L’Antartide è stata concepita in un
lontano passato, secondo una data tradizione, come sede degl’Inferi. Vedi ad es. il mito di Illo, un figlio di
Ercole (1) ucciso da Epopeo di Sicione
(2).
Il ratto del Corno Cervino per attingere acqua dallo Stige e l’uccisione
del possessore, come suggeriscono tacitamente gli autori, indica lo scambio di
due asterismi al Polo Sud: uno incarnato dall’ucciso e l’altro dall’uccisore,
che gli subentra nel dominio. A questa
tradizione se n’è contrapposta una antitetica, probabilmente a partire dalla
seconda metà dell’Eone, che invece considerava il medesimo luogo una sede
semi-paradisiaca. A tal proposito vi
sono leggende nella letteratura puranica che si rifanno misteriosamente ad un Dvîpa scomparso nella parte meridionale
dell’Oceano Indiano molti millennî or sono.
Trattasi d’un mito cosmografico piú arcaico persino di quello platonico
dell’Atlantide, giacché l’ecumene scomparsa risalirebbe secondo i dati
tradizionali alla fine del VI Ciclo Avatarico, vale a dire a quasi 26.000 anni
fa. Il periodo insomma che in gergo
ellenico vien considerato la fine del III Grande Anno (3), ma è l’inizio del VI Periodo Avatarico e
non la fine di tale ciclo a far invero da spartiacque nell’ambito del Manvantara; insomma, c.6.500 anni prima
della data testé menzionata, il che farebbe cadere l’evento precisamente a metà
del III G.A.
Codesto mito concerne una località chiamata
Gokarna, centro scomparso nelle acque oceaniche a mezzo fra l’Oceano Indiano
e quello Antartico. Collo stesso nome, inteso lett. come ‘Orecchio di Vacca’,
esiste ancor oggi un luogo in Nepâl,
non lontano dalla capitale, altrove additato quale riproposizione in chiave
himalayana d’un sito a suo tempo sprofondato negli abissi; che la leggenda (4) dipinge non a caso come “cresciuto
enormemente di dimensioni in direzione sudovest”, quasi si avesse a che fare
con delle terre emerse, prima probabilmente soltanto affioranti sopra la
superficie dell’acqua. Per la verità tal
centro col tempio annesso, a posteriori chiamato Dakshinagokarna, sembra sia stato in un primo tempo
ricostituito sulla costa sudoccidentale dell’India Meridionale; ossia in Kerala
(5), la controparte nepalese dello
stesso essendo da immaginare quale successivo contraltare nordico (6), per ragioni che esplicheremo fra breve.
2
Non è da credere che il
centro sprofondato fosse un semplice isolotto, come si potrebbe facilmente
ipotizzare; ma, piuttosto, che costituisse un gran tronco peninsulare
inabissatosi per cause cicliche.
Senz’ombra di dubbio il Nârada lega codesto fatto ai tempi di Paraçurâma (Rama dell’Ascia),
corrispettivo hindu di Perseo, il titano greco.
In altre parole, al VI Periodo Avatarico, cosa di per sé ineccepibile. Per qual motivo siano sorti i due Go-karna, tuttavia, non è facile
da intuire stando alla comune interpretazione del termine. Se scomponessimo però il composto nominale
nei due sostantivi che lo formano e dessimo a ciascuno di questi un significato
diverso da quello comunemente accettato, potremmo tentar di risolvere
l’enigma. Poniamo per ipotesi che Karna,
il secondo sostantivo del composto, sia una corruzione di Carana ed abbia dunque il
senso di “Piede”, non già di “Orecchio”; inoltre che Go, il primo sostantivo, sia da interpretare al maschile anziché al
femminile. Nel senso cioè di
“Toro”. L’accezione del vocabolo in tal
modo cambierebbe notevolmente: da “Orecchio di Vacca”, un’espressione
apparentemente senza senso immediato, a “Piede di Toro”. Quest’ultima interpretazione apparirebbe
oltremodo piú sensata, specie se applicata ai poli geografici. Il che, se comprovato, darebbe ragione della
doppia collocazione d’un omonima località al nord ed al sud dell’India. Crediamo infatti che la locuzione “Piede di
Toro”, in base a numerosi esempî che non stiamo ivi a riportare, alluda ai Poli
intesi quali Colonne del Dharma, in
senso cosmico naturalmente ma nel contempo anche geografico. Si deve rammentare altresì che le Grandi
Congiunzioni settenarie ricorrenti all’inizio d’ogni Yuga; ossia ogni 6.480 anni, avvengono sempre nel segno zodiacale
del Toro; il quale, spostandosi nel quadrante annuale attraverso i solstizî e
gli equinozî, determina le Ere. Le
retrogradazioni precessionali sono d’altronde strettamente associate, dal punto
di vista siderale, ai movimenti pendolari dei 2 Poli Celesti. Ora, siccome la prima parte del nome del VI Avatâra vishnuita (scr.Paraçu, var.Parçu) equivale etimologicamente al gr.Perseús (lat.Persêus), il mitico avversario della
Gorgone Médousa (lat.Medûsa), non ci rimane che comparare le
due rispettive mitologie; nel doppio intento di dimostrare che entrambe fan
riferimento ai Poli, in particolare al Polo Antartico, essendo tra di loro
inevitabilmente correlate.
3
Il Sesto Avatara
Si tramanda che il gigante
Paraçurama sia figura strettamente inerente alla prima colonizzazione del
Deccan, d’un sol ciclo antecedente a quella avvenuta per il tramite dell’altro
Rama, il piú noto ed amato Râmacandra (Rama della Luna).
Questi 2 Rama rappresentano in realtà la vishnuizzazione di figure in
origine shivaitiche, ma il secondo è piú prossimo a Krishna; l’VIII Avatara, forma umana in cui –
ad eccezione del IX Avatara – si riconosce principalmente l’incarnazione del
dio Vishnu. Biblicamente Krishna va
paragonato a Noé, figlio di Lamech e nipote di Matusalemme; invece i 2 Rama
equivalgono rispettivamente, in ordine cronologico, alla figura apollinea di Hebel e a quella saturnina di Seth.
Benché il scr.Râma corrispponda etimologicamente al nome del
cacciatore cainita Lamech, il cui
figlio (Iabal) tuttavia non è che un
doppione di Abele nel ruolo di pastore (7). Equivalendo Hebel/ Iabal a Parçu-Perseo
(indipendentemente dal fatto che l’uno appartenga a tradizioni semitiche e
l’altro a tradizioni jafetiche)(8), è da ritenere che
il VI Avatara abbia svolto la sua missione spirituale nell’antico ed immenso
Paese di Bhârata, dilatato comunque rispetto alla geografia antropica
odierna sia longitudinalmente che latitudinalmente. Il Deccan secondo le descrizioni puraniche si
spingeva infatti assai piú avanti nell’Oceano Indiano dell’altopiano attuale,
fino a lambire il Polo Sud, probabilmente perché il Continente Antartico non
era a quel tempo ancora ghiacciato oppure s’era disgelato da una glaciazione
precedente; stando a certe tradizioni analoga cosa potrebbe dirsi della costa
asiatico-medidionale del Mar Arabico, un tempo probabilmente boscosa,
diversamente da quella desertica odierna che a varcarla – parlo per esperienza
diretta – pare un oceano disseccato.
A differenza di Paraçurama, Ramacandra è
il classico personaggio riadattato all’ambiente indiano dopo che il vero
significato cosmografico delle figure avatariche era andato smarrito, tant’è
che cosi come vengono oggi concepite sono inadattabili alla cosmografia
tradizionale hindu. Personalmente abbiamo
svolto negli anni a tal proposito un lavoro minuzioso di ricerca, anche se non
riconosciuto in sede accademica quasi da nessuno, onde provare che la cosmologia
puranica ha valore universale (9). Poiché i cicli
4
avatarici percorrono
geograficamente il globo in senso solare, il VI Avatara non può che aver svolto
il suo mandato successivo oltre l’Oc.Indiano, ovvero nel Sud dell’Atlantico. Potremmo dire in quell’area che oggi
corrisponde piú o meno all’America Meridionale,
tenendo conto del variare inesorabile del quadro delle terre emerse di epoca in
epoca; area studiata da C.Hapgood, sebbene confusa da questi e da altri con
quella antartica, a causa del supposto ma non provato spostamento terrestre dei
poli geo-magnetici (10). Vi è difatti una teoria scientifica
alternativa (11) che non prevede siffatto spostamento, quantunque in
ogni caso le cose non cambierebbero poi di molto rispetto al quadro ora tracciato
(12). La
possibile estensione in linea longitudinale dell’antico Bhâratavarsha – denominazione perdurata ancor oggi a quel che geograficamente
rimane di esso, cioè l’India attuale – è ricostruibile a grandi linee
analizzando l’orografia dei rilievi oceanici proprio in direzione sudovest, a
conferma dei dati puranici. Si constata in
modo semplice dando un’occhiata a quel che appare sulla cartina geografica a
sud dell’India, ovvero alla dorsale che partendo da Ceylon e dall’Arcipelago
delle Laccadive si spinge attraverso le Maldive ed altri arcipelaghi fino al
Madagascar, di seguito continuando verso l’Antartide in direzione sudest. Interessante osservare pure il fatto che la
dorsale dal Madagascar si dirami verso l’Australia, tramite le Isole Croizet e
Kerguelen, ciò mostrando la probabile via primaria di comunicazione tra le
genti paleo-austronesiane e le popolazioni proto-malgasce o proto-boscimane,
senza dover pensare ad improbabili ed estenuanti tentativi di costeggiamento da
parte di costoro prima delle coste asiatiche e poi di quelle africane. Una terza via possibile potrebbe esser stata
del resto quella intermedia, costeggiando il Bharatavarsha originario.
Un secondo testo puranico (13) mette però illogicamente i 2 Gokarna in relazione a
Râvana, il nemico di Ramacandra.
Come interpretare allora questo nuovo dato del Varâhapurânam, assolutamente incoerente
con quelli precedenti del Nâradapurânam? Disponendo figurativamente il sovrano di Lankâ (antica Ceylon) di 10 Teste umane, oltre all’undecima asinina (per cosí
dire suprema) alla maniera del Tifone greco (che però a differenza aveva
molteplici teste, in riferimento evidentemente alla molteplicità dei cicli umani), quegli non può
che incarnare parimenti alla Bestia a 10 Corna dell’Apocalisse
5
giovannea l’intero Eone o Manvantara che dir si voglia; ma l’XI Testa lo collega per forza di
cose a Canopo, asterismo fungente da perno del cielo meridionale durante il
Ciclo Antartico. Come si spiega dunque
l’associazione all’altro Rama, anziché a Parçu?
Se il capo dei râkshasa compare nel Râmâyana è necessariamente in ragione della trasmissione culturale fra il
VI ed il VII Ciclo Avatarico.
L’avversario di Ramacandra costituisce quindi l’ennesimo emblema
canopico, con allusione al ciclo anteriore, il cui annientamento assume valenza
cosmogonica per il ciclo posteriore. Per
analoghi motivi Lamech, rappresentante non meno di Abele del VI Ciclo adamitico
nelle tradizioni apocrife ebraico-cristiane, uccide Qayin; che rimanda, a sua volta, al V Ciclo. E s’è visto che Lamech corrisponde a Parçu,
il VI Avatara; cosí come Caino andrebbe identificato a Vâmana, il V. In divinis costui altri non è che Kâla (Re Crono), chiamato alternativamente Bhrigu e descritto in un
passo del Veda come il massimo conoscitore del Kâlacakra. Orbene, tal
Bhrigu viene considerato il fondatore d’una famiglia sacerdotale, i Bhârgava, e proprio da costoro discende
Parçu. Non è pure Lamech, difatti, d’origine
cainita? Di conseguenza, si potrebbe
asserire senza tema di smentite, che il VI Avatara funge d’annientatore dei
discendenti dei suoi illustri antenati.
Visto che il figlio titanico di Jamadagni
combatte gli Kshatriya (propriamente
i Kârtavîrya, nei quali son
chiaramente adombrati i guerrieri pigmei di ceppo negritos-austronesiano) per
l’offesa fatta alla propria famiglia.
Famiglia sacerdotale sí, ma di provenienza australe; shivaita, non
brahmanica.
A conferma della nostra congettura il nano
Agastya, mitico zio di Ravana, viene
ritenuto nella cultura dravidica un rishi
presiedente alla stella di Canopo; cui è attribuita peraltro la storia della
‘Bevuta dell’Oceano’, evidente allusione letteraria all’emersione d’una dorsale
oceanica, che fa pendant con quella
analoga narrata nel Narada Purana.
L’Oppert, pertanto, equipara apertamente il nano al nipote rapitore di Sîtâ. D’altro
canto, vi è un rapporto indiretto fra l’azione sacerdotale condotta da parte di
Agastya e l’opera di spiritualizzazione portata avanti da Parçu. Con ciò si deve intendere, dal punto di vista
antropologico, che il Ciclo dei Nani (il V) ha non solo generato ma pure
influenzato in maniera commista il Ciclo dei Giganti (il VI). Non parlavano gli antichi greci, per
l’appunto, di Pigmei e Giganti? Per
Pigmei si debbono intendere i cd. Negritos,
i
6
quali dall’Indonesia e dal Sudest Asiatico si sono spinti sino alle regioni
equatoriali africane, ove hanno formato il ceppo dei Negrilli. Mentre per Giganti vanno intesi i
Paleonegritici, rimasti relativamente puri in Africa Occidentale, ma mescolatisi
nella parte orientale in tempi relativamente recenti con popolazioni camitiche
provenienti dal Mediterraneo generando le popolazioni nilotiche. Sicché in definitiva, pur facendo
un’opportuna distinzione fra Nani e Giganti, da tutto ciò si deduce l’omogabilità
di Parçu stesso a Ravana-Agastya, sia pure esclusivamente sul piano
ciclico-temporale. Quest’ultima
affermazione è piú difficile in apparenza da sostenere, ma diviene lecita se
pensiamo che il corrispettivo greco di Parçu è il domatore di Pegaso, il bianco
cavallo alato fuoriuscito dalla testa recisa di Medusa. Per “Cavallo Bianco” devesi intendere ancora
una volta Canopo, simbolo che non per nulla tornerà altrove in tempi assai
posteriori (14) ad indicare escatologicamente l’avvento d’un nuovo
ciclo edenico, il vecchio essendo portato a termine dall’uccisione della Bestia
(Dragone del Nord)(15). Cavalcatura (il Bianco Cavallo) e cavaliere
(il Re dei Re), c’insegna l’iconologia delle religioni, inevitabilmente
s’identificano; onde parafrasando Coomaraswamy dovremmo parlare, in rapporto
all’annientamento del Drago, d’Autosacrificio dell’Âtmâ. Resta solo da
individuare, allora, perché mai il cavallo alato nella mitologia greca
fuoriesca dalla testa d’un mostro.
Perseo
e Medusa
Non meno di Parçu, il gigante Perseo compie nella mitologia greco-latina
numerose imprese titaniche, dalla Libia al’Etiopia. Quella piú rinomata, non fosse che per la
plastica interpretazione che ne ha dato il Cellini, risulta essere ovviamente
la decapitazione della gorgone Medusa ed il conseguente uso del Gorgóneion col suo sguardo pietrificante
per liberare Andromeda dal sacrificio cui è stata sottoposta dall’etiope Re Cefeo. L’Etiopia, non meno della Libia, nel
linguaggio arcaico designava genericamente l’intero Continente
7
Nero. Siccome però il quadro delle terre emerse nel
Golfo Persico era diverso un tempo da quello odierno, tanto che si tramanda
nella tradizione popolare hindu uno strato di terra unisse l’India all’Egitto,
è possibile che greci e latini abbiano assegnato all’Africa un mito che
apparteneva in principio al profondo sud indiano. Si spiegherebbe in tal modo tanto la presenza
dei varî templi dedicati al VI Avatara nell’India Meridionale, secondo gli
Stutley, quanto la presenza del culto di
Perseo in Egitto a detta d’Erodoto.
Venendo all’impresa principale, bisogna
sapere che Medusa era figlia di Phórkys
e Kêtô rispettivamente re e regina del mare; costituiva
inoltre una delle 3 Gorgô (Gorgòni),
vergini anguicrinite dalle auree ali oltre a ferree mani, con zanne di
cinghiale nel volto e serpi nel cinto.
Il termine è connesso al gr.górgûra
(‘gorgo, abisso’). La decapitazione
della gorgone con hárpê (spada a
falce, tipica dei titani) è punita da Poseidone, nuovo sovrano marino facente
le veci sicuramente di una delle piú vetuste faciês del Vecchio del Mare, probabilmente Forco; fratello di Nêreús, padre delle Nereidi e come lui figlio di
Ponto. Onde vendicare il misfatto viene
liberato il Kêtos, spaventoso mostro d’aspetto metà ittico metà
ofidico. Che Medusa medesima fosse da
considerare una sovrana marina non meno della madre, alter-ego di Teti, è
dimostrato dal nome, avente valore di “Dispositrice”. Di che disponesse la figlia di Forco e Keto è
facilmente intuibile in riferimento a Perseo, a sua volta denominato Eurymédôn (16), cioe “dispositore del buon corso, dall’ampio dominio” con allusione
alle acque celesti. In questa maniera si
comprende perché Medusa e Perseo siano avversarî soltanto apparenti, momentanei
si direbbe, ma in realtà è chiaro che andrebbero appaiati. Kerényi (17) li definisce addirittura ‘sposi’.
L’uso decisivo del Gorgoneion da
parte del titano dopo lo straordinario agone lo prova, oltre al fatto che
Medusa aveva una volta Testa di Giumenta non meno di Demetra; e, piú
anticamente, pare avesse intera forma equina seppure con testa di gorgone in
quanto sposa di Poseidone sotto forma di stallone (18). Ecco perché
da lei, dopo il sacrificio impostole dal figlio di Danae, scaturiscono Pegaso e
Crisaore. Egualmente nel mito di
Paraçurama si ha una rituale decapitazione, non dell’avversaria-consorte, bensí
della madre Renukâ Di costei
esiste altresí una versione infera quale demonessa serpentina (nâgî), immagine aborigena al dire
degli Stutley della sacralità primordiale contenuta negli oceani.
8
Insomma, qualcosa di simile a Medusa. La relazione fra Parçu-Perseo, nonché della
controparte femminile Medusa-Renuka, e Canopo vien in tal modo palesemente
chiarita. In certo senso la coppia
Parçu-Renuka appare un doppione di Varuna e della propria figlia-consorte Vârunî-Varunânî
(Urano ed A.Urania), i numi indiani preposti alla sovranità delle acque
cosmiche; mentre la coppia corrispettiva Perseo-Medusa si richiama alla omologa
coppia Forco-Keto. Il Ketos dal suo canto, essendo il
messaggero per eccellenza del signore del mare, ne è il veicolo esclusivo o se
si vuole la forma primeva; parimenti, in India il Makara è il vâhana di
Varuna.
Vi è una distinzione doverosa da fare,
tuttavia, in quanto ad identificazione cosmologica: se il connotato equino
rimanda necessariamente a Canopo ed al Polo Antartico, il sembiante ofidico
risale per contro al Dragone del Nord ed al Polo Artico. L’ambivalenza polare è insita del resto nel
luogo di residenza delle 3 Gorgoni (Steno, Euriale e Medusa), il Paese delle
Tenebre, ubicato oltre la grotta ove risiedono le 3 Graie (Pefrédo, Enio e
Perseide), caratterizzate da un unico dente e da un unico occhio che si
scambiano a vicenda. Di certo la doppia
triplicità si riferisce al triplice passaggio nel mezzo del cielo
settentrionale o meridionale delle costellazioni fungenti di volta in volta da
perno polare: Lyra, Dragone ed Orsa Minore nell’emisfero boreale; Sirio,
Canopo, Croce del Sud nell’emisfero australe.
Non si comprende bene tuttavia se il riferimento infero sia all’Artide o
all’Antartide, oppure – come crediamo – approssimativamente ad entrambe. Vale a dire, Medusa e Renuka nel loro
sembiante serpentino rimandano per forza di cose al Dragone del Nord, quindi
all’Artide; questa la ragione onde Perseo, prima di liberare Andromeda dal
Ketos – altro rimando boreale – vola coi calzari alati nel Paese
degl’Iperborei. Perseo e Parçu,
viceversa, alludono a Canopo. Non
bisogna dimenticare, infatti, che l’Eone ha già compiuto la sua svolta a
partire dall’inizio del VI C.A. La
duplice vittoria su Medusa ed il Ketos si spiega col fatto che nell’emisfero
australe il Polo N. non era piu visibile, ciò essendo percepito dagli antichi
come una grave caduta dell’umanità rispetto alle origini, una perdita cioè del
Centro del Mondo; cui veniva posto rimedio dalla scoperta d’un nuovo centro
polare, ribaltante il precedente. Donde
è cominciata la demonizzazione del primo e la valorizzazione del secondo, cosa
che è andata avanti sino ai
9
tempi apocalittici (quelli odierni dopo il Duemila),
coi quali è avvenuto il raddrizzamento dei poli. In senso simbolico naturalmente, non
magnetico, come qualcuno scioccamente avrebbe preteso ed assurdamente pretenderebbe
tuttora (19).
Le spiegazioni di Kerényi sulla doppia
sovranità celeste – l’A. purtroppo l’intende in senso esclusivamente oceanico –
c’avvisano ad ogni modo come l’agone fra Perseo e Medusa possa tramutarsi
benissimo in complementarietà, visti gli attributi equini dell’amante di Poseidone. Appare rilevante a questo punto per il nostro
discorso che Demetra venga menzionata (20) quale signora degl’Inferi assieme a Dioniso. Stessa cosa valga per Medusa con attributi
equini e per Pegaso. L’Occhio Unico
delle Forcidi non è diverso dallo sguardo pietrificatore del Gorgoneion e
nemmeno da Pegaso medesimo, tali emblemi equivalendo all’Occhio Magico di
Ermete, il dio che offre i requisiti indispensabili al gigante per l’impresa
titanica (calzari, ecc). Come non
pensare allora al Terzo Occhio di Ðiva, se è vero che certi tratti quali l’itifallismo
avvicinano indubitabilmente i due numi?
La mitologia induista collega non per niente il Terzo Occhio da un lato
al tema della Cavalla Sottomarina (l’apsaras Vadabâ), secondo una
versione alternativa nata dal tapas
di Aurva (nipote di Bhrigu ed
antenato di Parçu), in altre parole al Polo Antartico; e dall’altro all’Aureo
Corno della Carpa Unicorne, ossia al Polo Artico. L’apparente contrapposizione Pesce-Cavallo è
di carattere positivo, ha valore complementare e si riferisce da un lato
all’andamento spirituale dal I al V Ciclo dell’Eone; dall’altro, a quello dal
VI al X Ciclo. Ciò che appunto abbiamo
definito in precedenza la questione del rovesciamento dei Poli. La dicotomia Serpe-Cavallo, al contrario, è
negativa e presuppone una trasformazione demonica dei vecchî simboli. In altre parole, da una certa epoca in poi il
Cavallo antartico assume le valenze positive attribuite prima al Pesce artico;
viceversa la Serpe, denotante negatività come antecedentemente il Cervo
Unicorne (21).
Dato l’esiguo spazio riservabile ad uno
scritto on line non possiamo approfondire ulteriormente i concetti,
onde siamo costretti ad inviare al nostro art. L’Albero Bianco di Abele e la Testa di Medusa. Parallelismi colle imprese titaniche d’un
vetusto personaggio della mitologia induista (22). Concludiamo ricordando un passo
avestico (23),
descrivente un sacrificio a 2 rinomate bestie ed al sacro Haoma (pah.Hom, scr.Soma) dall’aureo fiore.
10
La prima bestia è il gigantesco Pesce Kara
(av.Kara-masya, pah.Kar-mâhî) dalle 50 pinne (o scaglie?),
altrove chiamato anche Ariz (‘Re’,
lett. ‘Balena’), che secondo un altro passo (24) vivrebbe
sui fondali dei profondi laghi. Ecco di
sicuro la piú antica allusione letteraria ai mostri lacustri, sopravvissuti
stando all’odierna criptozoologia, in certi inesplorati laghi nordici ad una
certa latitudine. La seconda bestia è un
Unicorno dimorante nel Vouru-kasha (25), di cui piú specificatamente altrove (26) si attesta trattarsi d’un Bianco Asino
Tripode a sei occhi e nove bocche, nonché dotato d’un aureo corno cavo in grado
d’estirpare la corruzione dal mondo (27). Fin
qui sembrerebbe riprodotta la medesima dicotomia Drago-Asino di cui sopra,
varianti rettiliane od equine a parte.
Sennonché, nel medesimo testo si anticipa nel capitolo prima (28) che un Albero sorto nell’ampio oceano il
primo giorno della Creazione e chiamato Gokard
(var.Gokarn/ Gogrv, av.Gaokcrcna), produce il rinnovamento del
mondo attraverso 10 Gran Pesci Kara
creati da Aûharmazd; codeste
manifestazioni dello Spirito Buono svolgerebbero nelle varie epoche il compito
d’opporsi ad una Gran Lucertola (Vazagh)
impedendo alla maggior manifestazione di Ahriman,
lo Spirito Malvagio, di vessare il Bianco Hom.
Il quale, in tutta evidenza, è tutt’uno col Gokard. Dato che l’Albero è l’Axis Mundi ed allude cosmologicamente all’Asse Bipolare terrestre,
il Kara fra gli asterismi circumpolari artici rimanda quindi alla Lyra, non al
Dragone, l’antitesi negativa precedentemente osservata fra Serpe e Cavallo
essendo già svolta nei testi iranici dal binomio Lucertola-Asino. Donde è lecito supporre che il Gran Pesce Kara
(Rosso?)(29) dell’Avesta parimenti al Gran Pesce Aureo del
Veda incarni la Divinità nel suo
primo apparire in forma umana, non rappresentando demonicamente il Drago bensí
il Matsyâvatâra; mentre i 10 Pesci
Rossi del Piccolo Bundahiçn è
probabile alludano oltreché al Matsya
ai susseguenti 9 Avatâra (30), a dimostrazione se non altro dell’universalità
della dottrina avatarica, diffusa dall’Asia Orientale sino al Mediterraneo.
Giuseppe Acerbi
11
Note
(1) Sicuramente, in origine, di Elio od
Apollo.
(2)
Cit. da Fozio (Bibl.) e ripreso nella loro celebre
opera dal De Santillana e dalla Von Dechend (App.35).
(3) III Mahâyuga
in sanscrito.
(4) Nd.P.-
Utt., lxxiv, 2-21.
(5) Ibîd., vv. 3 e 30.
(6) Uttaragokarna, onde distinguerlo dall’altro omologo.
(7) Stando
a Gen.- iv. 17-20.
(8)
Attribuendo alla sottostirpe jafetica il nome fasullo di Ariani o di
Arioeuropei (Indoeuropei ecc.) e facendone poi, assurdamente, una razza distinta
di artica o centrasiatica provenienza rispetto ai Semiti ed ai Camiti (per di
piú lasciati sempre maggiormente in ombra) l’Ottocento ha stabilito uno iato
che nelle tradizioni bibliche non compare.
Gl’Indoeuropei in realtà non esistono, cosí come non esistono le lingue
indoeuropee né l’indoeuropeo originario.
Ciò che esiste sono le lingue e le culture jafetiche, questo insegna la
Tradizione vera al di là del Romanticismo <illuminato> ottocentesco, le
quali avendo parzialmente la medesima origine (eracleo-noaico-krishnaita) di
quelle camitiche e semitiche sono per forza di cose ad esse apparentate. Il che giustifica perfettamente la nostra
comparazione. Il nome indoiranico di Ârya (‘Nobili’) – equivalente nell’etimo
e nel significato (con una minima variante lessicale) a quello greco di Hêrôes (‘Eroi’) – infatti non può esser
considerato appannaggio esclusivo dei Jafeti né tanto piú d’una supposta ed
inesistente razza primordiale cosí chiamata (le Razze si distinguono tradizionalmente
per colore della pelle e per provenienza, non per altre connotazioni), in
quanto ciò risulterebbe una forzatura del nome.
Né vale il richiamo, in ambito di letteratura persiana, all’Airyânem Vaêjo
fatto da certuni
quali il pur eminente prof. P. Filippani Ronconi (Upanishad- Boringhieri, Torino 1960, p.549, n.1). Non è mai stato dimostrato che tale ecumene
sia la stessa cosa – ciclicamente parlando – del Vara (Var-jam-kard nella
tarda mitologia), il primevo ’Recinto’;
cioè il Giardino Paradisiaco costruito da Yima,
di cui tratta l’Avesta in Vid.- i-ii. Certo, non si può negare che
12
vi sia un
rapporto ineludibile fra Razza Bianca ed Arya; o, meglio, fra Razza Bianca e
Jafeti. Probabilmente in parte anche in
senso residenziale, ma questo non basta ad identificare i primi ai
secondi. Giacché gli Arya od Eroi,
secondo quanto ci tramanda la letteratura ellenica (Hês., Erg- i. 156-73), sono una stirpe di razza mista corrispondente
etnicamente per metà alla Razza Rossa (il ceppo paleolitico) e per metà alla
Razza Bruna (quello mesolitico); impura proprio per questo, essendo
ibrida. Ovviamente Esiodo non usava
termini razziali, che sono termini moderni, anche se concettualmente risalgono
ad un’alta antichità; ma attribuiva loro una doppia discendenza, umana e
divina, proprio come accade anche nella letteratura indiana. E i Jafeti non sono che una sottostirpe degli
Arya, stirpe comprendente nel suo insieme oltre ai Jafeti, anche i Semiti e i Camiti. Ossia tutte le genti d’origine eroica,
insomma eracleo-noaico-krishnaita. La
sincresi fra culti eraclei (jafetici) e
culti krishnaiti (camiti) ci è stata tramandata dall’Antichità, ma pure i culti
noaici (semitici) rientrano nella stessa tradizione. Per questo vi sono notevoli convergenze, non
solo in apparenza, fra i tre filoni mitico-leggendarî.
(9)
Cfr. sul tema G.Acerbi, Introduzione
al Ciclo Avatarico. Da Matsya a Kalki- Heliodromos, N.S. (pri.
’00-02, NN. 16-7), Catania
2000-2, pp. 15-24 e 15-24; nonché Id., I dieci Avatar e la mitologia
induista – Hera, A.XI (7-03-10 ), N° 122, Binasco [Pv] 2010, pp. 42-5.
(10) Da non confondere collo spostamento polare celeste, di cui è
traccia persino nelle Upanishad.
(11) A.Gross., com.or.
(12)
Personalmente ci siamo oggi convinti che Hapgood & C. potrebbero
avere ragione. La teoria dello
spostamento parallelo dei poli anche in sede terrestre andrebbe allora
applicata non soltanto all’Antartide, ma pure all’Artide. Come si fa del resto ad immaginare che i
popoli artici, Paleoeuropei o Paleoasiatici che fossero, si siano spinti nelle gelide plaghe boreali
dopo la glaciazione? Evidentemente deve
esser avvenuto qualche fenomeno che ha congelato quelle contrade boreali e li
ha bloccati colà. Se i Paleoeuropei
fossero emigrati dall’Artide, perché non anche i Paleoasiatici? L’unica teoria seria è supporre che i
Paleoeuropei, non dimorassero originariamente nell’Artide attuale, ma da
un’altra parte, per
13
es. in Scandinavia o in Groenlandia. In quanto alle popolazioni paradisiache dei
tempi aurei – delle quali ad es. il mitico Yama
appare il prototipo umano in India – la loro collocazione nel Vara avestico (cfr.n.8) andrebbe
distinta da quella di Yima nell’Airyanam Vaêjo (lett. ‘seme’ ossia culla ‘degli
Ariani’), seppure lo zoroastrismo identifichi le due terre non meno di quanto
si faccia nell’Induismo fra Ilâvrita ed Uttarâkuru; la cosa viene giustamente indicata nei Sacred Books of the East editi da
M.Müller da parte di J.Darmesteter, che fa di codesto piú prossimo Yima un
semplice eroe civilizzatore (The
Zend-Avesta, Vol.I, P.I, Intr., Cap.IV, §38, p.lxxv). Ciò è indiscutibile, nonostante le brillanti
argomentazioni di Tilak sulla mitezza del clima in epoca interglaciale (Arctic Home, Cap.11 sgg) ed i mutamenti intervenuti successivamente, con abbassamento
della temperatura climatica fino ad instaurazione duratura di rigidissimi e
lunghi inverni di 10 mesi. Il dato testimonia,
inoltre, che i cambiamenti in quelle lontane terre avvennero per una catastrofe
climatica graduale e non, come talora fantasiosamente si suppone, a causa di eventi
geologici naturali o per la caduta di grossi meteoriti. In tali mutamenti potrebbero aver giocato un
ruolo di certo le correnti oceaniche, lambenti le coste artiche, ma questo non
implica che si trattasse di un’azione diretta.
Del resto, ritenere che al di sotto dell’attuale Polo Artico vi sia una
terra sprofondata d’un centinaio di metri c. (tale sarebbe la distanza dei
fondali oceanici dalla superficie ghiacciata attuale) è sinceramente poco
credibile; parrebbe assai piú probabile che le cose siano andate diversamente,
ossia che collo spostarsi dei Poli Celesti – per ragioni a noi ignote di natura
magnetico-planetarie o magnetico-stellare (settemplici congiunzioni od altro) –
sia avvenuto simultaneamente uno spostamento dei Poli Terrestri. Spostamento che, sia detto per inciso, non avrebbe
nulla comunque a che fare o per lo meno non coinciderebbe con quello dei Poli
Geomagnetici, i quali variano in tempi di gran lunga piú stretti.
(13)
Vr.P.- ccxvi. 13-24.
(14)
In Ap.- xix. 11-6.
(15)
Ibîd., xvii. 7-14.
(16)
Ap.Rh., cit. da Kerényi (cfr.
n.succ.).
(17) K.Kerényi, Gli Dei e gli Eroi della Grecia- Garzanti, Milano 1963, Vol.I, Cap.3,
p.52.
(18) Ibîd., Vol.II, L.I, Cap-4, p.58.
14
(19)
Per l’inversione dei Poli Magnetici vale, parimenti, quanto già
stabilito alla n.12 per i Poli Geomagnetici.
Poco c’entrano con i Poli Celesti e quelli Terrestri, che fanno da perni
siderei e geografici nelle varie epoche.
(20)
In Hêr., Hist.- ii. 123, 2.
(21)
Cfr. il succit. mito di Illo (vide n.2).
(22)
In prep. per una riv. romana.
(23)
Yas.- xlii. 4.
(24)
Vid.- xix. 2. 42.
(25)
Cfr. in sanscrito il Mare
di Varuna, sc. l’Oc.Indiano.
(26)
P.Bd.- xix. 1-7.
(27)
Codesto Corno in tutta evidenza, prima d’assumere la valenza paradisiaco-positiva
associata al rinnovamento cosmico ed appartenente parallelamente alla ‘Spada’
del Cavaliere apocalittico su cavallo Bianco del Secondo Avvento (cfr. con Kalkyâvatâra), dovette avere il medesimo
senso demonico-negativo dell’Unico Corno di Cervide attribuito ad Illo (ibîd. come alla 21) ed al corrispettivo
indú Rishiçringa, provocante siccità (sc. influenze
celesti negative). D’altronde un
significato infero, questa volta però antecedente alla suddetta relazione con il Canopo perno polare del VI
Ciclo, l’Asino Bianco Unicorne necessariamente lo detiene; visto che può esser
messo in rapporto col II Ciclo umano, ossia il momento della scoperta dello
slittamento dei poli. Cfr. all’uopo con Uccahiçravas,
l’omologo equide induista uscito dal Rimestamento dell’Oceano (Samudramathana) alla fine del II Ciclo
Avatarico, un tempo considerato un bianco cavallo (re dei cavalli) ma oggi
interpretato quale onagro. È
significativo che nell’Avesta l’Asino Unicorne appaia quale khara, termine denotante non meno che in
sanscrito l’asino per il suo raglio, ma nello stesso tempo convergente sul
piano fonetico all’a.m. kar-a =
‘rosso?’ (vide n.29); anziché esser
descritto di color bianco, come nel Bundahiçn. Il che ci fa ricordare il temutissimo Asino
Rosso menzionato da Plutarco (De Is.- xxx.
F ), incarnazione del Set egizio in
funzione demonica, dall’autore identificato all’egualmente rosso ed asinino
Tifone; oltreché Khara, fratello
minore e luogotenente di Ravana nel Râmâyana, un asura dalla testa forse asinina
facente le veci di Kâla, cosí come il
fratello maggiore di Yama. Ecco perché Uccaihçravas
funge nel Rigveda da cavalcatura di
15
Namuci, alter-ego di Vritra
quale condottiero dei Dânava. Namuci adombra Orione, il paranatéllon dellla costellazione
del Toro <decapitato> da Indra (il Sole) mediante una magica arma
schiumosa (la Via Lattea), e Uccaihçravas è Canopo. Quando infatti al Punto Vernale si trova il
Toro – e questo è capitato, guardacaso, proprio all’inizio del II e del VI Ciclo
Avatarico – inevitabilmente Canopo fa da perno polare antartico, essendo la
precessione equinoziale sideralmente correlata allo slittamento dei poli. Nel primo caso, vigendo ancora il simbolismo
artico quale norma positiva del mito il simbolismo antartico aveva funzione
negativa (per cosí dire, anti-avatarica), donde l’associazione del Sovrano dei Cavalli vedico coi Danava;
viceversa nel secondo caso, in cui l’Asino avestico a causa dell’inversione
simbolica dei poli, ha assunto valenza positiva (avatarica). Difatti è identificabile a Parçu e a Perseo,
il titano che nel nome stesso tradisce senz’ombra di dubbio un rimando alla
Persia preistorica, di certo piú ampia a sud di quanto non sia oggidí. Da notare che – come già abbiamo rilevato
sopra – nel VII Ciclo Avatarico, pur preservandosi l’ottica dell’inversione dei
poli fino alla fine del Manvantara,
per via del riferimento al ciclo precedente ormai trascorso tornerà provvisoriamente
il simbolismo negativo dell’Asino in Ravana-Tifone; allorché il sorgere eliaco
sarà caratterizzato dal lunare Aquario (il
vaso celeste contenente il Soma a mo’ di Lûnus)
ed il dominio dei cieli antartici apparterrà alla Croce del Sud (scr.Triçanku, soprannome del Prithide Satyavrata, doppione del padre quale signore
della prima agricoltura), umanamente incarnata dal verde Ramacandra. Cfr. a questo proposito col Dio Verde
amerindo, il Saturno latino ed il Seth ebraico.
(Il primo non ha risvolti umani nella propria tradizione a parte i
sacerdoti che lo incarnano ritualmente, ma le altre due figure sí, secondo
gl’insegnamenti rispettivi della letteratura latina e di quella ebraica.) Non per niente Sîtâ , il nome della consorte del secondo Râma, significa ‘solco’ in senso agrario. Nell’ultimo ciclo, il X, ricorrendo di nuovo l’associazione
astrale Toro-Canopo avremo ancora il Bianco Cavallo di Kalki e del Profeta apocalittico in veste escatologico-benefica;
nonché il demone taurino, almeno nel simbolismo cristiano, a far da avversario
avatarico in senso escatologico-malefico. Naturalmente la stazione canopica è ricorsa in
sede antartica anche nel IV e nell’VIII Ciclo, ma in quel caso non era
associata vernalmente al Toro, bensí allo Scorpione.
(28)
P.Bd-xviii. 1-5.
16
(29)
Da notare che la base iranica *kar, donde si hanno lo zd.av kar-a ed il pah. kar è l’esatto rovescio della base sanscrita *rak-; da cui si ha ha il l’a.m. rak-t-a (‘rosso’), derivato dal vr. ra(ñ)j (‘arrossare, arrossarsi’).
Anticamente, quando i sensi delle scritture non erano ancora ben
determinati, si poteva leggere nella
doppia direzione. Ciò spiega perché
molte parole, con analogo senso, abbiano opposta radice consonantica; il
fenomeno ritorna talora, piú raramente, nella cd. metatesi. Un ulteriore prova di quanto appena sostenuto
è da vedere, probabilmente, nel fatto che il Kara (Pesce) sia associato al Khara
(Asino). Orbene, se come supposto alla
27 l’Asino Unicorne avestico fosse in realtà un onagro (animale dal pelo di
color rossiccio) non meno dell’Uccaihçravas rigvedico, si spiegherebbe allora l’affinità
fonetica e sicuramente anche filologica dei due vocaboli iranici in questione.
(30) A chi mettesse
in dubbio la liceità della traduzione del testo iranico del P.Bundahiçn o B. indiano da parte di E.W.
West riguardo il numero 10 – nella trad.ingl. dell’ed.Anklesaria del Gr.Bundahiçn o B. iranico compaiono
solamente two kar fish ed il wazag è tradotto frog
anziché lizard – ricordiamo che
esiste nel vasellame preistorico rinvenuto sulla costa del Mar Arabico (benché
al momento non riusciamo a rintracciare la fonte libraria ove a suo tempo
avevamo visto l’immagine) una raffigurazione di 10 Pesci simbolici d’uguale
dimensione, circa i quali non ci risulta sia mai stata fornita alcuna
interpretazione, essendo stata scambiata forse per un motivo semplicemente
ornamentale. Personalmente crediamo che
questi 10 Pesci Kar, natanti celestialmente attorno all’Albero Cosmico (Polare),
alludano ai Dieci Soli ai quali sono paragonabili i Dâçavatâra indú. I 2 Pesci dell’altro Bundahiçn, ammesso che la
diversità della doppia traduzione sia corretta (cosa che soltanto gli esperti
in lingua iranica possono sapere), non cambiano poi di molto le cose; dal
momento che la concezione ciclica zoroastriana dell’ordine temporale rassomiglia
sostanzialmente a quella induista, a parte i dettaglî. In altre parole, i 2 Pesci Kar potrebbero
benissimo aver a che fare colle due metà dell’intero ciclo avatarico, una cosmograficamente discendente e l’altra ascendente; giacché, non lo si dimentichi,
l’Albero Cosmico definito Gokard –
non a caso in India vi sono due luoghi chiamati quasi in tal modo – è
quell’Asse Polare indicato parallelamente dalla Doppia Ascia di Parçu. Altrimenti, come farebbero i 2 Pesci a
produrre il rinnovamento del mondo? A
meno d’intenderli come il Sole e la Luna, ma sarebbe una forzatura, perché mai
in alcuna
17
mitologia la Luna è stata dipinta ittiomorfa. Oltretutto a ben ragionare sono semmai tutti
gli astri nel loro assieme, pianeti compresi, a determinare ciclicamente il
Divenire. Perché mai solo i due
luminari? Nei passi ove si parla
dell’Unico Pesce Kara lo si ritrae come il Re dei Pesci e proprio l’equivalente
Matsyarâja è in sanscrito una
variante del Matsyâvatâra.
Illustrazioni
1. Il gigante Paraçurâma, VI Avatâra (ill.pop.cont.).
2.
Il brahmano Parçu, della
famiglia Bhârgava,
stermina i Kârtavîrya onde vendicare la morte del padre (id.).
3. Il titano greco Perséo vincitore
su Medusa (B. Cellini,
bronzo, Loggia dei Lanzi, Firenze, XVI sec.).
4. Medusa (G.Bernini, ritratto scultoreo,
XVII sec. ).
5. Idem (D.Davies, Scontro di titani, effigie cinemat. a c. R.Harryhausen, G.B., 1981).
6. Lamech (altorilievo, dett., portale del
duomo, Modena, XI-XII sec.).
7. Râmacandra, VII Avatara (ill.pop.cont.).
8. Seth riceve la
trasmissione spirituale da Adamo morente (P. della Francesca, affresco,
dett., Chiesa di S.Francesco, Arezzo, 1452).
9. Charles. H.
Hapgood (1904-82), autore della confutata teoria dello slittamento dei poli
geografici (foto,
1958).
10. Copertina originale del famoso libro di Hapgood (Maps of the Ancient Sea Kings, 1966).
11. L’uccisione di Râvana nel
Râmâyana da parte di Râmacandra (K.Râj, pitt.tradiz., Râjasthan, Ep. Cont.)
12. Ravana colle sue 10 Teste e quella d’Asino
dinanzi a Sîtâ rapita e ad altri râkshasa (Anon., miniatura, Bibl.Brit., Londra. XVII sec.)
13. Lamech saetta Caino ( altoril., portale del duomo, Modena, XI-XII
sec.).
14. Caino (idem, dett.).
15. Il nano
Vâmana, V Avatara (ill.pop.cont.)
16. Jamadagni,
padre brahmanico di Parçu ucciso
dal figlio di Kritavîrya, con tridente infuocato
sul capo a mo’ di Çiva (altoril., dett., Sundareçvara M., Mela Pazhuvur, Per.Chola, XI-XII sec. d.C. ).
17. Il
rishi Agastya o Agastyar, lo zio nano di Ravana (ill. pop.cont.).
18. L’Unito
dell’Apocalisse giovannea, con Spada
e Cavallo Bianco, seguito da schiere angeliche (affresco, Battistero, Padova)
19. Testa recisa di di Medusa (Caravaggio, Gal.Uff., Firenze, Fine XVI sec. )
20a. La liberazione di Andromeda (J.Wtewael, pittura, Olanda, 1611)
20b. Idem (vaso
corinzio dipinto ).
21. Forco, figlio di Oceano (epitome scultorea in marmo).
22a.
Ketò, madre delle 3 Gorgoni, in forma ittica (dis.cont.).
22b.
Id. in forma draconica (id.).
23. Ketò fra le costellazioni (incisione).
24. Perseo inseguito dalle altre 2 Gorgoni (Pittore di Šuvalov, oinochoe, dett.,
Ferrara,V sec. a.C.).
25a.
Demetra colla figlia Kore nel loro carro trai- nato da cavalli (altorilievo, Tempio H, Selinunte, VI sec.a.C.).
25b.
Demetra con Testa di Giumenta (scultura, interpr.cont.).
26a. Perseo decapita Medusa
coll’assistenza di Athena (metopa a rilievo in
stile dorico, Da Selinunte, T.C., Palermo, Mus.,
26b.
Nascita di Pegaso, a causa di Perseo, dalla testa recisa di Medusa (R.Chauveau, Francia, XVII-VIII sec.).
27. Renukâ, la dea-testa (Caput
Dracônis), su Leone (ill. pop.cont.).
28. Id., seduta su Cobra a 5 Teste (id.).
29. Varuna con attributi inidentificabili (incis., India C., IX sec. d.C.).
30. Le 3 Graie col loro Unico Occhio (dis., Ep.Cont.).
31. Il Gorgóneion,
antica allusione ad un cambio di perno (C.D.) al circolo polare artico all’interno
dell’Eone (Atheniaspis, VI sec. d.C.).
32a. Kalkyâvatâra con Spada e
Cavallo Bianco alla Fine del Manvantara,
allusione del cambio di per- no nel
circolo polare antartico (ill.pop.cont.).
32b. Id. (R.Behera,
acquerello, Orissa, Eo.Cont.)
33a. Kalki,
X Avatara, con Testa Equina (scultura a tutto tondo)
33a. Id.
(rappr.pop.cont.)
34. Vadabâmukha aliâs Vâjimukha o Vadabâgni (incarnazione
di Vishnu-Nârâyana), il fuoco
sotto forma di giumenta sottomarina proveniente dal tapas di Aurva, nipote di
Bhrigu e nonno di Parçu (scultura,
stile khmer, Sambor Prei Kuk, Cambogia, Per.Pre-Ankoriano, Mus.Guimet, Parigi).
35a. Hayaçiras o Hayagriva, avatara minore di Vishnu, con Testa di Cavalla (R.Behera, acquerello, Orissa, Ep.Cont.)
35b. Id.
(ill.pop.cont.)
36. Bhrigu, capostistipite della famiglia
Bhargava, sul Kailâsh dinanzi alla
famiglia shivaita (id.)
Fonti
Tutte on line.
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4
Fig.5
Fig.6
Fig.7
Fig.8
Fig.9
Fig.10
Fig.11
Fig.12
Fig.13
Fig.14
Fig.15
Fig.16
Fig.17
Fig.18
Fig.19
Fig.20a
Fig.20b
Fig.21
Fig.22a
Fig.22b
Fig.23
Fig.24
Fig.25a
Fig.25b
Fig.26a
Fig.26b
Fig.27
Fig.28
Fig.29
Fig.30
Fig.31
Fig.32a
Fig.32b
Fig.33a
Fig.33b
Fig.34
Fig.35a
Fig.35b
Fig.36
Appendice
Fig.20a
Fig.20b
Fig.21
Fig.22a
Fig.22b
Fig.23
Fig.24
Fig.25a
Fig.25b
Fig.26a
Fig.26b
Fig.27
Fig.28
Fig.29
Fig.30
Fig.31
Fig.32a
Fig.32b
Fig.33a
Fig.33b
Fig.34
Fig.35a
Fig.35b
Fig.36
Appendice
La prima versione cinematografica del taglio della testa di Medusa:
CLASH OF THE TITANS, 1981 (originale, in inglese):
CLASH OF THE TITANS, 2010 (remake, intero film)
LA TRASFORMAZIONE DI MEDUSA (spiegata a livello accademico):
LA TRASFORMAZIONE DI MEDUSA (spiegata a livello accademico):
Si tratta d'un rifacimento, con ampliamento ed inserimento di note d’un art. inedito, consegnato ad ‘Arcana’ il 13-02-12, in 5 pp.
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