Uno dei cliché vari circolanti nel mondo accademico europeo riguardo la
possibile esistenza dell'Unicorno nell'Antichità è che esso non sia mai stato
oggetto di alcuna rappresentazione in Grecia e che solamente sia stato citato
l'Unicorno indiano da Ctesia. Le cose, in realtà, stanno assai
diversamente. In Grecia si possono enumerare vari unicorni: 1) Amaltea,
la capra che allattò Zeus, il cui corno è stato identificato alla Cornucopia;
2) Acheloo, dal corno taurino, uno dei due essendo stato divelto da
Eracle, 3) un Cervide Unicorne, dal nome a noi ignoto, che è propriamente
argomento di questo breve studio
L'Akurgal riporta in un suo libro (1) un'arcinota
effigie di Apollo, baldanzosamente svettante sul suo Carro Solare trainato da un Cavallo Tetracefalo con 12 Zampe (l'Anno), dopo esser
giunto a Delo dal Paese degli Iperborei; assiste frontalmente all'evento
Artemide, che da parte sua stringe in una mano il Corno Singolo d'un Cervide,
alla maniera della Dama e il Liocorno (2)
dell'arazzeria fiamminga del XV sec. Tale raffigurazione purtroppo,
benché fornita di dettagli decorativi estremamente interessanti da un punto di
vista simbolico, non è mai stata adeguatamente presa in esame dagli specialisti
in materia ed opportunamente commentata. Anche se, vista la preparazione
esclusivamente storico-culturale e gl'interessi prevalentemente
estetico-formali degli studiosi odierni di Storia dell'Arte (3), ci
permettiamo malignamente di dubitare che il fatto avrebbe potuto loro
giovare... (4).
Innegabili pregiudizi a parte, la scena mostra sullo sfondo motivi solari ed
emblemi polari, i quali ci stimolano ad indagare il senso profondo della
composizione; apparsa su un'anfora cicladica (ora al Mus.Naz. di Atene) di
stile melio, o melico che dir si voglia, ed appartenente al VII sec. a.C.
Un analogo soggetto, illustrante una Menade o forse Semele stessa (il Cook
sostiene però tratarsi di Dioniso, a causa del Tirso e del Grappolo d'Uva
tenuti in mano dalla figura divina)(5)
mentre afferra un Torello per una delle corna taurine (il corno destro),
compare in una moneta nordafricana deI I sec. a.C. Ivi la bestia non è
messa di profilo, come nel caso del fregio precedente; per cui il problema
relativo alla duplicità, o meno, delle corna taurine in tal caso non
sussiste. Non staremo al momento a riprendere l'interminabile discussione
sulla questione degli Unicorni (o, secondo taluni, dei pretesi Unicorni) dei
sigilli della Valle dell'Indo e di paralllele composizion vino e medio
rientali; giacché la problematica, secondo noi, andrebbe affrontata esaminando
caso
2
per caso. Sarebbe illogico, in effetti, reputare unicorni tutte le bestie ritratte di profilo dell'arte orientale, specialmente laddove il contesto non lo suggerisca; vi sono, tuttavia, delle occasioni nelle quali risulta davvero difficile dubitare di avere a che fare con degli Unicorni. D'altronde non è possibile immaginare che l'iconografia islamica sul soggetto (vedi ad es. la miniatura persiana del XIV sec. d.C., ispirata al modello epico dello Shāhnāmēh di Fērdousī) provenga dal nulla, improvvisamente, senza un'adeguata tradizione figurativa autoctona già collaudata alle spalle.
Si consideri ad es. il Karg, sorta di lupo unicorne con corno singolo di
tipo cervino; o talvolta di drago, con corno unico di tipo antilocaprino (6).
Siffatta raffigurazione si richiama a nostro avviso, oltreché al modello di masnavī pahlavico citato (X-XI sec. d.C.), il
quale di per sé compendia materia leggendaria d'epoca sasanide, ad un piú generico ed antico sfondo culturale
irano-mesopotamico. Cfr. coi bronzetti della civiltà protoiranica di Amlaš
o di quella cimmerica – al dire de Ghirshman – del Luristān, databili pressappoco i primi all
IX-VIII sec. av. l'E.V. ed i secondi un secolo piú tardi. Vedi inoltre l’effigie del Lupo Tricorne,
alternativamente un Cervide Tricorne – o meglio, un Cavallo con maschera
cervina, nel cui mezzo delle corna si erge una seconda e minuscola Testa di
Cervo – presente nella Siberia Meridionale (7).
Si noti in proposito, che nella religione slava (8) ha regnato da tempo immemorabile, prima di essere cristianizzato col nome di S.Giorgio o di S.Nicola, il cd. ‘Spirito della Foresta’; altrimenti definito ‘Re del Bosco’ (Lešnij Car), un sovrano divino del tipo di quelli riscontrabili presso gli Uralo-altaici e i Paleosiberiani. Questi veniva concepito mediante tratti di Lupo – o di Cervo – Bianco e gli si attribuiva la facoltà di proteggere inesorabilmente il branco. Per via di tale suo indefettibile potere era anche chiamato ‘Pastore dei Lupi’ (Vučji Pastir), ovvero ‘Pastore dei Cervi’ (Olenij Pastir). Nell'aspetto antropomorfico era descritto come un vegliardo barbuto vestito di bianco, ad indicare - in terra slava come altrove - il suo presidio celeste; del resto costui era altresí un signore della montagna, oltreché della caccia. Essendo la <Montagna del Cielo> in origine il Polo Artico, ciò spiega perché il dio e la dea montani (praticamente il dio solare e la dea lunare) dei popoli di lingua indoeuropea e di altri popoli boreali abbiano mantenuto sino ad
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Si noti in proposito, che nella religione slava (8) ha regnato da tempo immemorabile, prima di essere cristianizzato col nome di S.Giorgio o di S.Nicola, il cd. ‘Spirito della Foresta’; altrimenti definito ‘Re del Bosco’ (Lešnij Car), un sovrano divino del tipo di quelli riscontrabili presso gli Uralo-altaici e i Paleosiberiani. Questi veniva concepito mediante tratti di Lupo – o di Cervo – Bianco e gli si attribuiva la facoltà di proteggere inesorabilmente il branco. Per via di tale suo indefettibile potere era anche chiamato ‘Pastore dei Lupi’ (Vučji Pastir), ovvero ‘Pastore dei Cervi’ (Olenij Pastir). Nell'aspetto antropomorfico era descritto come un vegliardo barbuto vestito di bianco, ad indicare - in terra slava come altrove - il suo presidio celeste; del resto costui era altresí un signore della montagna, oltreché della caccia. Essendo la <Montagna del Cielo> in origine il Polo Artico, ciò spiega perché il dio e la dea montani (praticamente il dio solare e la dea lunare) dei popoli di lingua indoeuropea e di altri popoli boreali abbiano mantenuto sino ad
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età arcaica (c.VIII sec. a.C.) quale eredità di un lontano passato, dopo essersi trasferiti in territori piú meridionali (come la Slavia, la Grecia, la Mesopotamia, l'Iran e l'India) rispetto al loro habitat originario, i loro originari contrassegni polari (9); sia pur colle opportune modifiche, dovute agli aggiornamenti culturali propri di
ogni
tradizione.
Riprendendo l’analisi del fregio cicladico di cui sopra dovremo allora
concludere che il Corno del Cervo impugnato, anzi quasi brandito dalla ‘Signora
degli Animali’ a guisa d’insegna del proprio dominio sulle fiere, ha in
qualsivoglia maniera la si voglia interpretare un indiscutibile significato
assiale. In entrambe le rappresentazioni
prima descritte la bestia, e ciò è particolare assai rilevante ad un fine interpretativo,
appare di proporzioni innaturali e cioè inferiori rispetto a quelle della
figura divina associatale. L’assialità
del Corno – lo ribadiamo - è indubbia, non importa se in virtú di Corno Singolo effettivo dell’animale (è
quel che crediamo in questo caso) o di Corno Destro o Sinistro divelto al pari
di quelli di Amaltea ed Acheloo in qualche mito dimenticato, postulante una
variante dell’origine della Cornucopia.
A conferma della nostra supposizione stanno la Palmetta Bilobata (con 7
Foglie intermedie che uniscono le 2 sezioni della pianta cosí distinte), le Doppie Spirali, i Soli
(raggiati o geometricamente stilizzati, secondo la pratica astrologica), le
Croci Gammate e tutti gli altri simboli facenti qua e là da contorno alla scena
dell’incontro fra Apollo e Artemide. Fuori
del simbolo, fra il calendario lunare e quello solare, avente probabilmente in
Aldebaran il nesso cosmologico; dato che Aldebaran in quanto stella del Toro ,
a differenza ad es. di Orione, era una stazione celeste lambita da entrambi i
calendari. Gli emblemi segnalati, insieme alle vesti a scacchiera della dea e di una delle
Vergini Iperboree (le Aurore), che fan da scorta al nume sul Carro Solare,
evidenziano comunque la natura cosmologica dell’evento raffigurato. Si potrebbe
anche fornire un'altra ipotesi piú
sostanziosa, che de rst non contraddice la precedente; ovvero che si tratti del
ritorno del Sole al Solstizio Estivo, momento dell’anno in cui nell’Età del
Ferro veniva celebrato il Trionfo della Luce, con ovvie implicazioni
ontologiche. Vale a dire l’Unione dell’anima
alla Divinità per mezzo della Luce interiore.
Giuseppe Acerbi
Il tema del disegno ora discusso offre riscontri iconografici
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inattesi nella decorazione di altro vasellame cicladico, per es. in un calice di Chio: ivi, l’Unicorno, di tipo antilocaprino, è disposto antiteticamente al Leone ed all’Uccello Solare, appaiati, mentre 4 Spirali (le Stagioni) al centro del mitico agone suggeriscono ancora una volta un’idea di ciclicità e nel contempo di quadripartizione
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inattesi nella decorazione di altro vasellame cicladico, per es. in un calice di Chio: ivi, l’Unicorno, di tipo antilocaprino, è disposto antiteticamente al Leone ed all’Uccello Solare, appaiati, mentre 4 Spirali (le Stagioni) al centro del mitico agone suggeriscono ancora una volta un’idea di ciclicità e nel contempo di quadripartizione
annuale
(10). Ulteriori immagini coeve, dipinte su ceramica
d’influenza orientaleggiante, dell’Unicorno contrapposto al Leone (11) o di 2 Unicorni
araldicamente fronteggiantisi (12)
campeggiano sul fregio centrale rispettivammente di un’ ólpē (recipiente
per l’olio) corinzia e di un dînos (vaso di vino) rodio ora al
Louvre. La ricorrenza concomitante di
Sfingi in siffatto materiale fittile di provenienza egea, il tutto integrato
negli interspazi dell’ornamento di soli raggiati o floreali, testimomia
esattamente a favore di una spiegazione in chiave esoterica della simbologia
zoomorfica delineabile nella pittura vascolare policroma d’epoca arcaica.
Giuseppe Acerbi
Note
1)
E.Akurgal,
Oriente e Occidente- Il Saggiatore, Milano 1969 (od.or. Orient und
Hokzident- Holle, Baden Baden 1966), p.254, fig.152a.
2)
Precisamente nella sezione dedicata al tatto.
3) Op.cit., pp. 252-5.
4)
Questo articolo è stato tratta da una nota, eliminata dal
testo per l'eccessiva lunghezza, del nostro libro di prossima uscita Il Re
Pescatore e il Pesce d'Oro (Cap.VII). Abbiamo lasciato
l''espressività un po' fuori dagli schemi dei tempi nei quali esso è stato
compilato, ma non è lo stile che ci ha contraddistinto negli ultimi anni.
5)
A.B. Cook, Zeus. A Study in Ancient Religion-
Biblo& Tannen, N.York 1964 (ed.or. Cambridge, 1914-40), Vol.I, Cap.I, §6.g,
xvi, p.502, fig.364.
6) E.Grube, La
pittura dell'Islam. Miniature persiane dal XII al XVi sec.- Capitol, Bologna
1990, pagg. n.numm., tav.XVI e VII; inoltre p.45, fig.13.
7) M.Gryaznov,
Siberia del Sud- Nagel, Ginevra 1975,
pp. 170, figg. 113 e 79, fig.123.
8) E.Gasparini,
Il matriarcato slavo. Antropologia
culturale dei Protoslavi- Sansoni, Firenze 1973, P.III, Cap.I, pp. 493-8.
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9) Quando avevamo stilato questa lunga nota avevamo ancora in mente lo schema della provenienza indoeuropea ideato da Tilak et al., cioè lo schema indoeuropeista che poneva la loro patria ideale nell'Artide e l'Asia Settentrionale quale via di fuga dal gelo. Tesi che Tilak aveva tratto da un professore americano, Il Warren, rimodellandola ad uso e consumo del fondamentalismo induista sorto fra la seconda metà dell''Ottocento e la prima metà del Novecento. Codesto punto di vista è stato contestato a livello accademico, in parte per giuste ragioni (vedi le conseguenze politiche negative di tale tesi), sebbene l'accademia non abbia saputo proporre una valida tesi alternativa. Ci ha provato in parte Parpola negli ultimi anni, ma nonostante tutto ci sono molti punti nei quali essa appare poco convincente. Da parte nostra, dopo aver brancolato nel buio per molti anni, siamo arrivati a delle conclusioni nuove rispetto ad entrambe le posizini suddette. Poggiandoci sulla Bibbia (forse per le nostre lontane origini ostrogotiche da parte paterna), e non sulle fantasie pseudo-tradizionali riguardo una mai esistita "razza ariana", ne abbiamo dedotto che la miscoconoscenza odierna sugl'Indoeuropei derivava da un erore di base: l'aver confuso la loro lingua colla loro etnia. Ciò per la verità era stato segnalato fin dall'Ottocento da parte degli autori maggiormente seri. Tuttavia, per una sorta di ossequio cerimoniale al dumezilismo si è finiti per ignorare il legame delle lingue indoeuropee con i Giafeti e si creato un mostro senza né capo né coda: gl'Indoeurpei, appunto. Riguardo l'origine dei Giafeti, non c'è da indagare molto: la Genesi c'informa che costoro, assieme ai Camiti e ai Semiti, discendono da Noè. E, siccome, Noè è stato interpretato da autori tradizionalisti quali Guénon come un'incarnazione umana della tradizione della Razza Rossa, è evidente che i Giafeti come gli altri due ceppi affini non possono che discendere da questa. Ma siccome la Razza Rossa, al dire degli Zingari, era una razza mista dalla quale peraltro essi in parte discendono, è chiaro che questi tre ceppi nell'insieme debbonsi identificare agli Eroi della mitologia greca; gli Eroi erano infatti figli per metà di dèi (cosa da intendere in senso traslato, in riferimento agli uomini perfetti delle origini, assimilati a deità) eper metà di uomini.
Chi non volesse accontentarsi di questa breve sintesi per la risoluzione del problema indoeuropeo, è pregato di consultare questi altri due nostri articoli. Link:
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9) Quando avevamo stilato questa lunga nota avevamo ancora in mente lo schema della provenienza indoeuropea ideato da Tilak et al., cioè lo schema indoeuropeista che poneva la loro patria ideale nell'Artide e l'Asia Settentrionale quale via di fuga dal gelo. Tesi che Tilak aveva tratto da un professore americano, Il Warren, rimodellandola ad uso e consumo del fondamentalismo induista sorto fra la seconda metà dell''Ottocento e la prima metà del Novecento. Codesto punto di vista è stato contestato a livello accademico, in parte per giuste ragioni (vedi le conseguenze politiche negative di tale tesi), sebbene l'accademia non abbia saputo proporre una valida tesi alternativa. Ci ha provato in parte Parpola negli ultimi anni, ma nonostante tutto ci sono molti punti nei quali essa appare poco convincente. Da parte nostra, dopo aver brancolato nel buio per molti anni, siamo arrivati a delle conclusioni nuove rispetto ad entrambe le posizini suddette. Poggiandoci sulla Bibbia (forse per le nostre lontane origini ostrogotiche da parte paterna), e non sulle fantasie pseudo-tradizionali riguardo una mai esistita "razza ariana", ne abbiamo dedotto che la miscoconoscenza odierna sugl'Indoeuropei derivava da un erore di base: l'aver confuso la loro lingua colla loro etnia. Ciò per la verità era stato segnalato fin dall'Ottocento da parte degli autori maggiormente seri. Tuttavia, per una sorta di ossequio cerimoniale al dumezilismo si è finiti per ignorare il legame delle lingue indoeuropee con i Giafeti e si creato un mostro senza né capo né coda: gl'Indoeurpei, appunto. Riguardo l'origine dei Giafeti, non c'è da indagare molto: la Genesi c'informa che costoro, assieme ai Camiti e ai Semiti, discendono da Noè. E, siccome, Noè è stato interpretato da autori tradizionalisti quali Guénon come un'incarnazione umana della tradizione della Razza Rossa, è evidente che i Giafeti come gli altri due ceppi affini non possono che discendere da questa. Ma siccome la Razza Rossa, al dire degli Zingari, era una razza mista dalla quale peraltro essi in parte discendono, è chiaro che questi tre ceppi nell'insieme debbonsi identificare agli Eroi della mitologia greca; gli Eroi erano infatti figli per metà di dèi (cosa da intendere in senso traslato, in riferimento agli uomini perfetti delle origini, assimilati a deità) eper metà di uomini.
Chi non volesse accontentarsi di questa breve sintesi per la risoluzione del problema indoeuropeo, è pregato di consultare questi altri due nostri articoli. Link:
10)
J.Charbonneaux-R.Martin, F.Villard- La
Grecia arcaica (620-480 a.C.)- Rizzoli, Milano 1969 (ed.or. Grèce archaïque- Gallimard, Parigi 1968),
P.I, Cap.III n.num., §2 id., p.39,
fig.41.
11)
Charb., op.cit., p.39, fig.41.
12)
Op.cit., p.36, fig.37.
Illustrazioni
1. Artemide impugna il Corno d'un Unicorno di forma cervina (anfora cicladica, stile melio, 2a metà del VII sec. a.C.; Mus.Naz., Atene).
2. Menade (o Semele, oppure Dioniso) afferrra il Toro per il corno destro (moneta nordafricana, I sec. a.C.).
3. Isfandiyar affronta il Karg, questa volta ritratto come drago dal corno antilocaprino (miniatura persiana, Shah Nameh disperso, Periodo Ikanide, Tabriz, XIV sec., Cleveland Mus. of Art).
4. Bahram Gur annienta il Karg, un lupo dal corno cervino, almeno nel maschio (miniatura persiana, Shah Nameh disperso, Periodo Gialairide, Tabriz, XIV sec., Istanbul, Topkapi S.).
3. Isfandiyar affronta il Karg, questa volta ritratto come drago dal corno antilocaprino (miniatura persiana, Shah Nameh disperso, Periodo Ikanide, Tabriz, XIV sec., Cleveland Mus. of Art).
4. Bahram Gur annienta il Karg, un lupo dal corno cervino, almeno nel maschio (miniatura persiana, Shah Nameh disperso, Periodo Gialairide, Tabriz, XIV sec., Istanbul, Topkapi S.).
Fonti
2. A.B. Cook, cit. alla n.5.
3. E.J.Grube, cit. alla n.6.
4. Ibid.
Fig.1
Fig.2
Fig.3
Fig.4
N.B.- Riguardo il tema dell'Uomo Selvatico e della Donna Selvatica nel Medioevo cfr. codesto link:
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