a) Introduzione
Nell’Ottocento il massone Ignatius
Donnelly aveva catalizzato l’attenzione su una cartina del XVI sec., che
raffigurava un’isola in mezzo all’Oceano Atlantico. Di lí è nata la leggenda dell’Atlantide posizionata al centro dell’oceano
omonimo. Nel secolo successivo gli
oceanografi ci hanno spiegato che la dorsale atlantica non è sufficiente a
spiegare una simile emersione insulare.
Per cui la leggenda è rimasta, ispo
facto, una pura fantasia letteraria; magari con significati utopici, visto
che è stata decantata dall’autore della ‘Repubblica’, ma senza un punto d’appoggio
reale nella geografia antropica attuale.
Naturalmente vi è chi ha provato a localizzarla un po’ dappertutto nel
globo, ma si tratta in genere di fantasie documentaristiche, tendenti a dar
significato a determinate scoperte archeologiche o a leggende che altrimenti sarebbero
rimaste nell’anonimato. Coll’aiuto di
altri studiosi cercheremo piú innanzi di analizzarle in breve, passandole in rassegna ad una ad una,
ma diremo subito fin da ora che a differenza di altri i quali vagano nel buio
noi sappiamo bene ove trovarla. Non per questione di arroganza intellettuale o
di orgoglio mal riposto, cose che disdegnamo alquanto, ma per il semplice fatto
che ci basiamo su una cosmografia ben precisa; la quale non apparteneva solamente
all’antica Grecia, ma era dominio comune di altri popoli, ad esempio della
popolazione mesopotamica, iranica o di quella indiana. E non importa dunque
stabilire se furono i Pelasgi o gli Elleni, i Paleodravidi o i Protoari a
disegnarla, visto che tutti costoro la praticavano senza distinzione gli uni
dagli altri con rispetto verso una tradizione percepita come ideale sovraetnico. Per via della loro comune origine noaica,
dato che non siamo fra coloro che fanno razzisticamente degl’Indoeuropei un’etnia
a parte, rientrando essi nell’alveo iafetico di provenienza atlantica e non
asiatica (come certuni studiosi, anche di grande valore come Tilak e Parpola, hanno
preteso basandosi su presupposti erronei)(1); secondo quanto abbiamo in altri scritti già
dimostrato (2),
cosa per cui sarebbe qui fuori luogo ripeterci.
b) Le teorie sull’Atlantide
Come abbiamo già sottolineato, dopo la smentita di Donnelly attarverso l’analisi
oceanografica della dorsale atlantica, altri hanno provato a formulare teorie
alternative, ponendo quel perduto arcipelago – non continente, a meno di
considerare l’intera America cosí come questa si presentava durante il Tardo Paleolitico nel suo complesso
– un po’ dappertutto. Il che ha di fatto
consegnato il racconto di Platone al regno del fantastico e dell’utopico,
oltreché dell’oblio. Solamente le
ricerche dell’ing. Jim Allen, di ebraica origine, in terre andino-caraibiche
hanno scardinato quella vetusta visione delle cose. Allen, a differenza di altri, facendo degli
studi sullo stadio greco come mezzo di misura è giunto al problema dell’Atlantide
indirettamente, provando con acume a conferire nuova linfa a vecchie idee ormai
cristallizzate. In tal modo ha dato alla
narrazione platonica, ereditata dagli egizi tramite l’antenato Solone, una base
geografica solida. Le altre, invece, appaiono
tutte campate per aria; pertanto non proveremo qui ad enumerarle neeppure sommariamente,
mostrando pregi e difetti, per quanto sia possibile in uno spazio ristretto. Sarebbe un lavoro inutile.
Cominceremo però col dire che a differenza di R.Ellis (3), il
testo presentato dalla pubblicità editoriale del sottotitolo italiano in
copertina alla fine dello scorso secolo come «L’ultima e piú accurata sintesi» e che abbiamo adoperato
quale canovaccio di base per codesta sintesi, noi non dividiamo gli scrittori
che si sono occupati dell’argomento fra ‘buoni’ e ‘cattivi’; come si faceva
alle scuole elementari, suddividendo in due la lavagna. Ci stupisce ad esempio vedere il Berlitz, che
ha approntato un’interessante sintesi (4), collocato fra quelli che alla maniera del Donnelly (5) hanno concesso le briglie sciolte
alla fantasia (6);
mentre fra i razionalisti – classifcati quali “storici classici seri" (7) – troviamo un J.V. Luce (8), che sinceramente – ci permettiamo
di aggiungere – ci pare non abbia capito quasi nulla del tema in questione. Tant’è che l’ha confuso coi ritrovamenti dell’I.a
di Thera, fatto assai grave, perché è palese come ciò rientri in quei propositi
sopra stigmatizzati di offrire da un lato una spettacolare propaganda a delle
ricerche di minor portata e dall’altro d’assicurasi il favore accademico degli
ambienti che autofregiano le proprie ricerche d’un alone di serietà e rigore scientifico. In questo caso vi è una quasi totale
incomprensione del soggetto, che – lo ripetiamo – altro non è che un caso di
cosmografia tradizionale ed in tale ambito dovrebbe rientrare. In effetti, quel che vale per l’Atlantide
vale pure per tutte le altre terre denominate <mitiche> in altre
tradizioni che non quella greco-ellenica, le quali vanno dall’Avalon od il Tir nan Og celtico all’Airyana
Vaēǰah
o allo Khwanērah antico-persiano (pre-iranico);
dalla Thyle Iperborea all’Ultima Thyle greco-latina, dall’Ilavṛta all’Uttarā Kuru hindu. L’Ellis,
meravigliandosi della particolare durata della leggenda sull’Atlantide (9), se ne
domanda la ragione additando il fatto (da lui supposto) che tale racconto non
faccia parte di alcuna cosmologia religiosa (e in ciò sbaglia). Vide
supra. La verità è l’esatto
opposto. Infatti, è chiaro come Platone
abbia inserito la leggenda, ricevuta dagli Egizi tramite lo zio Solone, in un
insieme di nozioni cosmologiche che fanno da base al Timeo, non avendo scritto un romanzo né ideato una società
utopica. Perché mai avrebbe dovuto
prendersi gioco del proprio antenato altrimenti? E, soprattutto degli Egizi, che sicuramente
stimava. La leggenda faceva dunque parte
del culto egizio delle origini e, in certo senso, divenne parte integrante anche
della cosmologia greca. Basta dire che
quello che l’Induismo definisce Yuga,
cioè l’Eone, è denominato nella cosmologia greco-latina Magnus Annus Platonis. E da
dove proviene tale definizione se non dal Timeo
platonico? Prendere la leggenda dell’Atlantide
di per sé, come un mito filosofico, è già alterare il testo fin dall’inizio
della nostra ricerca. No, il testo va
collocato nel suo alveo naturale, che è quello cosmologico. Platone, come il nostro Evola che sempre
dichiarò di rifarsi a lui, non era solo un filosofo. Era anche un cosmologo e un metafisico, per
quanto la definizione del secondo vocabolo dipenda storicamente dal suo
avversario e per certi versi discepolo – nonché continuatore – Aristotele.
c) Conclusioni
Secondo Jim Allen, viceversa, l’estensione
dell’Atlantide avrebbe interessato da un lato il Mar Caraibico e dall’altro la
parte settentrionale dell’America del Sud, fino alla cordigliera delle Ande. Però, se vogliamo attribuire a tale scoperta
un contenuto maggiormente veridico, occorre rifarsi per forza di cose alla cosmologia
platonica, la quale – detto per inciso – è la medesima che ritroviamo altrove
sotto altro nome. In particolare, nel
Vicino e nel Medio Oriente, ma per qualche via è giunta anche all’Estremo Oriente. Riguardo l’America nondimeno troviamo nozioni
cosmologiche similari, pur in un quadro generale notevolmente diverso a causa
della lontananza geografica e delle scarse comunicazioni marittime (31).
Giuseppe Acerbi
Non vogliamo discutere in questa sede la questione delle influenze cosmiche sulla
cosmografia (32), il nome di codesta dicliplina già lo sottintende;
perciò diamo per scontato che gli eventi catastrofici ricorrano, per
conformazione diretta, alle posizioni astrali.
Le quali ovviamente non corrispondono alla previsioni astrali, siccome è
evidente che queste ultime possono anche risultare errate; a seconda delle
interpretazioni, corrette o meno che siano.
Siccome il periodo che va dal 10.960 a.C. al 2.000 d.C. forma, come si
sa, il V Grande Anno (scr.Mahāyuga), è chiaro che il IV andrà dal 23.920 al 10.960 a.C. Dato che ogni Grande Anno ha a che fare con
una Razza, etnicamente parlando, non può che trattarsi in questo caso della cd.
‘Razza Rossa’; donde sono discesi i Nativi americani e, secondo le tradizioni
bibliche, Noè ed i suoi figli. È vero che la Genesi non attribuisce alcun luogo
geografico preciso alla storia del Diluvio, benché il punto di sbarco dell’Arca
sia verosimilmente l’Ararat; tuttavia la tradizione cristana medievale – fino
all'ex-gesuita e poi scienziato spagnolo Seguenza – identificava
il Diluvio atlantideo a quello noaico, come riteneva del resto anche Guénon (33). Le tradizioni ebraiche fanno del resto di Noāh il figlio del <secondo> Lemek, il quale equivale simbolicamente a Šēt, di cui è discendente; a differenza del <primo>, un
cainita (34).
Quindi è evidente che, essendo il
patriarca Noāh equiparabile
alla <seconda> Atlantide (in termini archeologici dovremmo dire
‘Recenziore’), è plausibile che Šēt –
suo antenato in ottava – facesse parte pure lui del Ciclo della Razza Rossa; una
razza mista, comunque, a differenza delle 3 precedenti (la Bianca, la Gialla,
la Nera). In sostanza, da Adamo ovvero la Razza Bianca provengono tutti i rami
razziali della nostra umanità: a partire da Eva, nata dalla sua stretta carne o
meglio da una costola e quindi discendente diretta (la Razza Gialla)(35); per passare poi a Caino (allonimo del greco Crono), che ha generato il
ceppo negroide da un lato e quello australoide dall’altro (36); ma anche ad Abele (Apollo), il quale <muore> unicamente per la Genesi, che è costretta dunque a far del
cacciatore Lamek (Orione) – il
<primo> Lamek – non suo figlio come dovrebbe essere e come infatti appare
nei Purāṇa attraverso la
storia del <primo> Rāma (Parśu ovvero Perseús), figlio del
sacerdote solare Jamadagni. Da Lamek (Rama) discendono i Turi, nonché
(una volta passato il Nilo, venendo da est, quando l’India era ancora collegata
via terra coll’Egitto e l’Etiopia probabilmente attraverso una serie di isole)
i Paleonegritici (37). Gli uni
sono tutto ciò che rimane, insieme ai Paleoasiatici, del versante orientale
della Razza Bianca; gli altri dopo esersi spinti fino al Polo Sud nel vecchio
continente di Bharata (Lemuria in
termini moderni, secondo la supposizione dei biologi) ora in gran parte sommerso costituiscono l’altra metà, antartica
anziché australe, della Razza Nera.
Dunque anche per eslusione non può che essere Šēt (omologo secondo del latino Sātur-n-us, dell’egizio Sēth,
del fenicio Sath e del norrenico Sathur secondo il D’Olivet)(38) l’antenato mitico di tutti gli altri popoli; ovvero della Razza Rossa e
dei suoi discendenti camitici, semitici e jafetici (39). Dei 2 Eoni concernenti il Ciclo della Razza
Rossa (23.920-10.960 a.C.), il primo va assegnato perciò a Šēt, il <terzo>
figlio di Adamo; il secondo a Noè, fratello di Melchisedek.
Questa cosmologia postula l’esistenza di
una serie di 10 cicli, ciascuno dei quali coincide con quel che va sotto il
nome di ‘Eone’. Ciò specificato,
chiameremo ‘Grande Eone’ l’intero ciclo denario, sebbene vada precisato che
nella tradizione greco-latina i nomi dei periodi ciclici tendono a fluttuare da
una misura di grandezza ad un’altra. La
stessa cosa vale d’altronde per il ‘Grande Anno’, propriamente un ciclo di 2 Eoni,
ossia di 12.960 anni, ma si usa applicare tale denominazione (Magnus Annus Platonis) nondimeno al
ciclo di 6.480 anni, ovvero al semplice Eone. Quel che in India va cioè sotto il nome di Yuga (‘Ciclo’), o semplicemente ‘Periodo
Avatarico’; ma in questo caso la consapevolezza è venuta meno, visto che non vi
è una denominazione particolare in proposito. La definizione di 'Ciclo Avatarico', che ci sembra invece appropriata, l'abbiamo dedotta noi da tale constatazione.
Il doppio Yuga, cioè il vero
Grande Anno, è chiamato invece Mahāyuga;
mentre il Grande Eone vien denominato, come è risaputo grazie a Guénon, Manvantara. Le grandezze numeriche indicate dai testi,
soprattutto per il Kalpa, che è l’insieme
di 14 Manvantara, hanno solamente un
valore simbolico, andando molto oltre la nostra vita umana. Si tratta in realtà del maggior ciclo umano a
noi noto, ossia quello di 6.480x10(x14)=907.200 anni, insomma quasi un milione
di anni; dei quali, secondo la tradizione induista, 453.617 sarebbero già
trascorsi. Non è possibile, dunque, alcuna comparazione colle date dei paletnologi.
Orbene, dal punto di vista della cosmografia ellenica, l’Atlantide
considerata in alcuni dei Dialoghi platonici (un terzo pare, disgraziatamente,
sia andato perduto e potrebbe essere ritrovato in futuro svelandoci ulteriori
misteri su quella data ecumene geografica) riguarda evidententemente l’Eone
precedente al Diluvio che la distrusse.
Cioè, in definitiva, il periodo fra il 17.440 e il 10.960
a.C. È vero
che Platone dichiara una data piú tardiva, quasi di 1.500 anni, ossia il 9.500
c.; ma questa si riferisce al momento effettivo dell’inondazione (non
calcolabile numericamente), che va a cadere nel ciclo successivo, non alla fine
del precedente ciclo. La discrepanza fra
le due date è dovuta al fatto che i fattori astrali scatenanti le calamità (siano
quali siano, essi dovrebbero essere oggetto della geologia in concomitanza
cogli studi astrologici, ma allo stato attuale delle conoscenze è una pura
illusione…) agiscono dapprima sulla superficie terrestre, determinando
variazioni della litosfera, tali da provocare nell’arco di 1.000-1.500 anni una
catastrofe naturale. Secondo gli antichi
questi fattori (le famose ‘cause seconde’, la Prima Causa essendo l’Ordine
Divino) non erano nient’altro che i 7 Pianeti congiunti in un’unica
costellazione, secondo la scienza sono altri fattori astronomici
concomitanti. Noi naturalmente propendiamo
per la prima tesi, che non è una pura ipotesi, ma un dato tradizionale e
come tale assolutamente insindacabile. Poiché,
come insegna la logica indiana, il Niāya, la Tradizione ha un valore gnoseologico indiretto; seppur
inferiore a quello della tautologia e della deduzione, di cui l'induzione non è che uno
specifico ramo (41). A meno di
dimostrare, come talvolta accade – vedi ad es. quel che ha fatto Tilak nei
confronti del ‘Cane’ celeste della tradizione hindu – che trattasi di un
equivoco tramandato nel tempo. Personalmente
ne possiamo citare un altro di questi equivoci pseudo-tradizionali: la pretesa
abbastanza diffusa, nell’ambito del Tetramorfo, d’identificare l’Aquila allo Scorpione
e l’Angelo all’Aquario. No, è errato, essendo
esatto il contrario; poiché è l’Aquila che reca nel becco l’Acqua, il Soma per
dirla all’indiana. Mentre l’angelo preso
in considerazione in tale simbolismo è l’Angelo della Morte, omologo dell’Uomo-scorpione.
Note
(1) L’accostamento inusitato fra Tilak e Parpola è dovuto semplicemente al
fatto che entrambi hanno sostenuto la provenienza asiatica degl’Indoeuropei, il
primo a partire dalla Siberia e il secondo dall’Asia Centrale. Curioso che il professore finlandese non citi
il primo, che pure è famoso per la sua teoria artica, neanche per osteggiarlo. Questo modo d’ignorare le cose, tipico del
mondo accademico, non gli fa onore.
Personalmente sono convinto che siano entrambi in errore, dal momento
che gl’Indoeuropei non sono mai esistiti, appartengono ad uno pseudo-mito secondo quanto hanno
teorizzato certuni; insomma sono un’invenzione dell’Ottocento su base linguistica, come ben sapeva Max Muller (1823-1900), per
nascondere la loro discendenza noaica da Oltreatlantico in forma di Iafeti.
(2) Cfr. in
proposito G.Acerbi, Uttara Kuru, il
Paradiso Boreale nella cosmografia e nell’arte indiana- Alle pendici del
Monte Meru (8-06-13/29-07-15); inoltre Id., L’Isola
Bianca e l’Isola Verde- Simmetria on
line. Per un maggior approfondimento
è da consultare il nostro saggio, che speriamo di ultimare fra breve tempo, Il Re Pescatore e il Pesce d’Oro. Aspetti
della Rivelazione Primordiale- Quaderni di Simmetria, Roma 2018? Purtroppo, dopo
24 anni di faticosa preparazione, abbiamo subito quest’anno anche un maledetto
hackeraggio a computer spento e
scollegato, cosa che ha scompaginato l’intero libro costringendoci ad un lavoro
supplementare inatteso. Link:
http://www.simmetria.org/editoria/la-rivista-on-line/976-rivista-on-line-n-41-l-isola-bianca-e-l-isola-verde-di-g-acerbi
http://allependicidelmontemeru.blogspot.it/2012/12/la-figura-del-re-pescatore-in-india-e.html
Circa il libro di cui
sopra, non essendo ancora pubblicato, citiamo qui un articolo (La figura del Re Pescatore in India e nel
Nordeuropa) uscito su ‘Alle pendici del Monte Meru’ (19-12-12), che ne è in
qualche modo una brevissima sintesi in relazione al capitolo iniziale e a
quello conclusivo:
(3) R.Ellis, Atlantide.
L’ultima e piú accurata
sintesi sul mistero dell’isola scomparsa-
Corbaccio, Milano 1999 (ed.or. Imagining
Atlantis, 1998).
(4) C.Berlitz, Il mistero
dell’Atlantide- Sperling & Kupfer, Milano 1976 (ed.or. The Mistery of Atlantis- Grossett & Dunlap, N.York 1969).
(5) I.Donnelly, Atlantis:
the Antediluvian World- Harper & Bros, N.York 1882; II ed. Dover 1976.
(6) Ell., op.cit.,
Pref., p.15.
(7) Ibid.
(8) J.V. Luce, La fine di
Atlantide: nuove luci su unantica leggenda- Newton C., Roma 1976 (ed.or. Lost Atlantis. New Light on an Old Legend- Thames & Hudson, Londra 1969).
(continua fra 9 e 30)
(31) Stando a Platone
(Tim.- iii. 24e-25d; Crit.- iii. 108e ss) gli Atlantidei
avrebbero non solo comunicato via-mare con gli antichi abitanti della Grecia e
dell’Europa (evidentemente pre-noaici), ma anche guerreggiato con essi venendo
sconfitti, pur avendo dalla loro parte una superiore tecnologia bellica.
(32) Per un quadro
generale delle influenze cosmiche durante il Manvantara cfr. G.Acerbi, I numi
erano numeri: carattere matematico della vetusta astrologia e della conseguente
teogonia (Alle pendici del Monte Meru, 24-07-11).
(33) R.Guénon, Forme tradizionali e Cicli cosmici-
Mediterranee, Roma 1974
(ed.or. Formes
traditionnelles et Cycles cosmiques- Gallimard,
Parigi 1970 ), Cap.III n.num., p.40.
(34) Gen.- v. 28-9.
Si noti che i 2 Lemek (corrispondenti
ai 2 Rāma indiani, Paraśu e Candra) – descritti
rispettivamente in iv. 17-8 e v. 6-31 – vengono biblicamente identificati, il
che accade pure nel testo sacro con Noè e Giuseppe; ma si tratta in tutti e tre i casi, in realtà, di
2 personaggi ben distinti. Il primo
Lamek infatti è figlio di Metushael,
pronipote di Caino, benché poi suo uccisore; e il secondo, discendente in settima di Seth, figlio di Metushelah. Insomma, essi appartengono a due rami umani
distinti, l’uno essendo quello turano-abelita (spintosi prima in Persia e poi
fino al sud dell’India per passare indi in Africa a formare il ceppo
paleonegritico); l’altro equivalendo al ramo sethita, d’origine atlantidea, sebbene pre-noaica.
Erroneamente, invece, il testo biblico menziona il primo Lamek fra i
Cainiti. Avrebbe dovuto farne un
abelita, anzi il figlio di Abele; ma siccome fa uccidere Abele da Caino, si
afferma di conseguenza in modo incongruo che Abele non ha avuto figli. Se fosse cosí,
da chi sarebbero discesi le genti pastorali, che sono in parte anche degli avi
degli ebrei? Vedi Askenaziti. Come può accadere che il testo biblico
sbagli? Secondo uno studioso, il defunto pastore valdese Alberto
Soggin, la storia di Caino e Abele non era difatti di provenienza ebraica e ciò
spiega a sufficienza l’incongruenza.
(35) Sul significato cosmografico del Periodo Evaico cfr. H.Mriga, Il viaggio degli Adamiti all’Emisfero Australe, I- Nel nido del Simorgh (18-08-15), §a, p.3.
(36) Circa il Periodo Cainita cfr. Mr., art.cit., II, §b sgg.
(37) Circa il Periodo Abelito-Lamekita cfr. art.cit., II, §c sgg.
(38) F. d’Olivet, Storia filosofica del genere umano- Atanòr, Roma 1973, L.Pri., Cap.Pri, p.56, n.4.
(39) Circa il Periodo Sethita cfr. cit., II, §d sgg.
(35) Sul significato cosmografico del Periodo Evaico cfr. H.Mriga, Il viaggio degli Adamiti all’Emisfero Australe, I- Nel nido del Simorgh (18-08-15), §a, p.3.
(36) Circa il Periodo Cainita cfr. Mr., art.cit., II, §b sgg.
(37) Circa il Periodo Abelito-Lamekita cfr. art.cit., II, §c sgg.
(38) F. d’Olivet, Storia filosofica del genere umano- Atanòr, Roma 1973, L.Pri., Cap.Pri, p.56, n.4.
(39) Circa il Periodo Sethita cfr. cit., II, §d sgg.
(40) G.Acerbi,
Dante e Virgilio: profezie antiche e medievali sull’avvento dell’Età dell’Acquario-
Arthos, N.S., A.II, Vol.I, NN. 3-4, p.
(41)
G.Acerbi, Logica antica e razionalismo attuale-
La cittadella, N.56 (apr.-giu. 1998, XIII) pp. 7-8.
Illustrazioni
1.
Ignatius Donnelly (datazione incerta)
2.
L'Atlantide in una raffigurazione immaginaria, nella prospettiva di una nave
che proviene da nord - in basso - e va verso sud (Athanasius
Kircher, Mundus Subterraneanus, Amsterdam 1665).
Fig.1
Link 1: una città è stata trovata sul fondo dell'Oceano Alantico, nei Caraibi, fra lo Yucatan e Cuba. Sembrerebbe avere oltre 6.000 anni. Si tratta dell'Atlantide?
Link 2: Storia approssimativa della collocazione dell'Atlantide.
Link 3: Ibid.
Link 4: Ibid.
Link 5: Ibid.
Link 6: Ibid.
Link 7: Ibid.
Link 8: Ibid.
Link 9: Ibid. I P.)
Link 10: Ibid. (II P.)
Link 11: Ibid., con estensione dell'argomento a Lemuria.
Link 12: Ibid. (in ingl.)
Link 13: Ibid. (in ingl.)
Link 14: Ibid. (in ingl.)
Link 15: Ibid. (in ingl.)
Appendice 1: l'Archeologia proibita, ricca di utilissimi spunti per il problema trattato (il migliore di tutti i video ivi presentati).
Appendice 2: La ricerca dii Hancock si spinge varie parti dei continenti per delneare la perdita d'un ntica civiltà che avrebbe influenzato, a suo parere, tutte le altre da noi conosciute: questa civiltà è ovviamente l'Atlantide,ma si omette il nome, perché gli accademici al solo sentirne pronunciare i nome asseriscono che l'argomento noon è scientifico.
Appendice 3: Il punto di vista, in sintesi, di Hancock sull'Atlantis.
Appendice 4: Idem, ma in maniera più diluita (I P.).
Appendice 5: Idem (II P.).
Nessun commento:
Posta un commento