martedì 27 marzo 2018

Il Re Pescatore e il esce d'Oro, Note al Capitolo I (305-338)






305)       Vide n.248.
306)       Dagda in una poesia moderna ma di stile tradizionale s’identifica al Salmone, non meno di quanto facesse Poseidone col Delfino nell’antica Grecia.
307)       Ac., Le m., §21, pp. 255-6.
308)       L.Chandra, Buddhist Iconography- Aditya P., N.Delhi 1987, Vol.II, p.569, fig.1754.             
309)       Ovvero qualcosa di analogo al ‘Perfetto Maestro’ hindu.  Vide n.274.  Essendo relazionato al Bodhisattva in forma di Mahāmatsya,  funge da Ādirāja (‘Re Primevo’ = Manu) ed è immerso come il Grosso Pesce solo a metà nelle <Acque> (del Vyakta).  L’altra metà è nell’Avyakta.  L’Uomo possiede dunque un ruolo centrale, polare.  Si rammenti al riguardo che nella leggenda mahabharatiana di Adrikamātsya, una volta squartata l’apsaras in forma pescina, è soltanto Satyavatī (non Matsyarāja) a subir l’affidamento al Dāśarāja.  Il Re Pescatore infatti, una volta scomparsa la figura avatarica che lo sovrasta (nella storia il Matsyarāja è simbolicamente condotto presso il Devarāja, ossia nell’Invisibile), dispone dell’Ādiśruti (‘Rivelazione Primeva’) e può far partecipi altri naturalmente perfetti dell’Ātmavidyā (Suprema Visione).  Costoro la trasmetteranno, a loro volta, tramite la Smti (‘Tradizione’) in forma riflessa di Jñana (‘Gnosi’) agl’iniziati.
310)       Ivi s’intende il Buddha, anteriormente alla sua venuta storica.
311)       M.Winternitz, History of Indian Literature- Motilal B., Delhi 1983 (ed.or. Geschichte der Indischen Literatur- K.F. Koehler V., Stoccarda 1922), Vol.II, Sez.III, pp. 10-1.
312)       Gli altri 8 aga sono i seguenti:  1) Sutta (sermoni in prosa), 2) Geyya (sermoni misti di poesia e prosa), 3) Vyākaraa (esegesi); 4) Gāthā (stanze), 5) Udāna (detti concisi), 6) Itivuttaka (brevi discorsi inizianti coll’espressione ‘Sic dixit’), 7) Abbhutadhamma (resoconti dei miracoli), 8) Vedalla (insegnamenti sotto forma di domande e risposte).
313)       Gli altri 4 Nikāya sono il Dīgha, il Majjhima, il Sayutta e l’Aguttara.
314)       Bot., op.cit., P.III, Cap.I, pp. 95-102.
315)       Ecco le altre 14: 1) Khuddakapāṭha, 2) Dhammapada, 3) Udāna, 4) Itivuttaka, 5) Suttanipāta, 6) Vimānavatthu, 7) Petavatthu, 8) Theragāthā, 9) Therīgāthā, 10) Niddesa, 11) Paisambhidāmagga, 12) Apadāna, 13) Buddhavasa, 14) Cariyāpiaka.  Alcune di esse (seconda, quarta e quinta) sono state tradotte in italiano dalla Boringhieri.
316)       Op.cit., p.101.  Il prof. Botto, nostro stimatissimo insegnante di Lingua e Letteratura Sanscrita all’Università di Torino durante il corso di laurea in Lettere Moderne (purtroppo non terminato per cause indipendenti dalla nostra volontà), aggiunge preziosamente (ibid.) che la prima rappresentazione artistica del contenuto dei Jātaka risale al III-II sec. a.C.; ma la reale antichità di tale contenuto va piú addietro della probabile datazione della stesura letteraria di esso, poiché si situa in un contesto panindiano che susciterà analoghe ripercussioni nel Pacatantra, opera induista di epoca classica (II-VI sec. d.C.) composta da Viu Śarman.
317)       Il Bodhisattva è di norma presentato quale precedente incarnazione del Buddha prima di realizzare la Mahābodhi, ma è possibile un’interpretazione piú profonda; come quella adotttata in R.Guénon, Iniziazione e realizzazione spirituale- St.Tradizionali, Torino 1967 (ed.or. Initiation et réalisation spirituelle- Id.Traditionnelles, Parigi 1952), Cap.XXXII, p.273-8.  Guénon spiega come la tappa ultima che questo missionato si rifiuta di fare non implica un’inferiorità né rispetto al Samyakasa-buddha (il comune Budda) né rispetto al Pratyeka-buddha (‘Budda solitario’), ma anzi ne rivela la natura superiore ed universale, al modo dell’islamico Rasūl rispetto al comune Walī  (‘Amico’ di Dio, con cui ha una paricolare intimità) od al piú distinto Nabī  (‘Polo’ dell’umanità).  Nell’induismo del pari l’Avatāra è colui che, oltre alla realizzazione ascendente, compie anche la ridiscesa.  A differenza del Sādhaka (‘Adepto’), il quale compie la realizzazione spirituale solo per sé stesso; o del Satguru (‘Gran Maestro’), che la compie pure lui per gli altri, senza però ridiscendere.  Insomma, su un primo piano stanno Bodhisattva, Avatāra  e Rasūl, capaci di rivolgere una faccia verso l’Immanifesto e l’altra verso il Manifesto a mo’ di soli raggianti che illuminano e riscaldano; su un secondo Buddha, Satguru e Nabī, i quali non agendo esclusivamente per sé costituiscono dei perni per l’umanità, ma non hanno la capacità di trasmettere la Divina Compassione (o Misericordia che dir si voglia) quasi fossero soli raggianti che illuminano ma non riscaldano.  Su un terzo piano sono infine da collocare il Pratyeka-buddha, il Sādhaka e il Walī, paragonabili da parte loro a brillanti soli non raggianti, che detengono la luce solo per sé.
318)       E.B. Cowell (a c. di), Jātaka Stories- The Pali Text Soc., Londra (distr. Routledge & Kegan P., Londra e Boston 1973).
319)       Il Parjanya hindu, ipostasi di Indra.  Cfr., in proposito, Ac., Ap., p.17, nn. 20-1.
320)       Pure i Sinottici, essendo sacre scritture, non possono limitarsi al piano letterale.  Vedremo nelle conclusioni come il tema dei pesci e dei pani debba essere diversamente valorizzato rispetto a quanto comunemente si fa.  Basta rifarsi al Vangelo di Tommaso e, nel contempo, alla saga graaliana.   
321)       Si noterà che nel Buddhismo, un po’ come nel Vishnuismo, si compie una specie di rovesciamento fra il ruolo divino e quello umano: il Bodhisatta corrisponde in qualità di Rivelatore a Brahmā e Pajjunna (Parjanya) in veste di trasmettitore della Tradizione ad Ānanda.  Bisogna tener conto d’un fatto però, che non meno della funzione rivelatrice anche la funzione trasmettitrice ossia ricettiva può essere interpretata in una doppia accezione, umana e divina.  Dal punto di vista umano è il Kūrmāvatāra a svolgere tale compito, mentre da quello divino è Varua che funge da trasmettitore della Tradizione Primordiale, di cui Indra cioè Parjanya ha preso visibilmente il posto – ed è un’eredità dvaparayughica, o mesolitica se preferiamo il linguaggio archeologico a quello cosmologico – tanto nel Vishnuismo vedico quanto nel Buddhismo.
322)       Su questa figura vide Stut., op.cit., s.v. NARA, p.298/ col.b e 299/ col.a.
323)       Il Cowell li chiama ‘Commandaments’, ma come spiega il Dizionario Buddhista di C.Humpreys (Astrolabio-Ubaldini, Roma 1981 (ed.oe. A Popular Dictionary of Buddhiasm- Curzon, Londra 1975, s.v. PRECETTI, pp. 111-2, i Pansil – contr. di Pañca Sila – “non sono comandamenti”, ma semmai “aspirazioni o voti” rivolti al proprio Sé.  Eccone l’elenco: 1) Non uccidere, 2) Non rubare, 3) Non indulgere nella sensualità, 4) Non mentire, 5) Non intossicarsi di bevande o droghe.  La loro recitazione assieme a quella dei ‘Tre Rifugi’ (Buddha, Damma, Saga) costituiva la base del farsi buddhisti.
324)       La stessa storia è raccolta, con qualche variante, in P.Carus, Il Vangelo di Buddha Secondo Antiche Cronache- Laterza, Bari 1980 (I ed.it. 1932; ed.or.ingl. n.c.), pp. 133-4, (n°LXVI).  Alla Tavola di Riferimento, in fondo al libro, si rimanda per il testo sia alle Buddhist Birth Stories or Jātaka Tales (trad. di R.Davids) che al P.T.- ii. 58 (nella trad. ted. In 2 voll. di T.Benfey, Lipsia 1859). 
325)       Simile storia è narrata nel P.T.-i. 12 (noi abbiamo utilizzato la trad. del Pañcatantra a c. di G.Bechis, U.Guanda, Milano 1983), a dimostrazione che buddhismo ed induismo hanno tratto le rispettive storie da un patrimonio favolistico-sapienziale orale  comune.

Tre enormi pesci vivevano in un grande lago.  Si chiamavano ‘Organizzatore-del futuro, Pronto-di spirito e Ciò-che-avverrà.  Sentendo i discorsi dei pescatori il primo di essi s’accorse che costoro intendevano fare una cattura di pesci proprio nel loro lago, per cui pensò di rifugiarsi assieme agli altri due in un lago non solcato da barche.  Ma il secondo dei pesci, molto sicuro di sé, non volle seguirlo; il terzo, da parte sua, non prese alcuna iniziativa.   Un giorno, allorché Organizzatore-del futuro se n’era già andato, i pescatori gettarono la loro rete e dopo che la nassa fu ritirata non rimase pesce in quel lago.  Pronto-di spirito si finse morto, mostrandosi sulla superficie dell’acqua, tanto da spingere i pescatori a rigettarlo nella corrente credendolo morto da sé.  Indi, balzando qua e là, si rifugiò in un’altra pozza d’acqua.   Il povero Ciò-che-avverrà, invece, fu maciullato a randellate unitamente agli altri pesci.
326)       Cfr. Ac., Le Na., p.7.
327)       Vide n.194.
328)       Per un panorama storico effettivo dei fatti qui soggettivamente accennati cfr. Embr., op.cit., Cap.5, §1, pp. 42-5.
329)       R.S. Gupte, Iconography of the Hindus, Buddhists and Jains- D.B. Taraporevala Sons & C., Bombay 1972, pp. 165, fig.51 e 167, fig.60. 
330)       Gup., op.cit., p.177.
331)       Op.cit., p.178.
332)       Ibid.
333)       Ib., p.172, fig.77.
334)       Fig.80.
335)       P.180.
336)       P.182.
337)       P.185.  Nell’induismo esiste un doppione di Varua col Matsya, in origine il vero vāhana del dio delle acque, chiamato Jhulelal.  La cosa interessante è che il nume ha in mano una Verga e giace su un Loto, poggiante sull’Aureo Pesce.  Proprio gli attributi che, come abbiamo supposto in precedenza (vide §q), sono venuti meno nella figura di Varua.
338)       R.P. Srivastava, Art and Archaelogy of Punjab- Sundeep P., Delhi 1990, tav.53.  La pittura è tratta da una copia illustrata della Janam Sākhī (‘Storie di nascite’), opera sikh di valore biografico composta nella prima metà del XVII sec.; posteriormente ai divini inni dell’ Ādi Granth (lett. ‘Primo Libro’, pan.Gurū Grantha Sāhiba), testo sacro del sikhismo, che sono del 1.604.

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