martedì 27 marzo 2018

Il Re Pescatore e il Pesce d'Oro, Capitolo IX e Note al Capitolo IX






Cap. IX

Il motivo ittico
nella letteratura popolare europea




a)  La tematica piscatoria nella fiabistica europea
 del mondo moderno e contemporaneo

Orbene ci siamo qui occupati di pesci, molluschi, crostacei, retttili, mammiferi acquatici ecc. in relazione alle loro valenze mitologiche, iconologiche, storico-religiose ed etnologiche; un ulteriore approfondimento del tema dovrebbe riguardare la letteratura popolare, nell’ambito della quale si possono tracciare molteplici paralleli e varianti rispetto ai testi delle fonti letterarie erudite.  La sapienza misterica contenuta nelle fiabe, è risaputo, non è diversa rispetto a quella trasfusa nei miti appartenenti alle scritture delle culture piú elevate; se non per il tono umile, invero solo in apparenza di stampo etico, e lo stile assai poco magniloquente da esse impiegato.  Ciò naturalmente per il fatto che le tradizioni popolari si rivolgono, a differenza delle tradizioni iniziatiche, al gran pubblico; cioè al popolo tutt’intero, per dirla con un’espressione ormai desueta (1).  Ma i valori fondamentali che trapaiono dalle fiabe, ad una buona lettura, persino sull’argomento in questione non cambiano.  Sempre abbiamo a che far per un verso o per un altro con un Pesce od un Granchio i quali, seppure non appaiano aurei, lucenti od enormi ecc., detengono almeno la facoltà della parola.  Il loro potere magico consiste essenzialmente, secondo un comune canone narrativo, nella capacità di permettere all’Uomo – od all Donna-anima di questi – di ottenere fortuna.  E qualche fiaba piú spregiudicata va anche oltre tal proposito, come accade nella storia cui ora accenneremo.   



b)  La leggenda eurasiatica del Pesciolino d’Oro

      Nella versione tedesca della storia del Pesce Parlante si ha a che fare con un rombo, ad esser precisi, ma non è il caso di formalizzarsi troppo sulla specie biologica del Magnus Piscis in qualsiasi maniera lo si dipinga o lo si voglia chiamare.  Dopo aver ecceduto nei desideri, la moglie d’un umile Pescatore richiede attraverso il numinoso Pesce di divenire addirittura Dio (2).  Essendo via via insoddisfatta delle mete in preceedenza raggiunte (una capanna, un castello, il ruolo di re, quello d’imperatore e di papa, la Moglie dell’uomo – vale a dire la Donna-anima cui ci siamo poc’anzi riferiti – vuole pervenire senza mezzi termini alla meta suprema.  E l’ascesa è colà rovelata magnificamente, con brevi cenni all’umore del mare; dapprima calmo, indi man mano sempre piú tempestoso, fino al tragico sconquasso finale con rovinío di monti ed infuriar di venti.  In ta modo ecco che la verità sconvolgente viene a galla e la famigliola di pescatori – fuor di metafora, l’Uomo e la sua Anima – perde tutto quel che è riuscita a conquistare sino allora.  Nell’Unione con il Divino i due emblematici coniugi perdono ogni cosa e dal trono papale la Donna-anima ritorna in men che non si dica all’umile tugurio dove prima ella viveva miseramente.  La punizione, che solo per un falso scrupolo moralistico risulta tale alle orecchie degl’ingenui, è invero una sottile allusione alla somma verità gnoseologica.  Tutti gli esseri, al di là delle loro brame terrene e dei loro specifici ruoli, appaiono alla Divinità per quel che essi veramente sono e cioè dei semplici riflessi umani della propria Luce.    Desiderare qualcosa di piú di quel che si è, da questo punto di vista, è già porsi al di là dell’Ordine Divino.  L’ordine umano, d’altronde è transeunte, instabile.  Perciò, potremmo valutare il metaforico ritorno del ‘Pescatore’ e della ‘Donna’ alla loro primaria condizione esistenziale non già una mortificazione punitiva per aver troppo osato; bensí un riacquisto in termini puramente ontologici, del proprio Sé.  La versione russa, di certo quella maggiormente antica rispetto alla versione dei Fratelli Grimm, pone quale meta finale l’Unione colla Gran Madre, che shakticamente azzera le mete precedenti in egual modo.  L’unione vera colla Divinità porta, infatti, all’azzeramento di tutto il resto, poiché Ella è lo Zero Metafisico. 



c)  Universalità del tema ittico

      Se pigliamo dall’Evangelium il ‘Discorso della Montagna’ e lo intendiamo, tuttavia, esotericamente giungiamo egualmente ad una consapevolezza dell’Unità Divina di tutte le creature.  ‘Diventare Dio’ è lo scopo finale di tutte le pratiche di realizzazione spirituale, mediante le quali ci s’impegna ad ottenere una meta conoscitiva, che si tramanda sia venuta meno colla perdita dello stato paradisiaco.  Una volta raggiunta la meta, nell’intimo del proprio cuore, ci si accorge – cosí insegna la tradizione estremo orientale – di non averla in realtà mai perduta.  Ad analoghe conclusioni ci spingno le storie avatariche indiane dell’Aureo Pesce, con le due varianti del Grande Pesce e del Pesce Unicorne.  Ed, altrettanto, le corrispondenti fiabe popolari europee del Pesciolino d’Oro e del Principe Pesce; i quali si trasformanoo alternativamente in un Principe Granchio o in un Gambero dalle Uova d’Oro, o che altro.  Tutti codesti personaggi ora nominati, abbiano essi una natura zoomorfica, semizoomorfica od antropomorfica, ad ogni buon conto valgono nell’insieme a testimoniarci che sebbene di fronte agli uomini taluni privilegiati possano apparire come messaggeri celesti, ciononostante esiste una via spirituale la quale conduce l’iniziato – in altre parole il resto dell’umanità, perché la Rivelazione nei tempi ultimi non è destinata alla sola élite intellettuale – a ritornare ciò che egli era in principio: ossia, una manifestazione parziale della Divinità.  L’Umanità anzi tutta la Manifestazione nel suo complesso, intendendola in senso shaktico alla maniera induista, serba in sé il Seme Divino, che è descritto con colori differenziati a seconda della meta raggiunta dall’iniziato.  Il color Aureo (od il Rosso), cosí come a volte il Bianco, indica il maggior grado d’approssimazione tramite cui è possibile contemplare in sé tale ‘Seme’ (lat. Sēmen, gr. Sītos, scr. Soma, ir. Haoma).  Valutando le cose da un punto di vista metempirico e transumano è chiaro che ogni creatura, non solo gli esseri umani, contiene universalmente in sé la possibilità finale di elevarsi fino all’Unione con la Divinità.   



d)  Considerazioni finali

      Quale differenza sostanziale è quindi da porre tra un missionato, (3) od un messaggero celeste che dir si voglia, ed un normale essere umano?  La differenza, ovviamente, è soltanto di ruoli.  Ossia gli è che il missionato, per sua grazia, è capace di comprendere quanto detto – in riferimento alla natura divina di ogni ente – come una splendida verità, insomma senza alcuna reale dualità; ciò, naturalmente, in maniera piú o meno approssimata, in rapporto ai periodi ciclici dell’umanità.  Realizzando in sé il frutto di codesta comprensione, egli è letteralmente in grado di giungere ad un’ininterrotta ed informale contemplazione della Luce dello Spirito Divino.  Per gli altri, c’è solo una piccola distinzione rispetto al medesimo fine; non nella loro meta, bensí nel loro metodo, che li sprona a percorrere una via meno diretta (4), sebbene anch’essa pur sempre tutta interiore.  E ciò fa sí che essi, illusoriamente, credano di essere qualcos’altro che non degli Avatāra; ovvero, delle perfette manifestazioni della Natura Divina.  Nel gran teatro del Mondo – il quale è da molte tradizioni altrimenti paragonato ad un Oceano ove ribolle la vita – la cosa diviene possibile sol perché le ‘Acque’, cioè le Forme allontanano il ‘Pesce’ dal ‘Pescatore’, celando il primo alla mente del secondo…  O, se preferiamo diversamente dire, il ‘Pescatore’ ritrova alfine nel ‘Pesce’ (del quale abbiamo piú volte fatto presente la fisionomia sostanzialmente aurea, unicorne e di eccedenti proporzioni)(5) la sua natura luminosa, incorrotta ed eterna.       






Note al Cap.IX


1)     Codesto principio è stato sfruttato ritualmente nel caso in cui, presso certe tradizioni pre-letterate, si induceva in un determinato animale allevato ed addomesticato a scopo sacrificale (in funzione di messaggero celeste) uno stato di sofferenza indicibile; onde liberare l’anima del malcapitato – si fa per dire – dalla prigione degli istinti che l’ottenebrava, facendogli credere di essere qualcosa di diverso da quello che esso realmente era.  Inutile aggiungere che tali pratiche si giustificavano collo scopo d’insegnare agli uomini a svincolare la propria anima dai legami inferiori che la limitavano, maculandola, al fine di ristabilire a beneficio dell’intera comunità quell’indiretta comunicazione coll’Assoluto che altrimenti solo una manifestazione plenaria della Divinità (quale un Avatara od un Profeta ecc.) sarebbe stata in grado di assicurare.  Eguale compito poteva un tempo esser svolto ancor meglio da un essere umano, magari da un semplice devoto, piú o meno qualificato; o da un innocente minorenne martirizzato per ottenere finalità che a noi nella nostra prospettiva di occidentali civilizzati potrebbero apparire sicuramente assai banali, se non addirittura ripugnanti.  Si conoscono casi, ad es., in base alla testimonianza di certi antropologi di sacrifici d’infanti fra certe tribú oceaniane
 nei quali il beneficio richiesto era solo la felice inaugurazione d’una rimessa per barche.  Certo per questa strada, è lecito però arguire, debbono indubbiamente esser avvenute molte degenerazioni rituali in ogni dove ed in ogni tempo, con conseguente dispersione del significato originario del Sacrificio.  Va infine precisato che l’atteggiamento sacrificale non è primordiale, non potrebbe mai esserlo essendo la prerogativa di un animo già corrotto, è l’atto conseguente alla perdita dell’innocenza paradisiaca.  Nel Paradiso Terrestre, serve ricordarlo, non si compivano sacrifici.  Nessun atto di violenza veniva compiuto.
2)     Segno che il mito originario, donde la storia è stata tratta, puntava decisamente in tale direzione quale oggetto evidentemente d’una trasformazione interiore.
3)     Nell’impiego di tale termine ci rifacciamo visibilmente a Guénon.
4)     Non ci riferiamo qui alla via indiretta esteriore del rituale indicato alla n.1, ma piuttosto alla normale pratica esoterica; la quale era affrontata una volta forse da esseri particolarmente qualificati, quantunque la stessa non si addicesse a coloro che erano destinati ad una missione di tipo profetico o messianico.  Ciò tuttavia non vale piú per il presente, siccome l’umanità nel suo insieme appare totalmente degenerata e una distinzione fra eletti e non eletti risulterebbe ormai fuori luogo.  Per lo meno nella disposizione generale.  Poi, è chiaro che la qualifica di ciascuno farà sí che egli giunga o meno alla meta.  Ma tutto ciò senza quelle preclusioni peculiari che in tempi passati qualsiasi ordine iniziatico doveva garantire, in linea con un determinato momento ciclico.   Intendiamo insomma affermare che oggidí certi segni esteriori i quali erano indicatori un tempo di una particolare qualifica interiore o, al contrario, d’un infelice disposizione d’animo, non vanno piú presi alla lettera, dovendosi invece badare al sodo e facendo in modo che ciascuno sviluppi sé medesimo secondo le proprie possibilità.  Sarà perciò il Cielo in persona d’ora in poi, senza piú mediazione umana, a stabilire uno iato fra i ‘Figli delle Tenebre’ e i ‘Figli della Luce’.  Al profano, o meglio al non qualificato, verrà automaticamente sbarrata la Via dal proprio stesso cammino sin qua percorso, che alla “fine dei tempi” (peraltro già avvenuta formalmente il 3 maggio del 2000 colla settemplice congiunzione planetaria nel Segno del Toro) lo condurrà direttamente in un precipizio; viceversa all’iniziato, cioè all’eletto (in pratica a colui che avrà veramente ottenuto una realizzazione spirituale, indipendentemente dalla qualifica personale), si apriranno le porte di un Eden finalmente ritrovato, dove l’interiore e l’esteriore appariranno di nuovo in armonia come ai tempi mitici della Creazione.
5)     Vogliamo concludere il nostro discorso con l’indovinello rintracciabile in una fiaba scandinava, che il Thompson (S. Thompson, The Folktale- Univ. of Cal., Berkeley-L.Angeles-Londra 1977, P.II, Cap.II, 8.C, p.123; I ed. Holt, Rinehart and Winston 1947) classifica sotto forma ‘Born from a Fish’.  Esso racconta di un uomo il quale aveva pescato un Pesce Miracoloso, con cui intendeva sfamare la moglie; ma che finisce in seguito per ingoiarlo lui stesso, divenendo gravido.  Una Fanciulla-anima fuoriesce dal ginocchio del Pescatore ed è accompagnata dagli Uccelli in un Nido; da interpretare, evidentemente, come un Nido shamanico sull’Albero del Mondo.  Ella è alfine vista dal Re, che vorrebbe maritarla, ma è alfine bandita dal Regno.  Accortosi dell’errore, il Sovrano è costretto a cercarla per mezzo d’un indovinello che si addice a lei sola; la formula esteriore dell’enigma suona cosí: “chi è Colei che ha per padre un Pesce e per madre un Uomo?  Avendo letto attentamente queste nostre considerazioni, si troverà facilmente risposta al quesito.

Nessun commento:

Posta un commento