ed i suoi epigoni egizio-ebraici
a) Introduzione
Vi è in India un’icona tricicipite del
dio Sūrya (1), che viene paragonata ad una analoga di Śiva (2) o addirittura maldestramente alla Trimūrti (3); ma in realtà essa ha
rapporto diretto solamente col Trideva
shivaico (Tatpuruṣa fronteggiante l’Est, Aghora posto al centro ma rivolto al Nord e Vāmadeva fronteggiante l’Ovest)(4), oltre al fatto che ogni terna rimanda in genere
ad una tipologia iconologica di carattere tretâyugico.
Anche nell’arte mesopotamica,
precisamente babilonese (Epoca di Larsa)(5), troviamo una figurazione
del dio solare non troppo dissimile. In
questo caso abbiamo a che fare con una scena demiurgica, ritratta in una
terracotta del II mill. a.C. rinvenuta a Khafage, ove un nume munito di daga
affonda il suo ferro nel ventre d’un ciclope solare: il nume per la
verità è trioftalmico anziché tricefalo, ma la tri- o la mono-oftalmia è chiaramente
correlata alla tricefalia e alla tricornia.
Egualmente rinveniamo una triplice
immagine del Sole, seppur a carattere profano, nell’arte islamica. Non si tratta infatti d’un dio, il che sarebbe
incoerente colla dottrina monoteistica musulmana, bensí d’una triplicazione del disco del luminare diurno con tanto di
lineamenti umani. Il contesto, in tal
caso, è quello astrologico-astronomico.
Un’ulteriore terna a cui può essere
paragonato il suddetto Surya Tricefalo è quella d’un nume indiano poco noto, Jvaradeva (dotato di 3 Teste, 3 Gambe, 6
Braccia e 9 Occhi), presente nella mitologia śaiva ma noto soltanto
nel Sud del Deccan (Bhavāni, cittadina del Tamil Nadu di oltre 30.000 abitanti, a c. 15 km da Erode
e 100 da Coimbatore)(6). Benché
lett. il ‘Dio della Febbre’, a nostro parere questi è un signore shivaico della
conoscenza, in quanto apritore della <triplice porta solare>: l’alba e la
primavera evidentemente alludono alla fonte della Gnosi (scr. Jñāna), il
mezzogiorno e l’estate alla sua acquisizione e il tramonto o l’autunno alla
scomparsa della stessa (7). Cosí come accade giornalmente ed annualmente colla luce e il calore solare. Mitologicamente però è – in alternativa a Mohinī (l’avatar femminile di Viṣṇu) – il
distruttore di Bhasmāsura, un demone che per il suo ascetismo aveva ottenuto in dono da Śiva il potere di trasformare in cenere (bhasma) chiunque fosse stato toccato dalla sua mano. Qualcuno (8), tuttavia, ha identificato
acconciamente un’insolita icona nepalese con quella del distr. di Coimbatore
(sottodistr. di Erode) di cui sopra.
Dopo averla messa a confronto con altre immagini shivaite, secondo il
tema del tripāda (Bhṛṅgi, Bhairava, Agni), Bhattacharya
si accorge che la descrizione deducibile dall’iconografia della scultura
nepalese – ora in una coll. priv. di Chicago – calza a pennello con quella d’un
dio menzionato nel V.Dh.P.- iii. 73,
anche se in Pd.P.- vi. 13, 27 lo stesso dio è descritto in termini
differenziati, ma in ogni caso concordanti.
A seguito di questa constatazione l’autore elenca con molta precisione e rigore accademico tutta una serie di icone tamil (ben 6, oltre a quella da noi
utilizzata, che però non riporta) le quali, variando da Jvaradeva al quasi omonimo Jvarahareśvara, ben illustrano l’intera mitologia del personaggio, la sua
collocazione letteraria a livello puranico e la relativa iconografia. Il Bhattacharya mette inoltre ben in rilievo il meccanismo della febbre, che pone in contrapposizione a livello mitologico Śiva e Viṣṇu, nonché a livello settario shivaiti e vishnuiti.
In sintesi, tutte le figure indicate mancano invero d’una testa: è la
‘Prima Testa’ di Brahmā, che non meno della ‘Prima Zampa’ del Toro del Dharma è venuta meno colla Fine del Satyatuga (9).
a)
Il Dio-leone
Si consideri ora un analogo nume solare
tricipite di foggia meroitica, dotato di tre teste leonine e di quattro braccia
secondo lo stile indiano, inciso su una parete del tempio solare di Naqa in
Nubia (10); questa regione accludeva un tempo il territorio fra il Sud dell’Egitto
attuale e il Nord del Sudan, il quale pressappoco fra il 2100 a.C. e il 352 d.C.
venne designato quale Regno di Kush (11). Tale
divinità, raffigurata in alternativa con testa leonina su corpo antropomorfico (12)
od ofidico (13), oppure in forma intera di leone (14), era
chiamata Apedemek/Apademek ed in qualità di nume bellico
concedeva la vittoria ai devoti: veniva venerato in alcuni templi nuba, eretti
nella nuova capitale Meroë in
mezzo al deserto (15), a Naqa e a Musawwarat-es-Sufra (regione di Butana). A differenza che nel culto nubiano il dio in
quello egizio fungeva da divinità meroitica e perciò minore, sostituendo
Osiride in una triade concernente Iside e Horus (16).
continua
b) Il Γλύκων gnostico
Una simile effigie
numinosa, chiamata Glicone (25), è stata ossequiata dai Sethiti, come si deduce
da un’incisione su pietra dei primi secoli dell’era cristiana. In tale immagine si vede un serpente
leontocefalo colla testa solare raggiata.
continua
c)
Equivalenti buddhisti
continua
Note
(1) V.C.
Srivastava, Sun-worship in Ancient India-
Indological P., Allahabad 1972, Cap.VI, pp. 318-9, inoltre tav.27.
(2) Vedi la Maheśamūrti custodita a Bombay (Mus. Principe di Galles dell’India Occidentale) in
O.C. Kail, Elephanta. The Island of
Mistery- D.B. Taraporevala Sons & C., tavv. 7-11.
(3) La Trimūrti allude agli aspetti dinamici, non statici, della Divinità: creativo-produttivo,
conservativo-preservativo e distruttivo-trasformativo.
(4) Ka., op.cit., Cap.4, p.13/
coll.a-b.
(5) A.Parrot, I Sumeri- Rizzoli, Milano 1960 (ed.or. Sumer- Gallimard, Parigi 1960), Cap.VI,
p.291, fig.358/a. Da notare che tre facce sono in relazione
alle <Tre Porte> del tempio da dove la triplice icona è tratta. Esse sono poste rispettivamente ad E, a N e
ad O. Manca, cosí come fra le 3 facce, quella rivolta a S.
(6) H. Krishna Sastri, South-Indian Images of Gods and Goddesses- Bhartya P.H., Varanasi 1974, p.167, fig.106 (comm. al Cap.IV, §xxv,
p.165.
(7) La nostra interpretazione di Jvaradeva
è parallela a quella che vien data del Trideva,
in proposito del quale M. & J. Stutley scrivono nel loro Dizionario dell’Induismo- Astrolabio-Ubaldini,
Roma 1980 (ed.or. A Dictionary of
Hinduism- Routletge & Kegan P., Londra 1977 ), s.v. MAHEŚVARA: “In Maheśvara trovano coordinazione le tre energie principio della conoscenza, che
sono la comprensione (jñāna), la volontà (icchā) e l’azone (kriyā). Gli autori spiegano in
aggiunta che nello Shivaismo kashmiro il mondo viene inteso non come l’opera
statica d’un Piano Divino, bensí quale frutto
dinamico d’una volontà proveniente dalla Mente Universale che è insita nella
Natura.
(8) G. Bhattacharya, Identification
of a Strange Stone Page from Nepal: Nepal and Tamil Nadu Connection- South
Asian Archeology (Proc. of the Sixteenth Conf. of the Europ. Assoc. of S.Asian
Archeologists, 2-6 Lug. 2001), Vol.II (Hist. Arch. and rt Hist.), 2001, pp.
393-400.
(9) Non si confonda
il simbolismo delle 4 Zampe del Toro Dharmico o delle 4 Teste di Brahma (Brahmāśiras) coi 4 Passi di Vāmana. Vero che anche questi
posseggono un significato solare, ma vanno in aumento e non in diminuzione. La simbologia quaternaria di Teste e Zampe,
in altre parole, ha un senso cosmogonico ed involutivo; quella dei Passi,
viceversa, un senso cosmografico ed evolutivo.
Notiamo ancora che se Śiva possiede 5
Teste (Pañcānana), rispetto a Brahmā o al suo equivalente latino Iānus, è perché 3 di queste 5 Teste equivalgono alle 3 delle quali si è
detto alla n.prec. Le altre 2 sono, invece,
Sadyojāta (rivolta a S) e Īśāna (rivolta in alto ossia verso il Paradiso Celeste). Per meglio chiarire, Brahmā nel Satyayuga
era identificato a Manu, l’Adamo
indiano. La Cabala difatti attribuisce
ad 'Ādam
ha-Ḳadmoni, ovvero all’Adamo Primordiale,
il medesimo numero di teste. Siffatto
numero implica che gli uomini avessero la capacità di guardare in ogni
direzione (in senso solare), cioè che disponessero d’ogni facoltà umana al
completo. La Testa che vien meno nel Tretāyuga è proprio la capacità di percepire
la verità per intero: dunque rimangono soltanto le teste relative ai 3 periodi meno
luminosi nei quali suddividiamo la giornata, essendosi dissolta quella in
rapporto al mezzogiorno e al solstizio estivo.
Non importa se l’attribuzione del simbolismo delle Teste (scr. Anana) sia avvenuta tardivamente, o
persino in tempi recenti; quel che conta è la validità della simbologia in sé,
la quale rappresenta un aspetto irrinunciabile della dottrina. Se il passaggio da una situazione all’altra
vi ene spiegato fornendo al nume erede di quello primevo, anziché 3 sole Teste,
addirittura 5 è perché in tal caso si passa dal simbolismo involutivo
quaternario a quello distributivo quinario.
Insomma la ‘Quinta Testa’ di Brahmā, che una
famosa studiosa (S.Kramrisch, Presence of
Śiva- Priceton U.P.,
Princeton 1981, Cap.IX, p.254 ss) ha
interpretato come equipollente a Mṛgaśiras – cosa
indubbiamente giusta se rapportata al Kaliyuga
– e che egli in un mito taglia durante il III Ciclo Avatarico (Vm.P.- S.M. xxviii. 4-5 e 20) oppure sul picco del Meru (Kū.P.-
ii. 31. 1-3) – ma questa’ultima è una cattiva interpretazione, che non trova
riscontro nel testo citato – per porla a coronamento trascendente delle proprie
altre teste: 4, corrispondenti ai suoi 3 <Figli> e alla Śakti in base alla suddivisione quinaria
del Manvantara, in cui Mahādeva funge da Divino Pitamāha in
sostituzione (lett. <figlio>) del deus
otiôsus Brahmā.
Per rendere plausibile codesto trasferimento di dominio si dice in M.P.-
iii. 32-40 che le 4 Teste di Brahmā si siano
formate mentre questi roteava le sue 4 Teste per poter contemplare senza satdio
la figlia appena nata da una metà del suo corpo, insomma la Creazione o Sovrannatura
che dir si voglia (nel mito Sāvitri aliâs Śatarūpā ossia
‘Colei dalle Cento Forme’). Un
modo diverso per rapprsentare la stessa cosa è la simbologia di Sadāśiva, in
cui quest’ultimo svolge la parte di Īśāna
nel Pañcānana di cui sopra ed
altre 3 figure (Mahādeva ad E, Bhairava a S e Nandivaktra ad O) quella dei 3 figli di Śiva,
mentre Umāvaktra sostituisce Pārvatī
nella parte femminile della sacra famiglia. Circa le 5 Teste di Gaṇeśa, va specicificato che il terzo figlio di Śiva non meno del padre ha varie
sfaccettature, che risalgono anche in tal caso in un modo o nell’altro ai 5 Mahāyuga sviluppantisi all’interno del Manvantara. Riassumendo
tutte le pentadi elencate non sono che una figurazione varia del 5 Grandi
Elementi (Pañca Mahā-bhūta). Per questo tanto Śiva quanto Gaṇeśa fungono
da Bhūtapati (‘Signore degli Elementi’).
(10) Per l’icona
cfr. il doc. Africa 5: stranezze e
grandezze della civiltà africana- RAI (Yout., 11-11-94), min. 30’31”.
(11) S
(12) Silvered Sunlight (sito, 23-05-14).
(12) Silvered Sunlight (sito, 23-05-14).
(13) C “ “ di
pitone
(14) C intera figura leonina
(15) Citare la vecchia capitale e l’epoca del trasferimento a Meroe
(16) Ibid. come alla 10, min. 30’31”.
continua
(25) Charb.-L., op.cit., P.Quatt.,
Cap.Cent., §IV, p.773, fig.X.
Nessun commento:
Posta un commento