mercoledì 8 novembre 2017

COLA PESCE NEL FOLCLORE


Note sull’analisi della Seppilli
 nel campo della Storia delle Tradizioni Popolari



       Sulla scia di Benedetto Croce anche la Seppilli antropologa triestina del Novecento ha acconciamente ricondotto la saga di Cola Pesce ai miti della Magna Grecia, seppure con eufemismo ella abbia usato l’espressione “quasi certamente”[1].  Riguardo la banalizzazione dei canoni estetici rispetto ad essi nella nuova saga, invece, non saremmo del tutto d’accordo.  Vero che la trasmutazione dei personaggi mitici in personaggi storici, elemento tipico delle fiabe, ha cambiato un po’ la prospettiva della narrazione; ma nello stesso tempo vi è da sottolineare che i personaggi in tal modo ottenuti non appartengono piú al mondo della storia, bensí al mondo della fiaba.  La fiaba è ciò che del paganesimo è perdurato nel cristianesimo.  Non a caso la fiaba ha trovato la sua maggior epoca di diffusione nella seconda metà dell’Ottocento, cioè proprio allorquando è venuta meno per sempre la riproposizione attraverso l’arte del mondo pagano, di per sé già scomparso peraltro alla fine dell’epoca tardoantica.  La questione essenziale semmai è quella dell’interpretazione del testo, ma questo è un problema concernente tutto il patrimonio popolare delle fiabe.  Il passaggio dal simbolismo all’allegoria non è stato indolore, sebbene quello di Cola Pesce sia uno dei rari esempi (un altro è la versione della Bella e la Bestia lasciataci da Mad.e  Marie Catherine baronessa d’Aulnoy sotto forma de Il Principe Cinghiale) in cui l’avvenimento letterario sia rimasto a metà, ossia in stato ancor quasi di leggenda.  Nel senso che la trasposizione in ambito cristiano, per fortuna nostra, non è stata totale.  Permangono infatti certi elementi come la nascita prodigiosa di Cola dal Pescespada Parlante e dalla Conchiglia posata su uno scoglio – di poi ingoiata dalla Madre putativa (cui va ad identificarsi, come del resto il <Padre Pescatore> al Pescespada) – i quali, quantunque trascurati ignominiosamente dalla critica strabica, rimangono a chiarire il vero significato del mito originario e, indirettamente, della leggenda in seguito fiabizzata.  A proposito di Madame d’Aulnoy si analizzi anche La cervia nel bosco [2], ove il tema della maternità negata che affligge la protagonista viene risolto dal contatto con una Magica Fontana ed una Fata Gambero che la conduce al Palazzo delle Fate, celato dalle nuvole.  La nascita miracolosa dà sempre luogo ad una figliolanza speciale, come nel caso dell’Uomo Pesce di Messina.  In questo caso a nascere è invece 



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una bimba, Desiderata, ma le cose non risultano alla fine troppo diverse qualora si riesca ad intendere la simbologia nascosta della sua trasmutazione in “Bianca Cervia”.  La metamorfosi in cerva della Principessa non è differente da quella in pesce di Cola.  Ciò non impedirà ad entrambi di trovare la gioia del loro cuore, l’una (la Bianca Cerva, immagine della Gnosi) rispettivamente nel Principe Guerriero, l’altro (l’Uomo Pesce col perduto Corno in fronte, fac-simile del Terzo Occhio, adombrante viceversa la capacità di cogliere paradisiacamente l’Eterno in Sé) nella figlia dell’Imperatore Federico II.  Questi d’altronde non è un sovrano qualsiasi, ma piuttosto il monarca universale, ereditario del Graal; siccome la Sicilia appariva per la sua forma insulare una sorta di novello Avalon, come prova la leggenda di Artú racchiuso nell’Etna, riportata dal Graf in appendice al suo libro sul Paradiso Terrestre [3].  Per questo il “Regno delle Due Sicilie” - eventi storici a parte - si chiamava cosí e non il “Regno delle Due Campanie”.  Si spiega anche perché una discendente degli Hohenstaufen ci tenga ancor oggi a ribadire che detto territorio, pur eclissatosi storicamente nel Regno d’Italia sabaudo, appartiene alla loro casata e non a quella dei Borbone; dato che l’antenato di costoro (Manfredi) aveva commesso un delitto impunito e i tribunali del tempo, non conoscendo la vera sequenza degli eventi (resa nota soltanto nel XIV sec. dal Villani), non avevano potuto procedere [4]. 


       Fra le fonti del suo studio Anita Seppilli (1902-92)[5] menziona innanzitutto la raccolta fondamentale del folclorista palermitano Giuseppe Pitré (1841-1916), costituita da analisi letterarie di materiale scritto unite ad una collezione di fiabe tratte dalla viva voce del popolo [6].  Poi gli appunti del filosofo napoletano Benedetto Croce (1866-1952), per quanto riguarda il versante campano ed ispanico della leggenda [7], ed infine le raccolte dell’etnologo bretone Paul Sébillot (1843-1918) e quelle del figlio Paul-Yves Sébillot (1885-1971) circa il confronto col folclore normanno e bretone [8].
Sottolinea la Seppilli che la conoscenza somma delle acque attribuita a Cola Pesce rientra nella casistica dell'onniscienza riconosciuta ai numi marini [9].



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[1]  A. Seppilli, Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti- Sellerio, Palermo 1977, App. Sec., p.294. 

[2]  http://www.paroledautore.net/fiabe/classiche/daulnoy/cervia-bosco.htm
[3]  A. Graf, Miti, leggende e superstizioni del medioevo- Loescher, Roma 1892-3, 2 voll.

[4]  Ma Papa Alessandro IV lo riteneva un usurpatore e Urbano IV nel 1261 lo scomunicò nuovamente.  La figlia Costanza si era unita in matrimonio con Pietro III d’Aragona nel 1262. Nel 1268 Carlo I d’Angiò, chiamato in Italia dal Papato per contrastare gli eredi di Manfredi, trasferí la capitale del Regno di Sicilia a Napoli.  Prima di allora si distingueva il Regno di Sicilia in 2 parti: al di là del faro (di Messina) e al di qua del faro.  La nobiltà siliana si ribellò e questa ribellione sfociò nei Vespri siciliani, cui seguí la Pace di Caltabellotta nel 1302, attraverso la quale la Sicilia avrebbe dovuto ritornare agli Angioini, ma ciò non avvenne mai.  Il Regno di Sicilia e il Regno di Napoli funsero da regni separati, sino a che nel 1442 Alfonso V d’Aragona li riunificò e da quel momento in poi si cominciò effettivamente a parlare delle “Due Sicilie”.  La formulazione era Rex utriusque Siciliae.  Ma ben presto i due regni si separarono di nuovo.  La definizione fu ripresa nel 1815 col dominio francese post-rivoluzionario da parte di Gioacchino Murat, che sostituí Giuseppe Bonaparte, il fratello di Napoleone.  Senza occupare però la Sicilia, che fu riconquistata da Re Ferdinando, nonostante il tentativo dell’Impero Britannico di trasformarla in protettorato, come aveva già fatto con Malta.

[5]  Sepp., op.cit., pp. 295-6.

[6] G.Pitrè, Studi di leggende popolari in Sicilia e nuova raccolta di leggende siciliane- C.Clausen, Torino 1904.

[7]  B.Croce, La leggenda di Niccolò Pesce, Napoli 1885.  Pubblicato dapprima negli ‘Archivi di Letteratura Popolare’, III, 7 di G.B. Basile; poi a parte, indi ristampato in ‘Napoli nobiissima’  sotto titolo de Il bassorilievo del sedile di Porto e la leggenda di Niccolò Pesce, voll. V (fasc.5, Mag.), VI (Giu.), IX (Set.).  Una successiva ristampa è avvenuta, a c. della Laterza, a Bari nel 1967 col titolo Storie e leggende napoletane.  Nello scritto menzionato alla n.prec. sono stampate anche le versioni spagnole, in quello ivi cit. le altre non citate dal Pitrè, sebbene soltanto riassunte dal Croce.  Cfr. Sepp., op.cit., p.296, nn. 2-3.

[8]  P.Sébillot, Le folk-lore de France, 1903 (rist. Parigi 1968 (4 voll.), Vol.II, Cap.II; P.Yves Sébillot, Le folklore de la Bretagne, Parigi 1968 (2 voll.), Vol.II.
[9]  Sep., op.cit., pp. 300-1.  

 


Illustrazioni 

Tav.1: L'antropologa friulana Anita Seppilli (1902-92); foto.
Tav.2: Sacralità dell'acqua, il testo di riferimento; foto di copertina.

Tav.3: Manfredi soffoca il padre (Federico II "Stupor Mundi"); miniatura, Nova Cronica di G.Villani, 1348.
Tav.4: Il folclorista siciliano Giuseppe Pitré (1866-1952); foto.
Tav.5: Il filosofo Benedetto Croce (1866-1952); foto.
Tav.6: L'etnologo bretone Paul Sébillot (1843-1918); foto.




Fonti 


1. Wikipedia, s.v.: ANITA SEPPILLI.
2. Testo.
3. Id., s.v.: MANFREDI.
4. Id., s.v.: GIUSEPPE PITRÈ
5.  Id., s.v.: BENEDETTO CROCE.
6.  Id., s.v.: PAUL SÉBILLOT.

 

Tav.1


Tav.2

Tav.3

Fig.4

Tav.5

Tav.6