401) Certuni, nel delineare tali 4 forme, menzionano il
nipote di Bellerofonte anziché Melicerte, ma costui deve eser considerato un
quinto Glauco. Il Glauco omerico d’altra
parte è una figura miticamente scialba, seppur letterariamente molto valida; il
suo ruolo è essenzialmente epico, nel Canto VI dell’Iliade (vv. 168-330). Gli Achei fanno strage dei Teucri, sino a che
Ettore balzando dal suo carro prova a rianimarli. A questo punto interviene il duello fra
Diomede e Glauco. Il greco, vedendolo
l’oppositore sicuro di sé a differenza degli altri, prende il guerriero troiano
per un nume e vorrebbe esentarsi dal combatterlo. Ma nel caso egli abbia davvero forma umana lo
sprona a farglisi presso, affinché lo possa ben presto affidare ai lacci della
morte. Il figlio d’Ippòloco, re dei
Lici, gli risponde che gli uomini sono come le foglie che una volta giunte a
terra il vento disperde. E la selva
germogliante le riproduce in primavera continuativamente. Glauco gli spiega allora la sua discendenza
da Sisifo attraverso Bellerofonte, il vincitore sulla Chimera; fatto al quale
erano seguite altre imprese vittoriose (contro i Sòlimi e le Amazzoni) e
un’insidia tesagli dai Lici finita male per costoro, fino a che era stato
riconosciuto eroe dal Re dei Lici, che gli aveva alfine concesso in isposa la
figlia. Dei suoi 3 figli, era da
Ippòloco che Glauco era nato.
Diomede a queste parole riconosce nell’avversario il nipote d’un ospite
del proprio nonno Enèo. L’invita,
pertanto, ad evitare reciprocamente di offendersi colle punte delle lance anche
in mezzo alla mischia. E gli domanda lo
scambio cerimoniale delle armi. Segue la
discesa dal loro carro dei due contendenti: Glauco dona armi d’oro, Diomede di
bronzo. Il bellissimo episodio è
effigiato in un pelike attico a
figure-rosse del V sec. a.C. (Coll.Nocera, Mus.Region. Archeologico,
Gela). Notiamo Diomede a sinistra chiedere
di scambiare le armi con lui, uno dei capi dell’esercito licio (Wikim., s.v.
DIOMEDES GLAUCUS). Vi è
addirittura un sesto Glauco che avrebbe accompagnato Paride al ratto di Elena e
poi sarebbe stato ucciso da Agamennone nella Guerra di Troia, oppure secondo
altra versione sarebbe stato risparmiato da Ulisse e raggiunto il Po avrebbe
fondato Padova.
402) Grav., op.cit.,
§71/a.
403) Ibid.
404) Wikim., s.v.: SCYLLA BM 621.
405) Wikim., s.v.: SCYLLA (BELL-CRATER SCYLLA LOUVRE CA 1341).
406) Wikim., s.v.: SCYLLA (ANTIKENSAMMLUNG KIEL 107), n.
d’inv.: B 895.
407) Wikim., s.v.:URNA FUNERARIA CON SCILLA IN ALABASTRO,
225-200 AC CA, DA VOLTERRA (MUSEO GUARNACCI).
408) Wikim., s.v.: URNA FUNERARIA CON SCILLA IN
TRAVERTINO, CASTIGLION DEL LAGO, LOC. CASTELLANO, 200-190 AC CA. (MAN FIRENZE).
409) Wikim., s.v.: SYRACUSAE AR TETRADRACHM 591222.
410) Wikim., s.v.: CUMA AR SCYLLA 591018.
411) Wikim., s.v.
HERAKLEIA. A retro la moneta riporta
un’Eracle che lotta col Leone Nemeo.
Eraclea era una città della Magna Grecia, sulle coste dello Ionio, a
testimonianza che la cultura lucana antica dopo un periodo di forti ostilità
verso la colonizzazione proveniente dall’Egeo aveva finito per accettare
entrambi gli aspetti di detta civiltà: la componente greca (Atena, Scilla) e
quella ellenica (Eracle). L’una
maggiormente affine al sostrato greco-tracio degli Apuli (Dauni ecc.) di per sé
d’origine illirica, affini quindi ai Daco-Traci, di poi ibridati con genti
greche; l’altra, invece, piú prossima al sostrato irpino (sannitico)-ellenico
de Campani. La compagine originaria osca
(anche questa diramatasi dal gruppo sannitico) della Lucania, dimorante in
un’ampia zona fra l’Abruzzo e la Basilicata con parti della Campania e della
Calabria oltreché delle Puglie, aveva formato nel V sec. a.C. la cd. ‘Grande
Lucania’ (sebbene la definizione non fosse autoctona); la quale venne
sottomessa dai Romani nel III sec., a partire dalle guerre sannitiche e
pirriche.
412) Wikim., s.v.: THURIUM 2.
413) S.v.: DENARIUS SEXTUS POMPEIUS-SCILLA.
414) Cfr.
G.Acerbi, Il culto di Pico in area
indomediterranea, dalla Sicilia al Deccan- Alle pendici del Monte Meru, blog (29-05-17).
415) Grav., op.cit., §16, p.52, n.2.
416) Wikim.C., s.v.:
JOHN MELHUISH STRUDWICK22.
417) Wikim., s.v.:
URBINO XANTO AVELLI, CIRCE, SCILLA E GLAUCO, 1535.
418) S.v.:
CIRCE STRAFT GLAUCUS DOOR SCYLLA IN EEN MONSTER TE VERANDEREN
RIJKSMUSEUM-SK-A-4874.
419) S.v.:
CIRCE INVIDIOSA-JOHN WILLIAM WATERHOUSE.
420) S.
v.: DSC 00207-8- COMPAGNO DI ULISSE – COPIA DA ORIGINALE SEC. II SEC aC DA
VILLA ADRIANA SEC II dC - FOTO DI G. DALL’.
421) S.
v.: SCYLLA (CAUGHT BETWEEN A ROCK AND A HARD PLACE).
422) S.v.
FONTANA DEL NETTUNO IN MESSINA (GIOVAN ANGELO MONTORSOLI).
423) S.v.:
SCYLLA (JOHANN HEINRICH FUSSLI 054)
424) S.v.:
SCYLLA AND SYRENS-GOOGLE ART PROJECT.
425) Font., op.cit.,
Cap.VI, p.97.
426) Ennesima variante è Keltṓ, antenata leggendaria dei
Celti, forma che parrebbe modellata su Kētṓ (op.cit., pp.
98-9).
427) In genere le Sirene sono citate nel folclore
europeo ed in quello dei paesi di cultura latino-americana come le compagne
marine dei Tritoni, anziché dei Sireni.
In tal caso i Tritoni, tuttavia, sono effigiati in maniera diversa dalla
loro fisionomia classica greca ossia con corpo metà sepentiforme alla maniera
delle Nereidi (delle quali le Sirene pigliano a volte il posto). A dimostrazione di ciò un artista anonimo del
folclore russo ha offerto un’effigie della Sirena accanto al Tritone, ma questo
non meno di essa ha corpo per metà pescino.
La stampa è del 1866 ed è depositata presso la Biblioteca Pubbblica di
N.York. Cfr. Wikim.C, s.v.: MERMENLUBOK.
428) Ker., op.cit.,
Cap.3, p.56 ss.
429) Nel Mar del Giappone è stato osservato un pesce di
questo tipo, metà antropomorfica a parte, cioè lungo uno sproposito di metri e
con scaglie che parevano squame di serpente marino. L’andatura – a quanto si poteva intravedere
dal breve filmato – era quella a zigzag dei rettili, ma non ovviamente in senso
ondulatorio-orizzontale secondo quanto avviene in ambiente terrestre;
piuttosto, in senso ondulatorio-verticale per sfruttare nel moto la spinta
delle onde.
430) Vide Cap.I,
n.117.
431) Font., op.cit.,
Cap.X, p.232.
432) La sequenza giusta dovrebbe essere, comunque, la
seguente: Eros, Oceano. Dato che Eros ed
Urano appartengono entrambi al I G.A., seppur uno alla prima fase e l’altro
alla seconda; infatti, il primo in India corrisponde a Brahmā (Kāma) ed il secondo a Varuṇa.
433) Ker., op.cit.,
p.57.
434) Ibid. come alla
prec.
435) Stutl., op.cit.,
s.v.: GANDHARVA, p.131/ coll. a-b, n.1.
436) In un piatto beota del 580-70 a.C., di stile
corinzio-medio, troviamo un sireno barbuto in forma d’uccello colla sola testa
umana. (Mus. del Louvre, Parigi). Cfr.
Wikim.C., s.v.: LOUVRE ASSIETTE SIRENE BARBUE.
437) Ibid. come alla
434, pp. 57-8.
438) Wikip., s.v.:
SIRENE (religione greca).
439) Sul tema cfr. Ac., Plut. sgg.
440) Ibid. come alla
437, n.16.
441) Wikip., s.v.: MUSE (divinità). Per la citazione di Diodoro S. vedi n.13.
442) Ibid. come alla
437.
443) Ib.
444) Ib.
445) Ac., Mrig., p.12, n.17.
446) Wikim.C., s.v.:
FIGURES ALADES, UNIÓ
D’ANSA D’OLLA, SEGLE VIII AC. MUSEU ARQUEOLÒGIC D’OLÍMPIA.
447) Ibid. come alla
n.prec.
448) Sui significati cosmologici delle Sfingi cfr.
G.Acerbi, Edipo e l’Enigma della Sfinge
tebana- Heliodrmos (Inv. 1998.-Inv. ‘99), N°15, Catania 1999, pp. 7-14.
449) Porf., De
Ant.- x.
450) Vide n.280.
451) Wikim.C. ., s.v.: SIRENA DE CANOSA S. IV ADC
(M.A.N. MADRID) 01.
452) Wikim., s.v.: FUNERARY SIREN LOUVRE MYR148.
453) Wikim.,
s.v.: 1875 BOECKLIN
SIRENEN ANAGORIA; ibid., FERDINAND MAX BREDT - SIRENEN.
454) Wikim., s.v.: SIRENS IN MEDIEVAL ART.
455) Ac., Il
culto del N., p.62.
456) L’ugaritico Aṭtart – donde la prima parte del nome divino Atar-gatis –corrisponde al fenicio Aštart (ellenizzato
in Astarte), all’ebraico (vetero-testamentario) Aštoreth,
nonché all’himyarita (neo sabeo-sud yemenita) Ahtar e all’accadico Ištar; mentre la seconda parte, -gatis, ha a che fare col gr. *gados (‘pesce’). Cfr.
Wikip., s.v.: ATARGATIS. Per cui il significato dovrebbe risultare: la
“(dea)-pesce Atar”.
457) Ibid. come alla
prec.
458) Wikip., s.v.:
DOGON.
459) Enc.Brit. on
line, s.v.: OANNES. Il dio è presentato quale emissario di Ea, ma
questi ha un secondo emissario: Usumu. Vide n.seg.
460) Siccome anche di En-ki (il ‘Signore della Terra’) è dichiarata la stessa cosa è
possibile che in principio i 3 dèi costituissero una specie di Triregnum che si spartiva il Cielo (Ea),
l’Atmosfera (Oannes) e la Terra (Enki) alla maniera di Zeus, Ade e Poseidone in
Grecia o di Giove-Marte-Quirino a Roma.
Se Dagon, è un doppione di
Oannes, il gianiforme luogotenente Usumu (vide
n.468) parrebbe un allonimo di En-ki.
461) D.A. Mackenzie & C. Squire, Encyclopaedia of Myth and Legend in Art,
Religion an iterature- Caxton P., Delhi 1992 (ed.or. n.c.), Vol.VI, Cap.II,
p.27.
462) Mack. & Sq., op.cit., p.28.
463) Op.cit., p.32.
464) R.Girard, La
Bibbia Maya. Il Popol-Vuh: storia culturale di un popolo- Jaca B., Milano
1976 (ed.or. Le popol-vuh. Histoire
culturelle des maya-quichés- Payot, Parigi 1972). Il
grande paletnologo svizzero mostra la figura del dio del mais, tratta dal
Codice Tro-cortesiano (P.sec., Cap.5, p.205, fig.57). Questi ha a guisa d’acconciatura del capo il
Pesce quale proprio nahual
(emblema). Insegna l’autore – vissuto tra gli eredi contemporanei di
quella cultura, i chorti – che tale dio, ritto sui trampoli, porta codesta
acconciatura per il fatto che la spiga di mais quando si erge sugli steli
assomiglia nella forma ad un pesce.
“L’equivalenza simbolica tra il pesce e la spiga è dimostrata nell’arte
mesoamericana dall’uso alternativo di questi due elementi e inoltre dal modo
corrente di riprodurre il pesce, sostituendo alle scaglie dei chicchi di mais e
rappresentando la coda con delle barbe simili a quelle della pannocchia.” Un pesciolino d’oro pendeva anche dall’idolo
del dio agrario, padre del dio del mais.
Cfr. in proposito ibid., pp.
194-5, figg. 43-4 accluse, e 197, fig.47.
465) Ibid. come alla 463,
p.29.
466) Siffatta borsa è rintracciabile nell’arte di molte
culture: dall’America Precolombiana al Vicino Oriente, sino all’Indonesia.
467) Per le 3 icone esaminate cfr. Wikim., s.v.: DAGON.
468) Wikim., s.v.:
ATARGATIS.
469) Luciano (II sec. d.C.) attesta che la regina
babilonese Semiramide veniva considerata figlia di Dercetō (gr.
Δερκετώ), cioè di Atargatis.
470) Wikim., s.v.:
ENKI.
471) Wikip., s.v.:
ISIMUD.
472) Ibid. come alla 470.
473) È
forse un caso che la Sirenetta di Andersen, una volta morta al mondo marino nel
finale della fiaba, divenga una creatura dell’aria?
474) Wikip., s.v.:
MERMAID, Gallery. Un’illustrazione
della Biblioteca Nazionale Gallese, risalente al 1604, mostra una strana mermaid con testa canina e coda pescina,
che potrebbe vagamente far ricordare Scilla.
Altra collezione d’immagini, pittoriche e scultoree, trovasi in Wikim.: s.v. MERMAID. Le raffigurazioni pittoriche hanno tutte un
carattere romantico, non hanno granché valore dal punto di vista
iconografico. Infatti sono state
realizzate fra la seconda metà dell’Ottocento ed il primo ventennio del
Novecento. Maggiormente interessanti
sotto quest’aspetto sono al contrario le sculture, composte fra il Cinquecento
ed il primo decennio del XXI sec.
475) Per il testo tradotto cfr. a c. di G. Rodari, Andersen. Fiabe- Enaudi, Torino 1970.
476) La versione italiana trovasi in M. d’Amico (a c.
di), Oscar Wilde. Tutte le opere-
Newton C., Roma 1994, pp. 246-65; oppure in M. Maddamma (a c. di), C’era una volta… Le più belle fiabe di tutti
i tempi- Newton C., Roma 1997, pp. 797-820.
477) I.Calvino (a c. di), Fiabe italiane- Einaudi, Torino 1956, Vol.II, pp. 528-31. Di questa fiaba abbiamo prodotto una
sceneggiatura intitolata La Donna, il
Marinaio e il “Fiore-piú-bello”, presentata al Videoscript
di Pescara nel 1998.
478) Rod., op.cit.,
pp. 99-100. La sorelle di Schiuma
sacrificano le loro belle chiome alla Strega del Mare, la quale fornisce loro
un coltello che la sirenetta dovrà conficcare nel cuore del principe; a lei
ingrato avendo sposato un’altra fanciulla, siccome aveva erroneamente creduto
che fosse costei ad averlo salvato presso un tempio. Che è questo tempio? Benché i letterati abbiano fatto di tutto per
confondere le cose in situazioni sentimentali non ben chiarite, cambiando o
tralasciando quei particolari dei racconti che parevano loro ostici,
ciononostante si può ipotizzare che microcosmicamente il tempio sia il cuore e
macrocosmicamente il Cielo. Ovvero la
sirenetta sceglie di divenire una creatura dell’aria, insomma una stella, prima
di raggiungere l’Assoluto…
479) Calv., op.cit., p.860, n.132.
480) Ibid. come alla
474.
481) Il riferimento è alla celebre The Nile Song (1969) dei Pink Floyd, composta da R.Waters.
482) Wikim., s.v.:
CLONFERT CATHEDRAL MERMAID.
483) M.Bulteau, Le
figlie dell’acqua- Ecig, Genova 1993 (ed.or. Mithologie des filles des eaux- Edit. du Rocher, Monaco 1982), Intr.,
p.7.
484) Bult., op.cit.,
Le fate delle acque, p.49.
485) O meglio fra il 1382 e il 1394.
486) Wikip., s.v.:
MELUSINE.
487) Bult., op.cit.,
pp. 50-1.
488) Op.Cit., pp.52-6.
489) Il Casato dei Lusignan,
sorto presso la città francese omonima nel X sec., afferma di discendere
emblematicaente da costei; codesto casato partecipò alle Crociate ed ebbe in
mano il Regno di Cipro e di Gerusalemme, in seguito conquistato dalla
Repubblica Veneziana. Anche il Casato
dei Lussemburgo reclama una discendenza analoga, attraverso Sigfrido.
490) Cit., p.56.
491) Wikim.C., s.v.:
MELUSINE (Melusinen-Brunner, München-Ramersdorf).
Nei blasoni appare con Specchio e Pettine.
492) Ibid. come all
prec. (miniatura, Le Roman de Mélusine,
1450-1500, Biblioteca Nazionale di Francia).
493) Ib. (ill. di S.
Barin-Gould, Curious Myths of the Middle Age,
p.471).
494) Bult., op.cit.,
p.58. Il riferimento è ad una fontana
monumentale del XVI sec., nel cortile principale del Castello di Vouvent. La fontana era alimentata unicamente da acqua
piovana raccolta in un ampia tinozza. Il
bacino era sorretto da 4 Serpi: sotto stava Meleusina cogli attributi delle
Sirene.
495) Op.cit., p.60.
496) Cit., p.61.
497) Vide Cap.V, n.162.
498) Bult., op.cit.,
pp. 125-8.
499) Op.cit., p.101.
500) Cit., pp. 101-2.
501) Ibid. come alla
prec.
502) P.102.
503) P.60. Per
altre informazioni sul soggetto cfr. G.Acerbi, Oltre il limes. I
confini dell’Impero Romano dinanzi alle
invasioni barbariche: digressione sulle origini asiatico-mediterranee della
concezione imperiale- S.O.C., Roma 2017 (N°212.), pp. 277-302,
n.33.
504) Wikip., s.v.:
RUSALKI.
505) Wikip., s.v.:
MERMAID.
506) Vide Cap.VII,
n.27.
507) Bulteau, op.cit.,
p.60. L’autore purtroppo non spiega di
quale mitologia faccia parte. La dea
pluviale in India ha molti nomi: Mariamman, Mahima, Varshini ed in suo onore si
tengono danze.
508) Vide Cap.I, §§ a-b.
509) Per un punto di vista opposto al nostro e prossimo
all’interpretazione di Weicker, Kérenyi et
al., cfr. E. Albrile, Serena- Nel
nido del Simorgh (blog, 1-02-13), pp.
1 e 7, n.1. Il testo di codesto articolo
è stato ripubblicato, in seguito, su rivista cartacea. Il dott. Albrile si riferisce tuttavia solo
alla Grecia, dove a livello archeologico e storico-artistico effettivamente le
cose stanno cosí come egli afferma. Altro
discorso si può fare invece per l’India in cui le due effigie, aviaria e
pescina, appaiono sovrapposte e maggiormente difficili da delineare
storicamente; anche perché a differenza che in Grecia si può contare su una
iconografia letteraria precedente a quella delle arti plastiche. Il Mahābhārata, ad es., è dichiarato nel poema risalire nella sua
versione originaria alla “fine del Dvāpara” (insomma poco prima del
4.480 a.C.) e in esso sono attestate due Apsaras
in forma ittica: Adrikāmatsya nel Lib.I (vide n.505), collegata a Śāntanu, ed un’altra concernente Arjuna
in un passo che non siamo però riusciti letterariamente a reperire, ma del
quale esiste un’immagine pittorica – forse è la stessa Adrikā, od Ulūpī in forma di matsyakanyā anziché di nāgakanyā? Sta di fatto che
in tale passo il Panduide si rifiuta di congiungersi sessualmente a lei,
chiamandola ‘Madre’, e perciò costei si sdegna contro di lui. Vi è inoltre l’Atargatis assiro-siriana, che era raffigurata con coda pescina già
almeno all’inizio del I mill. a.C., essendo un’amante annegatasi in un lago
presso Ascalona (Negev, Palestina Meridionale) per la vergogna d’esser stata
resa gravida da Caistro, un giovane siriano.
Difatti era ritenuta la madre di Semiramide, identificata dagli storici
dalla regina assira Shammuramat (X-IX sec. a.C.). Secondo una vicenda narrata invece dal
liberto C.G. Igino (I sec. a.C.-I sec. d.C.) un uovo era caduto nell’Eufrate e
l’aveva trasportato a terra un pesce, dopodiché una colomba l’aveva covato e ne
era nata Venere. Una variante attestata
da Eratòstene (III-II sec. a.C.) nei suoi Catasterismi,
poema mistico-astrale, c’informa
della generazione della costellazione dei Pesci dal Pesce Australe (situato
presso l’Aquario); e collega tal fatto alla caduta spontanea di Atargatis in un
lago vicino a Bambyce, nei pressi del tratto siriano dell’Eufrate, e alla
susseguente sua salvazione da parte d’un pesce.
Come si noterà, le cose sono talmente intrecciate che è assai difficile
venir a capo del quesito iniziale. A meno di ragionare per schemi
precostituiti.
510) Nel Rāmay.- vii. 18, 2ss
(trad. di Krishnacharya, cit. in E.W. Hopkins, Epic Mytholgy- Motilal B., Delhi 1974 [I ed. Strasburgo 1915], §22, p.58), allorché Rāvaṇa spaventa gli Dei, Varuṇa si trasforma
in haṁsa; Dharma
in corvo, Kubera in lucertola ecc.
Cfr., in Grecia, collo spavento degli Dei dinnanzi a Tifone.
511) Vide Cap.II, n.1.
512) Vide Cap.I, §§ n e q.
513) Wikip., s.v.:
APSARAS.
514) Wikim.C.,
s.v.: APSARA GANDHARVA DANCER PEDESTAL TRA KIEU.
515) Cfr. Hop., op.cit.,
§93, p.153. Questa Gandharvī equivale senz’altro all’unica Apsaras originaria. Del resto il Cavallo, o Asino che fosse,
viene fuori col ‘Rimestamento dell’Oceano-di-Latte’ ossia esattamente all Fine
del II Ciclo Avatarico.
516) La voce Gandharva
a nostro giudizio è da collegare a Gaṇa (‘Genio’) e a Dhruva
(la S. Polare), sebbene i testi sacri facciano derivare la prima parte del nome
per assonanza da gandha (‘profumo’),
ma in questo modo è impossibile spiegare il resto della parola. Se invece suddividiamo in due la radice
osserviamo che la √gn-, indicante generazione, si coniuga in maniera agglutinante
(essendo un vocabolo molto arcaico, pre-indoeuropeo, anche se si trova nel Veda) con la √dhṛ-,
esprimente l’idea di sostegno. A sua
volta il suff. –v- ha un significato
iterativo come nell’ a.m. dhruva (‘fisso,
stabile, costante’), donde il nome dell’omonima ‘Stella Polare’. Cfr. pure il s.f. dhruvā
= ‘mestolo’ (sacrificale). La voce Apsaras si rifà filologicamente ad ap (‘acqua’) e sar (‘muoversi’), ma altri (Albr., art.cit., p.2) riportano l’etimo al tema *sar/har-, var. svar/hvar-,
alludente alla forza luminosa. Cfr. in
sanscrito colla √śṛ-
(‘luce’). Egualmente il gr. Σειρ- può esser connesso alla stessa
radice piú il suff. -ήν, denotante
signoria. In tal modo si può intendere
le Apsarasaḥ come le ‘Luci delle Acque’ e le Σειρῆνες come le ‘Signore delle
Acque’. Cioè, in entrambi i casi, le
Stelle... L’A.V- ii 2. 4 le mette in correlazione, oltreché colle stelle, colle
nuvole ed il lampo. Se intendiamo invece
l’Apsaras unica come la Luna è
possibile, allora, che nel cielo artico o circumpolare indicasse la sua
prossimità al perno celeste raffigurato plasticamente dal Gandharva; cui, di tanto in tanto, si approssimava come in un atto
di uranica danza. Vi è evidenza (x. 177,
2) del Gandharva quale appellativo
primevo dell’Uccello Solare (menzione precedente a quella del Garuḍa) e del Soma
in senso solare, in rapporto naturalmente alla sua funzione di guardiano nella
volta celeste ovvero identificato all’Axis
Mundi (ix. 85, 12), donde si spiega la moltiplicazione successiva di tale
genio per rappresentare i raggi del luminare diurno. I 27 Gardharva
sono, viceversa, i 27 asterismi lunari.
Cfr. A.A. Macdonell, Vedic
Mythology- Motilal B., Delhi 1974 (I ed. Strasburgo 1898), §48, p.136.
517) Macd., op.cit., §47, p.134.
518) Macdonell (cit.,
p.135) ci fa sapere che da parte di alcuni studiosi (Weber ecc.) Purūravas
e Urvaśī sono stati
additati come emblemi del Sole e dell’Aurora.
Il fatto però che il re abbia ricevuto dai Gandharva (secondo una variante
dagli Dei) per la sua devozione e fedeltà verso l’amata l’istruzione per
potersi trasformare in un gandharva
lui medesimo e potersi cosí recare in Paradiso sul Meru assieme a lei indica che il riferimento cosmografico vero non
può essere che all’Artide, ove l’Aurora è unica annualmente; per questo egli
poteva incontrare la sua bella, ed Urvaśī è la piú bella di
tutte le Apsaras, solamente una volta
l’anno. Questo luogo nel Veda è diventuto in realtà il Paradiso
di Indra, non il vero Paradiso
Iperboreo, che proprio per la sua scomparsa sotto l’Oceano Artico non ha
conservato nella lingua indiana un nome preciso; a parte quello di Paradiso (Paradeśa), o di Terra
Nascosta’ (Iḷāvṛta). Non a caso, d’altronde, Purūravas è figlio d’Iḷa/Iḍa. Circa l’etimo di Urvaśī va spiegato che questo di norma è riconducibile a
uru (ampio’) + aś
(‘estendendersi’), ma nel contempo il primo termine può alludere a ūru (‘coscia’), dato che ella nasce unitamente dalle
cosce di Nara e Nārāyaṇa (rispettivamente il Primo Uomo e l’Assoluto). Dal che si può dedurre che la coppia di
amanti potesse alludere parimenti, oltreché al Sole e all’Aurora artici, anche
alle 2 Orse.
519) Menakā non è da confondere colla sposa di Himavat e madre di Gaṅgā e Pārvatī, detta
pure Menā. Qui è la seduttrice del ṛṣi
Viśvamitra, aspro rivale del ṛṣi Vasiṣṭha, nonché madre di
Śakuntalā.
520) Vasiṣṭha era figlio di Varuṇa ed Urvaśī, la quale
apparteneneva a Mitra (Il Sole) ma
amava Varuṇa (il Cielo).
Cfr. Hop., op.cit., §61, p.118.
521) Op.cit., §100,
p.159.
522) Cit. ., §101, p.162.
523) §102,
p.162.
524) §103,
p.163.
525) §104,
p.164.
526) §93, p.153.
527) Un’affermazione come questa risulta di difficile
interpretazione. Crediamo la si possa
intendere pensando che i Gandharva
cronologicamente appartengono alla seconda metà del I Mahāyuga, i Deva viceversa alla seconda metà del
IV. Le varie categorie designano tanto
delle ‘Generazioni Divine’ quanto delle corrispondenti ‘Generazioni Umane’, per
cui se intesi limitatamente all’ambito terreno questi conflitti non possono che
riferirsi a quelli fra Ari (d’origine atlantidea) e Turi (d’origine
paleo-siberiana). Non troviamo altra
spiegazione razionale.
528) Pp. 153-4.
529) §94,
p.154.
530) P.155.
531) §95,
p.155.
532) Codesti due episodi non sono menzionai
nell’edizione di Calcutta del poema, compaiono solamente in quella di Bombay.
533) P.156.
534) §97,
p.157.
535) Non avendo la possibilità per questioni di tempo
di approfondire in biblioteca tutta la letteratura che lo riguarda, essendo
molta (troppa per noi, a meno di raddoppiare gli anni di stesura del libro, ché
già ha raggiunto la quota di 25 anni e non l’abbiamo ancora terminato al
momento attuale), ci limitiamo per ora a sfruttare alcune deduzioni fatte da
altri. Sarebbe opportuno in futuro, da
parte nostra, poter dedicare all’argomento un articolo piú
appofondito.
536) F. Scolareci, La
leggenda di Cola Pesce- Messina Ieri e Oggi (on line).
537) Scol.,
La legg.
538) Vide n.115.
539) Ibid. come alla 537.
540) Il personaggio descritto nel Libro di Giona viene oggi considerato una figura esemplare
ascrivibile ad epoca ellenistica o poco prima, mentre il profeta omonimo
appartiene al IX-X sec. a.C. La storia
narra di come il Signore abbia ingiunto a Giona di andare a predicare a Ninive,
che infatti non era ancora divenuta capitale assira nell’VIII sec. Ma Giona si dirige verso Tarsis, tuttora non
ben identificata, o forse è Tarso in Cilicia.
Durante una tempesta la nave si trova in pericolo di affondare ed allora
Giona si ricorda d’aver disobbedito al comando divino. Avendo svelato ai compagni che quanto stava
capitando loro era a motivo dell’ira divina verso di lui, costoro lo buttano a
mare, ma un grosso pesce lo inghiotte e lo trattiene in sé per 3 giorni e e 3 notti. Rivolta però a Dio un’intensa preghiera dal
ventre del pesce, il pesce lo vomita sulla spiaggia. E, in seguito, Giona va a predicare a Ninive
convertendo la città. Il <Grosso
Pesce>, che nel Corano (x. 98)
diviene espressamente una Balena (ar. Nun,
ma l’iconografia islamica fa di questa una grossa carpa), è chiaramente il
simbolo dell’Amore Divino avvolgente il Mondo, figurativamente il suo
ventre. I 3 giorni e le 3 notti trascorse
nel ventre dell’animale vengono paragonate nel N.T. (Mt.- xii. 40 e Lc.- xi. 29-32), per il loro valore
emblematico, ai 3 giorni della Resurrezione del Cristo. Orbene, che sono questi 3 giorni se non gli
stessi i quali servono a Gesú per riedificare il tempio abbattuto? Guénon lascia trasparire che questo
<tempio> a livello macrocosmico è il Trimundio e a livello microcosmico
l’unità di Corpo, Mente e Spirito. Vi
può essere un’ulteriore interpretazione, cosmologicamente parlando, accordando
il triduo ai ¾ del Cerchio Annuale. In
tal caso i 3 giorni indicheranno iniziaticamente la <Discesa agl’Inferi>,
la <Risalita verso il Paradiso Terrestre> e l’<Ascesa al Paradiso
Celeste>. Queste tappe equivalgono ai
3 gradi superiori della Massoneria (Compagno, Maestro e Gran Maestro), anche se
nella contemporaneità sono rimasti in genere solamente virtuali; specialmente
l’ultimo, come i massoni medesimi evidenziano apertamente. Rimane fuori dal quadro descritto
unicamente un quarto del cerchio nel simbolismo considerato: questo quarto
evidentemente corrisponde alla <Ridiscesa nel Mondo>, che nell’uomo
comune equivale alla nascita in senso materiale. Mentre, nel caso del Profeta o dell’Avatara,
è la tappa finale della Perfezione Assoluta; insomma una sorta di ‘Quinto
Grado’, cui possono aspirare esclusivamente coloro che sono stati scelti allo
scopo dalla Divinità.
541) Ciò è dimostrato dal fatto che a seguito del culto
dell’Aureo Pesce Monodono sviluppatosi a partire dalla fine del I Ciclo
Avatarico si assiste alla nascita di Airāvata, l’Elefante Bianco Unizannato proprio della Fine
del II Ciclo, divenuto storicamente Ganeśa
Ekadanta per perdita di una delle due zanne; indi segue alla fine del III il
culto di Varāha Ekadanta – che a differenza del
precedente assomma l’Unica Zanna alle altre 2 anziché sottrarla – e alla fine
del IV quello di Narasiṁha.
Quest’ultima figura deve un tempo essere stata modellata non sul leone,
mammifero che probabilmente non ha mai vissuto nell’Ecumene Sudorientale, bensí su un felino
con ampie zanne pendenti dalla mascella superiore; appaiate ai canini della
mascella inferiore, esse potevano esser pigliate a pretesto d’un simbolismo
quaternario. La simbologia delle Corna,
invece, nasce alla Fine del V Ciclo; lo Yajña infatti, caratteristica precipua dell’Ecumene
Meridionale, veniva contrassegnato da un Cervide a 4 Corna. A differenza delle Zanne, esprimenti
assialità, le Corna sono emblema di circolarità; in altre parole, di temporalità
annuale. Vengono fuori nell’Età Argentea
(Tretāyuga), siccome – per parafrasare Wagner in senso
opposto – dopo la Cacciata dall’Eden “lo spazio si è tramutato in tempo”.
542) Questa è composta da Viṣṇu (oppure Indra), Kṛṣṇa ed Arjuna.
543) Ibid. come alla 539.
544) A testimoniare la trasformazione delle Sirene
dalla forma aviaria alla forma ittica – anche se il primo sembiante doveva
essere quest’ultimo in origine, secondo quanto prova l’antenato neo-greco di
Cola Pesce – fra l’Età Arcaica e il Periodo Tardo-antico è la metamorfosi
parallela degli Erotidi, in principio alati (con ali di cigno) attorno ad
Afrodite e poi a cavalcioni dei delfini o ritti su questi, al modo di
Eros. Gli uni diverranno Angeli nel
mondo cristiano e gli altri semplici putti.
Una delle prime comparse di Eros a dorso di 2 Delfini, dei quali tiene
le briglie come fossero cavalli marini, è a Delo in un mosaico della Casa dei
Delfini della seconda metà del II sec.
In precedenza è sempre rappresentato soltanto alato, senza
accompagnamento pescino. Cfr. Charb.- Mart.-Vill., La Gr. ell., P.sec., p.164, fig.168.
545) È
quel che abbiamo fatto in Colapisci,
Federico II e la nostalgia del Paradiso- Alle pendici del Monte Meru (blog, 5-10-17).
546) Sull’analisi
del mito, a livello artistico-letterario, da parte dell’autrice cfr. G.Acerbi, Cola Pesce nel folclore. Note sull’analisi
della Seppilli nel campo della Storia delle Tradizioni Popolari- Alle
pendici del Monte Meru (blog,
8-11-17).
547) Sepp.,
op.cit., passim.
548) Op.cit., pp. 298-9.
549)
Gross., com.or.
550)
Gross., op.cit., §43, p.153. L’autore rimanda al §38 (pp.136-7) per delle
conclusioni sul simbolo dell’Unicorno.
Molto genialmente ivi egli asserisce che la diversità fra la posizione
apicale del Corno Unico e quella frontale è collegabile simbolicamente nel
primo caso coll’asse polare nel mezzo del Paradiso Terrestre e nell’altro collo
spostamento di tal asse durante una catastrofe primordiale tramandata dai testi
sacri e dalla letteratura di varie contrade.
A conferma di quanto afferma il Grossato, occorre aggiungere che il ‘Terzo
Occhio’ non è di per sé un emblema del Paradiso Terrestre, ma della capacità di
rangiungerlo mediante un raddrizzamento dello sguardo contemplativo verso
l’Eterno, in altre parole un trascendimento della circolarità temporale.
551)
A.Pegaso, Lo sterminio dei
Pescispada- Sulle lievi ali di Pegaso (blog, 1-01-18), §c.
552) Abbiamo
in progetto per il futuro l’articolo Il
Narvàlo nell’arte germanica- Alle pendici del Monte Meru (pross.).
553) La cosmografia puranica postula infatti la presenza
d’una ecumene dislocata in direzione sudorientale, di nome Hiranyaka, fra il 43.360 e il 36.880 a.C. La datazione è nostra, infatti – com’è noto
attraverso un art. di R. Guénon, fattogli pubblicare dalla studiosa slava
Stella Kramrisch (1896-1993) in un importante rivista d’arte orientale
(J.I.S.O.A.) – le datazioni ufficiali della cosmografia hindu non sono
attendibili. La vera datazione, prima
ch’egli la palesasse, era segreta. E
anche dopo di lui nel mondo accademico, a parte le conoscenze personali della
suddetta professoressa ceca dell’università indiana (Santiniketan, Calcutta) od
americana (Philadelphia, N.York) e di pochi altri, tutto è rimasto come
prima. Insomma, non c’è stata presa di
posizione alcuna, com’è d’altro canto normale che sia…
554) Charb.-L.,
op.cit., Cap.Novantanov.°, §1,
p.274. L’immagine è tratta dalla Revue de l’Art chretien, n.s., 1890,
T.I, p.138. Sul bordo della lampada sono
effigiati altri pesci d’aggressiva natura, evidente allusione all’aspetto
combattente del Cristianesimo di quell’epoca.
555) L’autore parla di “mari nordici”, ma non si
capisce bene quali intenda, dato che il suddetto pesce vive solamente in acque
torride o temperate. Solo il pescespada
si spinge un poco piú a nord.
556) Da una Breve storia
della lampada ad olio (lucerna) di G. Buse, in ‘Aste di Antiquariato’ (on line), veniamo a
sapere che le lucerne consistevano in principio in un semplice contenitore
d’olio piatto con beccuccio per lo stoppino, ma senza coperchio. L’autore cita un passo dell’Odissea (vide
xix. 47-9) in proposito, cosa che è confermata dal ritrovamento di resti di
lampade ad olio nei palazzi cretesi di civiltà micenea (dal XV sec. in
poi). Dai Greci e dai Fenici l’uso
passò ai Romani attorno al IV sec. a.C. Successivamente
sono stati aggiunti il coperchio per proteggere l’olio dalle impurità e dei
fori di ventilazione, nonché altri beccucci oltreché dei manici. Di solito le
lampade, posate su una superficie piana o attaccate ad una catenella, venivano
sagomate in creta od in bronzo; piú di rado in oro, come quella retta da Atena nel passo succitato, in
argento oppure in pietra o vetro. Per
combustibile venivano impiegati oli vegetali, ma in certi ambienti (ad es. in
Sicilia) si usavano oli minerali; mentre gli stoppini eran ricavati da fibre,
vegetali od animali. Circa la forma, le
lucerne in un primo tempo furono quadrangolari, indi si allungarono passando
all’ovale come quella indicata alla n.prec.
A questo punto cominciarono ad essere decorate in vario modo: le
terrecotte sul coperchio, con tanto di bordi incorniciati; i bronzi sul
beccuccio, i lati e i manici. Un fattore
che all’inizio impedí la diffusione di tale tipo di lucerne era l’alta specializzazione cui
erano soggette, vale a dire la lavorazione al tornio, ma i Romani risolvettero
la situazione fabbricando degli stampi.
In due matrici concave era pressata l’argilla, poi le due parti venivano
assemblate. Durante il Medioevo le
lampade ad olio caddero in disuso e furono riprese soltanto a partire dal XVI
sec. grazie a G. Cardano.
557) Per i miti e le
leggende concernenti la fauna marina qui non trattata cfr. Ac., La saga univ., passim.
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