la mobilità dei quali
è peraltro sempre difficile da dimostrare.
Però non è detto che gli Sciti e gli Shaka appartengano al gruppo
iranico, potrebbero al contrario appartenere a quello turanico siccome popoli
delle steppe; a meno di sostenere, come facciamo noi da qualche tempo, che i
due ceppi siano invero commisti tanto in Asia quanto in Europa. Ciò cambierebbe la realtà delle cose? No, perché la commistione si riferisce a quei
tempi preistorici dei quali abbiamo già detto, tempi insomma che non rientrano
nella contrapposizione tardiva fra Oriente e Occidente. È stato l’Occidente ad abbandonare le proprie
tradizioni per primo in sede storica. Non
l’Oriente, che al massimo si è adeguato alla fine, non potendone piú far a meno per cause
politico-sociali e strategico-militari.
Il proverbio Ex Oriente lux, ex
Occidente dux, che lo scrittore siciliano ha provato senza riuscirvi a
riportare alla sua formulazione originaria non è da respingere, essendo la
testimonianza d’un dato di fatto.
All’Occidente preme conquistare, all’Oriente contemplare, ancor oggi è
cosí in sostanza. Che esistessero
eserciti e guerre pure in Oriente, nonché santi e meditazioni anche in Occidente,
è
3
mistificante asserirlo oltreché banale aggiungerlo. Non è questo il punto.
Quando invece passa a criticare la teologia cristiana moderna, facente
leva agostinianamente sull’Incarnazione di Cristo come irruzione aciclica nella
storia dell’Oltremondano rispetto alle salvazioni pre-cristiane,
accusate d’essere intramondane per via della loro
ciclicità, va perfettamente a segno ed ha ragione da vendere. Fa inoltre lucidamente notare che la
ciclicità, tanto in Oriente quanto in Occidente, propone un doppio significato:
l’uno è relativo al temporale ed al secolare, ma l’altro corrisponde al fluire
platonico quale “immagine mobile dell’eternità”. Il distacco eccessivo dalla Natura propiziato
dal Cristianesimo, argomenta saggiamente, ha prodotto una sconsacrazione di
essa ed una negazione progressiva dell’Ordine Cosmico quale forma riflessa
dell’Invisibile. Concezione che per
contro era propria del mondo indoeuropeo (7). Vedi, ad es., nel Veda – o nell’Avesta (8) – l’esaltazione innica ed
evocatoria delle forze divine agenti nell’universo. Ed osserva ancora il Nostro come la
controparte di tale mentalità, percepente nella Natura un solo insieme di
fenomeni, non sia che una spiritualità astratta quale è propria della teologia
cristiana, il cui carattere appare soggettivo anziché oggettivo. Storicamente qui Evola dice il vero, i
presupposti soggettivistici di tale cambiamento essendo stati posti
visibilmente fin dagli ultimi momenti della paganitas,
secondo quanto attestano del resto studiosi del cristianesimo quali Simonetti (9).
Se indaghiamo piú a fondo, scopriamo che il mondo cristiano delle
origini aveva un legame colla romanità persino sul piano cosmologico; si pensi
alla suddivisione in 3 categorie delle creature post-adamitiche nella
letteratura alessandrina del III sec. (Origene): Angeli, Uomini e Demoni (10).
La triplicità in apparenza fa appello al Trimundio (Cielo, Terra,
Inferi), ma non meno che nel mondo pagano delinea la serie di generazioni umane
– od animiche, se preferiamo – susseguenti alle genti dei tempi
paradisiaci. Scrive Simonetti (11) in proposito, commentando I Principia di Origene (c. 185-253),
giuntici completi soltanto nella trad.lat. di Rufino: “Nei primi due libri
Origene… propone la dottrina platonica, che in seguito avrebbe provocato la sua
condanna, della preesistenza delle anime rispetto ai corpi: Dio all’inizio ha
creato un complesso di creature razionali, tutte ugualmente libere e
perfette”. In rapporto all’utilizzo
buono e meno buono della libertà, le creature si sono poi suddivise nelle tre
suddette classi, le quali a seguito di varie punizioni purificatrici (nel caso degli
Angeli l’unica punizione è la separazione da Dio) riottengono anch’esse lo
stato originario. Nel libro IV spiega
addirittura il senso celato delle Scritture, che va oltre la lettera, a
dimostrazione che i legami col passato non erano stati del tutto recisi. Certo, l’accusa di eresia prova che il 4
Cristianesimo era indirizzato altrove, dando quindi indirettamente ragione ad
Evola.
Particolarmente valido è inoltre quanto Evola dichiara (12), a difesa dell’Oriente contro le critiche
occidentali da parte cattolica, riguardo la molteplicità delle forme spirituali
orientali; non limitate all’India, poiché “l’Oriente non comincia e finisce con
l’India”, la quale peraltro presenta aspetti cultuali variegati. Piú oltre l’autore ritorna a prender in considerazione
le forme contemplative del pensiero indiano, che designa impropriamente come
“evasionistiche”; e a sopravvalutare quelle legate all’azione, che ovviamente
caratterizzano precipuamente e positivamente l’Occidente, a parte la
degenerazione moderna. Appare un po’
superficiale in questo. Resta comunque
indiscutibile la critica alla teologia cattolica, che mettendo l’Incarnazione in un posto che non le spetta si
pone in realtà al di fuori degli schemi ciclici vetero-testamentari. Evola per la verità sulla scia di Eliade non
considera ciclica la tradizione giudaico-cristiana, e proprio per questo le si
oppone, ma in ciò sbaglia; accetta tutt’al piú una distinzione fra
cristianesimo delle origini e cattolicesimo, schierandosi incoerentemente a
favore del secondo, giacché lo ritiene paganizzato e come tale
“rettificato”. Le cose stanno tuttavia
all’opposto, secondo quanto mostra l’antica formula liturgica ‘negli eoni degli
eoni’, che a giudizio di Heiler (13)
precedeva in greco quella latina posteriore secolarizzata (‘nei secoli dei
secoli’).
Il secondo paragrafo del saggio
non lo commentiamo, dal momento che siamo totalmente d’accordo con Evola nella
sua critica a certo teismo cattolico colla pretesa di porsi come il non
plus-ultra della prossimità al Divino e nella difesa conseguente delle dottrine
orientali. Questo paragrafo è una delle
cose migliori dell’autore. Raramente ha
raggiunto una lucidità di giudizio come quella dimostrata in questi frangenti. Peccato che, per stimolarlo a tanto, ci sia
voluto proprio quel cattolicesimo nei cui confronti ha sempre mostrato un
atteggiamento ambiguo, ora favorevole ora no!
Siamo convinti da parte nostra, pur senza quel riscontro oggettivo che
potrebbe aver avuto la nostra tesi soltanto se egli fosse ancora vivo oppure
fosse analizzata da parte di qualcuno che lo ha conosciuto bene in vita
(indipendentemente dalla proprie idee personali), che l’autore sia stato
influenzato negativamente e condizionato alquanto dal ventennio fascista. Poiché alla fine del periodo giovanile, il
primo vero grande interesse non è stato il paganesimo greco-romano – verso il
quale aveva simpatia ma non eccessivamente, a quanto si rileva dai documenti
filosofici – e nemmeno lo gnosticismo, dal quale era visibilmente attratto; ma,
piuttosto, le dottrine orientali.
Specialmente, a giudicare dagli scritti, il Taoismo
5
ed il
Tantrismo. La cosa è abbastanza curiosa,
vista la sua <indifferenza> (a nostro parere piú ostentata che
reale>) per il mondo femminile.
Giacché Taoismo e Tantrismo sono le due forme di shaktismo,
sostanzialmente, presenti in Cina ed in India.
Ciò tradisce nel nostro personaggio una sopita vocazione ascetico-sacerdotale,
come d’altronde lui ha spesso ammesso, sia pure in sordina.
Il problema del
Cristianesimo è stato trattato ulteriormente da Evola in un art. intitolato Cristo e noi (14), il cui titolo era tratto da un libro omonimo di A.Tilgher
(del 1934). Evola elogia il Tilgher per
le sue doti critiche d’intelligente divulgatore, ma nel contempo lo biasima per
essersi fissato sugli aspetti etico-sociali anziché su quelli
metafisico-rituali. Lo rimprovera
inoltre di concepire nel cristianesimo una sorta di socialismo mistico a base
di <redenzione collettiva> e di amore, questo giudizio a suo parere
valendo al massimo per il cristianesimo primitivo e per il protestantesimo piú
che non per il cattolicesimo. Abbiamo
già detto sopra come la pensiamo in proposito.
Il filosofo sottolinea ancora la rilevanza del Cristo portatore di spada
di fronte al al Cristo apostolo dell’amore e spiega come nelle Scritture si
faccia menzione di eserciti e gerarchie celesti, oltre a proclamare che il Regnum cercato dai fedeli non è di
‘Questo Mondo’. Elogia pure Tilgher per
le parole cristalline colle quali, mostrando doti non comuni di penetrazione
intellettuale, discute dei principî-cardini
del Buddhhismo. Condivide pure il fatto
che l’opposizione fra buddhismo e cristianesimo sia reale, sebbene indichi
certe premesse comuni: ad es., la brama tenuta a distanza da certe scuole
buddhiste non è lontana dalla cupiditas
stigmatizzata dalla Scolastica tardo-medievale.
Osteggia invece il Tilgher nella pretesa di porre la redenzione
cristiana quale alternativa al mito greco dell’eterno ritorno. Ovviamente, il riferimento è al senso di
colpa, che per i Greci torna come una nemesi; mentre i cristiani lo superano
per quanto sia possibile cercando di convertire il male in bene. Evola parla della concezione ciclico-deterministica
come d’un fenomeno tardo, di tipo ellenistico, il che è vero solo in parte; la
contrapposizione di tale concezione coll’ideale olimpico non è del tutto
corretta, perché il mito eroico rientra nella visione ciclica, non si situa al
di fuori di essa. Ciò non significa che
la redenzione in senso cristiano lo superi, semmai si può dire che costituisca
un riadattamento dello stesso mito (non a caso il cristianesimo adora un Deus Pater, che non si differenzia del
tutto dallo Zeus Pater o dallo Iuppiter dell’Antichità Greco-Romana) a
tempi non piú eroici.
Dopo aver criticato Nietzsche
per la sua incomprensione verso i valori ascetici, che rappresentano non meno
dell’azione un tentativo di
6
superamento della comune individualità, il Nostro passa a sentenziare sull’amore come libero dono di chi sovrabbonda di vita e non di chi è insufficiente a sé stesso. In questo caso, però, stando alle parole evoliane si sfiora la retorica. L’amore ci pare uno slancio naturale, proprio a tutte le creature (agli animali compresi, non soltanto ai <superuomini>), per raggiungere quel quid trascendente al di là di sé e della mondanità operante in noi che rende la vita degna d’esser vissuta; vissuta, cioè, nel piú alto grado dell’essere. Evola, ovviamente, direbbe il contrario; perché nella sua ottica, dimenticando che Gesú era d’origine regale, il cristianesimo è nato come una ‘religione per i diseredati’. Tutto ciò che riguarda l’amore per lui è ‘comunismo bianco’, ‘socialismo mistico’. Non rendendosi conto che in quella maniera il Tilgher cercava sia pura inconsapevolmente una via di fuga dal fascismo, o forse proprio per questo, Evola deride l’ideale cristiano da quegli espresso accusando il filosofo dell’attivismo e del <pragmatismo trascendentale> – come lui lo definisce – d’esser caduto in un momento di depressione; nonché d’aver messo da parte, senza giusto motivo, tutto l’armamentario teologico-dogmatico, rituale ed ascetico-sacerdotale. Unicamente per mezzo di questo, se non l’avesse fatto, si sarebbe trovato in posizione migliore per discutere. Conclude alfine spiegando tuttavia che l’esigenza ripresa da J.Brenda da parte del filosofo di andare al di là delle ideologie secolarizzate e degli antagonismi pluralistici è assolutamente corretta, giacché lo spirito tende davvero all’universalità. Ed a questo riguardo cita una frase di Mussolini a proposito di ‘civiltà nuova’, peraltro condivisibile persino oggi, ossia che la civiltà deve tornare universale, se non vuole perire. L’errore, a suo giudizio, starebbe nell’identificare codesta “universalità con la promiscuità propria ai principii… dell’amore e dell’abbandono (15).” Quanto accaduto dopo la stesura e la pubblicazione di quest’articolo testimonia il ridimensionamento dell’ideale fascista e di quello evoliano. Ancor oggi si vede come a livello politico la propensione ed i continui ricorsi da parte della civiltà europea e delle sue propaggini etno-culturali a guerre e cambiamenti radicali di regime qua e là non porti a nulla se non ad un’ulteriore confusione generale. In Occidente, si voglia o no, restano oggigiorno unicamente i valori cristiani – sia pure ormai sfaldati – a tener un poco in piedi per davvero il nostro mondo. Circa l’Oriente per quel che concerne il passato, almeno in tempi medievali, a livello culturale sono stati solamente il buddhismo prima (espandendosi in Asia Centrale, nonché in Estremo Oriente) e l’islamismo dopo (unificando l’Asia Occidentale e la zona meridionale del Mediterraneo) ad aver fornito un tentativo valido d’ecumenizzazione. Meno il cristianesimo orientale ed il giudaismo, l’uno mediante la diffusione in Asia Settentrionale del credo ortodosso e l’altro
7
attraverso la costruzione dell’impero khazaro. Zoroastrismo ed induismo anche nel periodo di maggior espansione, dal canto loro, non erano adatti allo scopo essendo religioni etniche. Dell’Oriente odierno non è facile dire. L’India si è da poco coalizzata economicamente colla Cina, oltreché la Russia, il Brasile ed il Sudafrica. Il futuro appare, perciò, imprevedibile.
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superamento della comune individualità, il Nostro passa a sentenziare sull’amore come libero dono di chi sovrabbonda di vita e non di chi è insufficiente a sé stesso. In questo caso, però, stando alle parole evoliane si sfiora la retorica. L’amore ci pare uno slancio naturale, proprio a tutte le creature (agli animali compresi, non soltanto ai <superuomini>), per raggiungere quel quid trascendente al di là di sé e della mondanità operante in noi che rende la vita degna d’esser vissuta; vissuta, cioè, nel piú alto grado dell’essere. Evola, ovviamente, direbbe il contrario; perché nella sua ottica, dimenticando che Gesú era d’origine regale, il cristianesimo è nato come una ‘religione per i diseredati’. Tutto ciò che riguarda l’amore per lui è ‘comunismo bianco’, ‘socialismo mistico’. Non rendendosi conto che in quella maniera il Tilgher cercava sia pura inconsapevolmente una via di fuga dal fascismo, o forse proprio per questo, Evola deride l’ideale cristiano da quegli espresso accusando il filosofo dell’attivismo e del <pragmatismo trascendentale> – come lui lo definisce – d’esser caduto in un momento di depressione; nonché d’aver messo da parte, senza giusto motivo, tutto l’armamentario teologico-dogmatico, rituale ed ascetico-sacerdotale. Unicamente per mezzo di questo, se non l’avesse fatto, si sarebbe trovato in posizione migliore per discutere. Conclude alfine spiegando tuttavia che l’esigenza ripresa da J.Brenda da parte del filosofo di andare al di là delle ideologie secolarizzate e degli antagonismi pluralistici è assolutamente corretta, giacché lo spirito tende davvero all’universalità. Ed a questo riguardo cita una frase di Mussolini a proposito di ‘civiltà nuova’, peraltro condivisibile persino oggi, ossia che la civiltà deve tornare universale, se non vuole perire. L’errore, a suo giudizio, starebbe nell’identificare codesta “universalità con la promiscuità propria ai principii… dell’amore e dell’abbandono (15).” Quanto accaduto dopo la stesura e la pubblicazione di quest’articolo testimonia il ridimensionamento dell’ideale fascista e di quello evoliano. Ancor oggi si vede come a livello politico la propensione ed i continui ricorsi da parte della civiltà europea e delle sue propaggini etno-culturali a guerre e cambiamenti radicali di regime qua e là non porti a nulla se non ad un’ulteriore confusione generale. In Occidente, si voglia o no, restano oggigiorno unicamente i valori cristiani – sia pure ormai sfaldati – a tener un poco in piedi per davvero il nostro mondo. Circa l’Oriente per quel che concerne il passato, almeno in tempi medievali, a livello culturale sono stati solamente il buddhismo prima (espandendosi in Asia Centrale, nonché in Estremo Oriente) e l’islamismo dopo (unificando l’Asia Occidentale e la zona meridionale del Mediterraneo) ad aver fornito un tentativo valido d’ecumenizzazione. Meno il cristianesimo orientale ed il giudaismo, l’uno mediante la diffusione in Asia Settentrionale del credo ortodosso e l’altro
7
attraverso la costruzione dell’impero khazaro. Zoroastrismo ed induismo anche nel periodo di maggior espansione, dal canto loro, non erano adatti allo scopo essendo religioni etniche. Dell’Oriente odierno non è facile dire. L’India si è da poco coalizzata economicamente colla Cina, oltreché la Russia, il Brasile ed il Sudafrica. Il futuro appare, perciò, imprevedibile.
Giuseppe Acerbi
Note
(1) J.Evola, L’Arco e la Clava- V.Scheiwiller (all’insegna del Pesce D’oro),
Milano 1971, Cap.XV, §I, p.176.
(2) Il pimo libro è stato
pubblicato dalla Payot (Parigi 1924) e ripreso nella nostra lingua da Studi
Tradizionali (Torino 1965), il secondo è uscito invece per le Editions Bossard
(Parigi 1927) ed è stato tradotto prima da Hoepli (Milano 1937), poi da
Dell’Ascia in 2° ediz. (Roma 1953) e infine dalle Mediterranee (Roma 1972).
(3) Non per cavillare a vanvera osserviamo
che il termine ‘ecumene’, derivato dal greco, è maschile in latino ma femminile
in italiano.
(4) Ev., op.cit., pp. 178-9.
(5) Il nome viene popolarmente
interpretato come un riferimento all’Asia, ma gli studiosi non accettano
codesta interpretazione, facendo di tale terra semplicemente quella mitica degli
Asi. Personalmente, tuttavia,
concordiamo coll’interpretazione popolare, gli Asi (Esir) non
essendo che l’equivalente degli Ahura
iranici e degli Asura indiani.
(6) G.Dumézil, Storie degli Sciti- Rizzoli, Milano 1980 (ed.or. Romans de Scythie et d’alentour- Payot,
Parigi 1978), passim.
(7) Ev., op.cit., pp. 180 e 184.
8
(8) Ci pare opportuno far menzione
dell’antico testo iranico, dal momento che Evola tende a considerare l’Iran una
civiltà prettamente guerriera, onde dimostrare la non veridicità dell’antitesi
guénoniana. L’Impero Achemenide (VII-IV
sec. a.C.), di fede zoroastriana, precede di 3 secoli quello buddhista
instaurato dapprima dai Maurya e successivamente dagli Shunga (IV-III sec.
a.C.), ma nonostante le indubbie influenze alessandrine su quest’ultimo ciò
indica che le differenze fra Iran ed India al tempo non erano cosí grandi. Forti differenziazioni sono intervenute più tardi, dopo l’islamizzazione. D’altronde gl’imperi, e non esclusivamente in
codesto ambito medio-orientale, sono il frutto del dominio ario-borghese; non
di quello anario-aristocratico, poggiantesi arcaicamente sulla regalità. Gl’imperi sono compagini statali
accentratrici dei poteri, che puntano sulla costruzione di nuove strade e sull’abbattimento
di barriere doganali oltreché militari, onde favorire i commerci. L’Impero Romano tardo-cristiano docet in tal senso. La vera aristocrazia
tendeva, invece, alla regalità.
(9) M.Simonetti, La letteratura cristiana antica greca e
latina- Sansoni/ Accademia, Firenze 1969, P.P., primi capitoli passim.
(10) Sim.,
op.cit., Cap.VIII, §5, p.115.
(11)
Op.cit.
(12)
Ev., op.cit., pp. 183-4.
(13)
F.Heiler, Erscheinungsformen und Wesen
der Religion- Jaca Book, Milano 1985 (ed.or. W.Kohlhammer, Stoccarda 1961),
Cap.qua., p.170.
(14) L’art. risale al 2 maggio 1934 e
fu pubblicato nella pag.spec. di Regime
Fascista, la rivista diretta dall’autore; mentre la ripubblicazione
antologica in Diorama filosofico (Vol.I,
1934-5, a
c. di M.Tarchi, pp. 60-2) per le Ed.Europa di Roma è del 1974, l’anno della
scomparsa dello scrittore.
(15) Ev., art.cit., p.62.