Il Makara,
come ha notato la Viennot (1) nei fregi budhisti appare
raramente solo, privo di attributi. Di
solito occupa il centro d’un motivo circolare, sia a Mathurā che a Bhārut (2). La Viennot si rifà chiaramente
a Coomaraswamy, che nel suo studio sugli Yakṣa
(3) ha serbato un importante capitolo all’argomento (4), facendo del Makara un genio
delle acque e come tale veicolo delle divinità fluviali. L’autrice si serve nel suo scritto, onde
ottenere i propri scopi, d’un articolo pubblicato in precedenza (5). Dopo aver esaminato
l’abbinamento fra Kāma e il Makara, la
Viennot passa ad esaminare la loro presenza sui toraṇa (6) o le balaustre buddhiste, ove il
mitico animale è veicolo d’una divinità o generatore d’un rizoma vegetale. Ciò prima del IV sec. d.C., epoca in cui ha
costituito un fondamentale elemento decorativo.
Talora sono delle spirali che li sostituiscono (ad es. su 2 placche votive
jaina di Mathurā) (7), le quali però fungono piú da nāga che da makara. Altre
volte (8)
s’inseriscono a lato del trono o sul piede-destro dei torana, a mo’ di guardiani, di quali spuntano i
viticci. Il Makara può anche risultare veicolo di qualche personaggio divino,
come gli yakṣa o le yakṣinī. A tal proposito occorre rammentare che Kṛṣṇa nella Bhagavad Gītā afferma di Sé: “Io fra i
pesci sono il Makara.”
Note
(1) O.Viennot, Le
Makara dans la sclpture de l’Inde- Art Asiatiques (Ann. del Mus.Guimet e
del Mus.Cernuschi), Parigi 1958, Fasc.3, Tom.V, P.I, pp. 183-206; P.II, Fasc.4,
pp. 272-92.
(2) Vien., op.cit.,
P.I, p.187, fig.4 e p.272, fig.28.
(3) A.K. Coomaraswamy, Yakṣas: Essays in the Water Cosmology- Munshiram M.,
N.Delhi 1971 (I ed. Smithsonian Inst., Washington 1928-31, 2 P.).
(4) Coom., op.cit.,
P.II, Cap.4, pp. 47-56.
(5) O.Viennot, Typologie
du makara et essai de chronologie- Art Asiatiques, T.1, fasc.3, pp.
189-208, Parigi 1954.
(6) Sono dei passaggi ornamentali, i quali seondo il C.Humphreys,
Dizionario Buddhista-
Astrolabio-Ubaldini, Roma 1981 (ed.or. A
Popular Dictionary of Buddhism- Curzon P., Londra 1975), s.v. TORANA, p.150) potrebbero aver a
che fare – almeno nell’etimo – cogli archi shintoisti giapponesi, chiamati Torii.
Imitano i corrispondenti passaggi in pietra in uso prima dell’arte Maurya (III sec. a.C.).
(7) Ibid. come alla 2, p.188,
fig.5.
(8) Ib., p.190,
fig.6.
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