Note al Cap.VIII
1) Cfr. Ac., Mrig., p.12, n.17.
2) Non stiamo a menzionare dei
nomi, tanto è cosa risaputa.
3) È possibile un simbolismo intermedio, che intenda il Centro o
l’Asse come strettamente unito alla propria Circonferenza o Ruota nel senso che
i Cabalisti danno alla Šëkināh, ossia in
quanto ‘Presenza’ del Divino. Questo
modo d’intendere, naturalmente, è inferiore a quello che concepisce Asse o
Centro quali rimandi al ‘Grande Uno’ e Cerchio o Ruota come rimandi allo ‘Zero
Metafisico’; ma è superiore, viceversa, all’interpretazione dei medesimi
principî intesi
semplicemente quali ‘Essenza’ e ‘Sostanza’ della Creazione.
4) Alludiamo, è ovvio, a quel che in
genere si chiama ‘Zero Metafisico’. In
proposito cfr. Ac., Met., passim.
5) Si esamini nel Ṛgveda il ruolo superiore di Aditi nei confronti di Dakṣa. Ella pur tuttavia è in certi passi presentata
come inferiore, giacché si considera in tal caso Dakṣa non un doppione di Prajāpati (il ‘Signore
delle Creature’), bensí nel ruolo di ‘Grande Uno’; cioè quale l’insieme del
Manifesto e dell’Immanifesto. Lo Zero,
viceversa, è soltanto l’Immanifesto, cosí come l’Uno è esclusivamente il
Principio della Manifestazione.
6) J.Böhme, La
Storia di Giuseppe (dal Mysterium Magnum)-
G. Laterza & F., Bari 1938, passim. Che sia sempre esistita una diversa maniera
d’approcciarsi alle Scritture è palesato da questo straordinario testo, ove ad
ogni modo la trascendenza divina è distinta rispetto a quella umana. Nel Cap.VII, §§ 5 e 62-6 si spiega come Adamo
si fosse impallidito dopo che era venuto meno in lui il “fuoco dell’amore” (non
a caso l’Orfismo poneva Eros quale Protogeno ed egualmente faceva il Vedismo
con Kāma). Per
questo il Böhme insegnava
che l’uomo interiore “non si chiamava piú Adamo, ma Cristo”. E la forza che emanava dal sole prodigandosi
spontaneamente verso la pianta non permetteva alla pianta di asserire: –Io sono il sole– per ciò che il sole operava in essa. Ossia «...alla creatura umana il Verbo non è
concesso quale suo possesso proprio e particolare, come è in Gesú Cristo, ma come ad un recipiente ed un
ricettacolo di Dio, alla stessa maniera come il fuoco s’impossessa del ferro e
lo arroventa sicché il ferro diviene bensí
ardente, ma non ha il fuoco in suo proprio dominio ed a sua disposizione,
poiché appena il fuoco lo abbandona resta un oscuro pezzo di ferro.» Questo punto di vista non è eguale all’idea dell’Uomo
con Dio, non di “immagine e somiglianza”, come in Gen.- i. 26-7. Ancor peggio
fanno certi attuali commenti ai testi biblici che tendono a diminuire molto la
portata di tale identità. In fondo
questo sminuire sé di fronte alla Divinità è proprio di tutte le fedi che, come
il Cristianesimo, si rifanno all’Epoca Noaica; il Vishnuismo, egualmente, tende
a porre da un lato la Divinità e dall’altro l’Uomo. In esse funziona il meccanismo delle colpe
antidiluviane (atlantidee), che
hanno aggravato il senso di colpa precedente della perdita dell’Eden. Anche se poi entrambe le fedi, con una lieve
<incoerenza>, teorizzano trinitariamente l’identità delle ‘Tre
Persone’. Sia pure colle distinzioni che
sappiamo, anche all’interno del Cristianesimo stesso, ad es. fra Ortodossia e
Cattolicesimo (si veda il tema del Filioque). Cfr. in merito al problema trinitario Ac., Sulla q., §2, pp. 3-5. Ma esiste un punto di vista supremo,
identitario, che sfugge persino agli alchimisti come J. Böhme. Esso è
concesso soltanto ai Profeti e agli Avatara.
L’Adamo cui si riferisce lo scrittore è in realtà l’Adamo Terreno, non
l’Adamo Celeste, al quale profeti ed altri loro omologhi orientali hanno
professato sempre d’identificarsi.
Ovviamente l’Adamo Celeste della sapienza giudaico-cristiana e
l’<uomo interiore> del mistico calzolaio luterano, nonché primo filosofo
tedesco secondo Hegel, sono quasi la stessa cosa. Ma non esattamente, l’uno è il ‘Figlio
Maggiore’ (cui è concesso pienamente il mistero dell’Unione col Padre) e
l’altro il ‘Figlio Minore’ (cui è concesso solamente lo Spirito Santo) per
usare il linguaggio tolteco. Non dice
egli medesimo che il possesso del ‘Fuoco’ era concesso a Gesú? Dunque, se ne traggano le ovvie
conseguenze. Per rifarci alle Upaniṣad, nell’abbraccio fra
l’amante e l’amata (le due anime, universale ed individuale) non si distingue
piú chi dei due è ad amare ed è questa la vera identità fra Brahma e Manu, o se
preferiamo fra Yahweh ed Adamo.
7) Per un esame approfondito della
figura di questo grande maestro cfr. l’ottimo testo di R.Otto Mistica occidentale, mistica orientale.
Interpretazione e confronto (Marietti, Casale Monferrato 1985; ed.or. West-ostiliche Mystik Vergleich
Unterscheidung zur Wesensdeutung- Klotz, Gotha 1926; II ed. C.H. Beck,
Monaco 1971) anche se nel titolo – diverso comunque nella traduzione rispetto a
quello originale – pone già i suoi limiti filosofico-teologici.
8) Fonte: G. Colatruglio, Rennes le Chateau e la leggenda di Maria
Maddalena. Ipotesi sul mistero d’un piccolo villaggio del sud della Francia-
Il Portale Mdievale.it, on line. Vi è chi ha utilizzato altra fonte
(specificatamente i Vangeli Apocrifi), invece, per giungere alla stessa
conclusione. Cfr. J.W. Heisig, Il gemello di Gesú. Commento al Vangelo di Tommaso- Herder Edit., Barcellona
2007. In tale libro Heisig cerca di
dimostrare che non si tratta di un vangelo gnostico (benché ritrovato a Nag
Hammadi nel 1942, in versione aramaica), ma di un vangelo precedente ai canonici. La denominazione di ‘gnostici’ a tutti gli
scritti apocrifi, del resto, è significativa.
Essendo lo Gnosticismo considerato erroneamente un’eresia del
Cristianesimo, anziché una vera e propria via religiosa del mondo ebraico
alternativa all’Essenismo e al Cabalismo, codesta definizione anni or sono
faceva il gioco di coloro che sulla scia del mondo protestante ritenevano gli
Apocrifi non degli scritti segreti secondo l’etimo del termine in greco; bensí
degli scritti al di fuori dell’ortodossia cristiana ed, in quanto tali, da
prendere colle molle. A nostro parere,
si tratta come altri (ad es. la Sophia
Jeu Christi, od il Vangelo di Gesú)
d’un vangelo ‘esseno’, ossia del tempo in cui non era ancora avvenuta la
scissione del Nazarenismo dall’Essenismo.
Il Nazarenismo infatti, al pari del Qumranismo e forse di altre speciali
scuole, ne era una sottovia. Dopo il
distacco dal giudaismo è divenuto quella religione a sé stante che noi
chiamiamo Cristianesimo. Ciononostante, le interpretazioni allegoriche
della gemellarità di Tommaso come gemellarità del credente in Cristo sono
senz’altro valide (anzi maggiormente elevate), poiché i simboli valgono su piú
piani.
9) Pensiamo da parte nostra che tale
simbologia sia valida indipendentemente dalla verifica storica che si tratti
d’un fatto reale, poiché nel simbolismo gli aspetti allegorici, cosmologici e
metafisici hanno maggiore valore di quelli meramente “litterali” per usare il
linguaggio dantesco. Personalmente siamo
convinti che vi sia anche un fattore storico ad aver determinato questa
convergenza di accezioni da una tradizione all’altra, ma il valore delle figure
di Romolo, Krishna ed Eracle non viene sminuito dalla presenza d’un gemello
accanto al <Figlio Maggiore>.
Perché non dovrebbe essere la stessa cosa per il Cristo? Si può al massimo negare che il Gesú storico ne
avesse uno, ma non una forma di culto che li riguarda entrambi. Il problema semmai è un altro, di natura
teologica. Gli è che la Chiesa
Cattolico-romana ha dovuto per ragioni ambientali attribuire importanza storica
a quello che nella cultura giudaica ed altrove aveva rimandi e significati
maggiormente elevati. Donde il dogma del
Figlio Unigenito. Vi è chi pensa che Gesú sia
“superiore”, perché è vissuto “realmente”; mentre gli altri 3 no, sono pura
leggenda e come tale da guardare con giudizio sprezzante. Di fronte a sciocchezze del genere è inutile
commentare. La verità è che queste 4
figure si situano sul medesimo piano.
Semmai, è Gesú che si situa lievemente su un piano inferiore
rispetto alle altre, essendo nato nell’Età del Ferro; però il fatto di
appartenere all’Ordine di Melchisedek, come insegna la stessa Chiesa Cattolica,
lo ha reso pari agli altri. Qualcuno
potrebbe obiettare che nel dogma cattolico Cristo è Dio, non potendosi dire
egualmente per le altre figure menzionate nelle tradizioni pagane. Ne siamo sicuri? No, anche le altre hanno funzioni
assimilabili a quelle del Cristo; ossia un significato divino, anche se non in
senso monoteistico. Persino nel ruolo
supremo. Come Cristo può venir
identificato non solo allo Yahweh inferiore (tridenario) venerato da Noè e
Melchisedek, ma anche a quello superiore
(non-duale rispetto ad Adamo) del Sacrum
Regnum, parimenti accade per Romolo; figura interpretabile come una sorta
di secondo Giano, fatte le debite distinzioni fra il Latium e l’Urbs, ma
queste distinzioni possono pure venir meno per assunzione superiore del simbolo
in qualità di Rex Primu (formula
varroniana). Per ulteriori chiarimenti vide n.seg. e, del Cap.VI, la 47.
10) Forse qualcuno potrebbe obiettare che
stiamo mescolando personaggi storici a personaggi mitologici, ma siamo sicuri
che Kṛṣṇa e Balarāma non siano persone realmente vissute e di poi
mitologizzate? Non si tratta di
evemerismo, anche se nell’evemerismo c’è qualcosa di vero, che ovviamente non
va esteso a tutto il mondo mitico e religioso.
Facciamo degli esempi di personaggi mitologizzati, pur avendo di per sé
dei connotati storici: Alessandro Magno o Gesú medesimo, Noè, Eracle oppure Krishna. Alessandro è stato un grande condottiero, ma
certamente non aveva corna d’ariete. La
storia della Resurrezione di Gesú è modellata sulla Resurrezione di Adone, cioè
Orione; del resto il Cristo, si sa (è ufficialmente ammesso da ciascuno), ha
preso nel N.Testamento il ruolo che era di Yahweh;
non naturalmente lo Yahweh-Elohīm, bensi lo Yahweh-Sebaot. Il ‘cd. ‘Signore degli Eserciti’, sia o non
sia questa la traduzione del termine ebraico Ṣëvāʾōt. La
traduzione d’altronde non ci sembra cosí malvagia, come si vuol far credere, visto che il
signore degli eserciti altro non è che Marte latinamente parlando ossia
l’Ariete che ne era il simbolo; o meglio sia l’Ariete inteso come palo per
sfondare le porte della città nemiche sia l’Ariete in senso vernal-zodiacal, in
entrambi i casi imago quindi dell’Axis Mundi. Queste due immagini posseggono un significato
sia dissolutivo che creativo. Vengono
abbattuti a vicenda il nemico o l’inverno, ripristinando la pace o la
primavera. Non per niente Gesú vien inteso
come ‘Agnello’ destinato al sacrificio.
L’Agnello corrisponde all’Ariete del Nuovo Anno, vale a dire al rinnovo
del Sole; e l’Anno, come insegna la tradizione hindu, è il Sacrificio medesimo. Certo, come tutti i simboli ciò va inteso su
piani molteplici: letterale (ossia quale vicenda storica d’immolazione d’una
figura profetica), allegorico (fungendo da capro espiatorio per la punizione
dei peccati), cosmologico (per celebrare la resurrezione delle anime dalla
morte) e ontologico (in riferimento alla perpetuità dell’Essere). Circa Noé, patriarca nel contempo
anti-diluviale e post-diluviale, è chiaro che tal personaggio biblico condensa
in sé due diversi personaggi seppur apparentati dal fatto d’appartenere ad
un’unica epoca ciclica; quella che in termini greco-romani chiamasi ‘Età del
Bronzo’ e ciascuno dei due non vale esclusivamente per sé, ma individua anche
la sua relativa epoca d’appartenenza. Il
che s’addice pure ad Eracle, come hanno rinosciuto sia Erodoto sia gli attuali
storici delle religioni; ed egualmente si può dire per Kṛṣṇa, sebbene in
questo caso la distinzione fra il Gopāla (‘Bovaro’), di stirpe yādava, e il Sārāthi (‘Auriga’ discepolo di Ghora Āṅgirasa) sia
maggiore, ma in molti parimenti sbagliando li identificano non meno dei testi.
11) Cfr. J.A. Soggin, I manoscritti del Mar Morto- Newton C., Roma 1978, P.sec., Capp. X,
§8, pp. 173-4 e XI, §3, pp. 179-81. Il
pastore valdese nel secondo paragrafo citato nega un’affinità fra il simbolismo
duodenario neo-testamentario e quello qumranita, affermando che il 12 si
richiama unicamente alle 12 tribú d’Israele; ma quest’osservazione risulta
estremamente superficiale, per quanto egli abbia accusato di faciloneria (ibid., p.179) chi la pensava
diversamente da lui in tal senso. La verità
è che non ha saputo spiegare il significato numerico dei 15 membri, 12 laici +3
sacerdoti, del Consiglio qumranita. A
dimostrazione che le 12 tribú israelite c’entrassero poco (semmai era il contrario),
rimane proprio tale ripartizione, che non è spiegabile altrimenti che col
simbolismo solare: vale a dire il Sole ad immagine della Divinità, colle sue
principali stazioni diurno-annuali a rappresentare una concezione trinitaria,
che i Vangeli Apocrifi definiscono in un modo (subordinativo) e la tradizione
cristiana post-nicena in un altro (paritario).
Attorno a codesta Trinità, reperibile in forme similari in ambiente
ellenico, hindu o tolteco. In
quest’ultimo compaiono parimenti le 12+3 figure dell’Essenismo, le quali
vengono ritualmente raffigurate da speciali Coppe o Piatti d’un pasto
sacrificale. Ed è curioso che i 3 Piatti
Centrali alludano a 3 deità denominate Padre,
Figlio Maggiore (il Piatto che lo
individua è maggiotre degli altri 2 affiancati) e Figlio Minore. Perciò è
chiaro che i 3 sacerdoti qumraniti incarnino la Trinità (in altre parole, la
Trinità non è d’origine cristiana, ma semmai essena, essendo condivisa fra
Qumraniti e Nazarei) e i 12 laici, non meno dei 12 Piatti del pasto sacrificale
tolteco, i 12 Soli dell’Anno Solare.
12) Di solito le origini della Cabala in senso
specifico vengono attribuite al XII-XIII sec. d.C., in Spagna, il che non fa
una grinza dal punto di vista storico.
Ma se intendiamo riferirci all’esoterismo mosaico, cosa che non si può
negare aprioristicamente a meno di rinunciare a definire Mosé un profeta,
dobbiamo necessariamente ritenere che vi sia stata una trasmissione iniziatica
(ciò d’altronde significa esattamente il termine kabbalāh in ebraico,
da taluno interpretato come ‘rivelazione’ e da altri come ‘tradizione’) che
partiva da Giosué – il successore designato sulle rive del Giordano – per
arrivare attraverso Re David (considerato nell’Islām un profeta)
sino a Salomone (inizio del I mill. a.C.) ed oltre. I reali hanno funto da capi delle organizzazioni
esoteriche financo nell’era cristiana, oseremmo dire sino ad oggi. Né da ragione il simbolismo legato a
quest’ultima eminente figura di sapiente, il quale si tramanda dominasse i
Geni, gli Uccelli e gli Uomini. Ecco
perché al suo ‘Trono Volante’ erano associati nell’iconografia tanto i Demoni
(vedi Asmodeo), quanto gli Angeli (la fida Upupa che il Corano gli attribuisce funge da ‘angelo-di-grazia’ nella Lingua degli Uccelli di F. Attār). Circa la signoria di Re Salomone sugli Uomini
a lui pressoché contemporanei non c’è da aggiungere nulla, data la sua
proverbiale sapienza. Le 3 categorie
succitate, ad ogni modo, vanno intese cripticamente come un chiaro riferimento
alle ‘Tre Vie’ ermetiche. Onde possiamo
tranquillamente affermare che queste esistevano realmente nel mondo ebraico, al
di là delle nostre supposizioni al riguardo.
Esse si chiamavano, piú o meno, Sethismo, Essenismo e Cabalismo. Anche se non troviamo nessuna oggettivazione
di queste denominazioni nei testi di quella tradizione, ma succede la stessa
cosa persino in India collo Shivaismo, il Vishnusimo e lo Shaktismo. Nell’iranismo tale triplice demarcazione
risultava meno forte che In India, giacché nella Persia airyanizzata l’accento
veniva posto sulla differenza fra Airya
(Noachiti, di derivazione sethita) e Tūr (Abeliti), piuttosto che sulle singole vie di
conoscenza. In Israele avveniva come in
India, invece, dove la doppia origine etnica avendo meno peso rimaneva sottesa
e quasi ininfluente. Dato che Salomone
signoreggiava pure sugli <Uomini> (esotericamente gli esseri nati nel
periodo posteriore alla Torre di Babele, eretta da Nimrod-Orione, cioè
praticamente nell’Età del Ferro), non si può negare l’esistenza d’una Via
esoterica di tipo mosaico già allora. Si
chiamasse o no Kabbalāh, si dà comunque comunemente il nome di ‘Cabala’ in
senso lato a tutti gli insegnamenti esoterici di matrice rabbinica venuti alla
luce alla fine del cd. ‘periodo inter-testamentario’ (597 a.C.70 d.C.). Non si può certo immaginare che
gl’insegnamenti siano sorti, letteralmente, in quel periodo di decadenza. Semmai, si deve tener presente che ogni forma
di esoterismo fuoriesce allo scoperto allorché non vi sono piú le
condizioni per trasmetterlo in segreto e si teme vada perduto. Ciò vale sia per la situazione venutasi a
creare dopo la deportazione babilonese (la diaspora giudaica, del VII-VI sec.),
sia per l’esilio con distruzione del Tempio di Salomone da parte di Tito. Tant’è che gl’insegnamenti salomonici hanno
preso la via nel IV sec. d.C. del Kebra
Nagast, il libro sacro etiope, sebbene la versione definitiva sia stata
redatta solo nel XII sec. E questo può
essere inteso come un non casuale aggancio al movimento cabalista ispanico, se
è vero che i Templari, consacrati ad una Regola ispirata agl’insegnamenti di
San Bernardo di Chiaravalle (monaco cistercense votato alla devozione verso
Maria, quindi a sua volta filo-cabalista, tracciando un parallelo fra la
Vergine e la Šëkināh), agirono in
Etiopia nel Periodo Tardo-medievale al fine di ritrovare l’Arca
dell’Alleanza.
13) G.Acerbi, I dieci Avatar nella mitologia induista- Hera (Marzo 2010, N°122 ),
p.45/col.b.
14) I 2 suddetti colori possono risultare
invertiti, per quanto il simbolismo non sia una convenzione. Coloro che sostengono codesta tesi (ad es. il
Grossato, com.or.) evidenziano il
fatto che in certe circostanze, vedi ad es. la simbologia della ‘Candida Rosa’
nella Cantica del Paradiso dantesca oppure
nella formula greco-romana dell’Età dell’Oro, il Bianco designi una meta
metafisica e l’Oro (equivalente al Rosso) una meta sovrannaturale ma comunque
terrena. Secondo quanto insegna la
definizione di ‘Paradiso Terrestre’.
Certuni peraltro intendono quest’ultimo in senso sottile, ma se fosse
cosí sarebbe
chiamato ‘Paradiso Sovra-terreno’; in effetti è sovra-terreno il Mondo Lunare,
che è il ‘Primo Cielo’ (non solo nella Commedia,
anche nelle Upaniṣad), dove vanno
a riposare le anime che appartengono a questo tipo di paradiso. Non si può
tuttavia pensare che lo Śvetadvīpa, pur nella
sua sovrumanità, non appartenesse alla condizione terrestre. Sarebbe illogico. Usiamo la definizione indiana anziché quella
biblica di ‘Eden’ o greco-romana di ‘Terra Iperborea’ per un semplice motivo:
dato che è associata ai Varṇa (‘Colori’, cioè le Caste), non si può negare
l’esistenza d’una Sovra-casta originaria, altrimenti si negherebbe la dottrina
puranica e con ciò stesso l’intero edificio dottrinale hindu. Poiché la dottrina, in India come altrove, è
un tutt’uno. Circa l’abbinamento inverso
dei 2 suddetti colori, il Rosso e il Bianco, constatiamo che la cosa non
succede unicamente in Occidente; visto che la formula indiana dei guṇa scala dal sattvoguṇa (bianco) al rajoguṇa (rosso), onde di riflesso la Divinità (incarnata
da Kṛṣṇa in tal caso, ma in senso strettamente
extra-umano) è detta passare nel trascorso dal I Mahāyuga al III dal
Bianco al Rosso. Fino al Nero finale, avendo quali stadi intermedi,
rispettivamente, il Giallo ed il Blu. La
ragione di quest’inversione di colori dipende forse dal senso ascendente, nel
caso della formula alchemica, e da quello discendente in tutti gli altri. Si obietterà che la ‘Candida Rosa’ appartiene
all’Empireo, non alla cosmologia; eppure la visione dantesca è
poetico-descrittiva (in sostanza cosmologica), non ermetico-operativa
(ontologica); infatti si estende al macrocosmo, non al microcosmo. Dante sale a contemplare la Divinità, è vero,
ma non s’identifica alla Divinità. Come
in genere succede in tutte le analoghe descrizioni di viaggi agl’inferi e ai
paradisi vari. La vera dottrina
iniziatica di carattere ermetico parte dal Cielo della Luna e si conclude nel
Cielo Saturno. Ciascuno dei 7 Mondi
(scr. Loka) viene inglobato
interiormente nell’Ascesa, sí da divenire un inferno rispetto al cielo
immediatamente successivo. È nel Cielo di Saturno (scr. Satyaloka), appunto il ‘Settimo Cielo’
per definizione, che avviene la Unio
oppositorum. E il colore ermetico a
trionfare è appunto il Rosso, in cui sono bruciate tutte le scorie dell’anima
individuale ossia il Jīvātmā si unisce all’Ātmā, per dirla
all’indiana. Qui non è il Saturno della Nigrēdo, associato al Piombo come nell’Alchimia o nel Tantrismo,
concludentisi col Trionfo del Sole in associazione coll’Oro. L’Ebdomade Planetario va percorso – Sole a
parte – in senso quasi inverso, dal piú
veloce al piu lento. Suggeriamo a nostro
giudizio in mancanza di riscontri testuali oggettivi, ispirandoci alle
frequenze dei colori scomposti dallo spettroscopio nei confronti del raggio di
luce (cui abbiamo aggiunto il bianco e il nero), tale ipotetico percorso
emblematico: Luna (Nero), Mercurio (Arancio), Venere (Verde), Sole (Giallo),
Marte (Rosso), Giove (Azzurro), Saturno (Bianco). Non vi è, però, aggregato un simbolismo
metallifero. Gli altri 2 Cieli (Stelle
Fisse, Empireo) sono aggiunte posteriori, probabilmente in relazione ai Nodi
Lunari. Nell’Alchimia, viceversa, la
serie sequenziale parte dal piú lento
giungendo al piú veloce): Saturno
(Piombo), Giove (Stagno), Marte (Ferro), Venere (Rame), Mercurio (Mercurio),
Luna (Argento), Sole (Oro). Il punto
culminante prima di quello finale è rappresentato, in questo caso, da Giove
anziché dalla Luna.
15) M. Erbetta (a c. di), Gli Apocrifi del Nuovo Testamento-
Marietti, Casale M. (Al), T.I, Vol.1, p.253.
16) Erb., op.cit., p.254.
17) L. Gardner, I figli del Graal- Newton C., Roma 2006 (ed.or. The Magdalene Legacy- H. Collins, Londra
2005, Cap.8, pp.122-3. Gardner lo deduce
indirettamente, dal momento che Pietro nel lógion finale viene presentato collerico nei confronti
di Maddalena e desideroso di escludere le donne dal sacerdozio, mentre Gesú le difende
secondo la prescrizione esseno-nazarena di accettazione del sacerdozio
femminile. A differenza dell’autore, da
parte nostra crediamo che il fatto di escludere o meno le donne dal culto non
dipenda semplicemente da pregiudizio (Gardner piglia spunto da ciò per una filippica
contro l’anti-femminismo di Pietro, Paolo e del Cristianesimo post-paolino),
bensí da scelta
rituale, proprio com’è accaduto in India; dove al principe Siddharta una
leggenda ha attribuito analoghi “pregiudizi anti-femminili”, se è vero che
quando le donne entrarono a far parte della comunità buddhista Egli (il Buddha
storico) abbia affermato che la durata storica del Buddhismo sarebbe stata un
po’ minore del previsto.
18) Ibid.
come alla 16.
19) Erb., cit., pp .265-6.
20) Ciò è assai prossimo a quel che confidava
un discepolo di Maometto in un ḥadith agli altri
Compagni del Profeta, asserendo in
sostanza: –Se io vi palesassi l’esatta interpretazione d’una data sūra, in base a
quanto ho ascoltato colle mie orecchie dalla bocca stessa del Profeta, voi mi
lapidereste senza pietà.
21) Cit., p.260.
22) Cfr. per un punto di vista diverso dal
nostro, seppure convergente, su codesta figura P.Galiano, Melchitsedek e la Tradizione primordiale- Simmetria on line (N°35, Ott. 2014). Il Galiano parla di Età dell’Oro in
relazione ai Giganti, ma i Nephilīm biblici non sono i ‘Giganti del Ghiaccio’ dell’Edda (p.14/ coll. a-b); lo menziona l’autore stesso cosa essi sono, parafrasando Gen.-vi, ossia degli Eroi. Termine, in greco, equivalente ad Ari sul
piano strettamente etimologico. Che poi
gli Ari siano stati trasposti ad indicare gli uomini aurei, questo è vero, lo
abbiamo ivi affermato pure noi. Ma è una
trasposizione a posteriori. Certo, la
Coppa e lo Scettro dei quali Melchisedek è portatore in alcune speciali
raffigurazioni segnalate dal N. (ibid.,
p.10, fig.3) alludono all’Axis Mundi
e al Cuore. Sono i medesimi attributi di
Manu (Coppa) e di Yima (‘Scettro’), vale a dire del ‘Primo
Uomo’ nelle tradizioni vediche ed in quelle puraniche. In altre parole, nelle tradizioni arie ed in
quelle turane. Non bastano però a far di
Melchisedek una figura aurea tout court. Nella ‘Prima Età’ non esistevano sacrifici,
mentre Melchisedek viene in Gen.-
xiv. 19 associato al Pane e al Vino (ib.,p.4/
col.a), cioè al Sacrificio
Eucaristico. Benché per certi versi egli
appaia inferiore a Noè, data l’identificazione a Sem (p.10/ col.b), per certi altri ne è superiore per
via dell’equiparazione a Seth. È comunque
ciclicamente un personaggio leggendario della ‘Terza Età’ ciclica, potremmo
finirlo <atlantideo> al pari di Noè, trasposizioni a parte in alto e in
basso. La storia della benedizione su
Abramo, mostrano bene Graves & Patai (op.cit.,
27.6, p.184), è il semplice riconoscimento della fortuna caduta su Abramo
attraverso il pianeta Giove (ebr. Tsedek),
apportatore di pace e di giustizia, dopo che il patriarca di Ur ha ottenuto una
splendida vittoria contro il il re di Sodoma; al fine di liberare suo nipote
Lot, fatto prigioniero nella città.
23) La medesima cosa avviene in India con Balarāma, il fratello
di Kṛṣṇa.
24) Erb., op.cit., pp. 258-60.
25) Il Sermone del Monte appare in tutta
la sua ampiezza solamente in Matteo, che lo ambienta in Galilea. Dopo aver insegnato nelle sinagoghe la buona
novella ed aver curato gl’infermi (molti esseni conoscevano l’arte delle
guarigioni, secondo Gardner, avendola appresa dagli egizi), il Maestro dopo
aver percorso le strade di Galilea in lungo e in largo aveva visto una folla
radunata su un monte ed era salito lassú assieme ai suoi discepoli. Luca (vi. 17-26) narra diversamente l’evento,
ambientandolo in pianura. Gesú era salito
la notte a pregare su un monte (lo stesso del sermone di Matteo?) e il giorno
seguente aveva scelto i suoi 12 discepoli, chiamandoli Apostoli. Con costoro si era
spinto in mezzo alla folla venuta da piú parti, in parte suoi ammiratori ed in parte forse
soltanto curiosi. In apparenza Marco
(viii. 34-7-ix. 1-12) non cita le stesse cose, ma l’impressione è che il monte
su cui va ad appartarsi con Pietro, Giacomo e Giovanni dopo aver radunato una
folla e i discepoli, sia il medesimo menzionato da Matteo.
26) Non si può però far a meno di
osservare che, secondo la ricostruzione della Thiering (mediata dal Gardner),
la morte in croce del Salvatore è stata unicamente una recita drammatica. Il Gardner non ci racconta tuttavia che è
avvenuto del Maestro dopo l’uscita dal sepolcro, benché tutta la sua
interpretazione sia volta a descrivere un fatto storico e non metaforico o
simbolico. Altri studiosi hanno fatto
cenno ad un ritorno in India di Gesú, dopo una presunto contatto con quella terra
avvenuto in giovinezza, fra i 13 e i 29 anni.
Si sa d’altra parte che a Śrinagar (lett. la ‘Città ella Prosperità’), nel sito di Rauza Bal (lett. ‘Tomba d’un Profeta’,
ma altri traduce ‘Bal’ con ‘Posto’ e quindi sarebbe ‘Posto della Tomba’) esiste davvero una tomba
accreditata a certo Īsa (Īsa ibn Maryam secondo la Sū ii. 45 è il nome
arabo di Gesú,
identificato a Yuza Asaf), quantunque
sia dai musulmani attribuita ad un santo sufi.
Vi è chi sostiene che sotto le spoglie dell’uomo del VI sec. vi siano
altre spoglie umane piú antiche. Difatti
di questa sepoltura ha tramandato la confraternita musulmana chiamata Ahmadīya. Oltretutto non vi erano ancora sufi nel VI
sec. a gareggiare in fama con Maometto.
Gardner (I fig., App.III sgg) nega possa trattarsi del
personaggio profetico nazareno, ritenendo debba viceversa trattarsi d’un
profeta buddhista minore. Fra i buddhisti,
tuttavia, non esistono profeti né maggiori né minori. Il Bhavisya
P.- iii. 16-33 d’altronde descrive codesto personaggio come un sant’uomo di
pelle chiara e vestito di bianco, che si dichiara <Figlio di Vergine e del
Signore> (Īśā-putra) ed è dedito
a meditazione sul Brahman. Né vale la scusa che i musulmani a quel tempo
non esistevano. Erano presenti infatti
gli Arabi, sebbene non ancora islamizzati, ed è impensabile che attraverso i
commerci non abbiano saputo anche lontanamente della vicenda di Gesú in Palestina. Maometto stesso deve aver sentito il nome
attraverso le narrazioni dei nestoriani in viaggio verso l’India o di ritorno
da quel Paese. Lo scrittore russo N. Notovich
aveva testimoniato inoltre nel suo libro
del 1894 La vie
inconnue de Jesus Christ che nel monastero di Hemis in Ladakh era stata tradotta da
un ms. pali la storia di codesto Isa/Iśā e, sebbene non si abbiano
prove certe dell’esistenza di siffatto ms., vi è da chiedersi
perché mai i monaci lamaisti avrebbero dovuto mentire al riguardo? Sebbene poi abbiano smentito il Notovich, ma
potrebbero averlo fatto per ragioni di sicurezza. Pare anzi che il ms. avesse a che fare con un
vangelo esseno, il Vangelo di Gesú,
nascosto presso i buddhisti per impedirne la manipolazione. In proposito, sul Notovich in Wikipedia (vers.ingl.) sono riportate le
seguenti parole, che qui traduciamo: “Benché il Notovich sia stato screditato in Europa, Swami Abhedananda,
contemporaneo e collega di Swami Vivekananda, visitò il monastero di Hemis nel
1922 onde confermare i report del
Notovich che aveva udito l’anno precedente negli Usa. I Lama del monastero gli confermarono che
Notovich era davvero stato portato al monastero con una gamba rotta ed era
stato curato per un mese e mezzo. Gli
avevano per giunta fatto sapere che il manoscritto su Gesú era stato mostrato al Notovich ed i contenuti
interpretati, sicché poteva tradurli in russo.
Il manoscritto originale fu detto essere in pali nel monastero di
Marbour presso Lhasa. Il manoscritto
preservato a Hemis era in tibetano. Il
manoscritto, che possedeva 14 capitoli contenenti 223 coppie di versi (śloka) fu mostrato a Swami Abhedananda
stesso. Lo Swami ottenne alcuni porzioni
del manoscritto tradotte coll’aiuto d’un lama, circa 40 versi apparendo nel
diario di viaggio dello Swami. I lama
raccontarono allo Swami che Gesú Cristo
venne segretamente in Kashmir dopo la sua resurrezione e visse in un monastero
circondato da molti discepoli. Il manoscritto originale in pali fu preparato
“tre o quattro anni” dopo la morte di Cristo, sulla base dei rapporti fatti dai
tibetani locali ed i racconti sulla crocifissione desunti dai commercianti
pellegrini. Dopo il ritorno in Bengala,
lo Swami chiese al suo assistente Bhairab Chaitanya di preparare un manoscritto
del diario di viaggio basato sulle note che aveva preso. Il manoscritto fu pubblicato
in serie nel Viśvavani, una pubblicazione mensile del Ramakrishna
Vedanta Samiti, durante il 1927 e in seguito edito in forma di libro in
bengali. La quinta edizione del libro fu
pubblicata nel 1987, con acclusa un’Appendice, traduzione inglese dal francese
della Vita del Santo Issa del
Notovich. Però, dopo la morte di Abhedananda, uno dei suoi
discepoli ammise che quand’andò al monastero a domandare riguardo i documenti
gli fu detto ch’erano scomparsi.” Un
modo, come un altro, per invitare a non scocciare piú. Sul tema l’autore britannico (ibid.), prima di morire, rimandava ad
alcuni libri che citiamo qui di seguito pur non avendo avuto la possibilità di
consultarli: F. Hassnain, A Search for
the Historical Jesus - from Apocriphal, Buddhist, Islamic & Sanscrit
Sources- Gateway B., Bath 1994 (ed.it. Sulle
tracce di Gesù l’Esseno. Le fonti storiche buddhiste, islamiche, sanscrite e
apocrife- Amrita, Giaveno [To] 1997);
S. Olsson, Jesus in Kashmir. The Lost
Tomb- Amaazon’s Book Surge, on line 2005. Altri libri sull’argomento sono: S.Olsson, In
Search of Jesus: Last Starchild of the Old Silk Road- Author House, Bloomington 2004; A. Faber-Kaiser, Gesù visse e morì in Kashmir-
DeVecchi, Milano 1975; A.Kashimir, Cristo in
Kasmir- Atlantide, Roma 1996; R. Panikkar, The
Unknown Christ of Hinduism- Darton, Longman & Todd, Londra 1964
(ed.riv. 1981). Quest’ultimo, tuttavia,
è orientato ad un confronto tematico, nonostante il titolo, piú che a
rivelare le fonti sanscrite d‘un possibile ed inedito Gesú
indiano. Vi è poi un dvd, in italiano a
c. di G. Rosati, intitolato Gesù in
Kashmir. La sconvolgente scoperta della tomba del Nazareno (altri sono
stati fatti in inglese). Informazioni
generali assai preziose sulla vicenda sono contenute in questo link: http://www.altrogiornale.org/gesu-in-kashmir/. Il miglior documentario nel complesso rimane comunque La vita segreta di Gesù, 2006, della National Geographic, pubblicato su 'Youtube' il 5-09-17. In ogni caso l’argomento della sepoltura in
India non inficia l’altro della morte apparente sulla croce, distinto peraltro
dalla Morte in Croce del Redentore, che è tema storico-simbolico ed è divenuto
pertanto nei secoli inoppugnabile.
Trattasi di tre cose diverse, insomma, per cui l’una non esclude le
altre. Ivi, come già indicato, non
prendiamo parte alla diatriba piuttosto delicata. Ricordiamo tuttavia in ultimo che pur
accettando Gesú come Profeta, l’Islam (Qūr. Xix. 91-4) respinge l’idea di Gesú come ‘Figlio
di Dio’ con queste parole (trad. di L. Bonelli) –Essi dicono: ‘Il Misericordioso si è preso un Figlio’. Dì loro:
avete asserito… una cosa mostruosa, dicendo
ciò.– Ma, potremmo aggiungere, se
intendiamo per divino il Verbo di Cristo e perciò identifichiamo esotericamente
Gesú ad Adamo
(non all’Autopátōr dunque dei Vangeli
Apocrifi, bensí al Propátōr) anche l’Islām concorda che
la Parola del Profeta (Mohammadīya Haqīqat) è divina.
In altri termini è la trasmissione della Rivelazione ad Adamo che è
divina, avendolo trasformato in Adamo Celeste; e non l’Adamo Terreno, che è un
progenitore esclusivamente sul piano etno-antropologico e biologico.
27) Cfr. Marco- xii. 1-12 e Luca- xx.
9-19.
28) Sebbene in modo celato, son presenti
anche i livelli interpretativi superiori (cosmologico e ontologico).
29
) Vide Cap.I, n.168.
30) Per la variante col (Re) Pescatore,
senza i pesci piccoli, vide Cap.I,
n.169.
31) Se ci siamo dilungati oltre il lecito
nell’affrontare una critica del Vangelo
di Tommaso è proprio per avvalorare il passo del Pescatore e del Pesce, che
in genere non ci pare venga colto dai commentatori in tutta la sua portata
simbolica. Oltre a rientrare in pieno
nella simbolica cristiana, cristiana e non solo nazarea o gnostica (che tra
l’altro predilige sethianamente l’emblema del Serpente rispetto a quello del
Pesce), codesto argomento ci riporta agli aspetti piú profondi ed
ancestrali delle altre tradizioni in base ad un punto di vista che noi vorremmo
definire śrauta (‘rivelazionista’) e non smarta (‘tradizionalista’).
Qualcuno ha rilevato in passato, non senza una certa dose d’ironia, che
era nostra intenzione fondare una nuova scuola poggiata sulla Śruti, ovviamente
con tutto il peso che una simile pretesa comportava. Preso alla lettera, ciò sarebbe troppo
presuntuoso; ma qualora s’intenda affermare che noi con questo scritto
intendiamo porre la pietra di fondamento in Occidente della medesima scuola che
in Oriente fa capo alla Śruti, ebbene sí, lo confessiamo: è nostra pretesa. In Occidente, però, la Rivelazione è data
dalla Bibbia e non dal Veda.
E se abbiamo a volte tirato per i capelli la Genesi, lo abbiamo fatto solo a scopo di chiarimento. Il nostro rifarci di continuo al testo sacro
dei nostri antenati, per dirimere le questioni (persino in un problema spinoso
come quello delle origini indoeuropee, che abbiamo riportato al problema
iaphetico), giustifica ai nostri occhi la nostra personale pretesa; ma è il lettore
alla fine a giudicare e a capire se abbiamo avuto ragione, o meno.
32) Sui Misteri Graalici cfr. G.Acerbi, Il Trono Volante di Re Salomone e il Volo
Magico del demone Asmodeo- Alle pendici
del Monte Meru (blog,
8-05-11), pp. 4-6.
33) Gardner ha cercato di mostrare che la
morte del Gesú
storico, distinguendolo dal Cristo della teologia, è stata solo
simbolica.
34) Barbara E. Thiering (1930-2015) è
stata una studiosa australiana di Storia delle Origini Cristiane. Il suo punto di vista, soprattutto in Jesus the Man, mirava a delucidare gli
aspetti mitici (di valore iniziatico) presenti negli inizi del Cristianesimo,
poi banalizzati in interpretazioni di tipo miracolistico.
35) Ci appoggiamo a C. Lanzi, Cristianesimo esoterico, esoterismo
cristiano (Simmetria on line,
N°21, Giugno 2013) per quel che riguarda il processo storico del Cristianesimo,
attraverso cui soprattutto in campo artistico le confraternite hanno potuto
creare un ermetismo cristiano pressoché ignoto al popolo, ma pur oltremodo
efficace. Seppure non sempre
operativo. Noi qui abbiamo puntato,
però, soprattutto sulla Storia delle Origini Cristiane, che ai giorni nostri
appare alquanto diversa da come si è sempre prospettato.
36) La Parabola dei Pani e dei Pesci
trovasi – presentata in una luce tuttavia del tutto diversa, nel Lancelot-St.Graal o Ciclo Vulgato; purtroppo, però noi non abbiamo avuto modo di
consultare il testo direttamente nella lingua originale (d’oil) dell’Anonimo
del XIII sec. (1215-1235), e ci siamo perciò rifatti ai rifacimenti di J.
Boulenger (a c. di), I Romanzi della Tavola Rotonda- A. Mondadori, Milano 1981
(ed. or. Le romans de la Table ronde-
Libr. Plon, Parigi 1922). Questi ha
redatto una storia in 3 voll. (in pratica un sunto del Ciclo Vulgato), di cui
G. Agrati e M.L. Magini hanno curato la traduzione italiana. L’opera originale non ha mai avuto una
traduzione completa in Italia, pur essendo di estrema importanza per
comprendere a fondo la vicenda graalica:
il primo libro (in 2 voll.) è uscito comunque in traduzione per i tipi
della Alkaest (Genova 1981) col titolo La
Storia del Santo Graal ed a c. di A. Terenzoni. Corrisponde nel contenuto, vagamente, al Giuseppe d’Arimatea di R. de Boron,
sebbene piú in esteso.
Degli altri 4 libri dello Pseudo-Map sono usciti solamente La Cerca del Santo Graal (La
Quest del Saint Graal) e La morte di
Re Artù (La Morte le Roi Artu),
col sovratitolo di EXCALIBUR sulla
scia del successo del film omonimo, ha completato la serie alla fine del
medesimo anno per M. Basaia Edit. Mancano,
dunque, il Merlin e il Lancelot.
37) R. de Boron, Il Racconto della Storia del Graal- Alkaest, Genova 1980,
p.114.
38) De Bor., op.cit., pp. 131-3.
39) I primi 4 romanzi (Érec
et Énide, Cligès ou
la Fausse Morte, Lancelot le Chevalier
à la charrette, Yvain le Chevalier au
lion), con Pref. di J.-P. Foucher,
sono raccolti in Chrétien de
Troyes. Romans de le Table Ronde- Gallimard, 1970-5.
40) Una sintesi del romanzo compare in
AA.VV. (a c. di A.Bianchini), Romanzi
medievali d’amore d’avventura- Garzanti, Milano 1981, pp. 53-130 (con Pref.
di L. Spitzer). Per il testo in
traduzione completa dal francese si veda invece Chrétien de Troyes (a c. di
G.Agrati e M.L. Magini), Perceval-
Guanda, Milano 1979, pp. 27-167 (con Intr. di A .Micha).
41) W. Von Eschenbach, Parzival- Utet, Torino 1967, p.244.
42) Non stiamo a rianalizzare la vicenda,
avendolo già fatto in precedenza nel Cap.I, n.301.
43) Terenz. (a c. di), op.cit., Introd., pp. 5-6.
44) Il miracolo dei Pani e dei Pesci compare
in Mt.- xiv. 13-21 e xv. 29-39; in Mar.- vi. 31-4 e viii. 1-9; in Lu.- ix. 10-7 e Giov.- vi. 1-13.
45) Boul. (a c. di), op.cit., §xxxii, p.127.
46) Op.cit., pp. 176-9.
47) Cit.,
pp. 53-8.
48) Ibid.
come alla 42.
49) L. Gardner, I figli del Graal…- Newton Compton, Cap.12 sgg.
50) L’autore (Gard., op.cit., p.171) si rifà per codesta acquisizione alla Thiering.
51) Cit.,
pp. 170-2.
52) Cap.14, p.209.
53) Il riferimento è a Gen.- ix. 1.
54) Charb.-L., op.cit., P.Tredices., Cap. Novantaseies., §iii, p.692.
55) Op.cit., §ii, p.691, fig.xiii.
56) Cit., §iii, p.692, fig.xiv.
57) Ibid. come alla 54.
58) P.693,
fig. xv.
59) P.693.
60) P.694, fig.xvii/ d.
61) Fig. xxiii.
62) P.695, fig. xxiv.
63) Fig. xxv.
64) Cap.Novantasett., §i, p.705, fig.i.
65) Fig.ii.
66) G. Acerbi, Gli Dei e i Mondi: aspetti ciclici della teogonia mesopotamica-
Atopon, Vol.VI (on line), passim.
67) Charb.-L., op.cit., §ii, pp. 706-7.
68) Op.cit.,
p.707, fig.iv.
69) Cit.,
p.707.
70) Pp. 707-8.
71) P.708, fig.vi.
72) Fig.vii.
73) P.709.
74) P.710, fig.xiv.
75) §iii, pp. 711-2.
76) §iv, p.712, fig.xxi.
77) P.713.
78) Cap.Novantaseies., §iv, p.696, fig.xxvii.
79) Pp. 696, figg. xxviii e 697, fig.xxix.
80) P.
697, fig.xxx.
81) P. 697.
82) Fig.xxxi.
83) P. 698, figg. Xxxii xxxiii.
84) Bisogna tener conto, a tal proposito,
che nella Bibbia le parentele sono
intese in modo diverso da quello odierno, per cui non è mai facile capire se il
termine greco adelphós (che fa da tramite) si riferisce ad un fratello o
ad un cugino. Ad es. nel Vecchio Testamento Aronne è riferito
come fratello di Mosé, ma il Gardner equiparandolo al reggente faraonico (Smenkh)-ara-on ne fa un cugino di Ekhnaton. Per contro, riguardo il cugino Giuseppe
d’Arimatea, lo interpreta come fratello piú vecchio.
85) Gard., op.cit., Cap.13, p.195.
86) Colchester era la
cittadella maggiormente fortificata di Britannia. Da qui nacque nacque il mito di Camelot (op.cit., p.196).
87) Ibid.
come alla prec.
88) Vide
Cap.II, n.540.
89) Grab., op.cit., p.103, fig.100.
90) Grab, cit., p.85, fig.78.
91) P.33, fig.31.
92) P.22, fig.19.
93) Wikim.C., s.v. JONAS AND THE WHALE (CHAPITEAU
MOZAC JONAS 1)
94) Ibid.
come alla n.prec., s.v.
AQUILEIA-BASILICA-GIONA GETTATO SULLA SPIAGGIA (esposizione 33).
95) Ibid.,
s.v.: HORTUS DELICIARUM DER PROPHET JONAS WIRD VOM FISCH BEI NINIVE AUSGESPIEN.
96) Ibid.,
s.v.: JONAS FAÇADE CATHÉDRALE D’AMIENS 190908.
97) Ib.,
s.v.: JONAS REJETÉ PAR LA BALEINE BIBLE DE JEAN XXII.
98) S.v.:
JONAH AND THE WHALE, FOLIO FROM A JAMI AL-TAVARIKH (COMPENDIUM OF CHRONICLES).
99) S.v.:
BAD
AUSSEE BÜRGERSPITALKIRCHE – FRESKO 5 JONAS.
100) S.v.:
JAN BRUEGHEL THE ELDER-JONAS ENTSTEIGT DEM RACHEN DES WALFISCHES-KOMPLETT.
101) Riem.,
op.cit., Cap.II.
102) L’opera è stata scritta fra il 1270 e il
1280. Ne conserviamo un solo
manoscritto, in dotazione alla Biblioteca Nazionale di Torino.
103) A nostro parere i veri 2 motivi dominanti
sono la Coppa e la Lancia, che rappresentano i due opposti e complementari la
cui unione produce fecondità e fertilità.
Questo il vero armamentario del dio della vegetazione, ciò avendo
rapporto colla Terra-cuore e il Raggio Solare (Divino).
104) La Chiesa Cattolica ha sempre negato
l’esistenza del Graal, ma ha avuto come primo vescovo un pescatore, di cui Gesú disse: –Io
ti farò pescatore di uomini.” Inoltre,
nei paramenti pontificali compaiono: a) la Mitria, a forma di testa di pesce
rivolta verso l’alto; b) il Manto Rosso, solare, che è proprio del Re
Pescatore; c) l’Anello del Pescatore, ove per pescatore s’intende il Papa
stesso quale seguace di Pietro. Negando
il Graal, quindi, la Chiesa non fa che negare gli aspetti segreti (interiori)
del culto del Sacro Cuore di Cristo.
105) Amfortas
è la storpiatura di Alfonso, storico re ‘Aragona, che ferito in battaglia si
ritirò nel proprio castello. Si dice
recasse con sé il Calice dell’Ultima Cena, ora conservato nella Cattedrale di
Valencia.
106) Il Castello delle Meraviglie. ha il
pavimento a scacchiera, indubitabilmente in relazione simbolica col Polo.
107) Parsifal è in realtà pure lui un
personaggio storico, essendo nipote di Re Alfonso.
108) Prima di divenire l’amante unica di
Lancillotto lo era di altri: Kay.
109) Her., op.cit.,
Capp. I, §7, pp. 119-20 e II, §3, pp. 192-3.
110) Secondo il Mhbh., Ādip.- cv. 104 il figlio di Parāśara è detto Kṛṣṇa poiché di color nero, ciò che lo identifica
totalmente col Kṛṣṇa della Bhagavad
Gītā. Insomma, il protagonista e l’autore dell’epico
poema sono quasi la stessa persona…, essendo distinti solamente per funzione. Questo problema in ogni caso non deve essere
confuso colla questione dei 2 Kṛṣṇa, di cui ha discusso da tempo senza costrutto la
critica accademica. Cfr. ad es.
l’ingenua tesi della Biardeau riguardo una pretesa convergenza tematica tra
l’auriga mahabharatiano e il bovaro dello Harivaṁśa in M. Biardeau, Études de mythologie hindou (P.
V.: Bhakti et Avatāra, Cap.II, §3 sgg),
riv.cit., pp. 204-36. La verità
è, invece, che si tratta di due distinti Avatāra. Uno, il gopāla,
svolge l propria azione salvifica nell’VIII Ciclo Avatarico e l’altro, lo kṣatriya,
nel IX. Quest’ultimo equivale infatti al
dio pluviale Jagannātha, lett. Il
‘Signore del Mondo’; mentre il precedente è un alter-ego di Balarāma, non per nulla conosciuto quale
“fratello maggiore" di Kṛṣṇa.
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