1.
Premessa
Storici delle religioni e paletnologi, tranne qualche eccezione che
conferma la regola, hanno sempre pigliato poco sul serio la mitologia, facendo
poco o nulla per adattare il materiale archeologico agl’insegnamenti dei
miti. A poco sono serviti gli studi di
Eliade onde dimostrare che i miti sono storie vere, paradigmatiche, ecc.; la
pratica è, sostanzialmente, diversa dalla teoria. Seppure i miti non descrivano fatti storici,
hanno la capacità d’incunearsi nel passato dell’uomo, offrendo a questo un
contenuto che altrimenti il semplice reperto sarebbe incapace
d’illustrare. Il mondo della mitologia
non è un mondo fantastico, bensí un mondo reale, piú che reale. È il mondo vero, privato delle sue illusioni
e riportato alla sua realtà potenziale, oltremondana. Essendo i miti validi su vari piani, vi è
anche il piano storico e quelli correlati (sociale, antropologico) che
potrebbero venir analizzati con tal formidabile metodo. Stando dunque al mero piano storico, da non
confondere con quello storicistico che è una formula convenzionale da
rigettare, il passaggio da un culto ad un altro – sia pure nella preistoria –
rientra in codesto ristretto ambito.
Pertanto, dilatando il concetto di storia (o, se se si vuole, di
etnologia; ad essa allineata nei compiti, pur con con una mitologia sua
propria, secondo i presupposti strutturalisti di Lévi Strauss)(1) oltre i canoni consueti ed
accademici della registrazione d’archivio dei dati, troveremo che l’idea
tramandataci dagli antichi di Pico quale dio dell’Età del Bronzo – in senso
cosmologico, non archeologico – risponde ad una conoscenza effettiva. È una nozione, insomma, tutt’altro che
peregrina. Debbono allora di necessità
essere esistite tracce, anche sul piano esclusivamente paletnologico, di
siffatto sviluppo mitico-cultuale. E
difatti tale orme sono reperibili, se si vuole analizzare il materiale
pleistocenico con cura e sguardo privo di pregiudizi (2), tanto in Europa (3 quanto in Asia (4). Nell’osservare
determinate raffigurazioni della preistoria europea e di quella asiatica c’è
balzata subito alla mente l’intuizione che in quelle peculiari forme potesse
celarsi un’epoca dimenticata della nostra cultura, ma con sicuri agganci per
quanto inattesi nel mondo pagano antico, particolarmente greco-romano. Sotto quest’aspetto non vi è da stupirsi se
proprio in Sicilia, la Sicilia non ancora colonizzata del Tardo Paleolitico,
sono state rinvenute incisioni parietali ritraenti uno scenario rituale, simile
a quello reperibile nel Magdaleniano in Francia, che può farci rammentare la
mitologia di Pico, l’antenato di Fauno e Latino.
2.
Pico nella preistoria
Nel secondo caso
summenzionato si ha a che fare con Lascaux, in Dordogna. Ci si trova di fronte ad immagini pittoriche
su parete rocciosa, circa le quali il prof. Anati scriveva negli Anni Ottanta
quanto segue: “Osservando alcune delle composizioni del Paleolitico, ad esempio
la scena del pozzo di Lascaux, con il personaggio «mascherato», il bisonte, il
dardo e lo standard «ad uccello», ci si rende conto che un enorme patrimonio
concettuale ancora sfugge alla nostra comprensione… I teorici della semiotica potrebbero
rimboccarsi le maniche e mettere alla prova la loro disciplina, affrontando
l’interpretazione dell’arte preistorica.”
Egli notava di fianco alla figura che il bisonte era in posizione
d’attacco, ma che il dardo l’aveva solamente sfiorato, non trafitto; e che il
confronto era avvenuto con una figura itifallica dalla testa d’uccello e corpo
umano, fiancheggiata da uno “standard” d’uccello (da parte nostra preferiremmo
usare il termine “totem”). Inoltre, che
il tipo di relazione intercorrente tra le due entità era contrassegnato da un bâtonnet; cioè un bastoncino, presente al
suolo nell’ambito della scena.
Continuando poi nell’argomentazione sulla semiotica sopra enunciata il
Professore dichiarava, senza mezze misure: “Gli psicogrammi sono segni che
trasmettono sensazioni da chi li raffigura a chi li recepisce. Si tratta di un livello ancora più astratto
di quello del simbolo che, essendo tale, ha un suo preciso significato. Lo psicogramma opera a livello del
subconscio, come certi segni archetipici che la nostra memoria cosciente non sa
più definire, ma che, nelle profondità del sommerso, provocano reazioni
associative e sensorie, avvalendosi di lunghezze d’onda che sfuggono alla
fascia delle ordinarie trasmissioni, ma che sono di sorprendente
chiarezza.”
continua
3.
Da Pīcus Ferōnius a Pīcus Mārtius
a
4.
Indra
e Verethragna, gli omologhi indoiranici di Pico
a
Note
(1) C.Lévi
Strauss, Antropologia strutturale- Il
Saggiatore, Milano 1966 (ed.or. Anthropologia
structurale- Plon, Parigi 1958), Cap.I sgg. Se ci si limita da un lato (nel metodo
storico) a prendere in considerazione soltanto i dati oggettivi o quelli che si
reputino tali e dall’altro (nel metodo etnologico) le abitudini inconsce
(ammesso, e non concesso, che esista l’inconscio quale categoria reale al di là
delle teorie psicanalitiche) o ritenute tali, è evidente che si finisce per
ricadere in quelle “costruzioni frettolose, che finiscono sempre col rendere le
popolazioni studiate «riflessi della nostra particolare società», delle nostre
categorie e dei nostri problemi” (ibid.,
p.28). Secondo quanto denotato da
Boas. Il rischio, è ovvio, c'è anche
diversamente ossia uscendo dal seminato. Proprio
per questo è bene, analizzando i reperti ancestrali, rifarsi a categorie
arcaiche.
(2) Concordiamo nel metodo e nelle prospettive
con quanto elaborato negli anni, dal 1968 in poi, da parte del Centro Camuno di
Studi Preistorici; cui abbiamo aderito per un certo periodo (fino a che non ci
siamo gravemente ammalati), partecipando ad un importante Simposio (Prehistoric and Tribal Art- Symbol and Myth)
tenuto a Capo di Ponte all’inizio dell’autunno 1993 con nostro materiale
fotografico, seppur non del tutto inedito.
Il prof.Anati, in un suo vecchio scritto (E.Anati, Origini dell’arte e della concettualità- Jaca B., Milano 1989, pp.
32-4) esprimeva l’idea di creare una ‘storia totale’ dell’umanità unendo
l’archeologia alla tradizione orale e alla letteratura. Di qui abbiamo preso le mosse noi stessi coi
nostri studi, benché molto a
latere, partendo dalle citazioni e dalle osservazioni in campo
italico-latino nella Riv. Arthos da parte del prof. R. del Ponte et al.
(3) Per il materiale europeo basterà al momento
consultare An., op.cit., p.170,
fig.105; oppure l’art. di A.Leroi-Gourhan (Les
signes parietaux comme «marques ethniques», Altamira Symposium, 1981,
pp.289-94) da cui è tratta.
(4) Per il materiale asiatico vide VS. Wakankar & R.R.R. Brooks,
Stone Age Painting in India-
Taraporevala, Bombay 1976, p.56., figg. n.numm. supra et infra; il
testo da cui siamo partiti per elaborare il nostro maxi-art. presentato all’XI
Simposio Valcamuno, col titolo di Le arcaiche
figure tricorni nella glittica della Civiltà dell’Indo e nell’arte rupestre del
subcontinente indiano.
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