lunedì 3 novembre 2014

METAFISICA DELLO ZERO







      Ricordiamo che uno dei compiti principali attribuiti da tutte le tradizioni all’Ultimo Messaggero della Divinità (Profeta, Inviato, Budda od Avatar che dir si voglia),  è quello di ridurre essenzialmente ad unum tutte le pratiche exoteriche ed esoteriche sparse nel globo.  Il che significa che nel ‘Cuore’ del Profeta tutto è stato già teurgicamente riportato al Verbum, insomma all’Essere (l’Uno, il Principio), terminologia equivalente a quella dello Śabda o del Sat indú.  Se volessimo però essere maggiormente precisi dovremmo parlare di azzeramento delle tradizioni, anziché di semplice ritorno al principio.  Poiché la meta vera di colui che la tradizione indiana definisce il ‘Decimo Avatar’ non è la sola reintegrazione a livello microcosmico nel Sacro Suono dell’Aum (1), equivalente all’Amen latino, seppure gli occidentali attuali al modo dei loro antichi antenati ignorino in gran parte il valore di ciò che precede l’Uno.  I Romani non disponevano dello Zero, limitati com’erano al virgiliano e fallico contrassegno dei Penati (l’I dantesco), con ciò dimostrando di aver cura soprattutto del Paradiso Perduto – il Latium pre-civilizzato ad immagine della ‘Terra Nascosta’ – piuttosto che dell’Assoluto.  L’Immanifesto (simbolicamente rappresentato dalla  Bianca Conchiglia, che d’altronde equivale al Candido Loto oppure alla Candida Rosa) ossia il Paradiso Celeste, volendo usare una diversa metafora, è infatti il vero fine dell’azione avatarica.  Giacché l’Uno, pur essendo ancora di per Sé non manifestato, indica tuttavia il Principio della Manifestazione.  Solamente lo Zero Metafisico è indice della Non Manifestazione.  Per la verità, se si vuole indagare piú a fondo, pure i latini disponevano seppure molto reconditamente di codesta simbologia dello Zero Metafisico tramite la figura primordiale di Giano.  Secondo Ovidio infatti, il Dio degl’Inizî  (cfr. con Ganeśa in India) aveva un tempo forma sferica e veniva dai predecessori chiamato ‘Chaos’ (2).
      Salvatore Ruta identifica correttamente questa forma suprema del nume al Cerchio quale icona grafica dell’Uno-Tutto (= Uno-Zero), menzionando un passo di Evola (3) che assimila a sua volta anch’esso giustamente lo Hén-tó-Pán alchemico della Grande Opera all’Ouróboros/ Torqués (il secondo termine l’abbiamo aggiunto noi) greco-celtico.  Segno che il concetto dello Zero era presente almeno sul piano ontologico se non dal punto di vista matematico parimenti nel mondo greco ed in quello celtico, oltreché in quello romano ed indiano (4).  Potremmo dire, pensando a Zurvān Akarana, nell’intera cultura indoeuropea.  Poiché tale cultura ovviamente ha serbato traccia, seppure ridotta ai minimi termini, della fase di monismo non duale – cfr. in India con  l’Advaita, il Vedānta della Non Dualità – propria del primo quarto dell’Età Aurea.  In altre parole, del I Ciclo Avatarico.  Un’altra assimilazione possibile del Cerchio (di nuovo segnalata da Evola e ripresa dal Ruta), questa volta 



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sul piano cosmologico, è con l’Uovo del Mondo (scr.Brahmānda).  Non siamo d’accordo però sull’equiparazione della Sfera all’Androgine, che pare peraltro venga suggerita anche da Platone nel ‘Convito’ (5), ma se consideriamo attentamente le cose ci accorgiamo che non è realmente cosí.  Il filosofo greco descrive il ‘Terzo Sesso’ (6) come formato da una Sfera contenente un capo bifronte, con le due facce orientate in posizione opposta.  Tale Sfera, equivalente a quella dell’Universo incorporante l’Asse Solstiziale, è già quindi un motivo androginico; non la Sfera in senso caotico, dove Cielo e Terra appaiono ancora indistinti.  Lo stato caotico precede infatti l’androginia, in cui la polarità non si è ancora manifestata, ma è già nell’atto di manifestarsi.  Androginico è l’Uno, il Principio; mentre lo Zero è caotico, pre-androginico, pre-iniziale.  Nel simbolismo zen (vedi in Suzuki la doppia figurazione in 10 fasi della presa al laccio del Bove da parte del Mandriano), il Cerchio allude egualmente ora al Caos finale, ora alla momentanea risalita verso l’Uno prima che anche tale trascendenza sia superata con una ridiscesa nel mondo.  L’ascesa e l’allontanamento dal mondo indicano pertanto la Liberazione dal Samsāra nel Nirvāna, se ci è permesso di utilizzare la dottrina mahayanica; la ridiscesa nel mondo stabilisce invece un’equazione, o per meglio dire una non dualità di tipo duale, fra il Nirvāna e lo Çūnyatā.  Cfr. con il il Bedhābheda, il Vedānta della Differenza-non differenza.
      Nelle saghe celtiche medievali (Mabinogion) è presente sempre in relazione allo stesso argomento un’incantatrice di nome Arianrhod (‘Ruota d’Argento’), personaggio equiparabile alla Fata Morgana (7), che è tutt’uno con la ‘Regina del Mare’ (8).  La Riemschneider rimanda per la comprensione del tema ad un suo vecchio articolo (9).  Codesta dea celtica ci fa venire in mente la ‘Regina del Mare’ paleosiberiana, ripresa da Afanasjev nella fiaba del Pesciolino d’Oro e sostituita da parte dei Grimm con Dio (cosí come l’aspirazione a divenire uno Czar, ossia un Cesare, è sostituita dal desiderio di divenire un Kaiser).  Orbene Morrigan, la sposa di Dagda-Manannan (il ‘Re del Mare’ sacro nell’isola di Man e Signore dell’occidentale ‘Terra dei Beati’, o Tir Tairn-gire, similmente al Poseidone platonico), costituisce secondo la suddetta autrice la figura centrale della tradizione celtica; quindi è probabile che ella rappresentasse simultaneamente, oltre all’incarnazione della “Ruota degl’Inganni” (cfr. con gli specchî argentei dell’arte cinese del Periodo Han, II sec. a.C.-II sec. d.C. c., emblemi del traviamento temporale verso il dualismo oltre cui si eleva solamente il Sacro Monte paradisiaco del K’un-lun )(10), anche la Non Essenza del Caos.  Il Tao (la ‘Via’ ), direbbero i cinesi, il cui emblema – un cerchio vuoto – non per nulla è associato anche da loro alla grande dea, la Regina Madre dell’Occidente (11); sorta di Kali (12) o di Aditi (13) sinica, avente come la Shakti indú un doppio significato, ora in rapporto alla 



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Dualità cosmica ora allo Zero Metafisico.  Infatti il consorte Manannan – secondo il De Vries (14) figlio dell’arcaico nume oceanico Lir/ Ler e custode dei tesori marini, ai quali attingono i pescatori – funge ad un tempo da dio paradisiaco e da dio infero, al pari dello Yama indú.
      Yama, non meno di Iānus ha iconograficamente in dotazione la Verga (Danda)(15), che può anche essere latinamente (vedi Penati) concepita come un Fallo ad immagine dell’Uno.  Potremmo addirittura tracciare un parallelo fra tale Verga-Fallo e il Dente Aureo del Matsyāvatāra (16), dente cui difatti è assegnabile parimenti un valore genitale in relazione al Progenitore mitico (17), Brahmā; i.e., il detentore originario della suddetta effigie ittica.  Yama è inoltre in base all’etimo androginicamente il ‘Gemello’ della sorella-consorte Yamī (cfr. con gli Adamo ed Eva biblici, anche loro prima della bipolarizzazione creati in forma di essere unico), non diversamente da quanto Iānus lo è rispetto a Diana.  O meglio, a Venīlia, poiché questa pare essere al dire d’Ovidio la sposa vera del Dio delle Origini.  In Grecia compare un’analoga relazione fra il fallico Urano e Afrodite Urania, la quale prima d’essere associata al Delfino (l’Uno) od alla Tartaruga (il Due), veniva emanata dalla Conchiglia (lo Zero) (18).  La corrispondente dea del mare cretese aveva d’altronde nel suo tempio a Cnosso un pavimento di conchiglie.  Tardivamente Citerea è stata identificata alla Perla – simbolo per gli Gnostici della Sophía – all’interno della Conchiglia e ciò costituisce in pratica un raddoppiamento del simbolo dello Zero Metafisico, distinguendo il senso immanifesto da quello per così dire ‘shaktico’.  Nel caso della coppia cosmogonica Urano-Urania (Afrodite), coppia che in India assume i nomi di Varuna-Varunāni/ Vāruni, la bipolarità potrà sembrare piú spinta, ma la figura primeva fra gli orfici di Eros Protogonio ci prova che tra i due numi è avvenuta la scissione testimoniata leggendariamente dal racconto teogonico esiodeo (19).  Eros infatti presenta tratti intermedî fra Urano e Afrodite.  Stessa cosa si potrebbe dire del Kāma (20) induista rispetto a Varuna e Varunāni.  Insomma è l’Androgine primevo, equivalente al Rebis alchemico.  Qualcosa d’analogo deve essere accaduto fra i palestinesi Yaw/Yam ed Aštaroth.  Significativo peraltro che Yama, non meno di Giano, sia connesso pure allo Zero per mezzo dell’altra sua arma, il Laccio (Pāśa)(21).  Unendo assieme le due armi simboliche della Verga e del Laccio, graficamente riducibili alla somma di 1 e 0, qualora ci rifacessimo nel contempo alla storiella avatarica narrata in nota (22) potremmo persino asserire che Yama   siccome equiparabile a Manu (il Macrantropo) – presiede alla dieci manifestazioni avatariche (23).  Che poi il Laccio e la Verga siano addivenuti strumenti del ‘Primo (dunque Giudice) dei Morti’ – cfr. con Minosse in Grecia, Yam in Palestina e Yima in Persia –  onde acchiappare e di conseguenza punire le anime giunte nel Regno degl’Inferi, è fatto 



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mitologico successivo alla decadenza di ruolo del Primo Nume. 
      Come ha notato il Ruta (24), menzionando M.N. Stiskin, il Caos in Giappone è emblematizzato dallo Specchio Divino, una delle 3 insegne sacre dell’Imperatore.  Lo Specchio è in questo caso quello della dea solare Amaterasu, probabilmente d’origine artica, ed è dunque uno Specchio Aureo.  La differenza fra i due specchî (potremmo dire anche fra le due ruote, i due anelli, le due collane, i due cerchî), solare e lunare, ripropone figurativamente la diversità fra la perfezione positiva del Maestro Ultimo e quella negativa dell’Avversario che a lui si è opposto alla ‘Fine dei Tempi’ (25).  










Note



1.          Il Para-śabda o ‘Suono Supremo’ –  immagine dell’Uno –  viene emesso dallo Śanka o Conchiglia, emblema indiano dello Zero oltreché del ‘Terzo Orecchio’.  Secondo l’epica hindu (G.Acerbi, Kālacakra. La Ruota Cosmica- Univ. “Ca’ Foscari”, Venezia 1985, tesi di l., Vol.I, P.II, Cap.V, pp. 418-22) il culto dell’Aum caratterizzava il primo ciclo umano nell’Età Aurea.  In tal senso, evidentemente, l’Aum è da intendere dunque in relazione non al ‘Terzo Orecchio’ bensí al ‘Terzo Occhio’.  In altre parole, alla forma visibile del Paradiso invece che a quella invisibile.
2.          Cfr. per le due citazioni S.C. Ruta, Il Dio Giano e lo Specchio Divino- La Cittadella N.S. ( gen.-mar. ’01 ), A.I, N°1, Messina 2001, p.11 ss.  Ciò, intendiamo il doppio ruolo di Giano come Zero e come Uno (Caos e Principio ), è probabilmente la ragione – neppure tanto inconsapevole visto quanto egli dichiara – per la quale persino un luminare della cultura latina quale il prof. Del Ponte ha esitato ad attribuire a Giano il ruolo chiaro che gli compete di dio aureo in ‘Dei e miti italici’ (Ecig, Genova 1985, Cap.II, § sgg), benché poi (a p.55) sia stato costretto incoerentemente dalla sua indubbia conoscenza del tema ad attribuirgli un “retaggio iperboreo”.  Sull’argomento vedi anche il nostro Giano e Ganesha, dèi delle origini. Un confronto mitologico fra le tradizioni della penisola italica e quelle della penisola indica - Ritorno al Paradiso Perduto (blog, pross.)



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3.          Tratto da La Tradizione Ermetica.
4.       Una storiella indiana krishnaita, di tipo avatarico, racconta di come i dieci numeri originarî si atteggiassero boriosi cercando di prevalere l’uno sull’altro.  Le cifre piú grosse volevano svettare su tutte, mentre le due piú piccole (ovviamente lo Zero e l’Uno) se ne stavano silenziose ed appartate, fino a che decisero di unirsi insieme a formare il Dieci ed allora cominciarono a dominar le altre.
5.                    Plat., Symp.-189/ e.
6.                    Op.cit., 190/ a-b.
7.          M.Riemschneider, La religione dei Celti- Il Falco, Milano 1979  (ed.or. Die Religion der Kelten, ediz. e  d.d.p. n.citt.), Cap.II, p. 44.
8.          Riem., op.cit., p.41.
9.          M.Riemschneider, Ruota e Anello come simbolo degl’Inferi- Symbolon ( N°42 ), 1946, sgg.
10.         M.Loewe, Ways to Paradies. The Chinese Quest for Immortality- G. Allen & Unwin, Londra 1979, Cap.III sgg.  Gli specchî quadrati – emblemi della Terra – col motivo a TLV (un espediente decorativo in antecedenza carico di sensi simbolici, con riferimenti polari legati alle pratiche degl’indovini e a concezioni cosmologiche postulanti l’idea d’un Divino Architetto) mettevano in comunicazione il defunto coll’Aldilà, possedendo un valore di amuleti al fine di proteggere la vita dei trapassati.  Gl’indovini (geomanti dotati di compasso, come a dire capaci di trascendere le vicende terrene) è ovvio avessero fiducia nel Tao e nei principî dello Yin e dello Yang, che ne rappresentavano la forma dinamica a livello cosmico. In almeno 2 casi rilevati si fa menzione del resto nelle iscrizioni sugli specchî della Regina Madre d’Occidente, in relazione alla vita futura degl’Immortali (Hsien); tratteggiati iconograficamente quali personaggî alati oppure a cavalcioni delle nuvole, sebbene altrove compaiano in veste di saggî con teste serpentine.  Nel mezzo di certi di essi si scorge l’Orsa Minore, con la Stella Polare; attorno a tal asterismo soo raffigurati 2 cerchî concentrici – emblemi l’uno del Cielo e l’altro (crediamo) del Mondo Intermedio – il piú interno dei quali riporta 12 caratteri alludenti ai Dodici Rami dell’Albero Cosmico (Polo Artico).  Cfr. pp. 76, fig.11 e 80, fig.12.  Una volta compare invece, in uno specchio del 10 d.C., l’immagine stessa della Regina Madre seduta sul suo trono (a fr. di p.161, tav.22) e sono fissate le Direzioni.  Le 2 iscrizioni prima menzionate sono invece piú tarde.
11.         Lo., op.cit., Cap.IV sgg.  La Regina Madre d’Occidente (Hsi Wang Mu) era considerata dispensatrice di vita perpetua ed arbitra del mondo, alla maniera della Ereś-ki-gal sumerica (vedi il Poema di Gilgameś, dove assume il ruolo di Signora della Tavola dei Destini).  Al pari di costei aveva parzialmente una valenza infera e dimorava in una grotta sulla sommità d’una Montagna, disponendo d’un potere magico illimitato.  Poteva difatti favorire ogni delizia terrena nella sua Terra d’Abbondanza, come ‘Miele di Rugiada’ e ‘Uova di Fenice’, capaci di lenire gli affanni umani; od alternativamente spingere ancora piú in alto, sino a conferire celestialmente l’Immortalità.  Abile nello zufolare, era descritta dallo Shan-hai-ching con Coda di Leopardo e Denti di Tigre.  In certi luoghi (ad es. a Ma-wang-tui) ed in certe occasioni veniva tratteggiata con l’intera Testa di Tigre e Coda Serpentina o di Drago, od in varianti equivalenti; tutte suggerenti il concetto d’una divinità onnipotente, capace di dominare perfettamente lo Yin e lo Yang, regolando cosí tutti i ritmi cosmici.  Ella indossava un caratteristico copricapo, lo Sheng  



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(Triplice Corona, in seguito divenuta Settemplice), e le stavano da presso 2 Lepri col Pestello delle Erbe onde ottenere l’Elixir di Lunga Vita in un’ambientazione simbolica tipicamente lunare; oppure il Rospo,  spesso detenente fra le zampe egualmente il Vaso delle Erbe.  Altri suoi emblemi erano: il Corvo a Tre Gambe (a volte unito al Sole), la Volpe a Nove Code (9 come i ‘i Cieli ed i Muri’ del Monte Paradisiaco nel poema T’ien-wen, o le ramificazioni delle lampade taoiste) oppure il Mostro a Nove Teste (chiamato K’ai Ming e ritenuto custode del K’un Lun), il Guardiano munito d’Alabarda nonché anime di supplicanti giunte a chiedere la Grazia.  La cima del paradisiaco K’un Lun (cfr col Sineru o Sumeru buddista), dimora della dea, era visitata di quando in quando da un nobile viaggiatore, dietro la cui effigie s’adombrava ovviamente lo ierofante.  Lassú s’ergeva l’Albero del Mondo (cfr. nota prec.), sostituito talvolta da un Pilastro.  La Regina Madre era affiancata nella Terra d’Occidente, l’Asse Polare per i cinesi collocandosi in effetti ad ovest, da un Re Padre Occidentale.  Anche Ta Yü (lett. il ‘Grande Pesce’), il costruttore del Min-tang  o Loggia taoista, simboleggiante il Padiglione del Mondo) e primo dei Dieci Imperatori (equivalenti dei Daśāvatāra indú), si diceva avesse studiato con lei (p.95).  La Vecchia Signora dell’Occidente era inoltre circondata nella contrada cd. della ‘Debole Acqua’ dalla ‘Gente Beata’, chiamata pure ‘Gente della Musica’ (ibîd.), specie di gandharva cinesi in stile taoista.  L’espressione aveva sicuramente riferimenti shamanici.  Il luogo ove Ella era collocata, geograficamente parlando, era quello a nordovest delle “sabbie ondeggianti” (deserti centroasiatic ).  Bisogna notare che l’interesse per la Terra Pura Occidentale del buddismo sorse in Cina storicamente pressappoco nel medesimo periodo in cui si venerava la Terra Occidentale della Regina Madre, il cui centro era costituito dal Monte K’un Lun.  Tanto che esploratori e mercanti cercarono d’aprirsi un itinerario reale in siffatta direzione.  Una premonizione circolava in proposito: il prossimo avvento della “gente dagli occhi diritti”.  Una profezia sull’avvento in oriente dell’occidente europeo.     
12.         Cfr. E.Neumann, The Great Mother. An Analysis of the Achetype- Princeton Un., Princeton (N.J.) 1972, figg. 65 e 66.  Anche se il fatto non è bene segnalato dall’autore (Cap.VII, pp. 152-3), la dea Kālī (Mahāakālī) quand’è unita al suo paredro si presenta iconologicamente in due forme fondamentali (vedi foto): la prima forma citata (vedi terracotta dipinta del XIX sec.) costituisce la controparte creativa del dio Kāla (Śiva), o Mahākāla che dir si voglia, su cui la dea eleva la sua danza al fine di trasformare il mondo oppure si adagia sessualmente altre volte in un coito sacro (mithuna); la seconda forma ne rappresenta la trascendenza nell’Assoluto, dato che Ella divora le budella del cadavere inerte del dio.  Nelle icone ove Kālī-Mahāakālī è sola, col Laccio (fig.182) o senza Laccio (fig.67), è sempre possibile ovviamente in simultaneità la suddetta doppia interpretazione.
13.         Nella mitologia vedica Aditi rappresenta la controparte di Daksa, alter-ego di Prajālpati con ‘Testa di Capra’ anziché di ‘Antilope’, che è da lei generato ma nel contempo la genera (R.V.- x. 72, 3-5).  Un controsenso logico indicante da un lato rispettivamente la metafisica dello Zero e dall’altro la metafisica dell’Uno o, se si vuole, del <Grande Uno> (cin.Tai-i).
14.         J. De Vries, I Celti- Jaca B., Milano 1961 (ed.or. Keltische Religion- W. Kohlhammer, Stoccarda 1982), P.II, Cap.II, p.118.
15.         M. & J. Stutley, Dizionario del’Induismo- Astrolabio-Ubaldini, Roma 1980 (ed.or. A Dictionary 



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of Hinduism- Routledge & Keegan, Londra 1977), s.v.YAMA, p.504, col.a.
16.         In proposito si esamini G.Acerbi, Il culto del Narvalo e della Balena e di altri mammiferi marini nello sciamanesimo artico- Avallon, N° 49, Rimini 2001, pp. 55-78 sgg.
17.         Ac., art.cit., passim.
18.         R..Graves, I miti greci- Longanesi, Milano 19795 (ed.or. Greek Myths- Penguin, Londra-Harmondsworth 1955), p.40, §11.
19.         Hes., Th., vv. 176-206.
20.         Non per nulla uno dei nomi di Kāma è I.
21.         Come alla 15.
22.                 Vedi n.4.
23.         Stessa cosa potrebbe dirsi, mutatis mutandis, di Giano.  Non è anche costui legato sia alla Verga sia al Cerchio?  Si voglia intendere questo simbolo matematico in senso geometrico od aritmetico (Cerchio/ Zero), statico o dinamico (Cerchio/ Ruota).  D’altra parte sappiamo che anche alla sapienza sibillina latina era nota, seppure piú sinteticamente, la dottrina del ciclo denario.  Cfr., al riguardo, G.Acerbi, Dante e Virgilio: profezie antiche e medievali sull’avvento dell’Età dell’Aquario– Arthos (gen.-dic. ’98), A.II, NN. 3-4, Pontremoli [Ms] 1998, pp. 107-8.
24.        Art.cit alla n.2
25.         Si confronti in proposito H.Mriga, Il ‘Secondo Avvento’ e la figura antinomica dell’Anticristo- Nel Regno Perduto della…, on line (23-09-06), pp. 1-7 (datt.) ( http://mriga.blog.kataweb.it ).
     


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