sabato 14 novembre 2015

MAGIA E FASCINO DELL'EROS INDIANO



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         Narra il Mahâbhârata che in principio il matrimonio non esisteva, i rapporti sessuali degli uomini assomigliando a quelli degli animali.  Un giorno però, allorquando un giovane ricevette un amico nel proprio abitacolo e l’ospite chiese d’adagiarsi colla madre dell’ospitante, questi si seccò; il padre, rimproverandolo della scortesia, gli ricordò che quello era un costume atavico e andava rispettato.  Analogo costume, si sa, era in vigore presso gli Eschimesi prima del loro ingresso nella contemporaneità.  Ma il giovane, essendo rimasto deluso dal comportamento paterno, affermò spazientito: – D’ora in avanti si farà il matrimonio!  Una tautologia questa tipica della spiegazione dell’origine delle cose nelle società tribali.  Sta di fatto che in India sono stati celebrati ritualmente in passato 5 tipi di riti nuziali, come attestato nel Mhbh.- xiii.44, ogni suddivisione quinaria dipendendo da un Mahâyuga; il piú arcaico di essi era quello gandharvico (gandharvavivâha), di natura celestiale.  Il Manu- iii. 32 aggiunge in proposito: “L’unione d’una giovinetta con un giovane (in Oriente la minor età non ha mai contato, questa è un’ossessione tipica dell’Occidente moderno), risultante da un reciproco voto, è detta il matrimonio dei musici celesti: nata dalla passione, ha per meta i piaceri dell’amore.” Forse potrà apparire una contraddizione, tuttavia la base di codesto rituale era rappresentata dalla reciproca fedeltà fra i due partner, fedeltà che una volta venuta meno annullava ipsô factô la loro unione.  Il matrimonio veniva celebrato a cielo aperto, di notte presso un fuoco, collo sposo additante alla sposa quale esempio nuziale di comportamento femminile Arundhatî (consorte di Dharma o di Vasiha, oppure dei Saptai); dea d’una minuscola stella dell’Orsa Maggiore (Alcor), evidentemente presa a modello d’immutabilità dei sentimenti amorosi.  Quale delle due situazioni, l’eros sfrenato o l’assolutà fedeltà coniugale, era dunque la condizione primaria umana?  Nel corso dell’articolo cercheremo di mostrare, a costo d’apparire irrazionali, che lo erano entrambe.



a.  L’eros quale piacere fisico e metafisico

         Nel 1988, sei mesi dopo la morte prematura di nostro padre, avemmo modo di viaggiare per la giungla indiana alla volta di Khajurâho, sede dei piú famosi templi erotici indú (XI sec.).  A quel tempo percepivamo l’amore virgilianamente, cioè in senso generativo e direttamente connaturato col suo principio opposto, la morte.  Frutto di questo connubio di pensieri positivi e negativi fu, un decennio dopo, un nostro scritto sui rapporti fra Desiderio e Morte (1); che ricevette qualche critica a livello etico da parte di un’amica mediattivista, pensando fosse frutto di chissà quali oscure pratiche tantriche.  Niente di tutto questo, era stato semplicemente uno studio teorico, sebbene ammettiamo d’aver ricevuto nel viaggio cui abbiamo fatto cenno la dîkâ direttamente da Mgeśvara, forma kaliyugica di Śiva-Pâśupati.  Quel tipo d’iniziazione che vien concessa straordinariamente ai cd. ‘solitarî’.  Una l’avevamo ricevuta oltre un anno prima tramite l’emissario d’un guru indiano, poi personalmente identificato a Kalki.  Soltanto ciò ci aveva reso strettamente competenti in materia.  Rammentiamo soltanto a nostra eventuale discolpa che il vivere idealmente una catabasi passando per strade immonde, poi procedendo ad un’anabasi per sentieri mondi, costituisce interiormente per gl’indiani (buddhisti compresi) e per la mentalità antica in genere un’esperienza realizzativa efficace.  E non un surrogato dell’esperienza diretta.  Anzi, forse piú efficace per lo sviluppo interiore d’una vita pratica dispersiva trascorsa fra alterne vicende d’edonismo ed ascesi.  Caratteristica è in tal senso la storia di quei poveri novizî che, giunti in un santuario mahayanico, furono spronati dal maestro ad andar a caccia delle fate di montagna per violentarle.  I giovani monaci, ancora ripieni in cuor loro di desiderî mondani, si slanciarono subito all’assalto di quelle fantastiche creature; ma a sera, ahinoi, tornarono stanchi e delusi.  Il maestro allora fece loro sapere, con un gran sorriso, che le femmine da violentare erano le loro menti e i novizî furono costretti ad imparare la lezione.  Né diversamente ragionava l’autorità cristiana dei primi secoli, che diversamente da oggi non faceva del moralismo gratuito.  Allorché un prete chiese al suo vescovo come doveva comportarsi nell’approccio alle cose divine, questi gl’ingiunse di bramarle senza ritegno, non meno di come desiderava le cose sconvenienti.  Dunque, chiarito questo punto da non sottovalutare, procediamo a raccontare la nostra catabasi in quel di Khajuraho; in mezzo a templi dedicati alle piú vaste esperienze erotiche, dal normale rapporto di coppia alle piú svariate e parossistiche perversioni.  Almeno cosí oggi le percepiamo, ma non è detto che tali apparissero agli architetti edificanti i templi o agli scultori che ne plasmarono le sacre icone.  Poiché di sacralità trattavasi pur sempre, non dobbiamo dimenticarlo, anche in un contesto in apparenza prepotentemente frivolo.  Andiamo con ordine.  Il lungo viaggio in bus, che in mancanza di treno – a meno d’un volo nell’aeroporto improvvisato nel ’58 per turisti anziani, danarosi e frettolosi – portava non a caso in mezzo alla giungla (evidente immagine d’una natura incontaminata, oseremmo dire semiparadisiaca), si snodava per paesaggî incredibilmente fascinosi; fatti di valli e colline rammentanti da presso gli sfondi idillici della poesia e della pittura krishnaita, con costruzioni diroccate che potevano nascondere la presenza d’animali selvaggî quali la tigre o il serpente.  Sembrerà banale confessarlo, ma da quel viaggio ci aspettavo avventure erotiche meravigliose.  Non eravamo gente da grandi alberghi o da turismo sessuale sporco.  Ci aspettavo comunque esperienze straordinarie, addirittura magiche.  Avevamo letto su Playmen al tempo del militare, ritardato per via del corso di Medicina e Chir. presso l’Univ. di Torino nella prima metà degli Anni ‘70, che un tale avventuratosi in un luogo selvaggio ed imprecisato del Deccan era stato invitato da una giovane sacerdotessa della dea Kâlî ad un incontro erotico speciale con lei in una grotta a lume di torcia.  Il tale anonimamente asseriva che il coito rituale da lui avuto su un rozzo altare litico colla sacerdotessa nuda gli era parso piacevolissimo ma estenuante ed interminabile, sino a svenimento.  Ripresi i sensi, s’era ritrovato solo e stordito fra l’acre odore d’incenso ed i fiori sparsi qua e là in onore della dea, non sapendo donde fosse finita la sua compagna di coito. Il fatto era credibile e perfettamente comprensibile, dato che le seguaci del tantrismo sono state da sempre addestrate fisiologicamente ad utilizzare nell’amplesso i muscoli vasocostrittori vaginali per impedire l’eiaculazione del maschio e prolungare il piacere.  Lo sforzo del maschio onde arrivare all’orgasmo produrrebbe in tal modo in lui una sorta di orgasmo continuato, simile a quello multiplo delle femmine, ma non adatto evidentemente ai deboli di cuore.  Purtroppo non ci capitò nulla di tutto questo, sebbene col senno del poi riconoscemmoi che simili pratiche avrebbero potuto arrivare alla decapitazione mediante spada rituale del malcapitato ed offerta susseguente alla devî del capo insanguinato.  L’unica fortuna per i turisti spregiudicati era che le devote di Kali ritenevano gli stranieri impuri e quindi inadatti al sacrificio supremo.  Era bastato alla giovane sacerdotessa, se ci è concessa una battuta, ricondurre il partner ad un paradiso terreno...  Ciò ci consente di chiarire un ulteriore punto: a differenza d’altri tipi di yoga, il Tantra dava la possibilità all’adepto (sâdhaka) d’ottenere l’Unione (Yoga) col Divino (Śiva, Viu o Śakti in base ad una delle tre vie scelte) senza trascurare il Piacere (Bhoga).  Come surriferito, per il sâdhanâ (contatto sessuale nell’ambito tantrico per ottenere quale scopo finale la liberazione dal desiderio) era irrilevante – esattamente come capitava una volta agli shamani d’ogni contrada – che il sadhaka avesse rapporti fisici o mentali nella seduta tantrica.  Nel primo caso la donna oggetto di piacere (tantrikâ), che non poteva esser in nessun modo la moglie del sadhaka, veniva immaginata quale incarnazione d’una dea ovvero un ostacolo da superare per arrivare alla perfezione interiore.  Nel secondo si procedeva all’unione interna della Śakti-kualinî con Ðiva attraverso i Sette Cakra.   La Perfezione (Sâdha) non è alcunché d’asettico, bensí l’ottenimento di quello stesso Amrta – termine che fonde assieme i concetti d’Ambrosia, Amore ed Immortalità – caro al Veda.  Benché il punto di vista vedico non contempli alcun sforzo unificante, ma si limiti a vanificare le illusioni (Mâyâ) tramite tecniche meditative ad un fine liberatorio (Mukti).  Quanto surriferito non può che esser impreciso, se è vero che ogni via esige una diversa attitudine.  Lo Śaiva per sua natura è piú portato a sfruttare il terreno mentale (dakiâcâra), mentre lo Śâkta quello fisico (vâmâcâra); in modo indifferente il vaiava (uttarâcâra), dal momento che anche i krishnaiti hanno a loro volta praticato riti tantrici, ma non necessariamente gli altri vishnuiti.  E diversa è la condizione della donna rispetto all’uomo, indipendentemente dalla via seguita.  La nostra visita a Khajuraho s’è conclusa in modo insoddisfacente, visto che poi siamo finiti moribondi e paralizzati a Satanâ (hin.Satnâ) sulla via di śi (lett.‘Sole’, antico nome di Benares), ove è cominciata la nostra risalita.  Ciò che c’era rimasto impresso dall’osservazione delle sculture erotiche si rivelò utile in ogni caso ad avviare la nostra aanabasi, culminante in un tempio naturale shivaita sulle cime himalayane.  Di ciò abbiamo parlato già su questo blog in un articolo appositamente dedicato a Mgeśvara, concernente il Nepal ed in particolare il tempio di śupatinâtha, pochi kilometri fuori della capitale.  Ora ci limiteremo a considerare il simbolismo di Kâma, dio del desiderio.             



b.       I misteri dell’Eros

         Il Kâmasûtra di Vâtsyâyana Mallanâga (IV sec. d.C.) ed il Kâmaśâstra (c.XVI sec.) di Kalyâna Malla, contrariamente a quanto si possa ritenere in Occidente, non fan parte della tradizione vedica.  Sono stati riscoperti in epoca contemporanea.  L’uno appartiene alla letteratura erotica dei primi secoli dell’E.V., influenzata dal prestigio delle corti vishnuite (soprattutto i Gupta), la quale si sviluppa dal bisogno della decadente aristocrazia e della nuova borghesia di pianificare i rapporti coniugali.  Piú che da un atteggiamento realmente aristocratico proviene da un atteggiamento eroico (ârya) ed antivirile, in cui la donna pur non assumendo la parte di dominatrice ha di necessità un ruolo preponderante.  L’altro è un trattato riassuntivo a posteriori.  Destinatario d’entrambi era il nâgaraka, ossia il dandy cittadino.  Le 4 categorie di maschî e femmine disciplinate da siffatta letteratura – razionalizzandola un poco – sono invece autenticamente tradizionali, giacché cosmicizzate attraverso il consueto ricorso elementale.  Ecco dunque che l’Uomo-lepre è esaltato nei confronti dell’Uomo-toro, stallone od elefante; o la Donna-cerbiatta è magnificata al di sopra della Donna-vacca, giumenta od elefantessa.  Sottinteso che gli Uomini-cigni (Hasa, lett. 'Oca Selvatica') e le Donne-cigni (Ha) dei primordî, a causa del loro equilibrio intimo e di conseguenza esterno, superavano tutti per grazia e compostezza.  Proviamo adesso a rispondere al quesito iniziale, quale fosse cioè la vera condizione paradisiaca a livello sessuale.  I i, che la rappresentavano piú genericamente degli Hasa e delle Apsaras (Sirene, equivalenti alle Ha), sono spesso ritratti in atto amoroso incantatorio sotto forma cervina.  Secondo quanto comprova la parentela filologica fra il termine che li denomina e la voce śya (‘cervo’). Appaiono rigorosamente accoppiati, mai orgiasticamente.  Questa dovette essere pertanto la vera condizione originaria.  Le Kttikâ (Pleiadi), mogli dei Saptaka (Orsa Maggiore) assieme ad una settima dea dimorante in Alcor od Aldebaran e talora considerata la loro unica comune sposa, hanno pur esse a che fare col medesimo simbolismo apparendo talvolta nel folclore vario nelle vesti di ochette. La settima assume la forma, piú spesso, di cerbiatta.   Che dire però della vergognosa seduzione subita dalle 7 spose nella saga della foresta di pini da parte da Śiva, dio orgiastico per antonomasia?  L’itifallismo shivaico è proverbiale e guardacaso ricorre proprio in cotale nume quel comportamento erotico disinibito assegnato dall’epica agli antenati.  Biblicamente parlando, con una punta di malizia, codesto costume lo si potrebbe attribuire ai tempi evaici; corrispondentemente, essendo la leggenda edenica – lo ribadiamo – d’origine indiana, i Purâa parlano d’una grande trasformazione avvenuta durante quel periodo nel comportamento umano in campo sessuale.  Con gran dominio della donna ed importanza decisiva, ovviamente, riservata al sesso.  Lo Shaktismo primordiale delle sacerdotesse-prostitute o cerbiatte, di cui è rimasta certa traccia in ambiente polinesiano e persino nella Rhea Silvia romana, non era che questo.  Eva colla Mela in mano, d’altronde, è il corrispettivo giudaico-cristiano della Venere-Urania latino-ellenica.  La rispettiva iconografia risulta d’altronde indistinguibile nel Rinascimento europeo.  L’assoluta fedeltà ricorrente nel gandharvavivâha, ad imitazione degli hasa (questi uccelli, assai fedeli nell’accoppiamento e sotto l’aspetto alimentare, non appena trovano cibo chiamano il compagno), si rifà invece ad epoca adamitica.  In seguito, l’eros perse la sua innocenza.  E si spiegano quindi certi miti come quello di Śiva che respinge Kâma, anzi l’abbrucia asceticamente col Terzo Occhio, inerte dinanzi alla dolce brezza sollevata da Vasanta (Primavera).  Un tentativo, in sostanza, di riportare in auge il senso paradisiaco dell’eternità; ma non ci riesce del tutto, perché Kâma una volta reso incorporeo si nasconde nei fiori e nelle vulve delle femmine, dovunque è bellezza.  Siccome la repulsione verso la Śakti rende il mondo oscuro, Śiva è costretto ad assumere la parte d’un pescatore al fine di liberare il villaggio, del mondo s’intende, da un pauroso squalo infestante le coste; in realtà Viu, che vuole cosí spingerlo al recupero della Śakti sotto forma di celebrazione matrimoniale.  Anche presso il cristianesimo primitivo il mistero della camera nuziale in relazione al V Sacramento, tardivamente scaduto a VII, era il punto d’arrivo della loro dottrina.  Allusione evidente alla Ûnio oppositôrum alchemica (2).  Ben altra era viceversa la dottrina degli gnostici libertini, paragonabili agli Śaivatantrikâ nella loro ricerca della Dýnamis tramite mezzi eterodossi.  Parimenti i Cabalisti equivalgono agli Śâktatantrikâ per il loro maggior trasporto verso il femminino e la pratica bacchico-orgiastica a fini di perfezionamento.  Un mito indú di non diversa portata, benché in apparenza differenziato, è la storia di Ryaśga; il giovane asceta unicorne nato da una daina, che per il suo tapas (calore ascetico, da intendere come risvolto contemplativo dell’eros sublimato) aveva provocato un’enorme siccità.  I saggî decisero d’inviargli una giovane e virginale prostituta: Śântâ, la figlia del re, di cui egli s’innamorò all’insaputa del padre, pur non sapendo dell’esistenza delle donne.  Infatti quando descrisse al padre l’incontro avuto con lei, parlò d’un giovane bellissimo dotato di seni e d’altre grazie fisiche.  Dal che il padre, un rishi post-litteram, dedusse che era stato perpetrato un inganno nei confronti del figlio.  La leggenda medievale europea della Vergine e dell’Unicorno è analoga, indica l’acquisizione della Sapienza da parte dell’iniziato mediante una simbolica erotica.  L’ascetismo fine a sé stesso risulta improduttivo, poiché rafforza l’ego; mentre l’eros, nell’etimo apparentato al lat. ardor, è fuoco che ravviva e permette di superare le miserie dell’egocentrismo.  Anche se, non bisogna dimenticare, esiste un aspetto fagocitante del desiderio sessuale, in India come altrove, annientante lucifericamente l’individuo.  Per finire non mi rimane che citare una splendida canzone degli Anni ’70, The Boy with a Moon and a Star on His Head di C.Stevens.  Un critico equivocò ed identificò il ragazzo a Cristo.  Il testo originale della fiaba, raccolto in Indian Fairy Tales da J.Jacobs nel 1892, rimanda per contro a Śiva.  La conclusione della fiaba e della canzone era che Love is all.  O per meglio dire, l’Eros è il Tutto, l’Uno-tutto degli ermetisti.  E non c’è altro da cercare nella vita…  È f uoco ed acqua ed annienta ogni cosa, al pari del Terzo Occhio, che difatti è qualche volta associato al Liga o alla Yoni, nonché al Corno dell’Unicorno od al profumo di muschio della vulva della Cerbiatta (Kastûrî).  La Cerbiatta, è ovvio, è la medesima ossequiata da Re Salomone nel Cantico dei Cantici.

                                                            Giuseppe Acerbi





Note


(*)      Pubblicato collo stesso titolo, in forma divulgativa, presso la Riv.Hera: A.XI, N°127 (7-08-10), pp. 54-60, Binasco [Pv]  2010.

(1)      G.Acerbi, Kâma-Kâla. Érôs e Thánatos ovvero il motivo ierogamico- Heliodromos N.S., ( Aut. ‘96/ Inv. ’97 ed Est. ’98 ), NN. 11 e 14, Catania 1997-8, 2 PP., pp. 42-55 e 42-60.
(2)      Sotto l’aspetto alchemico la trasmutazione nell’Uno degli opposti e complementari indica l’Opera al Rosso (Rubêdo) quando è completa, quando è parziale l’Opera al Bianco (Albêdo).  Nel simbolismo erotico la Grande Opera è emblematizzata dall’Amplesso – anche con mezzi sostituiti dalla meditazione –  o dalla Coppia Rovesciata, mentre la Piccola Opera ha per contrassegno la preparazione dell’Elisir di Lunga Vita.  Cfr. nel primo caso le figg. 1, 2, 6, 8, 11 ecc. e nel secondo la fig.14.  Da notare che il dott. Albrile ha di recente individuato con molto acume in una visita condotta assieme ad amici presso l’Eremo di S.Alberto di Butrio, in Val Staffora (Otrepò pavese), una raffigurazione all’interno della parete occidentale del chiostro la quale indicherebbe una situazione alchemica simile a quella descritta nella figura succitata.  E giustamente l’ha relazionata a nostro parere alla comune pratica dei monaci del monastero di produrre medicinali a base di erbe officinali, secondo formule piú o meno segrete, per la buona salute fisica e mentale della comunità.  Attendiamo con ansia il suo scritto in proposito, che non mancheremo ivi di menzionare non appena l’avremo letto.


Illustrazioni





1.  Gandharva in mithuna rovesciato, a suon di musica… (mensola lignea, dett., tempio-carro, India del Sud, XVIII sec.).



2.  Amanti umani in mithuna rovesciato (carro ligneo ad uso processionale, Nanjangud, presso Mysore).



3.  Donna-loto, o cerbiatta, secondo i trattati erotici (schizzo basato su un ritrovamento, Begram, II sec. d.C.).



4.  I Saptarishi ed Arundhatî (bassorilievo, Bhîmeçvara M., Drâksharâma, Per. Câlukya Or., X sec. d.C.).



5.  Gioie sessuali di gruppo (altorilievo, Kandâriyâ Mahâdeo M., Khajurâho, XI sec. d.C. ).



6.  Esperienza sessuale intensa di coppia (id.).



7.  Coppia affiancata da fanciulla in attesa vogliosa (medaglione litico, Grotte di Bâdâmî, Bîjapura, VII sec. d.C.).



8.  Amanti in posa erotica sotto il Kalpavriksha (altoril., Râjarânî M., Bhuvaneçvara, X sec. d.C.).



9.  Fregî orgiastici in panoramica (altorilievi, K.Mahâdeo M., XI sec. d.C. ).



10.  Kâlî in amplesso con Ҫiva cadaverico (gouache su carta, Panjâb, XVIII sec.).



11.  Yogî come Bhogî (pannello di pietra, tempio solare, Konârak, XIII sec. d.C.).



12.  Tantrikâ nuda pronta al rituale (gouache su c., Râjasthan, XVIII sec.).



13.  L’Unione Suprema con “mezzi sostituiti”, ovvero i 7 Cakra (gouache, stile Kângrâ, Himachal P., XIX sec.).



14.  Preparazione orgiastica dell’Amrita nel Pûrna-

khumba (fregio erotico, dett., terrazza, Lakshmana M., Khajuraho, X sec. d.C.).



15.  Ҫiva e Pârvatî in atteggiamento erotico (altoril., Bhuvaneçvara M., Orissa, X sec. d.C.).



16.  Krishna e Râdhâ in danza estatica (bronzo, India del Sud, XVIII sec.).



17.  Tantrika in cunnilingus colla Yoni della Gran- de Dea (bassoril. su pilastro, Mînâkshî M., Madura, XVIII sec. ).



18.  Cunnilingus e fellatio rituali (parete di piattaforma, Konarak, XIII sec. d.C.)



19.  Cunnilingus di çakti col Cane (Ҫvan), emblema lunare siriaco-shivaico (altoril., Konarak, XIII d.C. ).



20.  Coito shaktico col Toro solar-zodiacale (impronta di sigillo in steatite bianca, Chanhu Dâro, Valle dell’Indo, c.1500 a.C.).



21.  Coito shaktico col Leone (rilievo d’un tempio, Khajuraho, XI sec. d.C.).



22. Coito di tantrikâ col Cavallo, simbolo solare fregio d’uno zoccolo, dett., Lakshmana M., Khajuraho, XI sec. d.C.).



23.   Coito tantrico col Cinghiale, altro simbolo solare (incisione su pietra della terrazza, Lakshmana M., Khajuraho, X sec. d.C.).



24.  La Divina Yoni quale Centro del Mondo (incisione lignea, India del Sud, XIX sec.).



25.  Donna-yoni come grande utero cosmico (noce di cocco sagomata ad immagine della vulva della Gran Madre, idem).



26.  Culto della Yoni della Devî (altoril., Chausath Yoginî  M., Bherâghat, X sec. d.C.).



27.  Esposizione rituale della bhaga (genitale femminile) dinanzi al Linga (bassoril., Konarak, XIII sec. d.C.).



28.  Devoti ossequianti il Sacro Linga (idem, Khajuraho, XI sec. d.C.).



29.  Uomo-linga di tipo priapico (altoril., Bagali, XII sec. d.C.).



30.  Kâma su Pappagallo, con arco di canna da zucchero e frecce dalla punta fiorita (rappresentazione canonica dell’icona del dio).



31.  Yoni Asana (gouache, st. Kangra, XVIII sec.).



32.  Coppia di Rishi praticante fellatio e cunnilingus (bassoril., Bagali, XII sec. d.C.).



33.  Ganeça itifallico in scambio erotico con çakti (rilievo, Nâgeçvara M., Per. Tardo Chola, Kumbhako nam, c.XII-XIII sec.d.C.).



34.  Scena orgiastica con tantrika mascherato (fregio erotico, piattaforma, Lakshmana M., Khajuraho, X sec. d.C.).



35.  Asceti in sanghâtaka (triangolo erotico)(colonna, Roda, Mus. di Baroda,  XI sec. d.C.).



36.  Copula mitica di Rishyaçringa con Ҫântâ (pannello del fondo, lastra verticale in arenaria, Mus. di Mathurâ, II sec. d.C.)



Fonti

1.       P.Rawson, Tantra. The Indian Cult of Ecstasy- Thames and Hudson, Londra 1973, tav..32.  FILTRO FILTRATO IN AZZURRO

2.    D.Desai, Erotic Sculpture of India- Munshiram M., N.Delhi 1985.

3.       P.Thomas, Kama Kalpa. The Hindu Ritual of Love- D.B. Taraporevala Sons & C., Bombay 1960, tav.31.  FILTRATO IN AZZURRO

4.       C.Sivaramamurti, Rishis in Indian Art and Lit.- Kanak, N. Delhi 1981, ill.1.  FILTRATO IN AZZURRO

5.       Raws., op.cit., tav.36 ( on line si trova a col. ).

6.       Des., op.cit., tav.69. 

7.       Thom., op.cit., tav.28.

8.        Ibîd., tav.27.

9.       Tav.27.

10.   Raws., cit., tav.18.

11.   P.K. Agrawala, Mithuna…-Munshiram M., N.Delhi 1993,

tav.226.

12.   Raws., tav.34.

13.   Ibîd., tav.53.

14.  M.Bussagli, Eros indiano- Bulzoni, Roma 1972, tav.36.

15.   Thom., cit., tav.4.

16.   Raws., tav. 43.

17.   Ibîd., tav.11.

18.   Des., op.cit., tav.60.

19.   Ibîd., tav.131.

20.   H.Mode, L’antica India- Primato, Torino 1960, tav. 66 sûpra.

21.   Ibîd., fig.45.

22.   Agraw., op.cit., tav.116

23.   Ibîd., tav.117.

24.   Raws., tav.7. FILTRATO IN ROSSO

25.   Ibîd., tav.12.

26.   Des., cit, tav.115.

27.   Ibîd., tav122.

28.   P.Thomas, Secrets of Sorcery spells and pleasure cults of India- D.B. Taraporevala Sons & C., Bombay 1983, tav.77. 

29.   Des., tav.124.

30    Thom, Ka., tav.1.

31.   Raws., tav.38.

32.   Des., tav.150.

33.   Ibîd., p.92, fig.XX.

34.   Ib., tav.142.

35.   Tav.146.

36.   Agraw., cit., tav.48.


 Fig.1

 Fig.2

 Fig.3

 Fig.4

 Fig.5

 Fig.6

 Fig.7

 Fig.8

Fig.9

 Fig.10

 Fig.11

 Fig.12

Fig.13
 
Fig.14

 Fig.15

Fig.16 

Fig.17 

Fig.18

Fig.19
 
Fig.20
 
 Fig.21

Fig.22
 
Fig.23


Fig.24

 Fig.25

 Fig.26

Fig.27

Fig.28

 Fig.29

 Fig.30

Fig.31

 Fig.32

 Fig.33

 Fig.34

Fig.35

Fig.36


Un video che mostra l'atteggiamento ancora pieno di pudore dell'attuale ambiente indiano.