Tecnica
paesaggistica della pittura cinese dai T’ang ai Sung
La maestria indicibile dei pittori cinesi su seta, carta o muro è
risaputa. Da tale tecnica, utilizzata
molte volte col semplice chiaroscuro annullando il colore, ha preso avvio anche
la pittura a china giapponese su carta di riso, seppure assai piú tarda. Entrambe basavansi sul presupposto che
l’opera d’arte non dovesse rappresentare i particolari, ma piuttosto
l’essenziale. Onde pochi tratti
fondamentali di pennello – immagine del principio sovrintendente alla dualità
cosmica – eran sufficienti alla resa del soggetto, che veniva cosí ad esprimere
l’universalità dell’animo umano anziché una situazione contingente. Il realismo tipico del mondo cinese quale
appare a prima vista è naturalmente tutto il contrario dell’idealismo
metempirico di cui è sempre stato assetato palesemente il mondo indiano.
Ciononostante il risultato finale, al di là dell’apparente contrasto fra
naturalismo ed antinaturalismo che esibiscono formalmente queste due
tradizioni, è sovente il medesimo. Vale
a dire il prodotto artistico taoista, benché s’avvalga d’un metodo diversissimo
per quanto assai efficace d’approccio al Divino, alla fin dei conti raggiunge
la stessa meta trascendente dell’opera d’arte indú. Il cammino per arrivare all’obiettivo finale
però, come appena rilevato, è opposto.
Nel senso che gli indú artisticamente parlando da un lato alterano
volutamente le caratteristiche naturali, eprimendone la potenza nascosta
attraverso una moltiplicazione somatica di teste ed arti animali ed umani;
dall’altro dipingono la natura con colori molto vivaci ma vacui reputandola
viziosa, frutto di un’illusione cosmica, la cd. Mâyâ. Anche se bisogna distinguere fra le
concezioni delle varie scuole sapienziali.
Sommariamente si può dire che per gli shivaiti la Maya sia per cosí dire
la nebbia fantasmagorica di colori che vela la Tenebra Divina. Viceversa per i vishnuiti, che la
concepiscono quale Tenebra occultante la Luce.
In ambiente cinese, distintamente dall’una e dall’altra concezione – in
ciò mostrandosi piú prosimi alla visione paradisiaca originaria – i taoisti evidenziavano
un atteggiamento intimo di minor dualità rispetto ad entrambe le correnti
spirituali indiane. Poiché non
percepivano il sostrato naturale come demonico, né in riferimento al simbolismo
notturno né a quello diurno, pur considerandolo a loro modo essi medesimi un
velo. Un velo tuttavia che si situava al
di là del conflitto fra Luce e Tenebre o di ciò che in termini cinesi potremmo
chiamare lo Yin e lo Yang, cioè insomma della dualità cosmica
apparente.
2
Il
pensiero taoista non faceva troppo leva infatti su ciò che in termini islamici
chiamasi l’Unità Divina (ar.al-TawhTd) e che la Cina definiva invece ‘Soffio Creatore’, identificato al
Sole (cin.Hi)(1), dato che concepiva oltre a questo un assoluto al di là del
manifesto e dell’immanifesto. Ossia il
cd. T’ai-i (lett. ‘Grande Unità’), appellativo riferito alla Stella
Polare intesa quale vetta del mitico K’un-lun, la Montagna Cosmica sulla
cui cima dimorava la Regina Madre d’Occidente; lassú costei, dai denti affilati
di tigre e selvaggia coda di leopardo, regolava il Li e il Wu Ts’an (cioè,
crediamo, le 2 Orse)(2. Non meno del pensiero buddhista quello
taoista distingueva concettualmente tale “Unità Suprema” dallo “Zero Metafisico”,
in codesto ambito noto come Tao (lett. Via).
Detto pensiero perciò, influenzando
l’antica tecnica pittorica cinese, ha prodotto ritratti paesaggistici che della
Bruma han fatto il rimando simbolico essenziale della rappresentazione
artistica. Tramite le straordinarie
pennellate dei pittori taoisti tutti i contorni delle cose, alberi uccelli
bufali esseri umani padiglioni corsi d’acqua cascate valli anfratti o montagne,
sfumano inesorabilmente nella nebbia. E
l’esito finale non è un effettistico richiamo alla vacuità di tutto, né ci si
trova di fronte ad una magica ambientazione tanto appariscente quanto illusoria,
quasi si possa trattare della versione estremo orientale della cd. ‘nebbia di
Morgana’. No, il paesaggio cinese è
trasparente nella nebbia; la quale non avvolge il tutto per vanificarlo, ma per
trascenderlo nell’Infinito. La Bruma
onniavvolgente è un’immagine impalpabile dell’Eterno, l’equivalente insomma del
Brahman indú; e le cose cosí avvolte al modo paleosiberiano appaiono
enti partecipanti all’unisono della conoscenza, della bellezza e della potenza
universale. Questa è una maniera
ancestrale d’intendere, sebbene l’ancestralità in gioco non sia quella
epidermica paletnologica, evidenziante una visione grossolana della vita
animale e vegetale. Ivi abbiamo a che
fare con un’arcaicità inarrivabile nel sentire ciò che esula dal dato di fatto,
oltremodo profonda nel percepire l’impercettibile, delicata nell’osservare la
struttura intima del naturale. Onde il
contorno siccome informale viene posto al di sopra dell’oggetto, trasformando
questo soggettivamente – particolarmente gli esseri umani – in contorno. Non tuttavia come ha fatto l’arte cd.
informale contemporanea, che in quanto erede dell’Impressionismo e
dell’Espressionismo ha finito per determinare una frammentazione colorifica
della nostra visuale artistica simile a quella dei cumuli d’immondizie o alle
percezioni alterate sotto influenze di droghe.
Il mondo della pittura taoista è uno
spazio ancora numinoso, gravido di potenzialità inespresse, uno spazio che
gravita attorno ad una centralità invisibile di cui è manifestazione. Il pennello del pittore la simboleggia. Ma la seta o l’altro materiale su cui le
pennellate si posano individua sul piano simbolico qualcosa che va oltre anche
3
quell’Uno (I), prodotto dal Tao, cui
accennano i testi (3). Errato identificare dunque il Tao al Principio
Primo, come additava una volta M.Granet e sulla sua scia anche J.Evola, visto
che gli antichi testi taoisti tendevano ad associare il Tao non all’I bensR al T’ai-i. È semmai la Tê (‘Virtú’) per la sua
funzione dinamica a simboleggiare in potenza il solare ruolo del Soffio
Creatore, quel che gl’indiani indicano cioè come Vâc o Parola Creatrice. Infatti, il Tao è effigiato non per nulla da
un Cerchio ove il Centro non è indicato; un po’ come avviene seppure con
modalità differente nella sgargiante pittura indiana, in cui quale variante
concettuale troviamo la tecnica del cd. ‘volo ad uccello’, secondo la quale
il centro è dovunque. Tale tecnica è utilizzata tuttavia anche in
Cina, sebbene alternata ad altri 2 punti di vista differenti.
Ad esser precisi, dunque, il Tao non è la
Via che conduce all’Immortalità bensí l’Immortalità stessa; ovverosia quella
“bruma cristallina” di cui è ripieno l’intero Universo, dantescamente concepita
quale Luce od Amore, donde dipendono il “Sole” (il Creatore) e le “altre stelle”
(la Creazione). La tradizione cinese si
mostra maggiormente fredda ed intellettuale ed a differenza di altre impiega
scarsamente il simbolismo della Luce e delle Tenebre. Lo Yang e lo Yin oltreché il
Chiaro e l’Oscuro, anche graficamente sono la Montagna (∆) e la Valle (Ñ). Se si usa il termine “Via” è solamente in
senso metonimico, il fine valendo per il mezzo. Per questo sul piano pittorico gli esseri
umani sono indicati generalmente in cammino, anziché in posizione statica. Poiché il moto è l’elemento-base della vita
cosmica, ma muovendosi ci si disperde come in una foresta. Di qui il ritorno allora, similmente questa
volta all’India e ad altre contrade, all’idea della foresta come Divenire o Samsâra,
che la presenza mediatrice dell’Uomo Vero ( Chên Jên) o Spirituale (Shen-jên)
taoista ristabilizza paradisiacamente in senso rispettivamente primordiale o
supremo. Poiché si allude, in tal caso,
ad un trapasso intimo dall’illusione alla consapevolezza. Anche i discorsi umani svolgono d’altronde
un’azione dispersiva, contraria alla Tê originaria, che era fatta di silenzio
creativo. Ecco perché Lao-tsû dichiara
nell’ultimo capitolo dell’opera che gli è attribuita: “Le parole vere non sono
belle,/ le parole belle non sono vere.”
Viaggio
incantato nella paesaggistica taoista
Analizzando storicamente gli sviluppi della tecnica pittorica taoista,
osserviamo che è solo a partire dai T’ang (618-907 d.C.) che si
rintracciano in Cina le prime grandi
4
manifestazioni di genere
paesaggistico. La scuola settentrionale
– piú realistica nel tratto – viene fondata da Li Ssu-hsün e dal figlio Li
Chao-tao (inizio VII-inizio VIII sec.), leggendarî creatori d’ambienti
fiabeschi ed inusitati; quella meridionale dal letterato e calligrafo nonché
musico Wang Wei (prima metà dell’VIII), considerato forse a torto
l’inventore dello stile monocromo col procedimento a macchia d’inchiostro. Ma in complesso è il loro contemporaneo Wu
Tao-tsû, l’ineguagliabile “Maestro del Tao”, a dominare la scena generale
presso l’Imperatore Ming nel momento di maggior splendore dei T’ang
(712-56). Qualche secolo dopo la morte
di Wu, si tramanda che oltre una novantina d’opere di tale straordinario
personaggio abbellissero la Galleria Imperiale.
Del piú famoso pittore cinese, che si dice vissuto fra la fine del VII e
l’VIII sec. e scomparso un giorno in una grotta apertasi miracolosamente in un
dirupo d’una sua composizione mentre stava conversando con Ming, non è rimasto
purtroppo quasi niente se non in forma di rare copie. Una di queste ritrae un’amena cascata al cui
lato, lungo un cieco sentiero intagliato su rocce a strapiombo rese
seminvisibili dalla bruma e dagli effetti chiaroscurali, conversano del piú e
del meno dopo una nevicata due figure umane quasi indistinguibili dal paesaggio
(4).
A significare evidentemente che la Terra (Ti) sovrasta nettamente
l’Uomo (Jên) non meno del Cielo (T’ien) ed inglobandolo a Sé
maternamente lo armonizza, inducendolo all’autoperfezionamento; è d’altronde nell’indefinitezza
della Valle, immagine del Puro Yin, che si riconosce spesso lo Hsien (‘Immortale’)
taoista.
Durante il periodo di disordine provocato
dalle 5 Dinastie al nord e dai 10 Stati al sud (907-60) c’imbattiamo in una
sintomatica massima di King Hao (X sec.), di cui non è purtroppo
perdurata alcuna opera, che cosí ci ammonisce: la riproduzione naturalistica
del tema copia la forma dell’oggetto, ma ne trascura distrattamente lo spirito,
ottenibile solo mediante il vero. Fra i
contemporanei del saggio King sono noti il rinnovatore Kuan T’ong ed il
tormentato Li Ch’eng, immergente il paesaggio in atmosfere
desolate. I due maggiori paesaggisti di questo periodo
sono in ogni caso due uomini del Sud: il delicato Tung Yüan, abile
tecnicamente nel mostrare le brume autunnali (vedi il bellissimo Giorno
sereno nella valle, dove soltanto pochi tratti di costa sono segnati,
benché sotto gli erti pendii brumosi all’orizzonte compaiano minuscole barche
evidenzianti il travaglio umano nel quadro maestoso della natura), nonché il
monaco buddhista Chü Jan (autore dello splendido Alla ricerca del Taô
nelle montagne d’autunno); rotolo illustrante un iniziatico viaggio
attraverso un sentiero snodantesi fra ruscelli e dirupi, fino a raggiungere
un’altezza immane, testimoniata prepotentemente dalla cima irregolare d’una
sorprendente montagna, ondulatamente segmentata da scoscese abetaie. In questo è il Monte quale Puro Yang ed
immagine dell’Uno ad esser oggetto di meditazione, a meno d’una identificazione
fra i due
5
Poli, Terrestre e Celeste.
Di poi nell’ambito del nuovo ordine
imperiale attuato dai Sung Settentrionali (960-1127), distinguonsi Fan
K’uan (X-XI sec.) e Kuo Hsi (XI sec.). Il primo, “maestro delle altezze e degli sfondi”, riprende in sostanza
lo studio degli ambienti nevosi; il secondo invece si mostra peculiarmente
dedito al tratteggio d’alberi rigidi e rinsecchiti (5), sempre però in ambito similare. Kuo appartiene alla Scuola del Fiume Giallo,
piú lineare nel disegno rispetto agli aspri tratti della Scuola dello Yangtse,
di cui abbiamo sopra menzionato un tipico rappresentante (Tung). Un altro – ci indica il Willets (6) – è Hsü Tao-ning (XI sec.),
operante tuttavia a differenza di Tung già in Epoca Sung (7). Fra le due scuole funge
nel contempo da intermediario e prosecutore l’accademico Li T’ang
(XI-XII sec.), dapprima col suo Paesaggio autunnale, successivamente col
magnifico ed iper-realista Ritorno da una festa; in cui s’osserva un
bufalo, sormontato dal padrone e dal figlioletto, che viene trainato da uno
stanco servo (8). Un grande albero spoglio pare curvarsi a
protezione della scarna comitiva, immersa come di consueto nella nebbia, ivi
suggerita dal chiaroscuro del colore.
L’impostazione sarà ripresa di pari passo nella pittura dei Sung
Meridionali (1127-1279), seppure in un contorno decisamente piú tetro, da Li
Ti (XII sec.)(9). Lo stile sarà perfezionato ulteriormente
attorno al 1.200 da Ma Yüan e Hsia Kuei (XII-XIII sec.). Al Tardo Sung Settentrionale appartiene anche
il Paesaggio con montagne di Mi Fei (XI-XII sec.), richiamato in
Per. Yüan (1260-1368) dalla Montagna dopo la pioggia di Kao
K’o-kung (XIII-XIV sec.)(10) .
Considerazioni finali
I primi artisti taoisti si radunavano in
campagna per cercare l'isolamento dal mondo. Come i sannyâsi indiani
abbandonavano spesso i loro familiari onde applicarsi unicamente alle proprie
attività artistiche. Al modo dei
colleghi europei loro coevi non erano d’altronde in cerca di fama o di fortuna,
non potendo affidarsi ad una committenza privata, poiché non esisteva ancora un
vero e proprio mecenatismo. Erano
costretti a servire solamente in centri di culto imperiali. Per questo la maggior parte dei loro nomi
sono rimasti inevitabilmente avvolti nel silenzio. Se ne sono salvati alcuni fra i tanti grazie
esclusivamente ai timbri di sigilli litici impressi sui dipinti con inchiostro
rosso.
A
partire dai T’ang, gli artisti hanno fruito invece di maggior indipendenza,
dimenticandosi dei laboratori artigianali tradizionali. Sotto codesta
medesima dinastia parallelamente si crearono associazioni buddhiste capaci
d’organizzare incontri culturali a scopo meditativo, dove poeti ed artisti di
vario genere – taoisti e buddhisti
indistintamente – offrivano la loro arte
in pasto al popolo illetterato.
L’offerta consisteva in opere
6
eseguite senza schizzi preliminari su
carta, di cui la Cina fu la prima produttrice al mondo utilizzando la corteccia
di sandalo. La carta resisteva bene
all’invecchiamento, non essendo facilmente attaccabile dai tarli, e rimaneva
perciò a lungo inalterata conservando i toni di colore originarî. Oggetto dei disegni e delle pitture oltre ai
paesaggî, agli alberi e agli animali erano i ritratti umani, il tutto sempre in
funzione simbolica.
Una particolare importanza aveva l’ambito
botanico, ove si riconoscevano 4 “nobili piante”: ad es. il susino in fiore
richiamava annualmente al principio vitale (ch’i) della primavera e
all’elemento corrispondente d’ogni altro quaternario, l’orchidea a quello
dell’estate, mentre il crisantemo od il pruno rinsecchito ricordavano
l’autunno; a sua volta il sempreverde
bambú riportava all’inverno, nonché alla longevità, corrispettivo cinese della
rinascita. Non a caso il manico del
pennello proveniva da tal vegetale, emblema di quel Soffio Primordiale attraverso
cui il Tao produceva la scomposizione cosmica nello Yin e nello Yang. Viceversa i peli venivano tratti dalla
pelliccia di animali domestici o selvatici al fine di garantire estrema
morbidezza alla linea del tratto. Il
mezzo per dipingere era altresí preparato impastando la fuliggine con materiale
colloso appropriatamente aromatizzato.
L’ingrediente principale della
composizione rimaneva comunque il vuoto incommensurabile della carta, immagine
del Tao, su cui si fissavano a mo’ di mediazione umana fra Cielo e Terra poche
linee essenziali d’inchiostro; atte piú a suggerire e ad interpretare, che non
a raffigurare.
Giuseppe Acerbi
Note
(1) Cfr. con l’I, il
monosillabo affine denominante in lingua cinese il numero 1.
(2) M.Loewe, Ways to Paradise- G.Allen & Unwin,
Londra-Boston-Sidney 1979, Cap.IV, passim.
(3) Tao-tê Ching- xliii.
(4) G.Argentieri ( a c. di), Pittori cinesi-
Mondadori, Milano 1967, p.23, iil.7.
Confessiamo d’esserci appoggiati a questo testo, principalmente, per la
parte storica e documentativa dell’art.
(5) Cfr.,
in proposito, Boschi invernali; apud W.Willets, Origini dell’arte cinese,
dalla ceramica neolitica all’architettura moderna- Silvana, Milano ?,
Cap.VII, fig.211 (ed.or.
7
Chinese Art,
I ed. Penguin B., Harmondsworth [Middl.], 1958; II ed.riv.
Thames & Hudson, Londra 1958).
(6) Ib., p.335.
(7) Cfr., per un appoggio visivo, lo
stile scabro hsü-tao-ninghiano di Alti templi sulle montagne innevate col
dolce paesaggio tunghiano di Cerimonia per invocare la pioggia (ib., p.352, tav.209; p.250, tav.207.
(8)
Arg, op.cit., p.49, tav.col.14.
(9)
Vedi Pastore che ritorna a casa con un fagiano legato al bastone, in
un paesaggio invernale in W.Speiser, Cina- Il Saggiatore, Milano
1960 (ed.or. China. Geist und gesellschaft- Holle V., Baden-baden
1959), p.212, tav.col.n.num. Per il
comm. cfr. p.218. Al soggetto abbiamo dedicato alcune
nostre riflessioni personali di stampo animalista-esistenziale in I.Hud
(pseud.), Quel fagiano che cantava nella
valle, blog (Noiweb, 8-12-09). Link: http://noiweb.blogs.it/2009/12/08/quel-fagiano-che-cantava-nella-valle-7534266/
(10) Will, op.cit. p.253, ta.213; p.357, tav.220.
Illustrazioni
1. Lao Tsu a cavallo
del Bufalo (Chao Pu-che, pittura cinese, XI-XII
sec. d.C.).
2. L’Imperatore Ming (Li Chao-tao, cop., Per.T’ang, Mus.Naz, del
Palazzo, Taiwan, XI sec.,).
3. Wang Wei (Gao Tsu, ritratto).
4. Paesaggio
nebbioso (Chao Mêng-fu, porz. di rotolo, ispir.
a Wang W., Per.Yüan, Mus.Brit., Londra, XIII-XIV sec.).
5. Paesaggio fluviale (Xiang Shen-mo, inch. su carta, ispir. a Wang W., Per.Ming, Mus. di Shang.,
Shangai, XVI-XVII sec.).
6. Confucio (Wu Tao-tsu, ritr., Per.T’ang, VIII sec.).
7. Paesaggio (Id., Per.T’ang, Daitokuji, Kyoto, VIII sec.).
8. Tempio
sulle montagne (Li Ch’eng, pitt.
su carta, ispir. a Wang W., Per. delle 5 Din., X sec.).
9. Giorno
sereno nella valle, P.II (Tung Hüan, inch.
e col. su carta, Per.Sung, Mus. di Belle Arti, Boston, X sec.).
10. Cerimonia per invocare la pioggia (Id., inch. e col. su seta, Mus. Naz.
del Pal., Taiwan, X sec.).
11. Andando alla ricerca del Taô nelle montagne d’autunno (Chü Jan, inch. su seta, Mus. Naz. del Pal., Taiwan, X
sec.).
12. Paesaggio sotto la neve (Fan K’uan, dett.,
Mus. di B.Arti, Boston, X-XI sec.).
13. Sedendo solitario accanto a un rivo (Id., Mus.Naz. del
Pal., Taiwan, X-XI sec.).
14. Boschi invernali (Kuo Hsi, inch. su seta, Mus.Naz. del
Pal., Taiwan, XI sec.).
15. Alti templi sulle montagne innevate (Hsü Tao-ning, inch. su seta, Mus.Munic., Osaka, XI sec.).
16. Paesaggio autunnale (Li
T’ang, inch. su seta, Per.Sung, Tempio Kôtô-in,
Kyôto, XII-XII sec.).
17. Ritorno da una festa di villaggio (Id., foglio d’album, Per.Sung, Mus. di B.Arti, Boston,
XI-XII sec.).
18. Paesaggio invernale illustrante un pastore che ritorna a casa con
un fagiano legato al bastone (Li
Ti, inch. di china su seta, Per.Sung, Yamato Bunka Mus., Osaka, XII
sec.).
19. Due saggi sotto un pruno (Ma Yüan, Per.Sung,
Mus. di B. Arti, Boston, XII-XIII sec.).
20. Paesaggio (Hsia Kuei, dett., Per.Sung,
Coll. Iwasaki, Tokyo, XII-XIII sec.).
21. Rientro d’una barca sotto la pioggia (Id., dett., inch. su seta, Per.Sung, Mus. delle B.Arti,
Boston, XII-XIII sec.).
22. Paesaggio montano (Mi Fei, inch. su
carta, coll. F.Nakamura, Tokyo, XI-XII sec.).
23. Montagna dopo la pioggia (Kao K’o-kung,
Per..Hüan, Coll. Governo Cin., XIII-XIV sec.).
24. Abate taoista (Anon., ritr.).
25. Monaco taoista (Anon., ritr.).
Fonti
1. M.Kaltenmark, Lao Tseu et le taoïsme-
Éd. du Seuil, Parigi
1982, p.58, ill.n.num.
2. On line.
3. Id.
4.
L.Binyon, Painting
in the Far East- Dover, N.York 1969, in
fr. A p.92, tav.7.
5. On line.
6. Id.
7.
G.Argentieri, Pittori cinesi- Mondatori,
Milano 1967, p.23, ill.7.
8. On line.
9. Arg., op.cit., p.47, tav.15.
10. Willets, Origini
dell’arte cinese, p.350, ill..207.
11. Will., op.cit., p.351,
ill.208
12. Arg., p.44, tav.12.
13. Will., p.352, ill.210.
14. P.353, ill.211.
15. P.352, ill.209.
16. p.353, ill.212.
17. Arg., p.49, tav.14.
18. W.Speiser, Cina- Il Saggiatore, Milano 1968,
tav. a fr. di p. 213.
19. Arg., p.48, ill.16.
20. P.60, tav.20.
21. P.47, tav.15.
22. P.64, ill.21.
23. P.80, ill.25.
24. P.67, ill.22.
25. P.105, ill.33.
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4
Fig.5
Fig.6
Fig.7
Fig.8
Fig.9
Fig.10
Fig.11
Fig.12
Fig.13
Fig.14
Fig.15
Fig.16
Fig.17
Fig.18
L'articolo tratta dell'incantevole itinerario taoista attraverso il paesaggio innevato dipinto ad inchiostro di china.
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