lunedì 26 ottobre 2015

PLUTONE E PROSERPINA,


le due figure piú tenebrose della mitologia greco-latina,
con Appendice sui Misteri dei Cabiri




         Sul piano mitico Plutone fra i Latini era uno dei tre dèi fratelli del Triregno, insieme a Giove e Nettuno.   I Greci analogamente avevano Zeus, Ade e Poseidone.   Il fatto che i Latini abbiano usato piú spesso un’altra trimorfia (scr. trimūrti) al posto di quella testé indicata prova indirettamente quanto da noi abbiamo altrove sostenuto (1).  Cioè che Marte era già un doppione di Plutone per gli antichi, indipendentemente dalla scoperta del decimo pianeta.   La cd. “triade capitolina” – in realtà, come il triregnum sopraddetto, può esser assimilata ad una trimorfía di tipo indiano – è formata da Giove, Marte e Quirino (o Romolo, cui secondo alcuni s’identificherebbe) e corrisponde a grandi linee all’altra meno nota.  Dato che il primo termine dei due ternarî, Giove, è il medesimo.  Quest’ultimo, in quanto signore del Primo Regno, aveva a che fare col Sacerdozio e i sacerdoti costituivano anche a Roma la prima e piú importante classe dal punto di vista sociale.  Il secondo termine della trimorfia, Marte, equivale perfettamente a Plutone; difatti, nell’ambito del Triregno, il Secondo Regno è assegnato al Patriziato.  E che cosa caratterizzava i Padri se non il Fallo o i Testicoli?  Da ciò deriva da un lato la venerazione pre-romana dei Penati dei Quattro mitici Antenati  (Giano, Saturmo, Pico e Fauno), ossia la versione latina dei signori delle Quattro cicliche Età; e dall’altro l’ossequio ai Lari, protettori del focolare (2).  Costoro non sono che in generale le anime dei deceduti, ormai passate nel Regno dell’Oltretomomba; dai Greci chiamato appunto Hadês (‘Invisibile’), non meno del dio presiedente ad esso.  Ora, i testicoli rimandavano da un punto di vista immaginifico all’Uovo del Mondo, composto di due metà, l’una visibile e l’altra invisibile; esattamente come il fallo rappresentava, emblematicamente, il principio che li trascendeva.
         Il terzo termine è in un caso Quirino e, nell’altro, Nettuno.  Che c’entra Quirino con Nettuno?  Ebbene, c’entra, non fosse altro che per il doppio riferimento sociale all’Artigianato. Onde comprendere l’equivalenza supposta bisogna tener conto che il Dumézil (3), in un suo noto saggio, ha dimostrato l’equipollenza di Quirino con Romolo. Avendo tale identificazione per punto di partenza, si noterà che il Triregno poggia simbolicamente sopra una 



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base elementale (Aria, Fuoco, Acqua).  Vale  a dire sugli abbinamenti Zeus/ Folgore, Plutone/ Scettro e Nettuno/ Tridente.  La Folgore Tricuspidata rimandava al Cielo, quindi all’Elemento Aria; lo Scettro Tripartito, che era una verga in origine di legno, al Fuoco.  Il Tridente, usato crudelmente nella pesca ai tonni, all’Acqua.   I Tre Elementi sovraterreni hanno a che fare nel mondo di lingua indoeuropea –  si sa – con quelle tre caste che l’India definisce gli Dvīja, letteralmente i ‘Rinati’ (iniziaticamente, giacché solamente a loro erano riservati certi riti). Nella trimorfia capitolina Marte, essendo il dio della guerra, si può ben dire che abbia a che fare colla classe aristocratico-militare (4).  E Quirino, un alter-ego di Mercurio, con la classe mercantile; appaiata socialmente a quella artigianale, di cui non era che una sottocasta.  Tutti gli eroi eponimi come Enea od eziologici quale Romolo appartengono a loro volta alla medesima classe produttrice, visto che il grande filosofo Platone lo testimoniava nei proprî Dialoghi asserendo l’affinità dei termine ‘Eroi’ con l‘Eros quale principio di fecondità.  Perciò ecco dimostrata l’affinità concettuale, indiretta, fra il Signore del Mare (Nettuno) e quello della Produttività (Romolo-Quirino).  Plutarco, a suo modo, lo conferma dissertando in un suo ‘Dialogo’ sull’etimo del termine ‘Tritone’ e spiegandone il significato alla stessa maniera.
         Ovviamente non va confuso il simbolismo marzial-plutonico con quello quirino-nettuniano.  Se abbiamo riferito il primo al principio fecondatore lo abbiamo fatto in senso astrologico, mentre l’altro riferimento è di tipo sociale.   Abbiamo altresí spiegato in nota (5) come in realtà le coppie omologhe greco-latine Zeus/ Giove, Plutone/ Marte e Nettuno/ Quirino facessero parte di un'unica categoria castale, per quanto differenziabile in tre sottocategorie correlate ciascuna ad una delle prime tre caste (le due piú elevate, sacerdoti e patrizî, nonché quella in considerazione); vale a dire, la casta borghese dei produttori.  Nell’iconologia figurativa le valenze corrispondono realmente a quelle illustrate nella letteratura mitologica.  Ad un esame iconografico troviamo infatti che Plutone ha davvero in mano lo Scettro (6), fattore che volendo può esser considerato in quanto emblema assiale una trasposizione etica del Fallo: i Testicoli non ci sembra siano mai stati impiegati direttamente come simbolo nella tradizione greco-romana, a differenza che in India od in Egitto.  Lo Scettro, o meglio la Verga, era stato in



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principio il contrassegno per eccellenza dell’ambivalente nume dal duplice volto che i Latini denominavano Iānus e gl’indiani Yama; la voce sanscrita, non per niente, significa ‘Gemello’.  E abbiamo altresí provato (7) un rapporto d’identità fra questi due numi ed il greco Urano, ciò comportando che il mitico ‘Fallo’ di Urano donde è nata Afrodite Urania abbia un’accezione assiale oltreché astrale.  A ben vedere potremmo interpretare la cosa intendendo l’Asse Celeste, i.e. l’Axis Mundi, quale contrassegno della prima divinità ossequiata nella storia umana.  Dal primum nūmen per antonomasia, quel Giano-Urano venerato dai sacerdoti romani ed ellenici a livello sovramondano (Ovidio permettendo), la Verga o Penate è passata prima a designare l’aristocratico Saturno-Crono in senso mondano-temporale e poi il borghese Zeus-Pico (8) in senso agrario-pluviale (9).  La Verga/ Scettro di Pico/Plutone è allora nient’altro che un’applicazione del medesimo principio in ambito produttivo-fecondativo.
         Ecco perché etimologicamente il nome del dio latino Plūtôn (gr.Πλούτων), figlio di Crono e di Rhea, si rifà sia a quello del dio ellenico Ploûtos; dio dell’abbondanza (gr. ploûtos = ‘pienezza, ricchezza’), figlio di Demetra e di Giasio (uno dei Dieci Dattili), che si può valutare un alter-ego di Apollo.  Avendo in una tappa successiva l’antico dio pagano – per la verità un misto fra Plutone e Saturno – prestato i suoi connotati mitico-figurativi ad un demonio tenebroso anticristiano d’origine semito-camitica (Satana) connesso col male e la morte, l’abbondanza ha perso i propri legami simbolici con gli stati interiori elevati ai quali essa in un tempo anteriore alludeva ed è rimasta unicamente un fattore plutocratico.  Quale peraltro si riscontra ancor oggi laddove la cultura euro-cristiana è giunta facendo proseliti, ad es. in America Latina.  In certe grotte si allestisce difatti l’icona d’un demone munito di sigaro e con corna caprine (Plutone è signore del Segno dello Scorpione, anticamente del Segno della Capra), procacciatore di ricchezze per coloro che nella loro vita ambiscono esclusivamente al Potere.
         Sposa di Plutone e Regina degl’Inferi è Proserpina, la greca Persefone (lett. ‘Apportatrice di distruzione’), figlia di Demetra e di Zeus, raffigurata  in una vecchia leggenda ingiustamente rigettata dai mitografi odierni non meno del sovrano dell’Averno coi serpenti attorcigliati ai piedi; similmente ai germi della vegetazione, tutti





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attorcigliati nell’atto di spuntar dalla terra.  Il Graves (10) giustamente interpreta il mito del ratto di Proserpina da parte di Plutone, o meglio di Persefone da parte di Ade, come un mito solar-annuale e lunar-mensile.  Da parte nostra rammentiamo un parallelo sumerico nella nota discesa di Ištar nell’Arallū (Inferi), in cui la dea è costretta a cedere le sue ‘Sette Vesti’ di fronte a ciascuna delle ‘Sette Porte’.  Tuttavia lo scrittore si contraddice, ponendo in relazione alla Luna Piena (nel ruolo di Ninfa o Madre) tal volta Demetra, tal’altra Persefone.  Anche se è possibile che i nomi siano stati interscambiabili, man mano presso le varie tradizioni e i disparati autori, è meglio porre Demetra dall’aspetto di giumenta quale immagine della Luna Piena.  La Vergine Core fungerà allora da incarnazione della Luna Crescente e la Vegliarda Ecàte (11) della Luna Calante.  La prima delle due ha pure il nome di Io, se viene adombrata in forma vaccina; ma se, in alternativa, viene effigiata in forma caprina chiamasi in questo caso Amaltea.  La seconda di esse presenta invece la forma suina, anziché di lupa o cagna, quando ha nome Adrastea; quest’ultima è equiparabile altresí a Nemesi, travestita nella leggenda della nascita di Elena prima da pesce e poi da oca selvatica (12).  Ecàte medesima assume talvolta le vesti di Core e di Demetra ed è perciò designata come triforme, al pari della dea latina Diana Trivia.  Persefone, la Regina dell’Oltretomba, è identificabile d’altra parte in quanto giovinetta lunare a Semele, Selene o Helénē (Elena).
         Nei Misteri Eleusini la figura che la delinea Persefone si richiama iniziaticamente ai segreti dell’Inverno, inteso quale emblema stagionale dell’Inferno.  I ‘Sette Chicchi di Melagrana’ che ella mangia e per i quali lo sposo-rapitore si rifiuterà di riportarla da Demetra, secondo la richiesta della madre presso Zeus, costituiscono chiaramente un parallelo ellenico dei ‘Sette Veli’ (13) che il portinaio dell’Arallū toglie di dosso ad Ištar  prima che costei si presenti nuda dinanzi alla sorella Ereš-ki-gal nel mito assiro-babilonese (14).  Non per niente l’iconografia ci mostra Ištar talora avvolta da 7 involucri, talora nuda.  Il riferimento del simbolo non può che essere al Settenario cosmico-planetario, attraverso cui l’iniziato deve passare al fine di salire… al Settimo Cielo ed ottenere cosí il perfezionamento dell’Essere.  I tre quarti annuali del periodo trascorso da Persefone con la madre Demetra, signora dell’agricoltura ed in particolare delle



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sementi parimenti alla dea latina Cerere, alludono probabilmente ai Tre Quarti del Verbo Divino immanifesto conosciuti soltanto dai mistagoghi, l’altro quarto stagionale passato all’Averno aveva a che fare viceversa coll’unico quarto manifestato che il mýstē si trovava a dover superare nella propria difficile discesa attraverso le Tenebre.
         In alcune isole egee (Samotracia, Lemno, Imbro, Thaso) e in Beozia esistevano distintamente anche dei veri e proprî Misteri di Persefone, allestiti dai Cabirî (dall’attributo fenicio Kabirīm = ‘Grandi’), i sacerdoti del culto a lei dedicato.  Quale fosse esattamente la funzione della dea in questo caso non ci è bene dato di sapere.  Unicamente è noto che Persefone era ivi definita la ‘Santa’ (evidente allusione alla sapienza esoterica, cioè alla Gnosi).  Il Kerényi a proposito dei Misteri di Samotracia – affini comunque a quelli Eleusini, tanto che il Pettazzoni ed il Turchi li trattano nelle loro opere sui misteri antichi in appendice ad essi (15) – rileva che il velamento di Persefone era essenziale alla Hierogamía con Ade (16).  A parere del Turchi, d’altronde, niente è risaputo sull’organizzazioni di tali misteri.  Unicamente sappiamo che oltre a Demetra e a Persefone  fra i ‘Quattro Cabirî’ andavano annoverati anche Ade, assimilato a Dioniso, ed Ermète; poiché il termine ‘Cabirî’ è propriamente una designazione delle quattro divinità alla base del culto, donde l’applicazione della stessa ai gerofanti.  Secondo Erodoto (Hist.- ii. 51) quel tipo di misteri fu fondato dai Pelasgi, fatto che ne comprova la relativa vetustà.  Ci tramanda inoltre Euripide che in quei misteri si svolgeva un dramma liturgico-sacrale apparentabile a quello nei Misteri di Eleusi della ricerca della Figlia (la ‘Sapienza Santa’) da parte della Madre (l’Anima).  Solamente che in questo caso era Armonia a ricercare lo sposo Cadmo, come faceva del resto Iside con Osiride nei cd.‘Misteri di Iside’.  Il Cabiro-padre in tale contesto era rappresentato da Ade/ Dioniso, elevato alla funzione adamica secondo il cristiano Ippolito.  Adamo non fu il Primo Morto e pertanto concepibile quale Signore dei Morti, alla maniera di Minosse fra i cretesi e Yama fra gl’indiani?  Il Cabiro-figlio lo individuava per contro Ermète, raffigurato come un dio itifallico che ad Imbro a giudizio del Pettazzoni era conosciuto per Imbramos, non diverso dall’eroe attico Orthánnēs.  Cosa può aver rappresentato nei Misteri Cabirici il ‘Fanciullo’ (gr.País) ovvero, oseremmo dire, il “Figlio della Vedova’ se non l’iniziato nella sua ricerca della purezza 



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umana originaria?  Demetra in effetti in quanto madre di Pluto, il quale in un modo o nell’altro identificavasi a Plutone e cioè ad Ade/ Dioniso, aveva visto morire il marito Giasio per mano del fratello Dardano.  Quivi ella sta perciò per Iside nei Misteri Osirici.  Chi fosse Dardano, antenato di Enea e da dove provenisse il Palladio che il dattilo recò a Troia e da là fu trasferito a Roma, è una diversa storia, da scoprire in altro scritto (17).
         Gli studî accademici (18) si sono limitati a descrivere gli aspetti esteriori di codesti Misteri, ma non hanno mai cercato di comprenderli nella loro dimensione trascendente.  Orbene, è evidente che la funzione di Ermete ivi è la stessa di Edipo, ossia individua l'uomo decaduto dell'Età del Ferro (19).  Edipo infatti risulta capace di risolvere l'indovinello della Sfinge (20), e non meno del 'Gatto cogli Stivali' della fiaba di C.Perrault, avendo ucciso il proprio 'Padre' costituisce l'incarnazione del 'Figlio della Vedova' (21).  Egualmente Ermete incarna il gerofante, il quale nel suo percorso oltremondano – ossia nei 'Misteri Maggiori' – deve essere in grado d'identificarsi alfine alla Gran Madre (Demetra).  Sotto tale aspetto i Misteri Cabirici paiono rassomigliare ai Misteri Eleusini, ma in questo caso si tratta d'una via mista che fa uso sia di simboli femminei che di simboli mascolini.  Un po' come capita anche in India, ove emblemi shaktici si mescolano talora con simboli shivaiti (22).  A cosa corrisponderanno invece le altre due figure, Persefone e Ade?  Semplice!  Se Ippolito sosteneva che Ade aveva un ruolo adamico, in relazione ovviamente ai Misteri Minori', è chiaro che Persefone per forza di cose doveva avere un ruolo evaico di 'Tentatrice' in opposizione a quello di 'Consolatrice' da parte della Madre Demetra.  Non c'è scampo.  Quindi proiettando su un Cerchio, emblema della Ruota del Mondo, le quattro suddette figure porremo: Ermete ovvero il Fanciullo-neofita (23), nell'atto di discendere agl'Inferi, all'Equinozio d'Autunno (0° della Bilancia); Persefone, la Regina degl'Inferi (perciò 'Prima Morta'), al Solstizio Invernale (0° del Capricorno); Ade-Dioniso, il Re degl'Inferi (in quanto 'Primo Morto') all'Equinozio di Primavera (0° dell'Ariete); ed infine Demetra, la Gran Madre di entrambi (cioè tanto di Pluto-Plutone/ Ade-Dioniso quanto di Persefone) al Solsizio Estivo (0° del Cancro)(24).  E il gioco è fatto.





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Note

(1)           Cfr. H.Mriga, (pseud.), Nel Regno di Plutone-  Nel Regno Perduto della… (www.kataweb.it). 
(2)           Mentre i Penati sono connessi visibilmente all’idea di ‘pene’ in senso etnico-epocale (in una parola, diremmo, shamanico), i Lari appaiono semplicemente le anime coeve a quelle dei mitici antenati, le quali non hanno ricevuto un nome distintivo ma sono state egualmente ossequiate.  Perciò, ne deduciamo, esse non sono altro che l’aspetto post-mortem dei famosi genî della stirpe; numi tutelari considerati dal dott.Albrile (com.or.) giustamente, a nostro parere, in rapporto ai genitali.  Anche in India il dio supremo Prajāpati, che amoreggia indelicatamente con la figlioletta (immagine esoterica della Sophía ) ed è per tale primordiale incesto punito dalla ‘Collera degli Dei’ trascesa nella persona divina di Rudra, vien colpito ai testicoli e cosí costretto a versar il proprio seme sul mondo  (cioè a generare…).  Quantunque una parte del seme rimanga forzatamente nell’Assoluto.  Prajāpati significa appunto ‘signore delle creature’, da prajā (lat. pro-gēnies = ‘progenie’) e pati (gr. potis = ‘signore’).  E d’altronde Rudra (lett. il ‘Rosso’), talvolta identificato ad Agni (il ‘Fuoco’), altro non è che un alter-ego di Prajāpati medesimo e come tale identificasi al Sole.  Anche i Latini concepivano infatti le anime, prima e dopo la morte, come raggî solari in senso sia spirituale che astrale.  Il personaggio mitico di Prajāpati ha particolare importanza se si pensa che, mutatis mutandis, viene reputato dalla tradizione greca (sotto nome di Giapeto) e da quella ebraica (nei panni di Japhet),
il capostipite dell’etnia di lingua indoeuropea; esattamente come Elleno e Latino lo sono, piú limitatamente, nei confronti vicendevoli di quella ellenica o latina.
(3)           Il Dumézil – pur essendo stato uno dei miti della nostra giovinezza – secondo quanto è successo ad altri nostri colleghi di studî – va comunque stigmatizzato avendo respinto come “primitivismo” la dottrina ciclica romana che poneva Giano quale dio aureo (cfr. in proposito G.Acerbi, La Fenomenologia Evoliana- Simmetria on line, N°36, Ott. 2014, p.7, n.17), creando di fatto una pseudo-mitologia indoeuropea, per smentire la quale sarebbe bastato rivisitare i Sāturnālia di Macrobio.  Anche se ovviamente nelle comparazioni fra le varie tradizioni e nei dettagli, nonostante la sua chiara pregiudiziale etno-giuridica di stampo positivista, spesso come nel caso dell’omologia fra Romolo e Quirino ci ha assolutamente azzeccato.  Sulla vera posizione di Giano all’interno della tradizione latina cfr. anche R. del Ponte, Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica- Ecig, Genova 1985.  Il Professore, sfruttando forse 




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alcuni nostri suggerimenti epistolari (allora, ahinoi, non eravamo ancora laureati) oltreché logicamente per sua competenza personale d’insegnante e studioso di Storia della Letteratura Latina, parlava nel testo (ibîd., Cap.II sgg) semplicemente di dio <iniziatore> e come tale lo paragonava sulla scorta di Guénon a Gaeśa; osservazione inoppugnabile, condivisa peraltro da figure di tipo accademico quali Alice Getty, benché quest’ultima avesse il torto di limitare il paragone al Gaeśa ed al Giano artigianali.  Se possiamo permetterci una critica all’illustre studioso, tuttavia, si potrebbe argomentare che il prof.Del Ponte in quell’analisi rimaneva in sospeso fra la normale attribuzione a Giano di signore dell’età aurea  – non a caso il prof.Grossato ne aveva fatto in suo vecchio art. un corrispettivo di Brahmā  – e la corrispondente attribuzione di stampo <ermetico> a Saturno (ib., p.57); sicché la figura di Giano veniva accreditata da un lato d’inaugurare la tradizione primordiale (p.55) e dall’altro di precedere (metafisicamente, s’intende) la condizione ciclica e quindi l’Età dell’Oro stessa (p.57).  Mentre Saturno pigliava il posto sia di inauguratore dell’aurea aetas (p.57 e Cap.III passim), che di nume incivilitore per eccellenza; cosa che si contraddice in sé, a meno di considerare valida la doppia valenza aurea ed argentea, come del resto è accaduto anche con Giano.  Fatto che è avvenuto un po’ dappertutto, tanto che i due personaggi sono stati se non proprio identificati, almeno posti in diretta correlazione.  Si pensi allo Yima-Kšaeta iranico (in India equivale a due divinità distinte, Yama e Savitar), primo dio e primo uomo nel contempo, od allo Yahweh-Elohîm della Genesi, ove il secondo termine non è altro che l’El-Kronos di Filone.  Quantunque, ovviamente, per provenienza e significato, Crono e Saturno differiscano alquanto.  Visto che l’uno arriva dai Mari del Sud, similmente al Kala indonesiano ed al Kāla indiano, d’origine sicuramente pre-indoeuropea; e l’altro dal Sudamerica pre-atlantideo, non meno del Seth ebraico, del Sath fenicio, del Set egizio, del Savitar indiano e del Surtr norrenico.  In termini avatarici i due cicli indicati appartengono, rispettivamente, al V ed al VII Periodo Avatarico; ossia, all’Ecumene del Sud-est il primo ed all’Ecumene del Sud-ovest il secondo.  La confusione fra i due cicli e le due ecumeni è avvenuta a causa del fatto che, secondo quanto testimoniano le tradizioni ebraiche apocrife (ma vi è traccia pure nella Bibbia di esse), dei Cainiti appartenenti al V Ciclo Avatarico si sono spinti ad un certo punto del loro sviluppo sino alle propaggini meridionali del continente americano.  Ovviamente, a quel tempo dovette esistere un quadro geografico diverso da quello attuale.  Costoro, dei quali non si trova traccia attraverso la ricostruzione antropica degli spostamenti etnici nella cultura accademica, si sarebbero amalgamati con grande difficoltà ai Sethiti; piuttosto



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diversi da loro per culto, attività lavorativa e conformazione fisica, essendo i primi (i pigmei cainiti) dediti ad un’orticoltura primitiva ricavata dal bastone da scavo nonché a culti orgiastici ad essa ispirati e i secondi invece si sarebbero dedicati a culti solari differenti su base pastorale.  Da codesto connubio eterogeneo ne è probabilmente derivata sul piano sociale, oltreché quella decadenza dei costumi sconfinata in seguito nel titanismo degenere che sogliamo definire <satanismo> ed aborrita dalla tradizione ebraica, una forma d’orticoltura avanzata ricavata dal bastone trapiantatoio; che, ereditata dall’Atlantide vera e propria (l’VIII Ciclo Avatarico, insomma, quantunque altri – ad es. la dottrina sibillina latina, d’origine sumerica per via ellenica – lo conoscesse sotto altro nome) e trasmessa ai superstiti diluviali secondo la leggenda ellenica, ha creato i presupposti nella nuova situazione economico-sociale determinatasi in area mediterranea all’inizio del Mesolitico per lo sviluppo umano che è giunto sino alla condizione odierna.  Per tali ragioni non possiamo esser d’accordo col Del Ponte nel respingere l’etimologia del nome Sāturnus da sātor (‘seminatore’), etimo che viceversa sottoscriviamo; proprio perché il nume si riferisce non solo al Sole (scr.Savitar), bensí pure al pianeta Saturno (scr.Śāni), il quale al pari della Luna e del Sole governa la vegetazione.  Che la filologia classica avesse ragione, checché ne pensassero il Brelich et al., è dimostrato indirettamente dal fatto nel contempo che Śāni figuri nella mitologia indiana quale figlio di Savitar – identificato al Saviturnus latino in lontani tempi dal Kerbaker - e che tal nome sia un epiteto di Sūrya (lat.Sōl, gr.Hêlios).  Riguardo la <Prora della Nave> attribuita mumismaticamente ancora a Saturno (p.71), dovremmo rifarci di nuovo al mito diluviale.  Ritenendo al modo biblico gli Japheti portatori della tradizione sethito-noaica, per estensione del termine al ciclo precedente ovvero considerando l’intero IV Grande Anno potremmo definirla <atlantidea>, come del resto soleva fare Guénon.  Si può addirittura immaginare che codesta attribuzione risalga piú addietro nel tempo e costituisca un lascito di emigrazioni antichissime da nord a sud, avvenute per mezzo di primitive ma efficaci imbarcazioni, da parte di genti sub-artiche; che genericamente definiremmo Adamiti o Sethiti anteriori (rispetto ai Sethiti ibridatisi coi Cainiti in terre sub-antartiche americane), praticanti forme di pesca e di caccia ai grossi cetacei affini a quelle sino a nom molto tempo fa dei Pellerossa della Costa Nord-occidentale della California.  Se cosí fosse, si potrebbe anche andar più oltre e far risalire il simbolo direttamente all’<Arca di Giano>, che il Professore in un suo altro scritto ci pare si ostinasse una volta a negare.  Eppure essa compare, benché in forma recondita, sotto forma di <Arca di Numa> rinvenuta nel II sec. a.C. nei pressi del Gianicolo accanto a dei



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libri sacri; ce l’insegna incoerentemente lo stesso Del Ponte (Id., La religione dei Romani. La religione e il sacro in Roma antica- Rusconi, Milano 1992, Cap.III, p.96 ss), identificando giustamente Nūma a Manu.  Ma, dato che Manu in India è un alter-ego umanamente di Yama (per certi versi il Giano indiano, il cui nome significa ‘gemello’, seppur vi sia anche un Janhu) e divinamente di Brahmā, se ne deve dedurre che Numa e Giano siano un unico personaggio dalla doppia natura, umana e divina.  Il Primo Nume ed il Primo Uomo s’identificavano infatti nella dottrina non-duale primeva tanto del Lazio quanto dell’India, la metafisica di Giano corrispondendo a quella di Brahmā (checché ne dica il prof.Introvigne, che l’ha posta assurdamente nell’ambito del Satanismo nostrano); però nell’Età dell’Argento Yama è stato demonizzato, similmente allo Yima iranico (divenuto Ahriman) e all’Adamo biblico (divenuto Lucifero).  Tale è il <Peccato di Yima> secondo l’Avesta zoroastriana, equivalente al ‘Peccato Originale’ della Genesi, dove Yahweh lascia il posto al Demonio; giacché avviene una rottura dell’Unità fra Uomini e Dei, colla conseguente caduta verso la dualità tra principio creativo e creatura.  In altre parole, si passa dalla Visione (scr.Vidyā) unificante alla Gnosi (scr.Jñana) separativa.  Nell’Età del Bronzo gli Indo-arî (vedi Mahābhārata) hanno cambiato i simboli, postulando quale dio aureo Ka (assimilato a Nārāyaa) od il gemello Bala-rāma.  Ka equivale ad Ercole, come già sapevano gli antichi; mentre Rama corrisponde a Romolo, che i Romani concepivano non per niente in veste di re-àugure (il che è come dire Rex-sacerdos) e primo fra i ‘Sette Re’.  Gli Ebrei conoscevano tali personaggî sotto i nomi di Noè e Melchisedek.  Al posto di Visnu-Nārāyaa si trova in certi passi un’elevazione a dio aureo di Indra, non dissimile da quella del Pico Marzio romano; un’analoga inversione è successa presso gli Iran-arî, con Gayomart – assimilabile a Mithra – od un riciclato Yima, da confrontare con lo Iānus-Quirīnus romano.  Per questo la controparte femminile del dio Giano, Venīlia (un nome di Venere, a giudicare dall’etimo, quale incarnazione della Sapienza Aurea) passa da Giano a Pico, o se vogliamo dal Giano aureo a quello bronzeo; per finire infine, a detta di Virgilio, a fungere da consorte a Fauno. 
(4)           Seppure, a maggior approfondimento, occorra aggiungere che il Triregno non rappresenta veramente le tre originarie caste; poiché all’autorità di queste presiedevano un tempo in ordine decrescente Giano, Saturno e Giove.  E per i Greci parallelamente Urano, Crono e Zeus.  Si noti che Pico, a cui abbiamo sostituito Giove nella sequenza dei Penati, ad esser precisi è un’ipostasi di Marte; non per niente è chiamato Pīcus Mārtius, avendo quale corrispettivo l’Indra hindu, che del pari ha talora forma aviaria.  Il motivo della nostra sostituzione è dovuto al fatto che i Romani erano soliti appaiare Giove a Marte, 




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per ragioni strettamente astrologiche (di a e w, si potrebbe dire); giacché lo Zodiaco Solare si concludeva nel 30° dei Pesci, ma coincideva in realtà col 1° nell’Ariete e perciò entrambi gli dèi ricoprivano il medesimo ruolo di signori zodiacali.  Piú o meno quel che è avvenuto, in parallelo, in India con Dyaus Pitar (alfine messo in sordina) e Indra.  Possiamo intuire in definitiva che i Tre Regni divini fungessero in ogni caso da adattamento, in senso borghese-produttivo, delle tre caste o classi sociali che dir si voglia.  Una sorta di proiezione nell’Età del Bronzo – quella mitica, si badi bene, non l’omonima archeologica – delle due Età precedenti, cosa che evidentemente al Dumézil è sfuggita del tutto, nonostante i suoi acuti presentimenti… 
(5)         Cfr. n.prec. 
(6)         La voce mīl-es (‘milite’), ritenuta d’etimo incerto dal Diz.Calonghi di Latino-Italiano, vien fatta risalire dal Devoto alla base *mil-o = ‘gruppo’ (nel senso di colui che cammina in gruppo); ma, di questo passo, ogni stuolo di persone dovrebbe essere ritenuto una milizia.  No, siamo dell’idea che il vocabolo vada correlato al lat.Mārs, in quanto signore della vita (fecondità) e della morte (guerra).  Basterebbe capire che il Mitra-Mithra indo-iranico non è che Marte in una forma maggiormente ampia ed arcaica e che il significato primario del nome del dio indoeuropeo in cui tutte e tre le forme nominali dovrebbero riconoscersi per derivazione era  quello di ‘colui che unisce’ (scr. mil = ‘unire, riunire, collegare’, il cui freq.mīl ha il valore di ‘essere riunito, esser collegato’).  Stesso etimo ha il vr.ingl. to meet (‘unire’).  L’unione  si esplica in varie forme, quella erotica principalmente, donde Marte/ Pico Marzio si presenta quale dio della fecondità in veste di uccello solare; e poi le altre, dall’unione come patto alla milizia vera e propria in quanto riunione di militi. 
(7)           G.Acerbi, Il Druidismo ed il ‘Calice ripieno’: annotazioni ulteriori sulla mitologia e l’iconografia di Bran-Brahma e Urano-Varuna- Alle pendici del Monte Meru (30-01-15), pp. 16-7, n.7. 
(8)           Esisteva anche un Pico Feronio, che però equivaleva a Crono. 
(9)           Pure l’agricoltura rientrava secondo la concezione degli antichi nel novero dei mestieri artigianali, essendo reputata una vera e propria arte. 
(10)        R.Graves, I miti greci- Longanesi, Milano 1979 (ed.or. Greek Myths- Penguin B., Londra-Harmondsworth 1955), passim. 
(11)        Il dott. Albrile, a nostro parere correttamente, usa riportare codest’appellativo ellenico al noto concetto indiano di Śakti (‘Potenza’).  Altri fanno derivare il sostantivo fenmminile da hekatón (‘cento’ ), scr. śatam, lat. centum; ma forse non si tratta di due diverse etimologie, perché il numero in questione può esser un indicatore generico di potenza, come si usa altrimenti 




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col mille.  Vedi il s.f. hecatómbe, formato dall’aggettivo numerale di cui sopra + il s.m. boûs, riferentesi ai cento capi di bestiame un tempo utilizzati per i sacrifici.  Altri ancora rimandano il termine all’a.m. hécatos  (‘che colpisce infallibilmente’), forse con allusione alla terza delle Moire. 
(12)        Grav., op.cit., § 62.a, p.184. 
(13)        Cfr. con la simbologia equivalente del ‘Velo’ di Isis egizia o della Māyā hindu. 
(14)       Per l’interpretazione di tale mitologema cfr. A. di Nola, ASSIRO-BABILONESI, § 6c, p.672/ col.b (apud AA.VV., Enciclopedia delle Religioni- Vallecchi, Firenze 1970, Vol.1).  L’autore vede nella spogliazione progressiva delle vesti da parte della dea, certamente in correlazione colla privazione dell’involucro vegetale da parte del seme durante la sua gestazione nel terreno invernale, la progressiva spogliazione dell’anima da tutti gli accidenti ed i fardelli umani nel suo desiderio di perfezionamento.  Nel poemetto Nêrgal ed Ereshkigal, raccolto da G.Furlani in ‘Poemetti mitologici babilonesi ed assiri’- Sansoni, Firenze 1954, pp. 22-5) Nergal prima di arrivare agl’Inferi deve passare per 14 Porte, anziché 7.   
(15)        Cfr. N.Turchi, Le religioni dei misteri nel mondo antico-Fr. Melita, Genova 1987, App. al Cap.V, p.85 ss. e R.Pettazzoni, I misteri. Saggio di una teoria storico-religiosa- Zanichelli, Bologna 1923, Cap.II, § 3, p.71 ss. 
(16)      K.Kerényi, Miti e misteri- Boringhieri, Torino 1979, pp. 143-82. 
(17)       G.Acerbi, L’Uomo e il Pesce, Cap.IV, pross. 
(18)     Sul concetto di Accademia, dalla sua fondazione nel 387 a.C. ad opera del guerriero Academo che donò allo scopo un terreno fuori del perimetro urbano di Atene trasformato in giardino per le dissertazioni filosofiche da parte di Platone e dei discepoli fino alla Nuova Accademia di Firenze ed alle proprie diramazioni moderne e contemporanee, cfr. Wikipedia, L'Enciclopedia libera, s.v.ACCADEMIA.  
(19)       G.Acerbi, Edipo e l'enigma della Sfinge tebana- Heliodromos (aut. '98-Inv. '99), Catania 1999, p.10. 
(20)       Ac., art.cit., pp. 10-1. 
(21)       Art.cit., p.11. 
(22)      Cfr. G.Acerbi, Mrigeshvara. Ricognizioni su un'eccezionale icona del tempio di Pâçupatinâtha in Nepâl- Alle pendici del Monte Meru (blog, 10-05-14), p.11, n.15. 
(23)      Non a caso la I 'Lama' dei Tarocchi marsigliesi presenta Ermete in veste di gerofante, con 4 emblemi, equivalenti alle 'Armi' del Gigante Orione; dato che tale asterismo, come ha dimostrato a suo tempo Tilak in The Orion (passim), 



13

veniva considerato nei tempi antichi la sede della Luce Celeste. 
(24)      Qui abbiamo indicato il simbolimo astrologico tropicale, ma avremmo potuto sostituirlo con quello siderale, in relazione ad un dato millennio.





Illustrazioni

1.   Plutone rapisce Proserpina (R.-A. Houasse, Salone di Venere, Grandi Appartamenti del Castello di Versailles, Francia, c.1678).
2.   Pinax (tavoletta votiva depositata in un santuario) di Ade e Persefone (Tempio di Persefone, Locri E., Magna Grecia, costa ionica dell'attuale Calabria).
3.   Ade col Forcone Bidentato (disegno, M.A. Dwight & T.Lewis, 1876).


 Fonti 

1.   Wikimedia Commons, s.v.Salon de Vénus- PLUTON ENLEVANT PROSERPINE.
2.   Ibidem, s.v.LOCRI PINAX OF PERSEPHONE AND HADES.
3.   Ibid., s.v.GRECIAN AND ROMAN MYTHOLOGY (1876).



 Fig,1

 Fig,2

Fig.3

martedì 13 ottobre 2015

LA VERA ORIGINE DI BABBO NATALE







 


       Secondo un eminente antropologo la figura di Babbo Natale non sarebbe derivata nelle sue fondamenta iconologiche e concettuali da fonti cristiane, come ad es. quella assai nota di San Nicola (volendogli forzare un po’ la mano, per quanto il suo assunto rimanga un po’ troppo nel vago), bensí  da un antico mito solare pre-cristiano (1).  Ciò è esattamente quanto vogliamo provare a confermare sostanzialmente colla nostra disamina.  Se è vero com’è vero che in parecchî paesi in occasione della messa della mezzanotte di Natale (il N. usa l’espressione “corteo natalizio”, ma è evidente che si riferisce alla Vigilia, cioè alla solenne processione pastorale della ‘Notte Santa’)(2) Babbo Natale s’accompagna a Gesú Bambino, talora in avancorte tal’altra al seguito, non si può non dedurre da ciò una cosa lampante; ovvero che i due simulacri rappresentino, di necessità, padre e figlio…  O meglio, il Padre e il Figlio, trinitariamente parlando.  Cosí come la Madonna, allorché in altre occasioni è portata in processione, svolge la funzione di Madre in senso triadico; non di semplice madre in senso mariano ed umano, che come tale s’appaia al padre putativo Giuseppe.  In altre parole, a questa maniera si spiegherebbe in modo evidente la prerogativa da parte del vecchio canuto dalla fluente barba candida e dall’abito rosso, oggigiorno bordato di bianco (aggiunta relativamente recente con scopi commerciali), di fare doni ai bambini.  Poiché, sappiamo bene, la vita è il primo e piú importante dono – altro non celebra, in fondo, la festa del Natale.  Se il canuto vecchio è dunque l’Anziano dei Giorni, vale  a dire quel Dio Padre che si suole identificare all’Assoluto, il Bambin Gesú non può esserne altro che il Figlio Unigenito.  Insomma, ciò che viene altrimenti definito il ‘Principio’ della Creazione.
       D’altronde la ‘Mezzanotte della Vigilia’ o poco prima, se da un lato ha relazione col mistero cosmico del Solstizio Invernale, sia per analogia fra il ciclo giornaliero e quello annuale che direttamente (i Latini non per niente celebravano nella stessa data la festa altrettanto importante pur se importata del Sôl Invictus, legata al dio iranico Mithra), dall’altro allude (3) al sorgere all’orizzonte proprio in quel momento ciclico del Segno dei Pesci.  E sappiamo quale valore avesse il simbolo dell’Ichthýs per i primi cristiani. Nell’Astrologia Siderale, basata sull’effettiva presenza d’una costellazione in un dato punto celeste, il fatto è divenuto ormai desueto; tuttavia, nel cristianesimo primitivo, la corrispondenza fra Segno e simbolo era perfettamente aggiornata.  Esattamente come nell’Ebraismo, secondo quanto comprova la storia biblica del ‘Vitello d’Oro’.  Donde la messa in ombra definitiva di Elohîm, incarnazione divina del Toro Celeste, ed il pasaggio al culto del ‘Signore degli Eserciti’; cioè dell’Ariete Celeste, al quale sarà identificato Cristo stesso siccome ‘Agnello del Sacrificio’.  Diversamente nell’Astrologia Tropicale, dove si hanno Segni fissi (quella comunemente in uso ancor oggi in Occidente, a differenza che in Oriente, ad es. in India), il problema non sussiste.  La liturgia rimane perciò valida anche adesso che vernalmente i Pesci non dominano piú il Punto Gamma (Vernale).  D’altronde pure la data del Natale ancora in uso presso la Chiesa Ortodossa e che, a giudizio dell’Albrile (studioso torinese di storia cristiana), costituiva quella celebrativa originaria – insomma il 7 gennaio, tardivamente tramutato con un giorno d’anticipo in festa dell’Epifania ovvero della Befana, la quale però è ancor oggi letteralmente dal punto di vista calendariale la ‘manifestazione di N.S.’ – rientra pressappoco nello schema ciclico testé indicato (4).  Potremmo aggiungere, ad esser pignoli, che la data natalizia decembrina esprime nell’ambito dell’Anno Sacro di pagana memoria la capacità da parte dell’Eterno (appunto B.N., cfr. col Mahâkâla indo-buddhista) di cambiar corso al Tempo inteso in senso mefistofelico (governato non a caso da Lucifero, il ‘Signore di Questo Mondo’, in India chiamato appunto Kâla = ‘Tempo’), costringendolo a non disperdersi linearmente ma a tornar sui suoi passi e a ripetere il ciclo annuale.  Mentre l’altra, già inoltrata nel Nuovo Anno, conferma la svolta avvenuta e la ‘Possibilità di una nuova Manifestazione’.  Vi è un rapporto di corrispondenza, altresì, fra la Befana per eccellenza (ve n’è una suprema rispetto ad altre tre non supreme), la Mahâkalî indiana e la Grande Moira ellenica.  Giacché le ‘Tre Befane’ nelle quali Ella a volte si scompone, non diversamente dalle ‘Tre Spose’ cabalistiche dell’Adamo <Cadmico> e dalle ‘Tre Moire’ greche, equivalgono palesemente alle ‘Tre Shakti’ indú. 
       Proviamo ora a addentrarci in modo maggiormente approfondito nei meandri della teoria solare.  Il Lips (5) considerava giustamente persino la fiaba di Cappuccetto Rosso (Le Petit Chaperon rouge nell’originale di Perrault di Fine Seicento)(6), per via del ‘cappuccio di velluto rosso’ della bambina protagonista della storia, una volgarizzazione del mito eliaco di Giona.  Ci spieghiamo meglio.  L’apertura della pancia del Lupo onde liberare la nonna e la bimba divorate, a differenza della ripetizione finale della stessa storia con analogo doppione lupesco eppure senza dramma, non sembra essere un’aggiunta letteraria dei Fratelli Grimm ma una vera e propria variante della tradizione tedesca rispetto alla precedente ed incompleta versione francese.  Infatti l’aspetto essenziale del mitologhema, in un caso e nell’altro, è costituito dall’atto mitico del divoramento (di valore s’intende gnoseologico); cui segue, per forza di cose, la liberazione del o dei protagonisti.  Il Lips acconciamente spiegava che il Cappuccio Rosso rappresentava il Sole al momento del tramonto ed il Lupo la Notte all’orizzonte (o se vogliamo la Luna, la quale nelle culture nordiche è un fattore maschile), tant’è che – fece notare – si trovavan degli esempî paralleli in parecchie tradizioni, nelle quali al posto del Lupo o del Pesce comparivano il Mostro, l’Elefante od altri animali simbolici.  Riguardo la figura di Babbo Natale ciò che rende assai convincente la tesi del Lips, a parte la veste rosso-solare del vegliardo (mutuata – si dice – dal Nonno Gelo russo, che probabilmente tradiva in tal modo la sua occulta natura di dio del fuoco) è la citazione d’un rituale certamente significativo celebrato sino ai tempi odierni nella Germania Settentrionale (Hannover, Bassa Sassonia).  Durante la festa natalizia un giovane agricoltore dall’aria erculea avrebbe l’abitudine d’attraversare le campagne in groppa ad un cavallo bianco, chiaro emblema solare, ricevendo doni dai capi-famiglie in sostituzione di probabili antichi sacrificî.  Questa è la prova evidente dello stretto legame fra i regali ed il Sole.  Tanto piú che pure il summenzionato signore del gelo russo dispone nel folclore slavo d’un bianco destriero, od in alternativa di 3 cavalli.  Il primo è da identificare al ‘Cavallo Bianco’ associato alla Baba Yaga – sorta di strega-befana con tanto di mortaio, pestello e scopa – nella storia della leggendaria Principessa Vassillissa la <Bella> (o la <Saggia>); oppure al ‘Cavallo Magico’ dell’eroe agrario Ivàn, che va in cerca del Castello di Marmo senza porte né finestre, ubicato “nell’ultimo dei reami, ai confini del mondo” (7).  Gli altri due sono il ‘Cavallo Rosso del Giorno’ e il ‘Cavallo Nero della Notte’, i quali unitamente ai loro cavalieri di egual colore – non meno del Cavallo Bianco dell’Aurora e del vicendevole cavaliere – sono al servizio della succitata strega, in ciò svolgendo un ruolo non dissimile seppure in chiave maschile da quello delle Tre B.Y (omologhe delle Tre Befane).  È vero che nella tradizione cristiana i regali vengono elargiti dal vecchio benevolente erede di Mastro Gelo o da chi per lui.  Mentre in quella pagana, d’origine maggiormente arcaica, i medesimi vengono conferiti all’eroe solare; od a chi ne incarna i panni, nel caso prima esaminato un robusto agricoltore.  L’inversione di tendenza è facilmente comprensibile, poiché anticamente si credeva che quando il Sole raggiungeva il Solstizio d’Inverno avesse bisogno d’un aiuto in senso magico-sacrificale, affinché non fosse divorato dalle tenebre (vide suprâ)(8); per mezzo dei sacrificî poteva riprendere in senso inverso la sua corsa annuale, metafora ad indicare il compito umano nell’opera divina.  In tempi cristiani la metafora solare è invece scomparsa, dacché s’è fatta strada negli uomini dell’Era Volgare una visione diversa del Cielo, ossia la consapevolezza della natura misericordiosa della Divinità.  Donde il Sole è apparso un garante dell’Ordine Cosmico, anziché un pur benefico esattore di tributi.  Sebbene sia giusto rilevare, purtroppo quale contrappasso nell’atteggiamento mentale degli uomini della nostra Epoca, il fatto che nel frattempo la partecipazione attiva al mantenimento del suddetto Ordine sia irrimediabilmente venuta meno. 
       Nel caso di Babbo Natale e Gesú Bambino, va comunque notato, si riscontra uno sdoppiamento analogo a quello di Perrault e dei Grimm fra l’anziana figura solare e l’infante (seppure nella fiaba accadesse l’inverso, indipendentemente dal genere maschile o femminile della doppia raffigurazione); né quest’ultimo viene ingerito (9), ma semmai manifestato.  Giacché in tal caso la funzione cosmica è opposta, creativa anziché distruttiva.  Non si ha un riassorbimento per cosí dire «diluviale» (analizzare in proposito il mito di Giona e consimili) della Creazione, o qualcosa d’equivalente; semmai, vien ritratto plasticamente l’incipit creativo.  Che cosa rappresentano dunque le leggendarie 4 Renne di Babbo Natale (poi americanamente raddoppiate in 8) se non un richiamo alle 4 principali stazioni giornaliere ed annuali del Sole?  Ciò va inteso in senso emblematico, non astronomico.  I miti lungi dal raccontare i movimenti degli astri, secondo la riduttiva ed ingenua supposizione degli studiosi settecenteschi ed ottocenteschi, narrano atti divini.  Com’insegna il biblico adagio Coeli aenarrant gloriam Dei.  In principio sicuramente la Renna dovette essere una sola prima d’esser raddoppiata, quale valida alternativa al Cervo o alla Capra delle regioni sub-tropicali.  Ammesso, e non concesso, che vi sia derivazione in questo senso; ma, naturalmente, potrebbe esser l’opposto, se crediamo all’origine iperborea della nostra specie umana.  Il rituale del Cavallo Bianco lo dimostra, visto che soltanto la renna è per natura bianca e può esser cavalcata.  Antilocapridi e cervidi possono aver un mantello candido, ma non servire da cavalcature.
       C’insegna l’Iconologia delle Religioni che l’animale veicolo di qualsivoglia figura sacrale, non importa se munito d’un carro o facente direttamente da sella, costituisce di per sé un alter-ego della medesima in panni per cosí dire secondarî sul piano funzionale ma addirittura essenziali per quel che riguarda l’origine cultuale e culturale della stessa.  Se ponessimo in base a quanto appena dichiarato un’equivalenza fra Babbo Natale e Crono-Saturno (vecchio signore del solstizio invernale ai tempi dei Sâturnâlia romani)(10) od il Bran nordico (mitico possessore della Cornucopia o d’un Calderone shamanico, entrambi fonti d’Abbondanza), che ne era un doppione in ambito celtico, c‘accorgeremmo che l’abbinamento non solo risulterebbe efficace; ma spiegherebbe, in termini adeguati, tutta la tematica e l’iconografia relativa al vecchio pupazzone oggi divenuto gioviale e caro ai bambini.  Certamente, la componente solstizial-invernale e solar-saturnina non è l’unica a campeggiare nell’icona natalizia per eccellenza (lo dichiara il nome medesimo), nonostante certe rappresentazioni di Babbo Natale a cavalcioni d’una Capra potrebbero farcelo credere.  È evidente che i segni peculiari d’altre deità si sono sovrapposti a quella che potremmo chiamare la componente fondamentale.  Ad es. nei paesi germanici si sono aggiunti alcuni tratti proprî del possente Thor, lo Zeus nordico; piuttosto che di Surtr, il gigante del fuoco, corrispondente norrenico del Crono-Saturno greco-romano.  Ciò è un fatto accaduto anche in area mediterranea, dove gli attributi del Signore dei Titani si sono sovrapposti e confusi con quelli del Signore degli Dei.
       Stabiliti i punti fondamentali di riferimento per la nostra ricerca, passiamo adesso ad analizzare piú approfonditamente le prove documentali – ammesso che vi siano – e le testimonianze iconografiche sul soggetto.  In mancanza di riscontri immediati concernenti le prime, dal momento che non sono reperibili dati tematici né nel N.T. (a differenza di quanto riguarda invece ad es. i Re Magi) né nell’esegesi posteriore delle Scritture, dobbiamo indirettamente dedurne che non si tratta in ogni caso d’un tema biblico.  Questo era facile da capire, ma il fatto una volta ammesso già ci orienta verso una delle altre deduzioni possibili.  Fra le spiegazioni che si danno in favore dell’una o dell’altra tesi, per dar conto della presenza del vecchio nonno barbuto nel culto cristiano, ve ne sono tre che hanno particolarmente attratto la nostra attenzione.  Esse non fanno parte solamente del bagaglio culturale dei paesi di varia tradizione cristiana, ma come abbiamo personalmente rilevato facendo una piccola indagine fra parenti ed amici, caratterizzano piú o meno anche presso di noi l’insieme dell’esegesi popolare nei confronti di codesta misteriosa eppure ormai familiare figura.
       La prima spiegazione è che Babbo Natale sia una sorta di Vecchio Creatore adatto alla comprensione dei bambini e degli anziani, insomma un ridimensionamento fantastico-popolare e tardivo di Elohîm in chiave nordico-polare.  Ciò specificherebbe meglio la nostra tesi di fondo, ossia l’identificazione con Crono (11), che i semiti identificavano grossolanamente al dio solare e taurino El (12).  Donde sono derivati per filiazione etnica i varî Elohîm, Allâh ecc.  Quindi, se le cose stessero effettivamente come supposto avremmo a che fare non con un semplice demiurgo capace di dar luogo solamente alla manifestazione del mondo, bensí con un creatore a tutto tondo in senso primordiale.  Superiore perciò a Cristo stesso, benché generalmente in penombra rispetto a lui nel panorama cristiano.  Si spiegherebbe in tal guisa la mancanza di riferimenti testuali neotestamentarî ed altrettanto la mancanza di qualsivoglia documentazione scritta posteriore su codesto culto.  D’altronde la sua natura primaria di conduttore-traghettatore di anime in Questo e nell’Altro Mondo, alle quali conferiva in origine l’esistenza o la morte alla maniera di Crono-Saturno (13), è dimostrata non solo dall’associazione causale perdurata sino ad oggi coll’Unigenito; ma anche, complementariamente, dal fatto che presso culture nord-europee come quella lappone (14) dimorava il costume opposto di far recare la salma del morto in un’isola sacra mediante una slitta trainata da una renna con un drappo bianco fra le corna.   
       La seconda tesi farebbe di B.N. un santo, ossia una figura strettamente dipendente da quella anatolica di San Nicola, successivamente riciclata nel barese, dove sono state traslate la gran parte delle sue spoglie nell’XI sec. a causa della conquista musulmana.  Nicola, come sappiamo, nacque a Pàtara e divenne vescovo di Myra, entrambi dislocate in Licia.  Narra l’agiografia che avrebbe aiutato con una donazione personale le tre figlie d’un mercante impoveritosi, destinate senza quell’aiuto caritatevole a non trovar marito e probabilmente a prostituirsi.  La storia pare esser piuttosto una storicizzazione cristianizzata in chiave popolare, dall’accentuato carattere sessuofobico tipico di certo medioevo, d’una fiaba raccontata da Afanasjev (15) concernente al posto del santo ancora una volta Nonno Gelo.  Delle tre ragazze in essa si salva dal freddo, nonostante gli sforzi della madre in favore delle due minori, soltanto la piú grande (una figliastra, in realtà), che va sposa a tale signore dell’inverno (altra parallela figura solar-saturnina).  La presenza in America del prettamente consumistico Santa Claus (abbreviazione del lat. Nîcolâus) parrebbe dimostrare la supposta tesi anche nell’etimo.  Sennonché le cose stanno un po’ diversamente, poiché non è possibile identificare del tutto Santa Claus al piú datato Father Christmas inglese (16), a sua volta dipendente seppur alquanto distinto nella fisionomia dall’allegorico Father Time; allotropo che il cristianesimo tardo-medievale e rinascimentale aveva tratto, riattualizzandolo, dalla vecchie icone del Crono greco e del Saturno latino (17).  Difatti Santa Claus/ Klaus è stato addotto sul suolo statunitense (precisamente nella Nuova Amsterdam, divenuta New York dopo la conquista inglese del 1674) da parte dei coloni olandesi, essendo il santo ossequiato ad Amsterdam sotto nome di Sinta Klas (18).  L’iconografia attuale s’è formata solamente nel XIX sec., prima a livello letterario e poi illustrativo (19), sebbene qualcuno attribuisca l’abito rosso bordato di bianco anche al vero San Nicola in veste vescovile (20).
       La terza ed ultima spiegazione sarebbe di considerare B.N. un mero attendente in funzione collaborativa di Gesú Bambino.  Non bisogna infatti dimenticare che pure il Bambin Gesú nei tempi ultimi ha ottenuto (un neo-pagano direbbe “usurpato”) la facoltà d’offrire doni natalizî quale forma di auto-celebrazione della propria venuta nel mondo a scopo redentivo.  Per un cristiano contemporaneo, involontariamente influenzato da determinate prese di posizione da parte del Protestantesimo (21) giunte sino a noi soprattutto dal Dopoguerra in poi coll’americanismo dilagante, naturalmente è il contrario.  Negando qualsivoglia sacralità – se non riflessa – alla figura dell’ancestrale apportatore dell’inverno nonché misterioso iniziatore del Nuovo Anno, da questo punto di vista che potremmo definire bizantinamente del ‘Cristo Pantocratore’ (cfr. col Giove Cosmocratore di certi simulacri romani), si è finito col trasformarlo in una figura ridondante, cosa che è tipica d’ogni deus otiôsus.  E, piú ancora, delle vetuste deità una volta cadute in disgrazia presso qualche nuova dottrina sapienziale o religiosa.  Tali figure (cfr. ad es. quella dello Yahweh ebraico nella Gnosi sethiana o del Brahmâ induista nel Buddhismo Mahayanico) non scompaiono del tutto, ma vengono parecchio ridimensionate.  E la loro sopravvivenza è destinata a vivere di vita latente, seppure necessaria alla continuità del culto.  Non è avvenuto cosí anche per molte divinità barbare quale Odino, riciclato sotto la veste venatoriale di Sant’Uberto?  Qualcuno ritrova un po’ della magia di Odino persino in Babbo Natale (22).  In India addirittura, dove questo modo d’intendere è molto diffuso ed è stato perciò dagli studiosi occidentali definito “enoteistico”, si può dire che ciò costituisca la regola generale di partecipazione al Divino.  Possiamo intendere le varie tradizioni susseguitesi dall’epoca adamitica ad oggi, al di là della loro specifica vocazione, un po’ alla stessa maniera.  Le differenziazioni sono avvenute per meglio adattarsi alle esigenze dei praticanti, esattamente come avviene all’interno d’un medesimo culto.  Le feste natalizie sono ancor oggi allestite, quasi ormai a nostra insaputa, in ricordo delle nostre comuni origini.  Comunque lo si voglia intendere, quindi, Babbo Natale rappresenta assieme al neonato Redentore una personificazione allegorica tardiva, diretta o mediata che sia, dello Hén-tò-Pân.   

Giuseppe Acerbi


Note



(1)    .Julius E. Lips, L’origine delle cose – Sansoni, Firenze 1959 (ed.or. A Cultural History of man- G.G. Harrap & C., Londra ’49), Cap.XIV, p.432.
(2)  Nella contemporaneità la funzione celebrativa della nascita di N.S. ha un’appendice in certi luoghi chiamata “presepe vivente”, la quale – indipendentemente dal momento in cui viene allestita, che può variare da luogo a luogo per motivi pratici – deve ovviamente essere messa in relazione consequenziale colla messa pre-natalizia.  Vale a dire col mistero dell’attesa.  Anche se viene in alcuni casi celebrata dopo.
(3)    O meglio, alludeva fino alla fine dello scorso secolo, dato che dal Maggio del 2000 in poi ciò non avviene piú per il passaggio in Aquario del Punto Vernale.
(4)    Dato che lo spostamento giornaliero delle costellazioni in 12 gg. è minimo, variando esso di c. 1 h ogni due settimane .
(5)    Li., op.cit, p.434.
(6)    Cfr. anche J. &  W. Grimm, Fiabe- Einaudi, Torino 1951, pp. 5-7.
(7)    A.N. Afanasjev, Antiche fiabe russe- Einaudi Torino 1953, rispettivamente a pp. 18-25  e 296-301.
(8)    Cfr. L.B.G. Tilak, Orione. A proposito dell’antichità dei Veda- Ecig, Genova 1991, Cap.VI, p.165 (con trad. e comm. a  nostra c.).
(9)    Per la verità esiste la prova d’una metamorfosi di Babbo Natale da demone infernale, cioè mostro divoratore, in elargitore di doni.  A dimostrazione che forse l’originaria fisionomia dell’antenato munito di slitta era piú complessa rispetto a quello odierna, saturnina anziché gioviale.  Il Rosso è pure il colore del Fuoco ed il Fuoco è cosmologicamente l’elemento divoratore. Ciò che gl’indú chiamano Agni (lat. Ignis), in opposizione a Soma (lat.Humor), l’alimento vitale.
(10)    Venivano celebrati dapprima il 17 dicembre, quantunque in seguito siano stati triplicati fino al 19 od estesi per una settimana.  In proposito vedasi Macr., Sât.-i. 10, 23 ss.
(11)   Tale sommaria identificazione era già sostenuta in G.Acerbi, Le ‘Caste’ secondo Platone…- Convivium ( A.IV, N°13 ), Borzano ( R..E. ) 1993, P.II, pp. 24-6, n.29.
(12)   Affine al greco Hêlios.  Ibîd., n.27.  Cfr. inoltre G.Acerbi, Note sullo sfondo cosmologico del Tetramorfo di Ezechiele- Alle pendici del Meru, blog (17-04-06), pp. 1-7; rifac. d’un dattil. inviato alla Riv. ‘Nicolaus’, Bari 1999, pp. 1-8 + 2 ill., mai pubblicato per ragioni ignote, ed in seguito spedito a ‘Heliodromos’.  Alfine ripubbl. in ‘Alle pendici del Monte Meru’, blog (25-08-15).
(13)   Ibîd.come alla 18.
(14)   R.Bosi, I Lapponi- Il Saggiatore, Milano 1959, P.III, Cap.II, p.125.
(15)   Afan., op.cit., pp. 139-42. 
(16)   S.L. Macey, Patriarchs of Time…- Georgia Un., Atene & Londra 1987, C.VII sgg.
(17)   Ibîd., C.III sgg.
(18)   Ib., Concl., p.176.
(19)   Per un approfondimento vedi G.Acerbi, Iconologia di Babbo Natale- Nel Nido del Simorgh, in prep. per il dic. 2016.
(20)   Cfr. Wikipedia, enc. on line, s.v. SAN NICOLA.
(21)   Il protestantesimo negava valore alla figura di Father Christmas, giacché lo considerava – non a torto, abbiamo visto sopra, dal proprio punto di vista – derivato dalla Chiesa di Roma; il che equivaleva a dire legato alla tradizione greco-romana, d’origine pagana.
(22)   Cfr. Wikip., s.v. BABBO NATALE.



    Illustrazioni





1.       Mahâlkâla (lett. ‘Grande Tempo’), emblema indo-buddhista dell’Eternità, sovrastante Kala (lett. ‘Tempo’, cioè la Manifestazione) (dipinto buddhista, Tibet).

2.       Mahâlkâlî, consorte del precedente ed emblema della ParaÑakti (Potenza o Possibilità Universale), in amplesso con Mahakâla (Mahakala-Mahakali yantra, dis. a matita, 2011).

3.       La Grande Befana, equiparabile a Mahakâlî, seduta sulla Luna (ill.pop. cont.).

4.       La Vecchia (=Anziana dei Giorni) Befana colla Scopa, indice del suo amplesso coll’Assoluto prodotto al fine di determinare la Manifestazione (ill.cont. d’un art. on line).

5.       Le 3 Befane minori, paragonabili alle 3 Ðakti  hindu (ill.pop. cont., da una foto di pupazzi scattata nel 2008).

6.       La Baba Yaga (ill. di I.Y. Bilibin, Russia zarista, XIX sec.).

7.       Ded Moroz (‘Nonno Gelo’) che va a piedi, con Sacco dei Doni sulle spalle, in una foresta ghiacciata di conifere (Anon., vecchia cartolina natalizia da collezione in stile popolare, Russia sovietica).

8.       D.M. (chiamato anche Dede come nomiglioso affettuoso) su slitta natalizia trainata da un Cavallo Bianco (ibîd.).

9.       Idem con Alberello Natalizio su slitta trainata da Cavallo Rosso in mezzo a paesaggio innevato (ib.).

10a.     Il Bianco Cavallo <dell’Aurora> e Vassilissa la <Bella>, con in mano l’occulta Bambolina dei Desiderî (miniatura russa).

10b.    I.Bilibin, Il Cavallo Rosso del Giorno (da  Vassilissa la <Bella>, 1899).

11.     D.M.  senza slitta, in piedi sul dorso di 3 Cavalli (uno Fulvo in mezzo e due Rossi ai lati)(ibîd. come alla 9).

12a.   Idem sulla slitta trainata da una pariglia di 3 Cavalli (Fulvo, Bianco e Rosso)(ib.).

12b.   Id. su slitta trainata da 3 Cavalli (Fulvo, Rosso e Blu (ib.).

13.     Id. con Mantello Bianco trapunto di stelle, Albero Natalizio e Cestello dei Doni su slitta trainata da 3 Cavalli (quello in mezzo ha il mantello à pois)(ib.).

14.     Id. recante Albero Natalizio e Sacco dei Doni su slitta trainata da 3 Cavalli  Bianchi (quello in mezzo è nero), con metropoli nello sfondo (ib.).

15a.   Id. accompagnato dalla <figlia>Snegurotchka (‘Fanciulla di Neve’) su slitta trainata da 3 Cavalli (Rosso, Bianco e Marrone) scivolando fra le stelle, con tanto di sputnik (ib.).

15b.   Id. con Albero Natalizio e Snegurotchka con Baule dei Doni su slitta trainata da 3 Cavalli (Fulvo, Bianco e Marrone) in mezzo alla foresta (ib.)

16.     Id. tramutato in giovane astronauta, con al fianco Printsessa Snezhnaya (‘Principessa Neve’), su slitta trainata da 3 Cavalli Rossi (ib.).

17a.   Printsessa Snezhnaya, var. adulta di Snegurotchka, con in mano l’Abete Natalizio (ib.).

17b.  Idem, dett. di Snegurka (ib.).

17c.   Snegurotchka, con fiore e uccellino(ib.).

18.    D.M.  colla sposa-figliastra Snegurka, altra var. di Snegurotchka, fatta oggetto di munifici doni da parte del vecchio (I.Bilibin, ill. d’un racc. di A.N. Afanasjev, Morozko, 1923, Russia).

19a.    Snegurotchka con abito blu, ma ricamato di fiori anziché di stelle (ibîd. come alla 17a).

19b.   Snegurotchka signora della vita, con abito verde ricamato di fiori anziché blu (ib.).

20      Fiocco di Neve, versione slava di Snegurka (ill.pop.cont., ?).

21a.   La Regina della Neve (E.Ringo, dipinto, da una fiaba omonima di H.C. Andersen, Epoca Cont., 19-03-1998).

21b.  Snow White alias Biancaneve nella bara di vetro, con accanto uno dei 7 Nani (T.Hosemann, 1852, Germania).

22.   D.M.  mira Snegurotchka  rinchiusa nello Specchio della Creazione cellini (ibîd. come alla 17b).

23.     Idem con slitta dei doni e Cerbiatto (id.).

24.     Id. con Snegurotchka su slitta dei doni trainata dalla Renna (id.).

25.     Id. sulla slitta trainata da 2 Renne, festeggiata dai bambini in un quadretto di sapore knaïve (ib.).

26.     Albero Natalizio con sulla cima la Stella Polare, trasformata in Stella Rossa del Comunismo, in luogo della Stella Cometa (ib.).

27a.   D.M. identificato allo Spirito dell’’Abete Natalizio (ib.).

27b.   Ovale coll’Albero del Mondo, sotto cui appare l’Orsa, mentre D.M. apre il Cofanetto dei Gioielli e Snegurotchka fila i Destini del Mondo (ib.).

28.     Apparizione dello Spettro del Father Christmas Presente, coll’abito verde, simbolicamente assimilabile al Christmas Tree (J.Leech, ill. orig. d’un testo di C.Dickens, Christmas Carol, 1843, G.Bretagna).

29a.   Capra di Natale svedese, detta Jul-bock, sotto l’Albero di Natale in esterno (fotogr., Svezia, att.).

29b.   Due tipiche Jul-get (Yule-goats) appese all’Albero di Natale in interno (fotogr., Svezia, att.).

30.     Capra Natalizia gigante eretta annualmente nei giardini della cittadina di Gävle a partire dagli Anni ‘60 (fotogr., Svezia, 2008).

31.     Julbock col Tömte (Nanetto) natalizio (ill.cont.).

32      Il Capro delle feste natalizie (Julbock), che secondo le tradizioni nordico-germa- niche portava i regali ai bambini trascinando la slitta di Father Christmas (di tipo Tömte)(Anon., quadretto popolare natalizio, dataz. e proven. incerte, dett.).

33a.   Il Krampus, attendente demonico tricorne di S.Klaus con tridente e scopino nonché un bimbo cattivo nella bisaccia, è figura diffusa nel versante alpino germanico-slavo (stampa popolare, dataz.inc.).

33b.   L’Uomo Nero (Zwarte Piet, Black Peter), attendente nordico-germanico di S.K. (forse una var. del Krampus, cfr. col Kâla indiano), attorniato da bambini olandesi (fotogr. , dett., att.).

34a.   D.M. con abito blu trapunto di stelle, identificato ad Urano stellato (ibîd. come alla 27b).

34b.   Idem con abito incolore, ma egualmente identificato ad Urano stellato, seppur con aggiornamento di sputnik (ib.).

35a.   Id. con veste blu trapunta di stelle, verga ed orologio, accanto al rosso sputnik-giocattolo guidato da un bambino (ib.).

35b.   Id., con veste rossa trapunta di stelle, Orologio (che sta per segnare la mezzanotte) e Sacco dei Doni (ib.).

35c.   Id., con veste rossa bordata di bianco ed Orologio (che sta per segnare la mezzanotte) al posto della Clessidra (ib.).

36.     Id. in veste d’astrologo, con telescopio (ib.).

37a.   Id. (Dede), pupazzone con manto rosso su cui sono ricamati emblemi solari o stellari (ib.).

37b.   Snegurotchka. Pupazzona accanto all’Albero di Natale, con manto azzurro dalle valenze stellar-floreali (ib.).

38.     Father Time, col suo carro trainato da 2 Cervi, è seguito dalla massa popolare in un paesaggio desolato (Filippo Lippi?, ispirato ai ‘Trionfi’ di F.Petrarca, Il Trionfo del Tempo, XV sec., Coll. J.Murray., Londra).

39.     Old Man Winter, antenato di Father Christmas, forse attraverso Father Winter. (ill.cont.).

40a.   Father Christmas (Père Noël) colla slitta trainata da 2 Renne (Anon., illustrazione popolare natalizia, dett., Canadian Illustrated News [Vol.XII, N°26, p.401], 1875, Canada).

40b.   Father Christmas a cavalcioni della Capra, altro contrassegno solar-saturnino, e con in mano la Coppa dell’Abbondanza al modo di Ded Moroz e Bran (illustr. pop.natal., dett., XVII-VIII sec., prov. inc,).

41.      S.Niccolò alias S.Nicola da Myra (icona ortodossa, Russia, XIII sec.).

42.     Father Christmas in costume puritano, senza doni e slitta né animali da traino (F.Coules ed., xilografia secentesca, The Roxburghe Ballads, XVII sec., G. Bretagna, dett.).

43.     Snegurotchka bambina e D.M., con Cesto dei Doni, ridotto nell’abito al comune Babbo Natale ma conservando il Posokh (la Magica Verga)(F.Coules ed., xilografia secentesca, The Roxburghe Ballads, XVII sec., G. Bretagna, dett.).

44.     Giove Cosmocratore, troneggiante con tratti superdivini sulla sfera zodiacale, retta da Atlante e dominata dall’Aquila (altorilievo marmoreo, Epoca Ellenistica, Villa Albani, Roma).


Fonti

        1.        Fonte smarrita, on line.
        2.        O.D.-B, on line.
        3.        Fonte smarrita, on line.
        4.        Da un art.. on line di Cecilia Morello.
        5.        Da una foto di pupazzi del 2008, on line.
        6.        Wikipedia, enc. on line, s.v.BABA YAGA.
        7.        Masaika. Old Soviet Christmas Cards Collection, on line.
        8.        Ibîd.
        9.        Ib.
      10a.     Fonte smarrita, on line.
      10b. Ib.
      11.     Ibîd. come alla 9.
12a. Ib.
12b. Ib.
13.   Ib.
14.   Ib.
15a. Ib.
15.b Ib.
16.   Ib.
17a. Ib.
17.b Ib.
18.   Wikip., s.v. IVAN BILIBIN.
19    Ibîd.., s.v.THE SNOW QUEEN..
21.   Google images, s.v.FIOCCO DI NEVE.
22.   Wikip., s.v.SNOW WHITE.
23.   Ibîd. come alla 17b.
24.   Ib.
25.   Ib.
26.   Ib.
27.   Ib.
28.   Wikip., s.v.FATHER CHRISTMAS.
29a.  Ibîd., s.v.YULE GOAT, foto di Greta Cunningham.
29b.  Ib.., foto di ?
      30.       Ib.., s.v.GÄVLE GOAT.
      31.       Ib.
      32.       Ib.
33a.  Timbotron ( pseud. ), Santa Claus and His Evil Attendants- on line ( 16-12-07).
33b.  Ibîd. come alla 28, foto di A.Engels, 2005.
34a.  Ibîd .come alla27.
34b.   Ib.
35a.  Ib.
35b.  Ib. 
35c.  Ib.
      36.     Ib.
37a.  Ib.
37b.  Ib.
38.   S.L. Macey, Patriarchs of Time…- Georgia Un., Atene & Londra 1987, p.48, fig.3.
39.   Wikip., s.v.OLD MAN WINTER.
40a.  Ibîd.., s.v. FATHER CHRISTMAS  opp. BABBO NATALE.
40b.  Ib.., s.v. FATHER CHRISTMAS.
41.    Ib., s.v.,SAN NICCOLO’.
42.   Mac., op.cit., p 148 fig.11.
43.   Ibîd. come alla 37b.
44.  M.Manilio (a c. di M.Candellero), Astronomicon- Arktos, Carmagnola (Cu).



                 Foto

Fig.1 

Fig.2 

Fig.3 

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 Fig.9

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Fig.11

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 Fig.13

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Fig.16 

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 Fig.17b

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 Fig.18

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 Fig.28

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Fig.38 

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 Fig.40b

 Fig.41

Fig.42 

 Fig.43
 
 
Fig.44