sabato 8 novembre 2014

KALI, LA DEA-SCORPIONE







                             Dedicato ad Elsa B., nostra madre, deceduta l’8-11-10
                             proprio mentre stavamo compilando quest’articolo.





1.  Le 4 forme animali di Kâlî -Durgâ



        Abbiamo fatto cenno in Mrigeçvara (1) dell’acquisto da parte nostra d’una particolare statuetta di metallo assai preziosa, riguardante la dea Kâlî.  L’icona difatti presenta caratteri a dir poco inconsueti, ovvero mostra il nume con uno scorpione in testa ed altri due sotto i piedi, uno per ciascuna gamba.  Nessuna meraviglia se pensiamo al fatto che Kâlî è per antonomasia la dea della morte, colei che toglie agli esseri il respiro (in data sopra indicata guardacaso lo ha tolto alla nostra cara madre…), e che l’insetto in questione per il suo venefico pungiglione ne è da molti millennî un rimando.  Ha ciò a che fare col Segno dello Scorpione inteso in senso solar-zodiacale?  Certo, questo almeno è quanto andremo a provare e la cosa ci servirà da punto di partenza per evidenziare un fatto molto piú importante: l’esistenza d’una simbologia annuale di tipo çâkta interamente teriomorfica, con paralleli iconografici pressappoco equivalenti nell’ambito d’altre culture del mondo indo-mediterraneo.  Ad es. presso la cultura egizia, inoltre quella mesopotamica o greco-romana.  Già ne avevamo accennato nell’art. testé cit., ma colà facevamo ulteriore riferimento ad una dea delle selve che col simbolismo teriomorfico ora considerato non c’entra nulla.   Da riconsiderare invece è il doppio rapporto in quel caso descritto della Kâlî scorpionica colla Durgâ tauro-cervino-antilocaprina o  tigro-leonina.
        Vi è una logica ben precisa, a nostro giudizio, in tutte queste composizioni iconografiche.  Una logica comprensibile esclusivamente ipotizzando una simbolica annuale zoomorfica, al cui interno muovevansi oltre 6 millennî fa emblemi zodiacali equinoziali e solstiziali.  Se nel suaccennato studio ponevamo in sequenza malefica la Kâlî scorpionica colla Kâlî delle Selve quali rispettivi contrassegni dei segni zodiacali dello Scorpione e dell’Aquario, che al principio del Kaliyuga eran a vicenda legati precessionalmente all’Equinozio d’Autunno ed al Solstizio d’Inverno (quindi alla discesa autunnale del Sole agl’Inferi ed alla sua parziale risalita nella metà inferiore ed oscura dell’Anno), lasciando perdere il contesto individuale nel quale 



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allora collocavamo l’intera dinamica zodiacale (al fine di dimostrare la nostra personale ascesa spirituale) ora vorremmo reperire un’altra forma della dea – questa volta in associazione a qualche altro animale – giustificante quell’accostamento apparentemente un po’ indebito.  E tale da avvalorare indirettamente la nostra tesi, cosicché le suddette due forme benefiche di Durgâ appaiano il loro naturale complemento in chiave primaveril-estiva; vale a dire, nella metà superiore e chiara dell’Anno.
        Quale animale dunque potrà mai raffigurare l’Aquario?  Nella Grecia classica il Coppiere per eccellenza, Ganimede, è talora abbinato all’Aquila oltreché al Cerchio.  Il Cerchio corrisponde simbolicamente alla Selva, tant’è che in India il fluire della vegetazione è per tradizione un’immagine del Divenire (Samsâra) ed ovviamente la suddetta figura geometrica ne è un chiaro emblema, in Oriente come in Occidente.  Di qui l’associazione di Kâlî, dea del tempo, colle Selve.  L’Aquila tuttavia non sembra sia stata mai considerata nel mondo indiano.  Il Garuda è scambiato erroneamente a volte per essa, ma i tratti che il favoloso uccello detiene nella mitologia induista lo apparentano maggiormente al grifone himalayano, o tutt’al piú all’avvoltoio.  Non direttamente all’Aquila.  Benché l’Aquila di Zeus, padre in Grecia dei 12 Dei pluviali, comporti cripticamente un riferimento astrale all’Aquario (ereditato da Ganimede) – mai rilevato da alcuno, che ne sappiamo – in opposizione al Leone eracleo.
        Non vi è alcuna prova evidente, però, che in terra indiana il Garuda fungesse da contrassegno solare dell’Aquario; a meno d’interpretare il legame dell’uccello mitico indiano col rispettivo dio della pioggia, sia questi Indra o Parjanya, alla maniera greca.  Tanto piú che Indra ha quale cavalcatura l’Elefante, che per la propria proboscide utilizzata per bere e spruzzare acqua, in effetti è un chiaro contrassegno saturnio-aquariano.  L’unica obiezione possibile a siffatta ipotesi sarebbe questa: dov’è allora nel mondo hindu il corrispettivo leonino di Eracle?  Difficile dare una risposta, perché Eracle corrisponde a Krshna; e quest’ultimo, sebbene connesso alle origini dello Zodiaco (scr.Râçicakra)(2) al pari del figlio di Zeus, in apparenza non ha mai a che fare con motivi leonini.  L’unica scappatoia alla risoluzione del problema potrebbe esser il fatto che Krshna – il primo, è ovvio, non il secondo – tra le sue numerose avventure eroiche narrate nello Harivamça (appendice a sé stante del Mahâbhârata, compilata attorno al V sec. dell’E.V.), equivalenti ai proverbiali Labôres eraclei, uccide il râkshasa leontocefalo Nikhumba come fa l’Eracle pre-mesolitico (3) col Leone Nemeo.  Quantunque tale carattere asurico, dovuto alle capacità trasformative del demone, sia spesso iconograficamente ignorato (4).  Non è il caso tuttavia di alcune altre raffigurazioni, ove la Testa Leonina tagliata è chiaramente visibile (5).
        L’impresa allude necessariamente al sacrificio compiuto dall’VIII Avatara per dar inizio al IX Ciclo Avatarico, in cui avvenne la trasformazione dello Zodiaco Solare da ottenario in duodenario; poiché il Leone, 



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che a quel tempo segnava il sorgere eliaco primaverile, in entrambi i miti (risalenti astrologicamente a quasi 13.000 anni fa) incarna il Nuovo Eone.  Cosí come quello successivo è stato incarnato dal Toro, secondo quanto si deduce dall’iconografia cinese, persiana e giudeo-cristiana (vedi Apocalisse di Giovanni).  In ogni caso il Garuda nella letteratura e nell’iconografia, essendo un veicolo vishnuita, non contrae mai alcuna relazione di qualsiasi tipo con Kâlî.  La nostra tesi è dunque da rigettare già in partenza?  Andiamoci piano!  Proviamo prima ad analizzare bene il significato della Kâlî scorpionica, poi procederemo di conseguenza, traendone gli spunti necessarî per il proseguimento del dibattito.





2.  La reale dea-scorpione e la supposta dea-aquila

        Il ritratto della dea nella statuetta metallica comprata a Khajurâho (6), che il rivenditore asseriva essere piuttosto vecchia di modellatura (ma qualcuno ci suggeriva malignamente di nascosto d’una tecnica apposita per far apparire le icone piú antiche di foggia di quanto non fossero in realtà, al fine d’un rialzo notevole del prezzo), risulta in linea cogli attribuiti consueti di Kâlî.  Vale a dire quelli d’una vecchia brutta, smunta ed emaciata.  Non per niente Kâlî è anche la dea delle streghe, ma non solo quello, come intende riduttivamente il Blondet in un suo pamphlet per altri versi assai interessante (7).  Il normale ruolo è sicuramente infero, non però forzatamente in rapporto alla stregoneria.  Il cammino infero, come si sa, è la strada che invertendo rotta – secondo il noto adagio alchemico sintetizzato dalla sigla v.i.t.r.i.o.l.u.m. – conduce alla vetta paradisiaca.
        Esiste oltretutto in campo letterario – vedi Mahâbhârata – una mûrti (gr.morfé) di Kâlî chiamata Matsyakâlî la quale, benché rarissimamente rappresentata in campo artistico, la eleva a dea aurea.  Questa Kâlî pescina (nessun riferimento ai Pesci zodiacali) designa precisamente la Rivelazione primeva, che col tempo trasformandosi in Tradizione subisce un processo inevitabile di deterioramento, a tal punto che la dea – una giovane fanciulla di bellissimo aspetto – comincia ad emanare una nauseabonda 



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puzza di pesce.  Per non parlare di Kâlî colla Tigre, assimilata evidentemente alla benevolente Durgâ.
        Osservando bene la Kâlî scorpionica in nostro possesso, ci siamo accorti d’un tratto che a ben guardare soltanto lo scorpione sul capo della figura era un insetto; gli altri due ad esser onesti erano invero dei demoni-scorpioni, corrispondenti forse un tempo in qualche testo a personaggî di un’antica leggenda.  Demoni-scorpioni sono d’altronde anche quelli che stanno sulla Porta degl’Inferi nello zodiacale Poema di Gilgameç.  Tant’è che le tavolette sumeriche sulle quali è incisa la storia dell’eroe sono 12 di numero.  Quindi, la vicenda andrebbe divisa in 12 sezioni corrispondenti al ciclo solare annuale.  Trattasi non d’un semplice e banale riferimento astronomico, cosa che avrebbe poco senso; ma piuttosto della struttura di base del classico poema sapienziale, utilizzante il simbolismo cosmologico quale trampolino di lancio verso la metafisica.
        L’iconografia indiana oggetto d’analisi, naturalmente, presenta anch’essa la possibilità d’esser inserita in un contesto simbolico annuale fungente da rimando ad una piú elevata ontologia.  Non sarà forse quella da noi evidenziata in Mrigeçvara (8), ma di certo una analoga, prossima all’ambiente çaktico.  Dicevamo su della possibilità che Kâlî abbia assunto la forma aviaria come vessillo della propria fisionomia mortifera, questa volta in senso solstizial-invernale anziché equinozial-autunnale, col compito di rappresentare il Fondo degl’Inferi nonché il movimento di risalita del Sole nel primo quarto annuale.
        A tal proposito sarà utile considerare tra le forme della devî l’evanescente Dhûmâvatî (la Fumante) aliâs Vidhavâ (la Vedova), la Settima delle 10 Mahâvidyâ (aventi funzioni gnoseologiche); raffigurata in veste di megera con in mano un setaccio ed affiancata dalla Cornacchia in quanto uccello divinatorio, che talora cavalca a mo’ di veicolo.  Una pittura moderna di stile kângrâ (XVII sec.)(9) invertendo i tradizionali colori ritrae una Kâlî bianca anziché nera (Ҫvetakâlî), ritta fra due aironi sopra uno Ҫiva nero (corrispondente a Kâla), con un beffardo corvo sporgente da un ramo soprastante. Un altro uccello in India dai significati uranio-saturnini ed aquariani è il Pavone, probabilmente facente parte una volta d’uno zodiaco duodenario totalmente zoomorfico – non è dato di sapere se in rapporto al Sole od a Giove – simile a quello cinese.  Perché simboli di questo tipo quali il Topo, la Lepre, il Drago, la Serpe od il 



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Gallo son rintracciabili del pari nella mitologia mediterranea; e, nondimeno, in quella indiana.  Sfortunatamente il Pavone od il Gallo sono veicoli di Skanda, così come il Topo lo è di Ganeça, mai di Kâlî.  Talvolta però è il suo doppione Mahâkâlî ad essere posta fra una coppia di Pavoni, benché ai lati si contrappongano pure i Leoni.  Il Pavone altresí, per via della ruota esibita durante il corteggiamento della femmina, è inscindibilmente connesso alla Mâyâ.  La Ruota, infatti, equivale emblematicamente al Cerchio.  Quindi al dominio del Saturno celestiale, dalla moderna astrologia identificato ad Urano, insomma all’Aquario.  Ecco fatto, allora!  Da notare che Avallon in base agli assunti dello Ҫâkta Âgama  ha fatto della Mâyâ-çakti un cardine dello Ҫaktismo ed in un capitolo a lei dedicato (10) ne ha splendidamente illustrato le valenze reali, nonostante i cambiamenti apparenti ai quali è sottoposta; nello Ҫâktâdvaitavâda infatti a differenza che nell’Advaitavâda çankariano la Mâyâ è concepita come l’altra faccia del Brahma, siccome principio mutevole anziché immutevole al pari di quello çivaico.  Ciò per il fatto che lo Ҫaktivâda intende Spirito, Mente e Corpo come un unicum.  Il termine Ҫakti è strettamente legato al nome Ҫiva, mentre quello di Kâlî a Kâla.  Per la verità il secondo accostamento non è mai stato sostenuto dalla critica accademica in maniera convinta.  Un noto ed erudito articolo del filologo Przyluski (11) accreditò difatti l’idea negli Anni Trenta che le due figure non fossero quelle di veri paredri, ma semmai assimilati; ottenuti storicamente nei testi per accostamento volontario od involontario di voci di diversa provenienza semantica, a causa di un’ipotetica convergenza fonetica.  Non c’è spazio né luogo quivi per disquisire opportunamente d’etimo, però abbiamo dimostrato nella nostra tesi di laurea (12) ed altrove che le cose non stanno assolutamente cosí.  Kâla e Kâlî sono vicendevolmente il dio e la dea della morte.  Provengono dallo stesso humus culturale e non son altro che uno sdoppiamento del concetto di coelum (<arc.càelum) e del corrispondente attributo applicato in senso cosmico-negativo, vale dire malefico-mortifero.  Non importa dunque stabilire se la base del termine sia indeuropea o meno, è un’altra questione.  Non per niente Kâla nella tradizione indiana, buddhismo compreso, funge da Lucifero locale; ma pur essendo una delle varie forme di Ҫiva (dio della distruzione e della trasformazione) viene annientato da Mahâkâla, cioè da Ҫiva stesso in veste eternizzante ed autosacrificale.  Quantunque non si trovi nei testi il medesimo 



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ragionamento in riferimento a Ҫakti e Kâlî, che ne sappiamo, esso è ovviamente deducibile tramite logica.  In tal caso sono troppe le icone che mostrano Mahâkâla colla rispettiva consorte, Mahâkâlî, per negare coerentemente colla succitata ipotesi che costituiscano una coppia divina.  Mentre dell’altra coppia, intramondana, le raffigurazioni assieme sono rarissime.  Personalmente ne conosciamo soltanto una del VII sec. d.C., nel mahâmandapa d’una grotta poco nota di Ellora (Grotta XXI, dedicata a Râmeçvara)(13), ove i due numi sono effigiati inconsuetamente in atto di danza e per giunta non appaiono in coito rituale come i loro corrispettivi piú elevati.  Sicché, venendo al punto, si può debitamente affermare che Kâlî e Mahâkâlî abbiano per alter-ego la Ҫakti, di cui la Mâyâ-çakti costituisce un’ulteriore specificazione in senso tardo-paradisiaco.  Donde la simbologia uranica del Pavone, in India un sostituto dell’Aquila, che fa pendant con quella marziale (Mârs> Mors) dello Scorpione.  Il completamento successivo verso l’alto in senso ciclico-annuale, tramite la figura complementare di Durgâ, è implicito e l’abbiamo già sommariamente delineato altrove (14).  Nel confronto a seguire con altre tradizioni esterne al mondo indiano avremo modo di approfondirne il contenuto.



3.  Analogie iconologiche in Egitto, in Grecia ed in America

       In un famoso libro il De Santillana e la Von Dechend (15) hanno mostrato degl’importanti omologhi della pressoché unica figura della Kâlî scorpionica da noi casualmente comprata in India nel 1988 e non presente, che ne sappiamo, in alcun museo indiano.  Le immagini da loro riportate appartengono alla dea egizia Selkis/ Selkit/ Serkit, ad una non meglio precisata dea lunare greco-fenicia equiparata ad Iside ed alla Vecchia-dea-con coda-di scorpione del Codice Tro-cortesiano maya, appaiabile peraltro ad un’altra Madre Scorpione amerinda (honduregno-nicaraguense).  Se la nostra tesi è corretta e la Kâlî scorpionica incarna realmente il simbolismo autunnal-equnoziale in rapporto all’ultima fase ciclica dell’umanità, si dovrebbero trovare in tutti questi paraggî sommariamente descritti dapprima delle icone equivalenti alla Kâlî aviaria 



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e poi altre corrispettive della Durgâ tauro-cervina, nonché di quella tigro-leonina.
        Cominciamo la nostra ricerca partendo dall’Egitto, che antichi miti indiani tramandano fosse molti millennî fa geograficamente unito al Deccan.  Senza tener conto di tale assunto, che pur per conto nostro riteniamo veritiero, va ad ogni modo sottolineato che in tempi neolitici è archeologicamente e paletnologicamente provato sia esistita una koiné mediterraneo-asianica che la scuola indomediterraneista, oggi passata di moda, ha pur dal suo punto di vista un po’ monotematico e frammentario messo in evidenza.  D’altronde stanno pian piano emergendo altri studî paralleli, sebbene tuttora parzialmente misconosciuti a livello accademico, che mostrano relazioni una volta ritenute impossibili tra il mondo al di qua ed al di là dell’Atlantico.  Sicché appare lecito, almeno a livello teorico, congetturare un’ulteriore parentela di natura simbolica tra le due lontane sfere culturali.  Vogliamo anzi andar oltre, sí da dimostrare la quasi perfetta omologabilità della suddetta koiné asiano-mediterranea colla sfera culturale atlantica.  Nell’iconografia egizia troviamo delle forme della grande dea Iside strettamente apparentabili alle çakti induiste summenzionate.  A parte la funeraria dea Selkis, in un bassorilievo del sarcofago di Ramsete III (XX din.) ora al Louvre (16) abbiamo infatti un’Isis inginocchiata con Ali d’Avvoltoio al pari di Ma’at (alternativamente ella possiede in un’altra icona il Vaso); per non parlare della piú frequente Hathor con Corna o Testa di Vacca, cingente il Disco Solare (la dea è in rapporto ad Horus)(17), o di Sekhmet/ Sakhmis con Testa di Leone (18).  Talora Hathor e Sekhmet hanno l’intera fionomia zoomorfica.  Quando è Iside medesima ad aver corna vaccine, benché l’iconografia sia pressappoco la stessa di quella di Hathor, è possibile cinga il Disco Lunare.
        Non abbiamo mai visto Artemide associata allo Scorpione, a meno che sia lei la dea greco-fenicia di cui sopra equiparata ad Iside, e del pari  Diana.  Ad ogni modo le Serpi alle quali talora s’accompagna Hecátê (il dott.Albrile ha notato in proposito una parentela etimologica del nome col scr.Ҫakti), doppione di Artemide, lo sostituiscono degnamente; dato che in cielo, com’è noto, l’asterismo del Serpente trovasi presso lo Scorpione.  Ecco perché anche Kâlî, seppur raramente, ha talvolta in mano la Serpe (19).  Inoltre, in una delle varie versioni della storia della punizione di Orione da parte di Artemide viene inviato quale emissario della dea lunare proprio lo Scorpione, che può 



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anche in senso lato esser inteso come una faciês del nume.  Circa le rare forme aviarie della dea greca si veda la raffigurazione alata di Ártemis Orthía, fra 2 Uccelli, in una placca d’avorio spartana dell’VIII sec. a.C. (20).  Quand’è sostituita in codesto suo ruolo infero da Hecate, non meno di quanto succede a volte alla Devî hindu in veste escatologica (21), la troviamo in compagna del Cane (ennesima allusione solstizial-aquariana); il quale non è lo stesso però che ella tiene per le gambe colla mano destra allorché ha il Cervo sulla sinistra (22), per allusione rispettivamente alle posizioni primaverili di Sirio ed Orione.  È una bestia infera, equivalente a Cerbero, impiegata per guidare le ombre di trapassati.  Come tale s’oppone al sembiante solar-estivo e celestiale d’Artemide reggente 2 Leoni (23).
        A congiungere infine l’asse asiano-mediterraneo fra l’India e la Grecia sommariamente delineato vanno inserite, per quanto concerne la Mesopotamia nel suo insieme, altre figure parallele: un’indecifrata e nuda dea-scorpione – probabilmente l’infera Ereçkigal, paredra di Nêrgal (Marte) – d’un sigillo cilindrico babilonese in ematite (Ur, di difficile datazione), ov’è seduta a terra a gambe divaricate similmente ad una gorgone greca (24), ma viene riprodotta in piedi in altro sigillo (iniz. del II mill. a.C.)(25); poi in funzione aquariana la mortifera ed alata Lilith di un’incisione assira su avorio (Kalakh, iniz. del I mill. a.C.)(26), un millennio prima scolpita in una terracotta sumerica sempre nuda ed in piedi, ma disposta fra 2 Civette e 2 Pantere oltreché con 2 Cerchî e 2 Bastoni in mano (27); indi la cornuta signora sumerica della montagna e dell’abbondanza Ninkhursag, scolpita in un vaso cultuale (Lagash, I metà del III mill.)(28) e consorte del dio-toro, cui è talvolta affiancata; ed alfine il simulacro litico assiro d’Içtar, ritta su Leone (Til-Barsib, VIII sec. a.C.)(29).  Tutte icone, in definitiva, che per la loro eterogeneità culturale e la collocazione protostorica farebbero stropicciare gli occhi a qualsivoglia accademico; ma si evince indirettamente dal nostro collage, affastellato alla bell’e meglio, che la tematica ivi presa in considerazione non era estranea neppure alla civiltà mesopotamica nel suo insieme.  Del resto la cultura accadica ed assiro-babilonese s’è abbeverata in lungo ed in largo alle fonti della mitologia sumera.  Quindi è logico che certi culti si siano trasmessi nel tempo, pur essendo venuti meno i presupposti cosmologici che li giustificavano sul piano astrale.  Esattamente com’è accaduto in India ed in altre terre.



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        Per le civiltà amerinde il discorso ovviamente si fa piú complesso, data la diversità d’impostazione iconografica rispetto all’Eurasia.  Inoltre, come si può ipotizzare analogie iconologiche prima d’aver mostrato l’eventuale comunanza d’idee di carattere cosmologico?  Rilevare analogie di questo tipo non è l’esatto compito che ivi particolarmente ci prefiggiamo, tuttavia basterà dar un’occhiata agli studî di Raphaël Girard sui Maya-quiché per convincersi che codeste analogie sussistono veramente, non sono frutto di nostre personali fantasie mitologiche.  Un problema reale è però il fatto che lo Zodiaco amerindo non corrisponda se non in minima parte a quello indo-mediteraneo.  Solamente la costellazione dello Scorpione, con meraviglia di V. W. von Hagen (30), pare fosse la medesima.  E ci sarebbe da riflettere a lungo su siffatta circostanza, che in ogni caso sembra piú verosimilmente un rimando alle origini della civiltà atlantidea che non al corrispettivo amerindo del Neolitico eurasiatico.  Ma se il trascorrere delle età ha portato lo Scorpione nell’arco di c.13.000 anni dal P.V. ad una posizione ciclicamente opposta c.6.500 anni fa, non è possibile che di questa come dell’altra posizione astrale si sia tenuto conto da parte dell’astrologia amerinda?  Ci rispondiamo da soli: è possibile, perché no?  A dimostrazione della validità del nostro ragionamento rimangono la Vecchia-dea-con coda-di scorpione del succitato codice maya e l’equivalente Madre Scorpione honduregno-nicaraguense.  Piú difficile sarà invece, per la ragione già specificata, reperire immagini di dee equivalenti alle altre prima delineate.  Non essendo la cornacchia, il pavone, il toro, l’antilope, la tigre od il leone animali che abbiano mai vissuto sul suolo americano sarà evidente che dobbiamo aspettarci bestie simbolicamente equivalenti in loro vece.  Sempre che la nostra tesi sia veridica.  Insomma dee con contrassegni aviarî, bovini e felini differenziati rispetto a quelli prima esaminati, ma non troppo.
        Ecco allora che, senza andar troppo lontano dalle nostre fonti iconografiche, tramite una terracotta messicana c’imbattiamo effettivamente in un’ignota dea con ali probabilmente di rapace (31) similmente alle dee aquariane euroasiatiche già analizzate.  Nel Codex Borgia, compilato presumibilmente prima della conquista spagnola del Messico, si rinviene inoltre una paradisiaca signora azteca della primavera con corna fiorite e dimezzate di cervide; è Xochiquetzal, sorella gemella di Xochipilli, ritratto nello stesso codice come lei con corna cervine(32).  La dea-cerva è tematicamente 



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apparentabile alla Donna del Piccolo Bisonte Bianco (White Buffalo Calf Woman)(33) dei Nativi Americani, versione femminea dell’analogo Spirito del Bisonte Bianco (34); dato che gli asterismi di Orione e di Aldebaràn venivano assimilate fin dai tempi neolitici, forse come semplici costellazioni altrimenti denominate e non in quanto parte d’un calendario lunare di cui nell’America Pre-colombiana non s’è ancora rinvenuta traccia, alla costellazione del Toro.  Ciò però presume, per forza di cose, la presenza durante i tempi neolitici in terra amerinda d’uno Zodiaco solare (e probabilmente anche lunare, in parallelo) analogo a quello che conosciamo nel mondo euroasiatico.  La qual cosa testimonierebbe, indirettamente, che dei contatti culturali debbano essere avvenuti fra le due sponde dell’Atlantico – in base anche a quanto suggerito da Platone – anche dopo lo sprofondamento parziale dell’Atlantide.  Non c’è via d’uscita.  D’altronde le testimonianze in tal senso, fino ad epoca romana, sono sempre piú numerose; tanto che si potrebbe ipotizzare una non-discontinuità, almeno a livello segreto di confraternite, fra gli antichi viaggî (egizi, greco-latini e celtici) e quelli medievali (Vichinghi, Templari), fino alla scoperta <ufficiale> dell’America da parte di Cristoforo Colombo.  Un’altra dea azteca (Itzpapalotl) possiede zampe di giaguaro, ricordando da presso la dea lunare maya Ixchel, dalle orecchie di giaguaro, e la dea-giaguaro dell’Amazzonia denominata Ararí (35).  Forse anche Xochiquetzal aveva forma felina, visto che il gemello Xochipilli presenta talora nel contempo corna cervine e aspetto di giaguaro.  È probabile comunque che ogni dea menzionata ed il dio corrispondente rientrassero una volta nell’ambito d’un quadro ora disperso di 2 o 4 divinità, ciascuna dotata d’una caratterizzazione zoomorfica e rispecchiante da un lato una o due delle fasi lunari mensili e dall’altro le equivalenti fasi solari annuali.  Ad es. Ixchel nel Codice di Dresda ha in testa una Serpe di valore scorpionico ed in mano un Vaso di valenza aquariana (36).  Xochipilli, invece, possiede nel contempo oltre alle corna una veste da felino.
        Se alcune divinità tipo il Mithra-Nergal parto-mesopotamico dispongono di connotati ambigui come le Corna Taurine e nel contempo lo Scorpione (vide Hatra, II sec. d.C.)(37) è per via dell’abbinamento Vita-Morte, data in termini zodiacali dall’asse Toro-Scorpione, un tempo indicante paradigmaticamente l’ascesa e la caduta del Sole nelle due metà equinoziali annuali.  Non per niente in greco il termine zóê significa “vita”, dal vr.záô (vivere).  In India troviamo del pari un corrispettivo dimorfismo nello 



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Scorpione dell’esercito di Yama contrapposto all’Antilope di Vîrabhadra (entrambi allotipi di Ҫiva) in una versione moderna del Mârkanda-moksha, le due forze in campo combattendosi onde favorire a vicenda il Male od il Bene (38).  Quando la contrapposizione si fa di natura piú elevata, vale a dire fra Cielo ed Inferno, è l’asse Leone-Aquario ad esser contemplato; cioè le due metà solstiziali, attinenti all’annientamento totale alternativo nella Tenebre o nella Luce.  Può capitare, viceversa, che si  consideri le metà annuali in relazione ad entrambi gli assi ed allora si abbiano da una parte i due quarti stagionali negativi (Scorpione-Aquario) incarnati da un’unica figura (Kali, Hecate ecc.), dall’altra i due positivi da una figura opposta e complementare (Durga, Artemide ecc.).  Spesso succede di trovare tutti e quattro gli emblemi uniti, a formare sfingi o tetramorfi; ma non sempre essi vengono rappresentati in maniera composita (vedi in India gli yugânta ed il Toro del Dharma), od interamente composita (vedi in Egitto la Sfinge di Cheope).  Il Nergal di cui sopra è in realtà un tetramorfo composito, giacché oltre agli emblemi dello Scorpione e del Toro possiede anche quelli dell’Aquario e del Leone, avendo al fianco un Cane tricefalo ed essendo Leontocefalo.  Altrettanto si può dire del demone assiro-babilonese Pazuzu, ritrovato su una placca mesopotamica d’incerta datazione; visto che oltre alla coda scorpionica ha ali d’uccello, corna taurine e testa leonina.  In certi casi invece si ha addirittura la riduzione dei 4 attributi a 3 soltanto, come accade in India in un diverso contesto coi colori dell’Unicorno od in Grecia colla Chimera.  Oppure ai 4 se ne aggiunge ancor 1 di valore quintessenziale.  Cfr. il Toro di Assur a 5 Gambe – altro es. d’arte non composita – o le 5 forme originarie a colori di Târâ (Stella): Nera, Verde, Bianca, Rossa e Blu; l’ultima delle quali posta polarmente al Centro, in rapporto alla S.Polare.
        Târâ è mitologicamente la II Mahâvidyâ, un’emanazione di Kâlî.  Il simultaneo riferimento lunisolare delle altre 4 forme di costei è scontato.  Lo troviamo anche per le omologhe 4 dee in Mesopotamia ed in Grecia, in Egitto e nell’America Precolombiana.  Trattasi infatti dei 4 fondamentali colori alchemici, postulanti cosmologicamente ed ontologicamente l’ascensione esteriore ed interiore verso la Luce.  Oggidí tuttavia le 5 forme di Târâ sono scomparse nell’induismo, rimanendo un’unica Târâ anonima, senza piú riferimento ai varî colori (39).  Tanto che si potrebbe dubitare siano mai esistiti.  Personalmente però, concordiamo colla tesi di M.Eliade che Târâ 



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rappresentasse un tempo l’aspetto originario della Gran Madre indiana venerato dagli autoctoni del Deccan e che costei rientrasse nel novero d’una vasta serie di divinità femminili afro-asiatiche.  Secondo noi addirittura il concetto sarebbe da estendere al Mediterraneo e all’America Precolombiana, come abbiamo ivi ed altrove cercato di dimostrare.  Siamo dell’opiniuone anzi, estrapolando dal contesto, che esso si rifaccia ad una mitologia ermetico-atlantidea ormai scomparsa, di cui costituisce  visibilmente l’eredità frammentata e riordinata per aggiornamento ai tempi.  Bisogna ad ogni modo tener presente che nel passaggio di Târâ dall’induismo al buddhismo mahayanico le cose sono mutate rispetto a prima, poiché in ambiente cinese s’è dovuto tener conto dei 5 Agenti della cosmologia taoista.  Gli Agenti, volgarmente chiamati in Occidente anch’essi “Elementi”, sono invece qualcosa di diverso rispetto agli Elementi della cultura indo-mediterranea od afro-amerinda.  Visto che sono cosí elencabili in relazione alle varie corrispondenze, se è vero che i Misteri Tantrayanici debbano necessariamente equivalere –  nel fine pur se non nel metodo – a quelli Tantrici: Fuoco (Rosso, Ovest), Legno (Verde o Marrone, Nord), Acqua (Blu, Est), Terra (Sud, Giallo) ed Aria (Centro, Bianco).  Tal Centro ha visibilmente un significato diurno-zenitale (solare) anziché notturno-stellare (polare) come il precedente.  Dato che ad ogni Târâ corrisponde un dhyânibuddha (Buddha meditativo), emanato dall’Âdibuddha (il Buddha primevo, insomma il Primum Numen), incontriamo dapprima una T.Rossa, (Kurukullâ = Dea della ricchezza)(40), presiedente all’Ovest ed emanazione di Amitâbha; poi una T.Verde (41) o Marrone (Ҫyâma)(42), emanata da Amogasiddhi; indi una T.Blu (Ekajatâ = ‘Colei che ha uno chignon’)(43), çakti di Akshobhya; una T.Gialla (Brikutî = ‘Aggrottante le ciglia’)(44), derivata da Ratnasambhava.   Infine una T.Bianca (Ҫukla o Sita )(45), proveniente dal solare Vairocana, primo dhyanibuddha e connesso all’Aum.
        Sulla dea-scorpione in generale, siccome dea della morte in senso iniziatico o no e punto iniziale della qui presente analisi, bisogna aggiungere qualcosa a titolo di chiusura.  La morte secondo gli antichi non era semplicemente il frutto materiale d’una decomposizione di materia organica, bensí la restituzione al cosmo di quanto s’era ottenuto al principio della vita tramite la nascita.  Se nascendo gli esseri tutti ricevevano influssi regolanti la loro esistenza, scomparendo subivano un processo inverso; cioè, 



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emanavano efflussi captati automaticamente dalle loro fonti celesti.  In altre parole, divenivano raggî del Sole zodiacale.  Da notare che persino per la scienza contemporanea i corpi animali in via di decomposizione col loro sistema nervoso centrale trasmettono onde elettromagnetiche disperdentisi all’indefinito.  Vi è comunque nell’iconografia hindu un aspetto supremo di Kâlî che va oltre la funzionalità della comune dea nera – questa l’ulteriore accezione del nome – in senso demiurgico ed infero, ma supera nel contempo pure l’aspetto principiale di Mahâkâlî annientante la medesima; ovverossia l’icona che come in una statuetta di rame del XVII-XVIII sec. (46) la raffigura nell’atto di smembrare il suo paredro çivaico, sí da cibarsene, affermando cosí crudamente l’inarrivabilità della Non Manifestazione (Avyakta).  In tal caso evidentemente Kâlî assume la veste suprema di Aditi, cioè “Illimitata”.

                                                                                              Giuseppe Acerbi



                                                  Note


1)           G.Acerbi, Mrigesçvara. Ricognizioni su un’eccezionale icona del tempio di Pâçupatinâtha in Nepâl- Alle pendici del Monte Meru (10-05-14), p.8.
2)           Lo Zodiaco Solare ottonario o duodenario è associato in India anche ad una mûrti di Vishnu formata da una figura umana, al centro d’un disco a 16 (8x2) o a 12 Raggî, denominata Sudarçana-purusha (‘Persona-bella a vedersi’). Essa è lo sviluppo tardo-medievale (la piú antica immagine è un bronzo del XIII sec. rintracciato in una coll.priv. di Bombay) del Cakra-purusha, la semplice personificazione di una delle 4 armi del dio Vishnu.  Cfr. W.E. Begley, Viu’s Flaming Wheel: the Iconography of Sudarśana-Cakra- N.York U.P., New York 1973, P.I, Cap.II, p.66 e fig.46.  Talora il Cakra è aniconico, come si deduce dalle figg. 77-8 (comm. nella P.II, Cap.II, pag.91).
3)           La simbologia duodenaria delle ‘Fatiche’ mostra chiaramente che prima di essa ne vigeva una di tipo ottonario.  Per un approfondimento della questione cfr. G.Acerbi, Il Re Pescatore e il Pesce d’Oro. Aspetti della Rivelazione Primordiale- Quaderni di Simmetria- Roma (riprogram. per il 2015), Cap.VI, §i.



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4)           Per qualche esempio di tali rappresentazioni vedi P.Banerjee, The life of Krishna in Indian Art- National Mus., N.Delhi 1978, Cap.II, pp. 36-7, con rimando alle figg. 209 e 211.  
5)           Ban., op.cit., fig.210.  
6)           Ibid. come alla 1.
7)           M.Blondet, Gli «Adelphi» della dissoluzione. Strategie culturali del potere iniziatico, Milano 1994, passim.  Altrettanto si potrebbe dire per Çiva, che non è solamente il dio della dissoluzione, ma anche dello Yoga e in genere dell’ascetismo; poiché la dissoluzione, cosí come la creazione, ha doppia faccia (positiva e negativa).  Blondet è un autore sicuramente informato, piú di altri, ma nelle sue indagini culturali dimostra a volte una superficialità tipica del mondo giornalistico.  Non riesce ad uscire dagli schemi cattolici, tutto quello che va al di là di questi appare ai suoi occhi come satanismo.  Per certi versi ricorda M.Introvigne, entrambi appoggiandosi al Del Noce; vi sono idee in entrambi gli autori che possono essere pienamente condivise, ma altre no.  Da parte di ciascuno dei due si può notare un accanimento particolare contro Guénon, in sostanza tacciato di poca serietà nonostante l’apparente rigore formale.  Ciò, in aggiunta all’ossessione filo-cattolica, è uno degli aspetti meno convincenti della loro analisi. 
8)           Ibid. come alla 6.
9)           A.Mookerjee, Kali. The Feminine Force- Thames and Hudson, Londra 1988, p.76, tav.XIV.  
10)      A.Avallon, Shakti e Shakta- Mediterranee, Roma 1978  (Shakti and Shakta. Essays and Addresses on the Tantra Shastra- Ganesh & C., Madras 1918), Cap.XVIII sgg.
11)      J.Przyluski, From the Great Goddess to Kâla- I.H.Q. (Vol.XIV), 1938 (rip. 1955, Caxton P., pp. 267-74).
12)      G.Acerbi, Kâlacakra, la Ruota Cosmica- Venezia 1985 (rel. Prof. G.G. Filippi), 2 voll., P.I, Cap.I sgg.
13)      K.V. Soundara Rajan (a c. di), Cave Temples of the Deccan- Archeological Survey of India, N.Delhi 1981, Cap.VIII, p.82 e tav.XXVIII.
14)      Ibid. come alla 8.
15)      G. de Santillana & H. von Dechend, Il Mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo- Adelphi, Milano 1983 (Hamlet’s Mill. An essay on myth and the frame of time- Gambit, Boston 1969), Cap.18, p.294; Cap.22, p. 353; App.39 II, p.500 e figg. 28-30.
16)      A.Morelli, Dei e miti, enciclopedia di mitologia universale- Eli, Torino ? (d. d’ediz. n.c.), p.291, coll. a-b,fig. n.num.
17)      Mor., op.cit., a fr. di p.268, tav.XVIII.



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18)      Mor., cit., p.442, col.a, fig. n.num.
19)      Mook., op.cit., p.93, tav.XV.
20)      E.Neumann, The Great Mother. An analysis of the archetipe- Princeton U.P., Princeton 1955, p.274, fig.63.
21)      Mook, op.cit., p.75, tav.XIII.
22)      Mor., op.cit., p.64 supra.
23)      Neum., op.cit., tav.125.
24)      Neum., cit., Cap.Dieci, p.138, fig.23. a-b.  Cfr. colla figura della Gorgone: ibid., tav.80.
25)      P.Tacchi Venturi & G.Castellani (a c. di), Storia delle Religioni- Utet, Torino 1971, Vol.II, p.101, ill.n.num. (supra, dextra).
26)      A.Parrot, Gli Assiri- Rizzoli, Milano 1970, P.II, p.258, fig.330.
27)      Neu.,op.cit., tav.126.
28)      A.Parrot, I Sumeri- Rizzoli, Milano 1960, Cap.III, p.138, fig.167/b.
29)      Par., Gli As., P.I, Cap.I, p.76, fig.85.
30)      In uno dei suoi libri sui popoli precolombiani, fonte purtroppo dispersa.     
31)      Neum., op.cit., tav.52.
32)      On line.
33)      Ibid.
34)      Ib.
35)      Queste informazioni sono reperibili on line.
36)      Neum., op.cit., p.189, fig.45.
37)      Ghirshman, Arte Persiana. Parti e Sassanidi- Rizzoli, Milano 1962, P.I, Cap.I, p.86, fig.98
38)      G.Jouveau-Dubreuil (trad. da A.C. Martin), Iconography of Southern India- Bharat-Bharati, Vanarasi 1958, tav.5.
39)      . 
40)      S.K. Saraswati, Tantrayâna Art. An Album- The Asiatic Society, Calcutta 1977, p.219, tav.215
41)      L.Lizhong, Buddhist Art of the Tibetan Plateau- Joint Pubbl.Co., H.Kong 1988, p.225, tav.432.
42)      Lizh., op.cit., p.258, tav.271.  
43)      On line.
44)      Sar., op.cit., p.124, tav.236.
45)      Lizh., p.224, tav.428.



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46)      Neum., op.cit., tav.66.




                                                    Illustrazioni

 
 1.  lî in forma di dea-scorpione


 
 2.  Matsyalî ossia lî in veste paradisiaca


 
    3.  Dhumavatî, signora della vacuità ineffabile 



   4.  Mâyâvatî, con Vaso, Pavone e Gemme di Loto


 
                                                 5aSelkit, collo Scorpione sul capo


5b. Hededet, dea-scorpione minore

  6.  Isis, con Ali d'Avvoltoio


 
                                7.  Hathor, con Corna Vaccine e il Disco del Sole


 
 8.  Sekhmet Leontocefala


      9.  Dea-scorpione siro-fenicia, forse Artemide


    10.  Artemis Orthía fra 2 Civette


11.  Artemis Alata, con Cane e Cervo

   12.  Artemis Alata, con 2 Leoni


 13.  Dea nuda babilonese collo Scorpione al fianco

            14.  Lilith, con ali di Civetta

15.  Ninkhursag, dea cornuta sumera circondata di fronde arboree
 come nume della primavera

16.  Içtâr, dea babilonese, ritta su Leone


     17.  Dea-scorpione maya



    18.  Ignota dea alata messicana

19aXochiquetzal e Xochipilli con Corna Cervine fiorite

 
20a.  Donna pellerossa del Piccolo Bisonte Bianco

 
 20b.  Spirito pellerossa del Bisonte Bianco

21.  Xochipilli, simultaneamente con Corna Cervine e aspetto di Giaguaro

 
22.  Yama collo Scorpione per insegna combatte contro Vîrabhadra,
 avente per insegna lo Mriga

23.  Mithra-Nergal Tetramorfo
 (con Scorpione, Cane Tricefalo, Corna Taurine e Testa Leonina)

 
24.  Pazuzu, demone babilonese tetramorfo
 (con Coda Scorpionica, Ali d'Uccello, Corna Taurine e Testa di Leone)

 
                  25.  Kurukullâ o Tara Rossa

           26a.  Ҫyâma-târâ o Tara Verde

           26b.  Id. o Tara Nera

         27.  Ekajatâ o Tara Blu

 
           28.  Brikutî o Tara Gialla

         29.  Shukla-târâ o Tara Bianca

30.  Kâlî divora Ҫiva in un pasto metafisico