sabato 3 maggio 2014

LA STORIA STRAORDINARIA DI KESSI, MITICO CACCIATORE ANATOLICO


Premessa

        Abbiamo qui a che fare con un’antica leggenda vicino orientale (precisamente hittita), giuntaci purtroppo in forma mutila, che per certi versi rammenta la scritto di E.Schikaneder; fungente da libretto ad una celebre opera di Mozart, tratto secondo M.Mila da una fiaba rielaborata letterariamente (cioè trasformata in favola) dal Wieland.  Per la verità la versione hittita della storia non è la sola rinvenuta dagli archeologi, a parte altre minori in khurrito; ne esiste un frammento ulteriore in accadico, la lingua internazionale del tempo, ritrovato nientemeno che in Egitto.  Non si sa bene a quale titolo esso si trovasse a Tell-el-Amarna, ma non è ancor il momento di parlarne.   Prima è il caso semmai d’affrontare il tema del cacciatore Kessi (varr. Kešši, Kaššu, Kissim, Kiššiš), forma hittita d’Orione, e della sua rinomata sposa Šintalimeni (khurr.Šintamini).  Quest'ultino nome significa 'Settima'.  Il riferimento astrale letterale dell’epiteto va alla “Settima” Pleiade, nientemeno che Aldebaràn.
        Premetteremo subito, tanto per chiarir bene le cose, d’esserci imbattuti in codesto mito soltanto per caso; ossia, occupandoci di cinema a livello semiprofessionale nella seconda metà degli Anni ’70.  Fu un momento quello, del resto, in cui anche la cinematografia professionale si era dedicata alla mitologia piú seriamente di quanto non avesse fatto in precedenza il peplum.  Tal genere cinematografico, ricordiamo, aveva portato in voga eroi muscolosi superdotati in senso culturistico quali Ercole, Ursus od il dannunziano Maciste.  D.Davies, rifacendosi un po’ al nostrano genere peplum ed un po’ alla tardiva rivisitazione pasoliniana d’Eschilo in chiave psicanalitica di nemesi intesa quale rimozione storica d’un antico patriarcato, avente in contesto ellenico invero carattere divino, fece uscire negli U.S. il famoso Clash of the Titans, non a caso ambientato in alcuni esterni nell’italica Paestum.  L’opera fu poi riciclata da L.Leterrier nel 2010, sempre negli States.   L’uscita della prima pellicola era invece avvenuta nell’81, l’anno prima della presentazione del nostro Kessi. Una storia piú antica del mondo, film autoprodotto colla co-regia di A.Pelizza, al I Fest. del Cin. Giovani di Torino dopo 6 duri anni di lavorazione.  Il regista inglese aveva bazzicato a lungo nel free-cinema e perciò nel curare la trama e le scenografie sfruttò certe maniere espressionistiche di quel filone artistico underground, trasferendole in un campo piú commerciale, anche se passato ormai di moda.  Inutile aggiungere che la vicenda di Perseo riesumata da Davies narrava d’un Perseo piuttosto fantasioso, il quale decapitava Medusa dopo aver annientato un esotico Cabilos, personaggio fittizio di pura invenzione registica nonostante certe indubbie somiglianze di costui coi nemici effettivi del Danaide.  Nel rimake, vent’anni dopo, Cabilos diventerà un alter-ego di Acrisio; il nonno realmente ucciso nel mito per errore dal nipote, ma in tal film sposo della madre Danae.
        Da parte nostra in un’ottica quasi parallela a quella del Davies avevamo riscritto 



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la storia hittita, peraltro già ampliata dall’antropologo T.H. Gaster con aggiunte rispetto all’originale sulla base di alcuni frammenti secondarî, che pur non esaurendo il testo – incompleto nelle due versioni principali – ne segnalavano i probabili ulteriori sviluppi 





Trama originale del poema e ricostruzione letteraria del Gaster

        Il Cacciatore – vero e proprio “figlio della vedova” in senso massonico – è descritto dapprima dimorare sulle colline assieme alla propria madre, procurando scelta cacciagione per il sostegno familiare e le offerte rituali agli Dei a scopo propiziatorio.  Sino a quando Kessi, innamoratosi della bella Shintalimeni, l’ultima di sette sorelle, comincia a trascurare i sacrificî.  Irritati allora dalla negligenza del giovane nei loro confronti, i Numi gli rendono infruttuosa la caccia.  Anche la madre, notando la trascuratezza del figlio, se ne ha a male e lo rimprovera aspramente di perdersi dietro i begli occhi d’una femmina.  Onde il Cacciatore, punto sul vivo, vien spinto dall’orgoglio ferito a tornare sui monti in cerca di nuove prede; ma s’imbatte in certe creature malefiche, quei genî delle selve che il Gaster definisce genericamente gnomi alla maniera nordica, e ne rimane spaventato a morte, tanto da venir indotto a 7 brutti sogni.  Ivi ha termine il frammento maggiore del poema.
        Di seguito Theodore Gaster, attraverso un’indagine minuziosa ed efficace quantunque criticata in qualche settore del mondo accademico, è riuscito a rielaborare la parte perduta della storia conferendole un significato che da un punto di vista squisitamente lettererario non fa una grinza.  E, forse, neanche sul piano mitico (1).  Nel relativo commento (2) l’antropologo britannico naturalizzato americano, seguace della teoria del ‘Myth and Ritual’ (3), avvalendosi di solide cognizioni nel campo della Storia delle Tradizioni Popolari ha egregiamente spiegato le motivazioni di tutti i suoi interventi testuali.  Li abbiamo riletti per l’occasione, tutti apparendo ancor a distanza d’anni assolutamente appropriati.  Sta di fatto che la seconda parte della storia, cosí reintegrata, è risultata la seguente.  I sogni di Kessi si avverano completamente, sicché il protagonista è costretto ad abbandonare il Mondo dei Vivi ed a scendere in quello dei Morti, percorrendo 7 ignote tappe.  Nella prima giunge ad una Magica Porta, che è la Porta del Tramonto, ai cui lati son accovacciati fronteggiantisi un orrido Drago e delle sozze Arpie nel ruolo di custodi della via infera.  Oniricamente li aveva fronteggiati dinanzi alla soglia di casa.  Nella seconda viene colto da una luce mirabile, traumatizzante, attraverso la quale si palesa pian piano in lontananza il Dio del Sole.  Similmente negl’incubi notturni aveva visto un bolide infuocato investire varie persone.  Nella terza stazione il nume gli dischiude la Porta degl’Inferi, permettendogli 



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d’entrare nell’invisibile regno; nella quarta invece è il suocero Udipšarri – padre defunto di Shintalimeni, che in precedenza Kessi ha sposato – a riceverlo legandogli emblematicamente mani e piedi, avendo prima interceduto presso il dio solare affinché iniziasse il genero ai segreti dell’oltretomba.  Nella quinta tappa il Cacciatore incontra gli Antenati, attizzanti un sacro fuoco; nella sesta s’imbatte negli Uccelli della Morte e poi ritrova il Dio del Sole, che l’attende oltre la Porta del Mattino.  Nell’insieme la ricostruzione dell’antropologo, a nostro parere, appare un po’ carente; ma la cosa è probabilmente dovuta al fatto che il primo sogno nelle tavolette risulta mancante e, di conseguenza, gli altri 6 rimangono inevitabilmente ribaltati all’indietro.  A questo punto non potendo Kessi ritornare per la stessa via dond’è giunto, poiché il tempo mai non retrocede (condizione questa tipica della riconquista paradisiaca), viene dal nume (ed è qui che si svolge in realtà la settima tappa) consegnato all’eternità, elevando lui e la propria sposa alle stelle.
        Perché criticare il Gaster per una ricostruzione, tutto sommato, decisamente splendida?  Nonostante il gap del primo sogno.   Non è stato filologicamente corretto?  Figuriamoci, i filologi smontano e rimontano i testi a loro comodo, pur di dimostrare l’indimostrabile!



La nostra personale interpretazione del testo integrato e dell’intero poema

        Pur dando un’occhiata anche all’originale, pubblicato in traduzione in una rivista specializzata, nel formulare la sceneggiatura del film Kessi – risonorizzato ed appositamente filtrato in betacam analogico nel ’98, con sottotitolo mutato (Il Cacciatore Celeste) e relativa doppia versione inglese – abbiamo tenuto conto altresí d’un magistrale art. di Boncompagni sul <Giornale dei Misteri>.  Il compianto Solas aveva avuto il pregio di menzionare a differenza del Gaster il nome originario dei personaggî: i genî delle selve erano additati ad es. quali Kulses, il Drago Illuyankaš, le Arpie Damnassara, gli Antenati Akkantes.  Gaster citava invece esclusivamente le D., nel commento, denominando Dei minori i Genî e Padri Divini gli Antenati.  Tramite le spiegazioni accattivanti fornite dal suddetto S.B. abbiamo potuto approfondire il sottofondo simbolico del racconto, evidentemente consistente in un mito d’iniziazione eroico-regale.  Con immaginabile rito accluso, sebbene non si abbia notizia precisa di ciò.  Soltanto si sa che il Re era divinizzato già in vita (apoteosi) e veniva chiamato ‘Sole’, in quanto garante del rinnovo a Capodanno dei ritmi cosmici.  Che si tratti comunque d’una storia iniziatica lo provano direttamente le 7 tappe della Discesa, cosí come le abbiamo sommariamente delineate.  Il 7, d’altronde, è un numero tipicamente 



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iniziatico (4) e secondo il Furlani era particolarmente caro agli hittiti.
        La prima tappa iniziatica è di necessità costituita nella storia suaccennata dal primo elementare approccio della coscienza alla dualità cosmica e dal tentativo inizialmente inefficace di cogliere al di là di essa la ûnio oppositôrum: il Drago a destra della Porta del Tramonto (equinozial-autunnale) indica la Via di Destra od Ascendente dell’Anno, le Arpie – un’unica Arpia nel film – a sinistra della Porta la Via di Sinistra o Discendente.  Kessi, ossia l’iniziato, è impossibilitato in un primo tempo ad attuare l’unità degli opposti essendo ancora soltanto un novizio, dualisticamente sospeso fra ascesi e desiderio.  Cfr. in proposito la leggenda massonica di Pamino e Tamina nel <Flauto Magico>.  Oltrepassando quella Magica Porta che è il rito d’iniziazione stesso, equivalente alla Morte in senso corporale, l’Eroe ha la possibilità d’andar oltre.  Questa fase del percorso è suddivisibile in 2 momenti: uno è dato dall’incontro col dio-sole, in altre parole col maestro d’iniziazione, il Sarastro della situazione; l’altro dal vero e proprio ingresso infero, favorito dall’iniziatore, introducente l’iniziando al mondo interiore ed invisibile.  La strada sarà immancabilmente senza ritorno, poiché in tale atto il Mondo dei Vivi (la vita fenomenica), viene definitivamente superato.  Procedendo verso il suo intimo perfezionamento il cacciatore d’orme, vale a dire il seguace della via spirituale, entra macrocosmicamente in diretto rapporto col tenebroso Regno degl’Inferi.  Insomma con quell’oscuro antro che i massoni definiscono “Loggia”, immagine evidente al dire di Guénon della sottile ricettività del Mondo (scr.Loka); e microcosmicamente col Cuore, ove sono seppelliti tutti i ricordi dei nostri predecessori, in vita ed in morte.  Altri defunti sono posti dalla storia sui monti, peculiarmente il padre di Kessi, che lo protegge dall’aggressione annientatrice dei Kulses.  Uno spettatore, nella conferenza tenuta dopo la proiezione del film alla ex-Sala da Ballo delle Dame di Casa Savoia di Torino riadattata a salone per le feste massoniche, ci chiese perché mai nella sceneggiatura avessimo ritratto i morti con incoerenza fuori o dentro la lunga ed oscura galleria.  Rispondemmo d’aver trovato quella distinzione già bell’e fatta.  In realtà la distinzione non era duplice, bensí quadruplice, comprendendo altresí agli opposti estremi i Kulses e gli Akkantes.  I primi sono le anime malefiche, che pur passate nell’invisibile appaiono ancora egotisticamente attaccate al corpo e perciò continuano a rimaner sospese fra i 2 Mondi; in ciò si mostrano diverse da quelle intermediatamente benefiche, quali il padre dello sposo, non iniziato però alla pratica spirituale a differenza di Udipšarri.  Quest’ultimo rispetto alle semplici anime transitanti, cioè i deceduti comuni, rappresenta invece distintamente gli antenati divinizzati in quanto depositarî del sapere tradizionale.  Ecco in breve delineate le 4 categorie.  La quarta tappa è il preludio all’ascesi interiore.  Mani e piedi debbono esser incatenati, secondo l’ordine del Dio del Sole, dato che non è coi sensi ma colla mente che si deve percorrere la Via.  La via in cui lo Spirito, dai cristiani chiamato “Santo”, guida le anime degl’iniziati precedendole in funzione demiurgico-ascendente verso la meta.   



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Udipšarri, semplice esecutore dell’ordine, fa da maestro occasionale (scr.upaguru) a Kessi; del pari al Virgilio dantesco, favorente lo sviluppo spirituale dell’assistito ma non determinandolo.  La quinta tappa si manifesta nella visione dei Padri Divini, i possessori della Tradizione.  Il loro Fuoco, per usare il linguaggio gnostico, sta alla origini della divina scintilla nell’uomo.  Siccome essi a volte son denominati “Elementi”, abbiamo pensato bene di ritrarli nella nostra sceneggiatura in numero di 5.  Si potrebbe affermare addirittura che essi assommino in sé le prime 5 tappe, colle quale si raggiunge il Fondo degl'Inferi.  Sempre tenendo conto che tale 'Fondo' in ambito esoterico non è la stessa cosa che in ambito teologico, giacché Lucifero - per dirla in termini cristiani, ma vi sono equivalente di siffatta figura anche altrove - non è che un Adamo rovesciato.  Nella sesta tappa avviene l’incontro cogli Uccelli della Morte, preannunciata nel sogno della fanciulla-psiche rapita nel cortile di casa, casa ovviamente da intendere quale dimora del cd. ‘Figlio della Vedova’.  Non essendo tuttavia la ricostruzione del Gaster ben chiara nel significato simbolico, abbiamo mozartianamente introdotto a tal punto da parte nostra nel poema hittita un nuovo personaggio, la Regina degl’Inferi, al fine d’illustrare meglio la situazione mitica.  Mutuando la figura della tenebrosa sovrana, accompagnata dalla proverbiale ancella con in mano la fatidica Tavoletta dei Destini, dal secondo sogno di Enkidu dell’Epopea di Gilgameš sumero-accadica; cosa apparentemente incongrua, seppur reconditamente giustificata dall’esistenza invero di versioni hittite della vicenda dell’eroe mesopotamico alternativamente alla versione accadica dell’eroe del poema hittito.  Obbrobrî filologici a parte, l’interpolazione permetteva di comprendere spiritualmente appieno il senso della sesta tappa; consistente nell’ascesa verso l’uscita mattutin-primaverile dalla galleria dopo il superamento eroico della Natura nelle proprie forme ambivalenti, palesantisi doppiamente negli aspetti naturanti o naturati e rilevabili simbolicamente attraverso la dualità luni-terrestre.  Il che conduceva, inesorabilmente, al di là della Vita e della Morte.  Poco prima della settima tappa, infatti, anche la Gran Madre (l’Anima Mundi) svanisce coll’intero Mondo.  L’Iniziato è giunto alla perfezione terrena, ha totalmente oltrepassato l’ambito mentale e si dischiude dinanzi a lui come per Gilgameš il “Giardino del Sole”, vale a dire il Paradiso ritrovato.  Alla sovrana della casa delle tenebre ed all’ancella, che abbiamo chiamato vicendevolmente Ereš-ki-gal e Hepat sdoppiando in certo modo l’accettata omologia fra la dea infera sumero-accadica e la sua equivalente hittita, abbiamo attribuito adattandole al climax scenografico del poema venatorio le parole della divina ostessa Siduri e del vegliardo Utanapištim.  Quantunque nel poema originale siffatti personaggî si riferissero in verità ad una situazione post-paradisiaca, dopo l’attraversamento da parte di Gilgameš della galleria lunga 12 doppie ore (la cd. Via Solare di Šamaš); ciò insomma che nel tantrismo buddhista figurano come i 12 Anelli da superare, con ovvio riferimento 



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zodiacale.  Nella storia hittita la stessa faccenda è implicita nella matassa di lana azzurra, specie di filo d’Arianna, che la madre (la moglie nella pellicola) offre apotropaicamente al figlio prima dell’ultima cerca fra i monti.
        Essendo a nostro giudizio troppo ridotta all’osso nel testo integrato l’apoteosi finale del Cacciatore, probabilmente piú ampia nella parte del Kessi a noi ignota, abbiamo aggiunto da parte nostra un discorso conclusivo attribuito al Dio del Sole – o meglio, al Dio della Luce, giacché siamo stato costretti dalla morte accidentale dell’interprete del dio solare a sdoppiare la figura attinente alla Porta del Tramonto e a quella del Mattino – tratto nientemeno che dalla Bhagavad Gîtâ.  Il primo nume l’abbiamo dunque chiamato sumericamente Utu, il secondo Šamaš, ma questi ideogrammi compaiono pure in contesti hittiti.  Non sappiamo se nel testo mancante lo sdoppiamento vi fosse realmente, o no.  Tuttavia una moltiplicazione quaternaria o quinaria dei nomi solari esisteva realmente nella tradizione hittita, che cosmogonicamente – secondo quanto è stato documentato dal Boncompagni in altro art. – possedeva non meno delle tradizioni mesopotamiche una visione cronologica ed escatologica di tipo greco-ellenico.
        In ogni caso abbiamo cercato d’evitare colla nostra sincresi di cadere nel sincretismo, la prima essendo lecita tradizionalmente parlando, il secondo no.  Dacché ogni simbolo deve mantenere il suo preciso significato in un contesto proprio, non si debbono creare dei doppioni a vanvera, a meno di saper bene cosa si fa.  Il risultato finale speriamo sia stato quindi un ampliamento edificante della storia, senza inficiarne l’integrità formalmente attribuitale dal Gaster, ma conferendo piuttosto alla medesima la forza d’un poema trasparente nel suo afflato spirituale.  Il problema fondamentale della nostra seconda aggiunta è stato comunque il fatto di trasformare l’esoterica bi-unità fra eroe e dio solare in una misterica tri-unità (o trinità, se si preferisce) di tipo ellenico-induista.  Il principio tri-unitario (trinitario, utilizzando il simbolismo cristiano) ricorre difatti tanto nell’ellenismo quanto nel krishnaismo della Gîtâ, sebbene in senso subordinato e non limitatamente ipostatico come in ambito cristiano post-niceno.  Scenograficamente il concetto nel film è stato accentuato dall’effetto visivo dei parafernali della figura solare, cioè in pratica da una sacra veste color verdastro con 3 ampî cerchî simbolici sul davanti.  In tal modo, il Dio Solare è venuto a rappresentare nel libero sceneggiato l’equivalente hittito dell’induistica Persona Peritura (l’Ificle dei Greci), sceso in sede terrena in forma di bolide.  In altre parole, piú o meno, lo Spirito Santo dei cristiani.  Il Dio della Luce ha funto invece da Persona Suprema (lo Zeus Patér greco); pressappoco il nostro Dio Padre, considerato però in maniera non paritaria, insomma l’Assoluto.  E Kessi ha preso il posto del Keçava indú, cioè di Krishna (non a caso identificato dagli antichi ad Eracle, di cui è difatti l’omologo indiano), il quale doveva tale appellativo al fatto d’aver annientato il daitya 



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equino Keçin (sic!)(5). Codesto daitya è stato identificato da Bloomfileld al Sole e da Heesterman all’ego dell’asceta dai lunghi capelli che si sforza d’adeguarsi al prototipo divino dell’uomo.  Prototipo che sia per l’induismo sia per la religione hittita era dato da un nume ad un tempo orionico-lunare ed arietino (taurino)-solare.  Gl’induisti chiamano codesto principio “Persona Imperitura”, mentre noi lo definiamo “Verbo”.  Queste naturalmente sono distinzioni teologiche, aventi però sul piano iniziatico un piú profondo significato.  Ovvero, il Dio Solare raffigura il Maestro (scr.Guru), Kessi l’iniziato ed il Dio della Luce il Maestro Divinizzato (Gurudeva) di riferimento o Gran Maestro.
        Anche in questo caso vi è volendo una giustificazione in certo senso storica alla nostra interpretazione, per via dell’associazione fra Khurriti, Hittiti, Mitanni, costituenti un amalgama di popoli, classi sociali e culture – c’insegna ancora il Furlani – ove l’elemento ario appariva quasi inscindibile da quello anario.  Di piú, secondo la Riemschneider esisteva alternativamente presso le genti hittite un dio-cervo denominato Rundas, forse un doppione orionico-lunare di Kessi, il cui nome risuona assai simile a quello indiano di Rudra.  Tanto piú che questi detiene pressappoco medesima valenza, essendo il corrispettivo vedico d’Apollo (5).  Spesso in India da contraltari di Krishna figurano demoni shivaiti, sicché non sembra arduo considerare Keçin uno dei numerosissimi alter-ego di Rudra-çiva in veste demonico-egoica.  Chissà che proprio il dio della luce Rundas non fosse quel terzo elemento trinitario-solare mancante nella formula duale gasteriana Dio-sole/ Kessi!  Visto che il dio hittito è stato raffigurato col Trifoglio sulla coscia della sua cavalcatura cervina.  La cosmogonia degli Hittiti parla del resto d’una trasformazione di Kumarbiš (Crono), avendo ingerito il fallo di Anu (Urano) ossia l'Unicità originaria della divinità uranica, in una terna di numi sicuramente cieli-solari.  Inoltre la costellazione di Orione, come ha dimostrato Tilak, veniva reputata dalle popolazioni arie la sede celeste della Luce Eterna.  Personalmente, essendo a conoscenza del parallelo mito greco del cacciatore Orione, saettato da Apollo a mo’ di cervo, nella realizzazione del filmato avevamo girato assieme al Pelizza splendide scene di cervi e daini al pascolo lontano dalla casa del Cacciatore.  Di certo avrebbero evidenziato il simbolismo celeste sotteso alla vicenda se alla Fine degli Anni ’70, avendo perso il treno, non ci fosse disgraziatamente successo di dimenticare i rotoli relativi di pellicole ancora da sviluppare su un camion durante un viaggio in autostop alla volta di Milano.  L’ennesima ragione, oltre ad acclusi fattori tecnici, per cui il nostro movie sia pur egregiamente interpretato da Francesco Giampà (voce: Pasqualino Gamberale) ed altri – principalmente Cristina Venturelli (v.: Michela Traverso), Elsa Bricola (v.: Carla Garrè), Pasqualino Gamberale (v.: Bruno Severino), Rhea Richardson (v.: Loredana Mugelli), Carmelo Boscarino (v.: Enrico Terzago), Osvaldo Muraro (v.: Ignazio 



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Moriello), Michela Traverso (v.: Cinzia Della Giovanna), Patrizia Sala (v.: Marina Casaschi), Giuseppe Acerbi (v.: Roberto Orsetti), Angelo Pelizza (v.: id.) e Giorgio Amoroso (v.: Giuseppe Acerbi) nelle parti ivi discusse – è finito nel dimenticatoio nonostante la grande importanza del tema trattato.  Alla scena conclusiva del ritrovamento paradisiaco e dell’apoteosi della vicenda mitica, differenziata in colore alla maniera ejzenštejniana dalle precedenti in BN, segue una coda di pellicola variamente filtrata illustrante 3 ulteriori temi di meditazione; sorta di Royal Arch massonico dischiudente lo spettatore all’identificazione virtuale coll’Assoluto, indicato da un Cerchio Vuoto di tipo taoista a mo’ di Zero Ontologico.  I suddetti 3 temi fanno pendant con altri 7, collocati a scopo emblematico prima della storia vera e propria e prefiguranti introduttivamente l’Ebdomade onirico donde si svilupperà poi il viaggio metafisico del protagonista, per un totale di 10.  L’ottavo ed il nono tema riguardano perciò il superamento definitivo, a livello non solo umano ma universale, della dualità Vita-Morte ed ego-non ego.  Infatti seguono ad un P.P. laterale di Kessi dal volto coperto, immerso nebulosamente fra fiori rabutziniani e celesti acque sgorganti; una volta che la dualità fra sposo e sposa, mente e spirito, è risolta unitariamente coll’elevazione d’entrambi al cospetto della Divinità.  Quel Grande Ente o se si vuole Non Ente che, se ci è concesso di compiere un volo pindarico, Dante definiva “l’Amor-che muove il Sole-e le altre stelle”.  Il Cacciatore elevato alle stelle in mente e in ispirito tiene gli occhi chiusi, poiché non si può conoscere l’Amore Eterno ad occhi aperti...  Il decimo tema da noi proposto, riprendendo un inno solare del faraone Ekhnatòn, inneggia alla vita universale quale esperienza spirituale somma in senso profetico.  Non per niente il sovrano d’Amarna è stato riconosciuto da taluno, dopo tanti assurdi sbeffeggiamenti che lo qualificavano un omosessuale od un uomo debole e malaticcio, esser non altri che il Mosé ebraico divenuto momentaneamente faraone in terra d’Egitto.  Una pioggia benefica di raggî solari investe alfine le maschere vuote dei personaggî allegorici della storia al suono arcano del flauto.  Il fatto che la colonna sonora utilizzi pasolinianamente un flauto folclorico indiano non toglie nulla al quadro generale, viste le parentele arcaiche fra l’India e l’Egitto sul piano della cultura camitica.  Oltre alla dimensione suprema cui hanno accesso tutti coloro che giungono alla completa realizzazione spirituale ve n’è un’altra, riservata esclusivamente ai Profeti, i soli ai quali l’identificazione totale colla Divinità è possibile pure in vita.  Perché mai la versione accadica di Kessi sia stata rinvenuta in Egitto lo si potrebbe spiegare, storicamente, col fatto che da una certa epoca in poi (pressappoco il XIII sec. a.C.) cominciò da parte hittita una pace duratura onde non favorire le mire assire sulla regione.  Alla sceneggiatura sono pure acclusi un Prologo ed un Epilogo di valore egizio-ermetico, onde conferire all’intera vicenda un significato apocalittico-escatologico; nonché un Intermezzo contenente il farneticare stralunato d’un pazzo,



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cui dà risposta una voce invisibile, oltre ad un soliloquio di Šintalimeni all’apparizione del fantasma prima dello sposo e poi di quello del padre.  Fattori questi che non aggiungono niente però alla storia simbolica, essendo da considerare esclusivamente su un piano teatral-letterario, oltreché naturalmente fantastico-cinematografico.  Seppur, attraverso la figura della sposa, si rinnovi il dramma della madre vedova.  La Vedova, lo sanno bene i saggî, non è che un’immagine della Sapienza Universale in attesa di ricongiungersi al suo celeste sposo, l’Uomo identificato al Sole Divino che risplende segretamente nel cuore di ciascuno di noi.  Tale ricongiungimento non può che avvenire infatti attraverso la Morte iniziatica, seguendo la via aperta dal Celeste Cacciatore, la cui luce brilla nel cielo notturno a Capodanno…





Note

(1)                  Si analizzi questa ricostruzione in T.H. Gaster, Le storie piú antiche del mondo- Einaudi, Torino 1960, pp. 168-72; ripubbl. Mondadori, Milano 1971, pp. 150-7.
(2)                  Ibid., pp. 173-9 (II ed. pp. 158-63).
(3)                  Esposta nel suo celebre Thespis…- N.York 1950.   
(4)                  I riti d’iniziazione, ovviamente, consistono in cerimonie misteriche celebrate dalle confraternite; non vanno confusi coi riti di passaggio, oggetto di studio da parte degli etnologi.
(5)                  Cfr. in proposito il nostro art. Keçî, l’ultimo dei demoni, nel blog <Alle pendici del Monte Meru>, prossimamente.
(6)                  Vedi quanto asserito da Tilak, a proposito dei due, in relazione all’asterismo di Orione (lunarmente o solarmente inteso, cioè in senso zodiacale o paranatellontico); altra cosa, ovviamente, è l’omonimo titano solar-planetario.





Bibliografia minima

                         Chi volesse affrontare il tema da un punto di vista diverso dal nostro, ossia prettamente accademico, e più ampio - tenendo conto delle varianti vicino orientali (ma ne esistono anche in India, benché solitamente trascurate dagli studiosi in genere) - può 



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          leggersi J.Fontenrose, Orion: The Myth of the Hunter and the Huntress- Cal.Univ.P., Berkeley-L.Angeles-Londra 1981.  Cfr. inoltre G.Acerbi, (Prem. della traduz. a) L.B.G. Tilak, Orione. A proposito dell'antichità dei Veda- Ecig, Genova 1991, pp. 9-25; nonché M.G. Lancellotti, Attis Between Myth and History: King, Priest, and God, on line.  




Illustrazioni del film

Prologo ermetico


La caccia al cinghiale

L'ara degli Dei

Una delle sei sorelle di Shintalimeni al bagno con costei

               Shintalimeni e la sorella al bagno vedono arrivare il Cacciatore

                                                         Kessi innamorato
 

 Kessi alla casa di Shintalimeni e delle altre Sei Sorelle

                  Ritorno sulle montagne sotto l'effetto degl'incubi mentali


I Kulses

                           Kessi alla Porta del Tramonto (Terzo Sogno)

 Shintalimeni canta una canzone per confortare il marito

                    Arrivo alla Porta del Tramonto: l'incontro cogli Opposti

 Gli Opposti, ovvero il Drago e l'Arpia

Il Dio del Sole disceso dal Cielo sotto forma di bolide infuocato

L'incontro col Dio del Sole
 
 Utu apre la Porta degl'Inferi
 
 Il Cacciatore discende agl'Inferi

 
                Udipsharri riceve la catene da Shamash per incatenare Kessi

Kessi presso gli Antenati

 Gli Uccelli della Morte


 Hepat, l'Ancella della Regina degl'Inferi

Eresh-ki-gal, la Regina degl'Inferi

                            L'apparizone a Kessi di Hepat nella fioca luce lunare

                               L'apparizone a Kessi di Eresh-ki-gal nella luce infera

                                     Apparizione del fantasma di Kessi a Shintalimeni

                Apparizione a Shintalimeni del fantasma del padre Udpisharri




Epilogo ermetico

 
 Kessi alla Porta del Mattino, dinanzi a Shamash, dio della luce

Shamash, dio della luce

 
Il Dio della Luce eleva Kessi alle stelle colla sua sposa

Kessi nell'atto d'ascendere alle stelle


Appendice (video):

a)   Sinuhe l'Egiziano (1954, di M.Curtiz, con E.Purdom, J.Simmons,V.Mature, B.Darvi, M.Wilding).



b)  Nefertite, regina del Nilo (1961, di F.Cerchio, con J.Crain, E.Purdom, V.Price, A.Nazzari, C.D'angelo):  

 


a)  Egizi e Ittiti (serie: LA STORIA VIVA, doc.), La7, 2014:

  

 d)  Gli Hittiti (doc., 2011):



e)  Nefertiti (serie: LA STORIA VIVA, doc.), La7, 2014:



f)  Nefertiti - La dynastie perdue (doc., 2013):



g)  Nefertiti, la Reine Mystérieuse (Documentaire Histoire, doc., 2016):



h)  Ancient Egypt Queen Nefertiti (Hist.Ch., doc., 2015)



i)  The Real Story of Queen Nefertiti (Nat.Geogr., doc., 2015):



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