Nella fantascienza contemporanea, su suggerimento di alcuni scienziati, i
buchi neri sono stati spesso immaginati quali tunnel per superare la barriera spaziotemporale
(in gergo dicesi “orizzonte degli eventi”) mediante astronavi futuribili e
passare in universi paralleli; insomma, per viaggiare nel tempo (1). Ma l’astrofisica contemporanea ci dice
altro, ovvero che il buco forma in genere un immane vortice di materia
ultracondensata al centro delle galassie.
Attorno a cotal perno d’antimateria si condenserebbero a spirale, a
causa dell’enorme forza gravitazionale da esso esercitata, tutti gli altri
astri formanti la parte visibile della galassia. La Via Lattea, una scia stellare all’umanità
tanto cara nella sua apparenza celeste fin dalla notte dei tempi, non sarebbe
astrofisicamente parlando che una semplice sezione d’una delle varie volute
della nostra galassia (dal gr.galaxías
= latteo), che da essa ha preso il nome.
Davvero formidabile dunque l’intuizione d’un regista nostrano,
P.Corsicato, che in suo film dal titolo evocativo (2), ha paragonato i
suddetti vortici cosmici alle misteriose vagine delle femmine. Anche se ciò ad esser sinceri potrebbe valere
piú per la vicina Galassia d’Andromeda che per la nostra, dato che in termini
astrofisici la Via Lattea è considerata una galassia a barra, da cui si
dipartono i braccî spiralici. La trama
della pellicola, ambientata in un assolato e contemporaneo Suditalia fatto di
donne di malaffare, si snoda attraverso un ricorso allegorico a temi
cosmogonici tradizionali sull’origine del mondo (questa la base del noto
dilemma dell’Uovo e della Gallina, due simboli che fanno capolino nel film)
come l’Autocreazione; vedi mito dell’Onanismo Primordiale, rispecchiatosi nel
vizio di Adamo, protagonista guardone del movie.
Riguardo invece la natura del movimento a spirale logaritmica, lo aveva
già spiegato Stiskin in suo lucido saggio (3), l’universo si scompone
fisicamente in forme del tutto similari, ancorché invisibili ad occhio
nudo. Ciò valendo tanto per le massime
proporzioni quanto per le minime. Dalla
galassia all’atomo, dalla pianta alla conchiglia, dalla cellula al capello, il
mondo assume apparenze convergenti, riproponenti a livello dello spazio
siderale indefinito quant’è possibile osservare anche a livello infinitesimale
od intermedio. Anche la mente, al dire
dello Stiskin, sarebbe soggetta a tal principio d’evoluzione-involuzione spiralica. E siccome vi è una relazione indubbia fra la
realtà fenomenica e quella metempirica, è chiaro che nella triplice sfera
materiale, psichica e spirituale ogni cosa ha il suo posto in modo
assolutamente confacente alla propria essenza.
«Cosí in alto, come in basso» recitava in Grecia una vecchia formula
ermetica. Le faceva eco, tantricamente,
un’analoga formula indiana: yathâ pinde, tathâ brahmânde («Tanto nel pinda, quanto nel Brahmânda»). Vale a dire,
l’embrione riproduce nelle sue fasi evolutive esteriori le stesse dell’Uovo del
Mondo (lett. del Brahma). A dimostrazione che l’Antichità sapeva già
tutto, a grandi linee, pure del mondo fenomenico. L’Uovo del Brahma, giacché Brahmâ equivale pressappoco a Kâma (il Desiderio), corrisponde all’Uovo
d’Argento covato dalla Notte donde al dire di Esiodo sarebbe nato Eros
Protogeno all’inizio dei tempi.
2
Il
buco nero tanto per rimanere in argomento non fa altro allora, se accettiamo la
legge universale d’analogia riconosciuta dagli antichi, che riprodurre su scala
macrocosmica esteriore nel caso della galassia barrata il Fallo (Linga)
di Daksha (lett. “il Destro”, nel
senso di abile); una delle 10 forme di Prajâpati,
il Signore delle Creature, fungente da ipostasi brahmano-shivaita di costui
munita di Testa Caprina siccome creatore secondario. E, nell’altro caso, la Vulva (Yoni) dell’eterna consorte Aditi (cioè ‘Illimitata’); raffigurata
negli anelli di pietra internamente cavi dell’antico induismo, in quanto Gran
Madre primeva, nell’atto d’allargarsi spaventosamente sino a contenere entro di
sé il cerchio vuoto interno quale immagine del Cielo nel suo triplice perpetuo
atto creativo-conservativo-distruttivo.
Il Gange e la nascita
dei Gemelli
Ricorda la Kramrisch (4),
valentissima indologa americana scomparsa nel ’93, che la Gangâ (il Gange, ma
esiste anche una dea omonima che ne è la personificazione quale consorte di Ҫiva-Mahâdeva) discende
dal piede di Vishnu – dond’è chiamata Vishnupadî – e perciò è
detta aver dimorato una volta in cielo.
Ecco perché è denominata alternativamente Devabhutî (sgorgata dagli Dei).
Vi sono due miti che ne spiegano la discesa sul mondo, dopo esser stata
ricevuta da Shiva nelle ciocche dei proprî
capelli – in codesta funzione noto come Gangâdhârâ
– affinché tutto non affogasse in
essa: uno riguarda il rishi Bhagîratha,
discendente di Sagara (l’Oceano), il
quale fece tapas (‘ascesi’) per
ottenerne la discesa; l’altro – evidentemente piú antico – concerne Prajapati ed
il mito dell’incesto cosmogonico da parte di questi sotto forma di cervo colla
figlia Rohinî (5), tema che interpreta la deiezione del Gange quale
caduta del Seme (Soma) del Signore
delle Creature sul Picco del Monte Meru.
Cosí comincia paradossalmente
la vita paradisiaca dell’Uomo (Manu)
e di ParÑu (la Donna, lett. ‘Costola’), riproducenti nel loro analogo peccaminoso
incesto – l’una è figlia dell’altro – quello divino. Se tale mitema allude ontologicamente al
rapporto primevo fra Dio Padre e la Creazione, sul piano cosmologico il chiaro
riferimento è all’inizio del Kaliyuga,
cioè ad Orione (Soma ha 27 spose, preposte ai 27 asterismi dello Zodiaco
Lunare) e alla Settima Pleiade (Aldebaran).
Il Pd.P. -vi. 240. 39-48
afferma sul tema che il Gange dopo la discesa si suddivide in 4 Fiumi fluenti
cardinalmente attorno al Meru, cosa che rammenta da presso i fiumi paradisiaci
biblici. Quello a sud, l’Alakanandâ (ma è sottinteso anche gli
altri 3), si riversa verticalmente in 3 distinti sentieri (Tripathagâ) definiti Mandâkinî
nella porzione celeste identificata alla Via Lattea, Gangâ in terra e Bhogavatî agl’inferi (6). Inutile aggiungere che tantricamente la
Triplice Corrente (Trinadî) – in tal
caso la Ganga è però associata orizzontalmente alla Yamunâ ed alla Sarasvatî
– si riferisce alle arterie invisibili del corpo umano: Sushumnâ, Idâ e Pingalâ; correlate alla Triplice Via del
Sacrificio,
3
simboleggiata dal Tridente (Triçûla).
Per i greci la Via Lattea
fu originata da un fiotto di latte sgorgato da un capezzolo di Hera, indotta
coll’inganno da Athena ad allattare il figliastro Eracle, concepito da Zeus nel
grembo di Alcmena. Secondo James gli
Egizî l’immaginavano invece un uranico Nilo, controparte di quello terreno od
infero. Per le menti dei rishi indiani essa era elargitrice di
Soma (Somadhârâ), l’elisir vitale, e
rappresentava il Sentiero delle Ombre (Hayyapâtha),
vale a dire dei Padri (Pitripâtha).
A Ganga, figlia di Parvata (la
Montagna) o piú specificamente di Himavat
(l’Himâlaya), è legata una delle
leggende fondamentali della tradizione hindu; ossia la storia della miracolosa
nascita di Skanda-Kârttikeya, il
figlio delle Pleiadi (Krittikâ).
Siffatto mitologema, secondo la O’Flaherty (7), s’inserisce nel quadro complesso
d’una mitologia frammentaria che nella sua interezza non compare in alcun
testo, ma che è possibile ricostruire collezionandone pazientemente i frammenti
varî ed unendoli in ordine logico.
La leggenda racconta in
sostanza di come Mahâdeva dopo l’avventura
con Mohinî, fosse ritornato da Pârvatî per far l’amore colla sposa; ma
i loro giochi amorosi preoccupavano gli Dei, ansiosi che dal seme del dio
potesse finalmente nascere il figlio tanto atteso capace di sconfiggere il
demone Târaka, sconvolgitore
dell’intero mondo. Indra, il Re degli Dei, mandò allora Agni sotto forma d’uccello nella loro camera nuziale a raccogliere
il seme nel becco. La dea però, seccata
dell’intervento esterno, maledí le mogli degli altri dèi a divenire
sterili. Non appena il Dio del Fuoco
bevve il divino seme tutti gli Dei ne divennero pregni, ma non potendolo
sopportare a causa del grande calore che emanava, dal medesimo furono costretti
a versarlo nel Gange (per il Kâlikâpurâna nel ventre di Gangâdevî), che lo fece arrestare
vicino ad un canneto. Colà fu raccolto
dalle Krittika, le quali facevano il
bagno proprio nei pressi, e da esso nacque Karttikeya (var.: due gemelli, K. e Viçâkha, presto riunitisi
in un solo corpo).
L’elemento di maggior
interesse del paradossale racconto è il versamento del seme da parte del
doppione Ҫiva/ Agni nella Ganga, od
in Gangadevi, al fine di generare Skanda (8). Questi è la personificazione dell’Anno Sacro
(Yajña) e Ganga, essendo associabile
ad Annapûrnâ (9) quale aspetto
benevolo di Durgâ presiedente alla
fecondità e alla fertilità, indica il principio femminile sottostante al Soma
siccome Liquor Vîtae. Ciò che è tutt’uno col Seme Divino infuocato del Gran Dio. Il Fuoco è il divoratore dell’Alimento, ma
nel contempo lo conserva trascendendolo; come fa il sole col mare quando lo fa
evaporare, sí che possa poi a tempo debito il cielo ristorare la vegetazione
rinsecchita di benefica pioggia. Dietro
questo simbolismo igneo-pluviale vanno naturalmente rintracciati i significati
reconditi, non basta intenderlo sul piano letterale. La polarità cosmica dell’Alimento (Acqua) e
del Divoratore (Fuoco) è soltanto apparente. Shiva, il 'Gran Dio', è l’uno e l’altro nella
propria Unità Divina. Bisogna inoltre
spiegare perché mai il seme sia assunto a posteriori dalle Pleiadi e chi
rappresenti codesto loro figliastro a livello astrale.
L’identità fra Soma ed
Orione l’ho già discussa sopra, ora resta piuttosto da
4
individuare la ragione
della tramissione materna del seme da Parvati – il cui ruolo di partoriente è
reso a volte piú esplicito – a Ganga, e da costei alle Krittika (10). Di solito però ne ha 6 soltanto ed allora
vengono intese in relazione alle stagioni dell’anno monsonico indiano. È innegabile comunque che la leggenda
riportata si collochi astralmente a lato della Via Lattea, l’Etereo Gange (Âkâçagangâ); esattamente come quella
di Prajapati, dove la trasformazione del Divino Padre e della Divina Figlia
rispettivamente in Cervo e Cerbiatta è un’evidente allusione al Mriga
e alla Mrigî celesti di vedica memoria.
In altre parole, ad Orione e ad Aldebaran. Colla Testa di Gangadhara che in sostituzione
di quella originaria di Dhruva (la
Polare) rinvia di nuovo a Mrigaçiras (Testa di Cervo), altro rimando
nel Veda al fatidico asterismo lunare; nonchè al calendario lunare kaliyugico,
allorché la suddetta costellazione trovavasi al Punto Vernale, segnando
l’inizio de ll’Anno Lunare (11).
Anche se l’autore tende a raccogliere in modo tipicamente indiano
astronomia ed astrologia, senza distinzione.
Sicché il Figlio del Gran Dio cioè di Kâla (lat. Càelus), nume
addetto al divenire temporale, non può che incarnare l’Anno in quanto
espressione eminente del Tempo. L’Anno
Sacro fu adottato dagli antichi e celebrato ritualmente assai prima della
scoperta ufficiale da parte d’Ipparco della precessione equinoziale (12). Le Pleiadi nel percorso lunare mensile
precedono zodiacalmente Orione e perciò fungono simbolicamente da baglie del
neonato, ma è Parvati-Aldebaran la vera madre, che è piú prossima.
Resta ancora da
chiarire un punto. Da dove deriva la
premonizione divina dell’inimicizia fra Skanda e Taraka? Tal punto non è facile da comprendere, né ci
pare del resto sia stato mai compreso da alcuno, che si sappia. Se si vuole capire veramente, credoamo sia
necessario prima distinguere Târaka
dal corrispettivo femminile Târakâ. Non importa che nessun mito li colleghi, ciò
succede spesso ai travestimenti demonici di Mahadeva. Vedi ad es. Kâla e Kâlî, dagli
studiosi superficialmente distinti prima delle riflessioni del prof. Przyluski
in un noto art. del ‘38, quasi che i due paredri non avessero niente in comune
se non il nome (13). Quando
bastava pensare ai loro vicendevoli doppioni Mahakâla e Mahakâlî. Qui accade lo stesso. A nostro giudizio infatti le storie dei due
Taraka ripropongono in mutata veste una medesima tradizione, avente perciò
un’unica chiave di lettura. Occorre
premettere che il riferimento astrale in entrambi i casi è la Stella
Polare. Al maschile Taraka risulta
l’avversario di Karttikeya, al femminile
(var.Târâ = Stella) è la sposa rapita
da Soma, metonimia che come insegna
Coomaraswamy va interpretata quale passaggio da una tradizione all’altra. Questa volta il protagonista maschile non è
Skanda, ma il corrispondente dio lunare, che in origine raffigurava
probabilmente la Luna in Orione come meta calendariale connessa al P.V.; donde
ben si comprende la logica scomposizione successiva del termine nel doppio
significato di luminare notturno o di costellazione principale del calendario
basato su di esso. Siamo quindi convinti
che il passaggio di funzione dalla Testa di Dhruva a quella di Shiva equivalga sommariamente all’analogo
trasferimento di dominio, contrassegnato pur esso dalla Ganga, dal primordiale
Taraka all’escatologico Karttikeya;
colla sola differenza che nel primo caso si ha
5
a che fare ciclicamente
coll’inizio del Tretâyuga, nel
secondo coll’inizio del Kaliyuga.
Comparando colla ‘Bibbia’, l’un passaggio equivale a quello da Adamo a
Caino, l’altro da Adamo a Nimrod.
Occorre tener conto del
resto che la Settima Pleiade,
esattamente come accade in Grecia, anche in India assume altri nomi:
principalmente Svahâ, la lasciva
moglie di Agni, al posto di Parvati, Ganga o Rohini. Come tale s’oppone alla casta Arundhatî, di cui a fatica riesce a
prendere il posto. Quest’ultima è messa
in relazione con una stella dell’Orsa Minore, venerata peculiarmente da chi
sceglie il matrimonio celestiale: ci si sposa all’aperto come nei tempi
primordiali, senza rito religioso, solamente accendendo un fuoco e mirando
l’Orsa. Le Sette Pleiadi sono
considerate nei testi sacri le mogli dei Sette Rishi (Saptarisha), un tempo chiamati Sette Orsi (Saptariksha = ‘Orsa Maggiore’), dai Romani invece definiti Sette
Buoi-da tiro (Septem Triônes). Nel ruolo maschile non sempre avviene lo
sdoppiamento fra Agni e Rudra. Spesso è
il Dio del Fuoco a svolgere interamente la parte paterna. Per di piú, esistono versioni dove le 6 teste
del figlio dipendono dalle 6 scintille (i raggî spirituali, ad esclusione
del settimo avente funzione suprema) fuoriuscite dai 6 volti assunti da Shiva per combattere i Démoni (Asura).
In questo caso nascono invero dapprima 6 figli, ma l’abbraccio della
madre – Parvati per l’occasione – è tale da ridurli ad 1 con 6 teste…
Concludendo, non
possiamo trascurare il parallelismo che lega codesto mito indiano a quello
latino di Romolo e Remo, ov’è il Tevere a sostituire il Gange. Un’analoga leggenda troiana, segnalata dal
Pestalozza (14), postula la nascita dell’apollineo Ánios da Rhoiò e
dell’affidamento del figlio allo Skámandros,
il fiume nei pressi di Troia.
Giuseppe Acerbi
Note
(1)
Cfr. in proposito K.Minýas, Gli enigmi della ‘Macchina
del Tempo’ (in un noto film degli Anni Duemila): la letteratura itineraria ed i
suoi significati allegorici dall’Antichità ad oggi– Il Giardino delle Esperidi
(on line, 5-05-09), pp. 1-9.
(2)
I buchi neri, Italia 1995.
(3) M.N. Stiskin, Lo Specchio Divino. Studio sullo Yin e Yang e la
religione Shinto- Ubaldini, Roma 1972 (ed.or. The Looking Glass God. A Study in Yin and
Yang- Autumn P., Kyoto
1971).
(4) S.Kramrisch, The Presence of Ҫiva- Princeton U.,
Princeton [N.J.] 1981.
(5)
G.Acerbi, La leggenda del Cervo,
della Cerbiatta e del Cacciatore…- V.d.T. ( lug.-set. ’91 ), A.XXI, N°83,
Palermo 1992, pp. 147-58 sgg.
(6)
Da notare che in sanscrito tutti i fiumi sono di genere femminile, poiché
sono considerati delle correnti (nadî).
6
(7)
W.D. O’Flaherty, Ҫiva. The
Erotic Ascetic- Oxford U., Londra-N.York 1981 (I ed., con altro tit., id. 1973).
(8)
Cfr. colla figura complementare ma unica di Rudrâgni, nume addetto al compito d’annullare l’universo nel Mahâpralaya alla fine d’ogni era
cosmica.
(9)
Omologa dell’Anna Perenna
romana e dell’Anna mesopotamica.
(10)
A riprova di quanto testé affermato, si rileva talora nell’iconografia di
Skanda (anche se raramente) la presenza di 7 Teste, rimando indubbio alle 7
stelle della citata costellazione.
(11)
Cfr. al riguardo L.B.G. Tilak, Orione.
A proposito dell’antichità dei Veda- Ecig, Genova 1991, col nostro commento
a pie’ pagina.
(12) Ibîd.,Cap.VIII, pp. 244-5, n.+.
(13)
J.Przyluski, From the Great goddess to Kâla- I.H.Q.,
Vol.XIV, N°2 (giu. ’38), Caxton P., Delhi 1985 (I ed. 1938), pp.267-74.
(14)
U.Pestalozza, Religione
mediterranea. Vecchi e nuovi studi- Cisalpino-Goliardica, Milano 1971 (I
ed. Fr.Bocca, Milano 1951), Cap.I, pp. 32-6.
Illustrazioni
1. Emersione dell’Universo dalle Acque Primordiali
(Prayodhi-jala), per distinzione dei
due principî opposti e complementari di Linga
e Yoni (gouache su carta, Nepâl,
XVIII sec. ).
2. Emersione dell’Universo dalle Acque
Primordiali, con manifestazione degli anu
od atomi (pittura, Râjasthân,
XVIII sec., coll.priv.).
3.
Bagnanti immergentisi nelle Pure Acque, sgorganti dall’Aldilà attraverso
i monti e lambenti un bianco Ҫivalinga
Mandir (miniatura, India).
4. Apâm Napât, il
Figlio delle Acque (ill.pop. cont., India).
5. Neptûnus, dio delle fonti latino (Jan de Boulogne, scultura, P.za
Maggiore, Bologna, XVI sec.).
6. Nethuns, dio delle fonti etrusco (ill.pop.cont.).
7. Nechtan, dio delle fonti irlandese (idem).
8. Hiranyagarbha, l’aureo embrione (tempera,
Sc. Kângra, XVIII sec., Bharat Kala Bhavan, Benares).
9. Eros-Fanete, il Primo Nato, preposto
allo Zodiaco Solare nell’Uovo Cosmogonico (bassorilievo, Mus. di Modena).
10. Agni-tattva, il principio igneo-espansivo
(tempera,
Raj., Bhâgavata P. in caratt. arab.,
c.XVII sec., coll.priv.).
11. Soma-tattva, il principio umorale-ricettivo (legno
dipinto, Tanjore, c.XVIII sec., coll.priv.).
12. Samudra (= Sâgar/ Sagar), signore
delle acque oceaniche, col Dugongo (bassoril., India).
13. Indra, re dei Deva, con corona tricuspidata e seme di loto nella mano in varadamudra ad elargire grazie (lega di rame dorata, Nepal, IX-X sec. d.C.).
14. Indra
con Vajra, contrassegno devaico del fulmine, ed elefante delle piogge (bassoril., St. Khmer, That
Phanom Rung, Thailandia, XII sec.).
15 Parjanya,
dio delle piogge, coi colori dell’iride (ill.cont.).
16. Giove Pluvio (incisione all’acquaforte, libro d’antiquariato, Italia,
1770).
17. Le Apsaras natanti nelle acque cosmiche a sostegno dei Bodhisattva (decorazione pittorica del
soffitto, santuario rupestre mahayanico, Grotte di Tun-huang, Cina, VII sec.).
18a.
Le Sirene nella
tradizione europea in forma di nude fanciulle (G.Apperly,
pittura ad olio, G. Bretagna, 1947).
18b.
Idem in forma ittica (H.J.Draper, pitt.
di stile preraffaellita, G.B., 1909 ).
18c.
Id. in forma aviaria (J.W. Waterhouse,
pitt. ad olio su canapa, G.B., 1891).
19a. Varuna su Granchio con Tridente (ill.pop.cont.).
19b.
Forco, figlio
d’Oceano e padre delle Sirene, con chele ed antenne di Granchio nonché
reggendo Torcia e Cestello dell’Abbondanza (affresco, dett.,
Mus. del Bardo, Tunisi).
20. Varuna, su Makara, con Laccio
e Vaso dell’Abbondanza (acquerello,
Raj., XVII sec.).
21. Il
Vaso, emblema di Giovanni Evangelista (Giampietrino, olio su tela, XVI sec.).
22. Manu,
il Primo Uomo secondo il Veda, col Calice dell’Abbondanza (bassoril.,
dett., Ketapanârâyana Mandir, Bhaktal,
XVII-XVIII sec. d.C.).
23. Pûrnakalaça con motivi floreali (incisione su avorio, Begram, II sec. d.C.).
24. L’Om, il sacro monosillabo raffigurante la vibrazione primordiale (gouache su
carta, diagramma, Raj., c.XVIII sec.).
25. Il Nâda-bindu, ossia il seme del suono donde
emana l’intero universo (pittura, diagramma, Raj., c.XVIII sec.,
coll.priv.).
26. Il Brahmânda (pietra, Benares, espress.contemp. d’una forma
trad., coll.priv.).
27. Lo Ҫâlagrâma, equivalente vishnuita del Brahmanda (idem).
28.
Caturmukha Brahmâ col Pûrnakumbha su Loto (ill.pop.).
29. Gangâ col Pûrnakumbha su Loto (id.).
30. Sâdhu in
pellegrinaggio a Gaumukh, la fonte
del Gange, con vaso propiziatorio (A.Dilwali, foto, dett.).
31. Yogi
che medita a Benares, sulla riva del Gange, con vaso propiziatorio (A.Arya, idem.).
32. Processione di
sadhu nel luogo gangetico ove si allestisce ogni 12 anni il Kumbha Mela,
rituale eziologico dedicato al mito del Samudra-mathana
(?, foto,
Haridwar, dett.).
33. Sadhu e devoti che si
bagnano nelle acque del Gange durante il K.M. (id.).
Fonti
1.
A.Mookerjee & M.Khanna, The Tantric Way- Thames and Hudson,
Londra 1989, ill. a p.58.
2.
Ibîd., p.107, ill.n.num.
3. R & S. Varma, The Himalaya
Kailasa-Manasarovar in Scriptures, Art and Thought– Lotus B., Neuchâtel 1985, tav.78.
4. On line.
5. Ibîd.
6. Ib.
7.
Ib.
8. A.Mokerjee, Tantra Art- Rupa
& C., N.Delhi-Calcutta-Alla-habad-Bombay 1994, tav.32.
9. J.Campbell ( a c. di ), The Mysteries- Princeton
U., Princeton 1955, pp. 200-1, tav.III.
10.
Mook, op.cit., tav.36.
11. Op.cit, tav.38.
12. On line.
13.
Ibîd.
14. Ib.
15. Ib.
16. Ib.
17. Ib.
18a Ib.
18b Ib.
18c Ib.
19a Ib.
19b Ib.
20. Ib.
21. Ib.
22. K.Bharatha Iyer, Animals in Indian
sculpture- Taraporevala, Bombay
1977, tav.132.
23. P.k. Agrawala, Pûrna Kalaça or the Vase
of Plenty- Pritivi P., Varanasi
1985, p.45, tav.XI.
24. Mook. &
Kh., op.cit., p.106, ill.n.num.
25. Mook., cit., tavv..2-4.
26. Ibîd., tav.33.
27. Ib., tav.34.
28. On line.
29 Ibîd.
30. K.Singh, Ganga…- Frank Bros & C., N.Delhi 1987, ill.16.
31. J.Mahayan, The Eternal Ganga- Soantech, N.Delhi
1989,p.57, ill.n.num.
32. On line.
33. Ibîd.
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4
Fig.5
Fig.6
Fig.7
Fig.8
Fig.9
Fig.10
Fig.11
Fig.12
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