Note
al Cap.V
1) Neum., op.cit., tav.138, con comm. alle pp. 287-8.
2) L’etimo posto dagli eruditi è giusto,
ma non nel significato di ‘allontanare’; il quale è secondario e da porre pur
esso in relazione al Principio, piuttosto che interpretarlo nel senso banale di
portarsi a distanza da una zona diluviale.
3) L.Godart, La civiltà delle Cicladi- Archeo. Attualità del passato (A.IX,
feb., N°2 [108]), De Agostini-Rizzoli, Roma 1994, pp.56-99. Ad ogni buon conto il Godart rileva (ib.,
p.66) che nel Cicladico Antico II (sviluppatosi all’incirca fra il 2.800 ed il
2.300), e piú precisamente nell’isola di Siro, sono stati rinvenuti dei dischi
fittili denominate ‘padelle’; contenenti indicazioni di chiaro valore astrale a
nostro giudizio, nonostante il parere opposto dell’articolista, che viceversa
ne esclude ingenuamente l’importanza cosmologica (p.76). Al centro di tali ‘padelle’, senza dubbio
adibite al culto solare, è immancabilmente raffigurata una Navicella la cui
prua è sormontara ancora una volta da un’immagine a sagoma pescina,
4)
God.,
art.cit., p.65, fig. n.num. Alltre
immagini (ibid., p.65 e 67, figg.
n.numm supra et infra) appaiono decisamente meno chiare.
5) Art.cit.,
p.72.
6) Co., op.cit., §c, (iv. Gamma), p.795, n.3, fig.763.
7) Op.cit.,
fig.764.
8)
Grav., op.cit., §170, p.681, n.9.
9) Personalmente crediamo che le due
demonesse avessero a che fare con ben altri gorghi, di natura celeste; vale a
dire con il Polo Sud, allorché questo era situato in prossimità delle
costellazioni meridionali di Canis Maior e
di Canis Minor. Ciò si è verificato cosmologicamente –
prendendo come punto di riferimento l’inizio del nostro Grande Eone – nel I,
nel III e nel V Grande Anno. Insomma
l’ultima volta nel semiperiodo, coincidente col Ciclo Avatarico indiano,
precedente a quello attuale; in cui il Polo, a dispetto dell’evidenza che avrebbe
indicato la sede visibile di questo nella Croce del Sud, trovavasi in verità
sotto il dominio di Canopo. Ma vi sono
buoni motivi per pensare pure ad un aspetto benefico di tale simbolo, in
rapporto alla ‘Coda Pescina’ di Scilla – cfr. Font., op.cit., Cap.VI, p.97 – e all’innamoramento nei confronti di costei
da parte di Glauco.
10) Ibid.
come alla 8.
11) F. Matz, Creta e la Grecia preistorica- Il Saggiatore, Milano 1963 (ed.or. Creta und frühes Griechenland- Holle, Baden-Baden 1962),
Cap.IV n.num., p.165, fig. n.num.
12) Ibid.
come alla 10
13) Vedi rec. Gauḍ., vers.beng.
(nella trad. del Gorresio), uscita nel periodo 1843-70 e ripubblicata postuma
nel 1988.
14) Cfr. Font., op.cit., Cap.IX, §2 (n.num.), p.206; inoltre il Diz. Stutley (op.cit.), s.v.:KABANDHA, pp. 193/ coll. a-b
e 194/ col.a.
15) Ibid.,
come alla 12.
16) Dichiara ancora il Graves (§81. 1,
p.248) a commento dell’episodio dell’amplesso di Tetide e Peleo, che il culto
della Seppia era assai diffuso nell’antica Europa. A partire da Creta, dove l’effigie di codesto
mollusco veniva comunemente rappresentata nell’arte locale alternativamente a
quella del Polpo; fino ad arrivare ai monumenti megalitici della Britannia, in
particolare a Carnac. Fuori
dell’Eurasia, rincontriamo un analogo culto nell’isole dell’Oceania; presso le
quali guardacaso quest’animale dei fondali marini possiede piú o meno le
stesse valenze infere riscontrabili in Europa, la seppia essendo colà custode
del Regno dei Morti. Per informazioni
maggiormente dettagliate al riguardo si veda piú avanti.
17) Font., op.cit., passim.
18) Op.cit.,
Cap.VI sgg.
19) Vide
Cap.IV, n.49.
20) Cit.,
§4 (n.num.), p.106.
21) Cap. XI, § 1 (n.num.), p.283.
22) Cap.X, §1 (n.num.), p.238.
23) Passim.
24) L’elemento marino predomina ad es.
nella ritrattistica di Okeanós, che però presenta a volte una fisionomia ofidica
(p.234): quello ipoctonio (o vulcanico) ricorre in genere nelle descrizioni di Thypháōn, pur avendo
questi occasionalmente una fisionomia ittiomorfica (Cap.VII, §4 n.num., p.143,
n.46). Perciò si può dire che i due
titani siano tratteggiati, simultaneamente, sia con caratteri itttiomorfici sia
con caratteri ofidiomorfici; ma nel primo caso risulta preminente il sembiante
umano-pescino, nel secondo quello umano-serpentino.
25) È il caso, ad
es., di Acheloo; che possiede testa di toro, corpo di serpente e coda di
pesce.
26) Vide
Cap.IV, n19.
27) Ibid.
come alla n.prec. Le cosmogonie orfiche (Ker.,
op.cit.,Vol.I, pp. 107-8) attestano
una tradizione secondo cui vi sarebbero stati, nel corso dell’ormai trascorso
Grande Eone, ‘Cinque Regni’ divini; anche se qualcuno (ibid.), interpretando nel contesto malamente il ruolo della Notte
(una dea trimorfa, il triplice volto del quale viene asssimilato a quello pure
triplice delle Moire), parla erroneamente di ‘Sei Regni’. Orbene, il ‘Primo Re’ è costituito da Érōs Protógonos (‘Primo Nato’) alias Phaétōn (‘Splendente’)
e il ‘Secondo Re’ da Urano, cui consegna lo Scettro la Notte; nel ‘Terzo Regno’
subentra Crono, nel ‘Quarto Regno’ Zeus e nel ‘Quinto Regno’ Dioniso. Ciò collima piú o meno con quanto asserito da Plutone nel Timeo, testo che ci tramanda il seguente
ordine: 1. Urano e Gea, 2. Oceano e
Teti, 3. Crono e Rhea, 4. Zeus e Era, 5.
I <Figli> di questi ultimi (cioè – crediamo – Apollo e Diana oppure Pan e
Selene, od altrimenti Dioniso ed Arianna).
Si vedrà come le due liste di numi in realtà equivalgono, a parte il
prmo nome ed il secondo delle due serie, che sono invece reciprocamente
invertiti; giacché, come abbiamo già riferito (vide Cap.IV, n.19), Eros non è che un semplice doppione di
Oceano. Nella dottrina orfica si
racconta che Chrónos (il Tempo Eterno) abbia prodotto dapprima un
<Uovo d’Argento> (l’Uovo del Mondo) il quale, roteando su di sé in mezzo
all’Etere, ha generato Érōs; che,
perciò, è considerato figlio dell’Etere.
Dopo che tale principio (personificato) si è distaccato dal caos Eros,
l’essere androginico dotato di 4 Corna, 4 Volti – giustamente paragonati dal
Grossato (Gross., Sign., p.111, n.17)
a quelli di Brahmā ed ulteriormente apparentabili agli analoghi 4
Volti cabalistici di Adamo – e 4 Nature (il Leone di Elio, il Toro di Dioniso,
l’Aquila di Zeus e il Serpente di Ade), è vissuto costantemente in una
<Grotta> (la ‘Caverna del Mondo’) assieme alla Notte. Attraverso costei sarebbe avvenuto, poi, quel
passaggio di consegna dello Scettro Divino cui abbiamo poco sopra fatto cenno.
28) Ov., Met.- xi. 307-8: …frenatō Delphynē
sedens...
29) Il
cavo antro ove si reca Tetide è un’immagine, ancora una volta, della ‘Caverna
del Mondo’ (microcosmicamente della ‘Caverna de Cuore’). Nello speco costiero, effettivamente
esistente nell’ambiente tessalico descritto nella n.seg., era forse allestito
un culto dedicato alla dea-seppia; giacché, come sosteneva – non a torto – la scuola mediterraneista, le grotte costituivano i
santuari della Grande Dea mediterranea.
R. Graves (ibid. come alla 16)
immgina che nella spelonca sacra a Tetide si svolgessero determinati riti, officiati
da 50 sacerdotesse-seppie¸ che costituivano una variante delle 50 sacerdotesse-foche
ed intendevano cosí celebrare, sul
modello della danza delle Nereidi in occasine del matrimonio fra Peleo eTetide,
l’unione ierogamica d’una somma sacerdotessa, incarnazione della dea, col
proprio divino paredro. Resta solo da
aggiungere che la <Grotta> sacra a Tetide ed il <Monte> che la
sovrasta, consacrato a Peleo (il cd. ‘Monte Pelio’), sono già per conto loro
due simboli aniconici – con valori d’emblemi, l’uno ipoctonio e vaginale,
l’altro uranico e fallico – della potenza generativa del Cielo e della Terra.
30) Nei dintorni del fondale marino ubicato
nei pressi di tale scogliera (Sēpiás, da sēpía = ‘seppia’),
dislocata in Tessaglia, precisamente nella regione denominata Magnesia, si dice
(U.Pestalozza, Religione mediterranea. Vecchi e nuovi studi-
Cisapino-Goliardica, Milano 1971 [I ed. 1951], Cap.IV, p.95, n.24) che vivano
numerose seppie, le quali pare frequentino volentieri le profondità marine
nella località rocciosa. Questo non
prova ad ogni modo – come vorrebbe il Pestalozza – la fondazione autoctona del
mito in questione. Semmai, è piuttosto a
ritenere che un mito preesistente sia stato rielaborato ed applicato ad un fine
eziologico, proprio dagli abitanti del luogo; e che poscia, in siffatta forma
interamente rinnovata, esso si sia
diffuso all’internno di tutta la penisola greca.
31) Cfr. G.Acerbi, Edipo e l’Enigma della Sfinge tebana- Heliodromos (N°15, Aut.
’98-Inv. ’99), Catania 1999, pp. 6-14 sgg.
32) Plut., De def. orac.- x, b-c. Lo scrittore di Cheronea, rifacendosi al tema
delle ‘Quattro Generazioni divine’ tratttato da Esiodo, dichiara che “nel campo
delle anime elette” è ammesso il passaggio da Uomini ad Eroi, e da Eroi a
Demoni; solo a pochi eletti, tuttavia, spetta la purificazione finale e la
trasformazione in Dei. Plutarco non fa
però distinzione, sbrigativamente, fra Piccoli e Grandi Misteri.
33) Il vocabolo érōs, donde
abbiamo il nome omonimo del dio (vide
n.27) – ma sarebbe piú corretto a nostr’avviso affermare l’opposto,
anche restando su un piano squisitamente filologico anziché ontologico – è
indubbiamente collegato per un verso a erōḗ (‘vibrazione,
oscillazione’) od i paralleli di questa voce in latino (rōs = ‘rugiada’)
ed in sanscrito (rasa = ‘fluido,
umore nettare; acqua, latte; bevanda, succo, essenza, elisir’); per un altro
verso al lat. ardor (‘ardore, calore’), con caduta in greco della dentale (da
un possibile tema *erōt-donde proviene l’a.m. erōtikós), secondo quanto mostra il parallelismo
interlinguistico fra il gr. erōdiós (‘airone’) e
il lat. ardea (id.). Si
noterà che abbiamo a che fare, per l’occasione, con aggettivi tutti denotanti
in generale la Vibrazione Universale; sia essa sotto forma sonoro-luminosa,
opputr igneo-umorale. Codesta Erōḗ non può che essere l’Auṁ, il sacro monosilabo concepito ad un tempo quale Eterno Suono ed
Eterna Luce e simultaneamente descritto nel linguaggio fiorito di altri popoli,
che evidentemente conoscono pure la cd.
‘Realtà delle Realtà’ (la definizione è tantrica), nei termini assai suggestivi
di “Acqua-che-brucia” o di ”Fuoco-che-lava”.
È significativo
d’altro canto che proprio il disegno schematico della sagoma del Pesce, formata
linearmente da un intuitivo accostamento geometrico dei tratti delle lettere
A_V_M sia servito in passato ai Carmelitani da emblema dell’Ave Maria sotto
forma pescina. Cfr. R. Guénon, Il Re del Mondo- Atanòr, Roma 1952,
Cap.II, p.18, n.3; ed.or. Le Roi du Monde-
Ch. Bosse, Parigi 1927. È facile vedere la forzatura inerente
all’applicazione cristiana di questo simbolo, il che prova l’origine non
cristiana del medesimo. Guénon stesso
sottolinea opportunamente in proposto che l’Ordine dei Carmelitani, al quale
apparteneva nel Medioevo una via iniziatica del tipo di quella dei Templari,
ricollegasi a fonti ermetico-cabalistiche (greco-giudaiche) esattamente come la
Massoneria. Altrove (ibid., Cap.IV, pp. 31-2, n.1) egli,
ribadendo l’importanza dello stesso
emblema, asserisce che lo schema triletterale cui abbiamo prima accennato
deriva in verità dall’unione delle lettere estreme dell’alfabeto greco: l’Alpha
e l’Omega.
34) Vide
n.26.
35) Ivi intendiamo gli Asura diversamente che altrove (vide Cap.IV, n.17), ovvero in senso argenteo,
non aureo; insomma quali equivalenti dei numi presiedenti al V, VI e VII Ciclo
Avatarico (= Tretāyuga). Mentre i
Deva corrispondono alle divinità
dominanti l’VIII e il IX Ciclo (Dvāpara).
36) L’Achelòo è il fiume piú importante
della Grecia, cosí come il Gange lo è dell’India.
Sull’accostamento fra Achilleús ed Achelóos cfr. Ker., op.cit.,
Vol.II, L.III, Cap,VII, p.328.
37) De Sant. & Von Dech., opcit., App.15, p.443.
38) Abbiamo suggerito in altro scritto
inedito (La lingua Celeste. Nomina
numina, Cap.II) che il prode
Lancillotto essendo il figlio di Re Ban
(lett. ‘Testa’), vale a dire d’un esatta replica di Uther Pendragon (lett. ‘Testa del Dragoone del Nord’), il
misterioso padre di Re Artú, è in certo senso da considerare il ‘fratello’ (maggiore)
di quest’ultimo. Dato poi che Mago
Merlino – com’è arcinoto – presenta pure lui valenze dragonesche, in quanto
<Figlio> del Diavolo, se ne dovrà trarre la conclusione che i tre
principali personaggi – insieme a Ginevra – del racconto graalico costituiscono
unitamente una specie di trimurti celtica; dove Merlino (omologabile sia a Re Ban che a Uther Pendragon)
svolge un ruolo urano-brahmanico, essendo l’artefice di Camelot e della Tavola
Rotonda. Mentre Re Artú, il <Figlio
minore> per cosí dire, e Lancillotto, il <Figlio maggiore>, prendono
il posto viceversa di Viṣṇu e Śiva nell’induismo. Tra i
due emblematici personaggi graaliani è il prode cavaliere, beninteso, ad aver
serbato qualche tratto d’una fisionomia in origine titano-asurica; benché, in
seguito, riteniamo siano intervenuti altri fattori ciclici che hanno rovesciato
la situazione di superiorità in favore di Artú. Difatti, quegli è il piú forte dei due. Ed il Re, avendolo quale rivale in duello
nell’episodio del loro primo incontro, per poterlo vincere non riesce a far a
meno dell’inganno) impiegando la ’magica spada’ Excalibur; proprio come i Pāṇḍava mahabharatiani, che
sconfiggono i cugini Kuru in maniera
ignobile ed indecorosa. Ai Pāṇḍava
nel Mahābhārata
vengono conferiti caratteri eroici e semidivini di contro ai Kaurava, che hanno al contrario
caratteristiche demoniche. Basterà
pensare alla differenza fra Arjuna e Karṇa,
il primo reputato la veste terrena di Indra e il secondo di Sūrya. L’invincibilità di Bhīṣma Gaṅgeya, forma umana di Skanda Gaṅgeya (entrambi sono figli della dea del Gange), del resto,
ricorda da presso quella di Lancillotto.
Mentre l’istituzione di 12 Cavalieri principali come fondamento
gerarchico della Tavola Rotonda, talora descritti come signori feudali di
altrettanti dominî (J.
Evola, Il mistero del Graal-
Mediterranee, Roma 1972), P.II n.num., §9, pp.
37-8; I ed. Il mistero del Graal e la
tradizione ghibellina dell’Impero- Laterza, Bari 1937) avvicina Re Artú al
Principe Kṛṣṇa, il fondatore indiano dello Zodiaco in veste di Cakravarti; per questo il rampollo della
stirpe degli Yadava in epoca
ellenistca è stato identificato sincreticamente ad Eracle, l’eroe solare per
eccellenza della mitologia greca ed in ciò distinto da Hḗlios-Krónos, il demone solare per antonomasia.
39) Cioè di Mahādeva, in veste di
Varuṇa. Ricordiamo in proposito l’equazione Śāntanu = Sāgara, sostenuta in precedenza sulla base dello Harivaṁśa.
40) Apóllōn e Rudra sono degli allomorfi,
rispettivamente, di Ōríōn e Prajāpati. Donde se
ne ricava che Páris, l’uccisore di Achilleús, è
un’incarnazione di Apollo; cui, non per niente, viene alternativamente
attribuito l’atto proditorio dell’annientamento dell’eroe acheo. Achille dunque, sebbene di per sé
mitologicamente piú arcaico di Kṛṣṇa, può esser concepito quale alter-ego di Orione non a caso
definito nella tradizione cinese il ’Grande Guerriero’.
41) Anche Kalki, una volta esaurita la sua missione salvifica (tuttora in
corso), verrà annientato da Rudracakrin;
siccome questi è, nel contempo, l’Avatara Eterno ed il simbolico
Oppositore. Cfr. simultaneamente da un
lato col Khizr islamico nel primo
ruolo e, dall’altro, coll’Anticristo apocalittico nel secondo.
42) Essa è stata intagliata in un
‘Frassino’ cresciuto sulla vetta del Monte Pelio e donata a Peleo,
l’uomo-cavallo, da Chirone (padre di Tetide in luogo di Nereo ed allomorfo del
marito in forma semiequina); nonché, al pari di lui, divinità preposta al
dominio del monte appena nominato.
43) Grav., op.cit., §r e n.8, p.246;
dove, comunque, l’autore scambia erroneamente Śāntanu per Kṛṣṇa.
44) Sul preciso significato di tali
distinzioni etnogeografiche si veda quanto da noi già delineato a proposito
dello scontro fra i contendenti della Guerra del Kurukṣetra. Vide Cap.IV, n.11.
45) Nella mitologia iranica abbiamo un
omologo in Aži
Dahāka, l’avversario di Verethragna; corrispondente al scr. Vṛtrahan (‘Uccisore
di Vṛtra), epiteto di
Indra, z.av. Andra.
46) A.A. Macdonell, Vedic Mythology- Motilal B., Delhi 1974 (I ed. Strasburgo 1898,
edit. n.c.). Cap.VI, §68 sgg.
47) Vide
Cap.IV, n.19.
48) K.N. Mukherji, Popular Hindu Astronomy. Tārāmandalas and Nakshatras- N.
Mukherjea, Calcutta 1969, p.114. Vala è dipinto nella mitologia come
‘fratello’, cioè alter-ego di Vṛtra (Macd., op.cit.,
p.160).
49) Parimenti a Vāmana e a Kumāra, il Re degli
Asura ha in dotazione tra i suoi contrassegni specifici l’Ombrello Solare ed il
Cappio (Mukh., op.cit., p.113). Altre categorie settenarie, come i Saptaṛṣi ed i Saptapitṛ od i Sette Prajapati, ci rimandano invece ad
un’intereprtazione in chiave polare.
50) Op.cit,,
pp. 113-4.
51) Cit.,
p.113.
52) Cfr. la stupenda illustrazione (da una miniatura
jammu del XIX sec.) di Bali, dotato di mazza che affronta il Matsyāvatāra, con in mano la Spada del Verbo Divino; intanto Brahmā sta ad osservare, da vicino, il grandioso duello
cosmico. Essa è riportata a colori, come
surriferito, nel testo di K.C. Aryan
& S. Aryan, op.cit. Vide
Cap.II, n.248.
53) Omologamente il posto di Bali, nello schema dei Mahāyuga, è da
collocare nel II Grande Anno, rappresentando egli la versione solare di Varuṇa-Sāgara. Cfr. col ruolo di Sūrya nell’ambito
della serie dei Pañcadeva. Cfr. Cap.IV,
n.19.
54) Costui può apparire in veste
demiurgico-creativa di Puruṣa oppure come
Principio Divino (= Brahmā-Prajāpati) complementarmente
ad Aditi, a sua volta possibilmente invece
incarnazione della Prakṛti o dello Zero Metafisico; alternativamente, egli si
presenta quale superiore ad Aditi
medesima, in veste cioè di <Grande Uno> (l’Assoluto, il Brahma).
55) Riguardo un’interpretazione
solare-invernale, cioè solstiziale-boreale di Ahir Budhnya cfr. Tilak, op.cit., Cap.Vi, p.182, n.2 (ed il nostro
comm. di seguito).
56) Tifone
al pari di Rāvaṇa posssiede varie teste, che nel primo dei due sono di tipo
dragonico; ma accanto a quelle domina, nell’un e nell’altro caso, una bella
‘Testa d’Asino’.
57) È
probabile che Rahu e Ketu, effigiati – com’è noto – in forma
rispettivamentte di Testa e Coda di Drago, ri riferiscano oltreché ai Nodi
Lunari ed alle Eclissi lunisolari pure ai Poli.
58) Il nostro ragionamento, è chiaro,
implica che tanto Ajaikapāda (Aja)
quanto Aigipán (Aíx) posseggano
dei connotati che li legano all’Orsa Maggiore e all’Orsa Minore. La cosa, evidentemente, non può esser data
per scontata. Per quel che concerne le
implicazioni polari del nume indiano rimandiamo al Gross., ‘Sh.Legs’, passim. Circa Pan occorrereà
del resto tirare in ballo una strana storia d’amore non ricambiato tra il dio
semicaprino e la Ninfa-pino (Pítis) per
accorgerci manifestamente che codesti due amanti, i quali non riesconoo ad
incontrarsi ed abbracciarsi mai (Ker., op.cit., Vol.I, Cap.X, § 3 n.num.,
p.164) sono da concepire, al di là della metafora, cme le detà presiedenti alla
2 Orse. E Pan logicamente è preposto
alla Maggiore, mentre l’amata di costui alla Minore. Analogamente fra i Latini Silvānus, omologo di Faunus (l’equivalente, checché se ne
dica, del greco Pán), insegue invano Cyparissus, la ninfa-cipresso.
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