martedì 27 marzo 2018

Il Re Pescatore e il Pesce d'Oro, Note al Capitolo III






Note al Cap.III


1)          Tale, almeno, la reputa il Cook; cfr. Co., op.cit., Vol.II, P.I, Cap.II, §3.a (iii.omicron), p.205, fig.144.
2)          Cfr. M. Bussagli, Bronzi cinesi- F.lli Fabbri, Milano 1966, Cap.II (n.num.), pp. 7-41, figg. 8-9 e 14-5; inoltre, W. Willets, Origini dell’arte cionese. Dalla ceramica neolitica all’architettura moderna- Silvana Edit., Cinisello B. [Mi] 1968 (ed.or. Origin of Chinese Art- Thames & Hudson, Londra 1965), pp. 80-94 (tavv. E figg.incl.).
3)          Co., cit., pp. 194-9 (illustrazioni comprese).
4)          Diversamente dal Cook crediamo che l’iconografia di Zeus in veste speciale di ‘Pilastro Cosmico’ (§iii.epsilon sgg) sia in qualche modo distinta rispetto a quella, pur analoga, di Apollo come ‘Colonna’; dato che vi è fra i due numi una sostanziale alterità riguardo l’appartenenza ad una determinata generazione divina, piú o meno come accade in India tra Viu e Śiva.
5)          Cfr. Gué., Simb., passim; ed., in particolare, i §§ 8, 25, 31 e 51.
6)          Ibid. come alla n.4, p.194, fig.134.
7)          Stut., op.cit., s.v. VĀMANA, pp. 467/ col.b e 468/ col.a.
8)          A riprova di quanto abbiamo ora asserito il Treppiede è collocato a volte  sulla cima del ‘Pilastro’, al posto del Braciere (Co., op.cit., di seguito a p.198, tav.XII/ b-c), e quale evidente simulacro del ‘Fuoco Solare’.
9)          Ibid. come alla 1.
10)        In una pittura in nero d’una grotta di Lescaux (Dordogna), pittura valutata a suo tempo dai paletnologi (P.Preziosi, L’arte dell’antica Età della Pietra- Le Lettere, Firenze 1987 (I ed. 1956), tav.277/b, con comm. a p.275) ”la più complessa delle rare composizioni scenografiche dell’arte franco-cantabrica”, osserviamo un bisonte che pare attaccare un essere itifallico ornitocefalo.  Accanto ad essi troviamo il simulacro dell’Uccello Monopode, coll’Unico Piede allungato assialmente.  In maniera analoga si possono incontrare nella preistoria dell’India (VS. Wakankar & R.R.R. Brooks, Stone Age Painting in India-  Taraporevala, Bombay 1976, p.56., figg. n.numm. supra et infra ridisegnate a mano libera dal primo dei due coautori) delle rappresentazioni parallele dello stesso tema, concernenti uno o piú Garutman Ekapāda in forma di pavoni stilizzati come ricorrono nell’antica Civiltà dell’Indo, per la verità un po piú tarda cronologicamente; ai quali è giusto assegnare, in linea di massima, un significato simbolico non troppo dissimile da quello della figura antecedente.  Le immagini indiane ora considerate, ritratte sulle pareti di alcuni ripari rocciosi del subcontinente (Sujampura) e relative a determinate culture tribali di epoca neolitica o calcolitica, sono immerse in un contesto venatorio maggiormente accentuato rispetto all’icona aviforme poco addietro analizzata del Paleolitico europeo; l’assialità delle Gambe-verghe dei vari uccelli mostra inoltre una linearità meno rigorosa spuntando in esse due strani peduncoli sovrapposti, che potrebbero però suddividerle in modo ternario, sí da evocare simbolicamente il Tribhuvana (‘Trimundio’).  Per un approfondimento cfr. Ac., Il culto di P., passim.
11)        Per l’Albero Alchemico vedi un disegno svizzero del 1.550 tratto dal Manoscritto alchimistico della Bibl. dell’Univ. di Basilea e riporatato da E.Neum., op.cit., tav.110 (con rimando al comm. di Jung in ‘Psicologia ed alchimia’, s.v. TREE); od in alternativa da T.Burckhardt, L’alchimia- Lugano 1976 (ed.or. n.cit.), fig. n.num. a fr. di p.102.  Sul Caduceo ermetico vide Bur., op.cit., p.114, fig. n.num.  La prima delle due raffigurazioni considerate allude al compimento delle sette fasi del magisterio alchemico, configurandolo come autopercezione da parte dell’anima umana, tornata alla sua natura originaria ed immacolata (e ritratta quale tronco dell’Albero della Vita ossia in veste di ‘Regina del Cosmo’, siccome illuminata dallo Spirito, figurativamente collocato in aspetto ornitomorfico sulla corona della ‘Donna Nuda’) della propria identità coll’Anima Mundi.  Cfr. coll’immagine teologica della Colomba dello Spirito Santo, che feconda la Santissima Vergine; mentre la seconda descrive piú semplicemente la <Verga> quale elemento unitario ed ordinatore del mondo interiore, con riferimento alle forze occulte presenti nella regione vertebrale, rispetto alle due potenze cosmiche antagonistiche fronteggiantisi all’interno dell’individuo.  Una similare rappresentazione coll’Uccello Solare sull’Arbor Mundi, invero un albero a sette rami (cfr. Ac., La simb., pp. 37-8 n.19), è rintracciabile anche nella cultura precolombiana.  Anziché tale <Uccello> rinveniamo a volte sull’Albero del Mondo direttamente il Sole.  Cfr. Neu., p.243, fig.53, da un papiro egizio della XVII Dinastia.  Altre volte al luminare diurno è contrapposta ai piedi del solito albero la Luna, svolgente le veci del Serpente.
12)        Ossia gli stessi colori dei ‘Tre Volti’ della Grande Dea’.  Vide infra, nonché Grav., op.cit., §56, p.172, n.1.  Il Graves (ibid., §90, p.278, n.3) è  inoltre dell’opinione che si abbia a che fare con una tematica omologa pure per quel che concerne i ‘Tre Colori’ vuoi del Toro di Minosse, generante a Pasife il Minotauro, vuoi del Toro rapitore di Europa; nonché riguardo l’analoga colorazione della Vacca Lunare (Io, alter-ego di Hera).  E che persino nel caso del Corno Tripartito dell’Unicorno, del quale è fatto cenno nelle νδικά di Ctesia, valga un’interpretazione equivalente.  Il che è assolutamente incontestabile.  L’autore non comprende bene, comunque, che si tratta di emblemi ermetico-alchemici; quantunque nemmeno la spiegazione calendariale da lui propugnata, se opportunamente riveduta e corretta, non sia da escludere in parallelo.
13)        Il ruolo spaziale del Tripode delfico è strettamente legato a quello temporale.  Infatti è evidente che il Sole nei suoi passaggi vari attraverso le fasi cronologiche raffigurate plasticamente dai ‘Tre Piedi’ era come se tracciasse ‘Tre Passi’, circoscrivendo 3 corrispondenti estensioni dello spazio.  La qual cosa doveva di necessità sottintendere che il moto ascensionale giornaliero dell’astro diurno all’equinozio primaverile, dal punto aurorale a quello meridiano, delimitasse per così dire la regione atmosferica; l’opposto movimento la contrada terrena e la fase intermedia, relativa alla posizione zenitale del Sole, il dominio  celeste.
14)        Pure nel racconto avatarico di Vāmana, figura dai tratti eminentemente solari, esistono infatti gli stessi presupposti onde applicare al significato temporale dei suoi <Passi> un senso spaziale equivalente.  Con ovvio riferimento al Tribhuvana (Svar, Bhuvar e Bhūr), l’aggiunta dei Patāla essendo solo successiva.  Vedi ad es. la V.S.- v. 15 e 18-20, ove ricorre esplicitamente l’accezione spaziale, sottintesa peraltro già nel gveda.
15)        Buss., op.cit., pp. 34-40.
16)        Da non confondere collo Shih Ching (‘Libro della Poesia’), uno dei 5 classici confuciani, questo piú tardo testo è stato redatto da 2 storici di corte (padre e figlio)  sotto l’Imperatore Wu (140-87 a.C.); narra la storia cinese dall’Epoca di Huang-Ti (2.600 a.C.) all’Epoca della Prima Dinastia Han (100 a.C.), fino appunto a Wu, sotto il quale  a giudizio di H.Franke & R.Trauzettel (L’impero cinese- Feltrinelli, Milano 1969, Cap.3, §II, p.89; ed.or. Das Chinesische Kaiserreich- Fischer B., Francoforte sul Meno 1968) la struttura interna e la posizione esterna della Cina – nei confronti degli Unni Orientali – si rafforzarono notevolmente e l’impero cinese divenne un imperium universale”.
17)        Dato che in Cina i treppiedi di tipo vascolare (ting, li) risultano associati fin da Epoca Shang (1.751-1.111 ?) agli Antenati (op.cit., pp. 22, fig.8 e 27, fig.9), in onore dei quali si offrivano libagioni, crediamo non sia troppo azzardato supporre che essi abbiano arcaiche origini shamaniche.  Il che deve esser avvenuto tramite una produzione locale in terracotta, senza dubbio precedente rispetto alle forme in bronzo (Will., op.cit., p.21, fig.1/a); com’è rilevabile dal reperimento d’un modello ceramico preistorico, prototipo del Li, portato alla luce negli scavi dell’Andersson ed avente gli stessi caratteri di altri treppiedi coevi (ibid., figg. 1/b-d) che compaiono su grafi ossei di valore scapulomantico.
18)        L’autore (Buss., op.cit., p.8-9).  non nega una parentela dei tripodi cinesi coi prodotti metallurgici degli ambienti shamanici centroasiatici e sud-siberiani, ma si chiede diffusionisticamente in quale senso sia avvenuto il prestito.
19)        L’aspetto magico-oracolare sia dei Treppiedi cinesi che di quelli greci rende assodata, necessariamente, la loro origine shamanica.      
20)        P.Demargne, Arte egea- Rizzoli, Milano 1964 (ed.or. Naissance de l’art grec- Gallimard, Parigi 1964), Pri.p., Cap.I, p.17, fig.15.
21)        Il V Avatāra definito il ‘Nano’, pur essendo annoverabile in linea di massima tra le ‘Discese’ del dio Viu parimenti a tutte le altre incarnazioni parallele di codesto nume, può nondimeno essere omologato al dio Śiva.  Si analizzi il volto similare di questi nell’aspetto di Vāmadeva (vide Cap.I, §u e n.206.), cioè di deità naniforme.  Difatti tale nume assume talvolta l’aspetto denominato Tripādamūrti, od alternativamente quella di Ekapādamūrti, quando non un ibrido fra le due (Ekapādatrimūrti).  Quest’ultima viene rappresentata da un’unica ‘Gamba’ centrale e da altre due laterali, fuoriuscenti dai fianchi o dalle cosce della figura centrale di Śiva insieme ai busti rispettivi di Brahmā e di Viu.  Cfr. H.K. Sastri, South-Indian Images of  Gods and Goddesses- Bhartiya P.H., Delhi 1974, Cap.IV, pp. 97-9, figg. 59-60.
22)        Vide in generale Cap.V, §i.  Bali secondo il Vaikhānasāgama dovrebbe apparire in veste dorata e reggere un vaso sacrificale altrettanto dorato (G. Rao, Elements of Hindu Iconography- The Law Print.H., Madras 1914, Vol.1, P.I, pp. 166-7 ss).  L’Imperatore Bali è talora raffigurato assieme al purohita Śukra, che cerca di dissuaderlo dall’elargire il fatidico dono a Vāmana donde rimarrà irrimediabilmente schiacciato.  Nella scena compare a volte anche la consorte dell’asura, che assieme a questi è posta con lui nei Pātāa-loka.  Ora Bali è ritratto nell’atto di versare acqua onorifica sui piedi del V Avatāra.
23)        Stut., op.cit., s.v.: VĀMANA, p.468/ col.a.
24)        Per compiere i ‘Quattro Passi’ Trivikrama ricorre, opportunamente, a quattro tipi diversi di metri vedici (Gāyatrī, Triubhī, Jagatī e Anuubh); dei primi tre si parla, del pari, nella V.S.- i, vs.25.  Ciò va messo in correlazione ad ogni modo, per il motivo appena spiegato, coi ‘Sette Metri’ dei quali è data notizia piú genericamente nella .S.- i. 22, 16.  Ad essi si allude anche nella V.S.- xvii, vs.92.  In tale contesto il tema dei Sette Metri vedici, che riteniamo debba esser affiancato a quello dei Sette Hotar (ibid., vv. 57-8) – ciascuno abbinato ad una stagione bimestrale prefissata, a parte il Settimo (denominato Brahman), fungente da supervisore del Sacrificio – od ad altri settenari analoghi, ritorna sotto forma delle Sette Mani di Agni; le quali in base al comm. di Sāyaa (R.T.H. Griffith, Yajurveda or Vājasaneya-Sahitā- Munshiram M., N.Delhi 1987 [revis. Della traduz. del 1899, ediz. n.cit.], p.175, n.91) sarebbero da intendere da un lato come i Sette Raggi del Sole e dall’altro appunto come i Sette Metri del Veda, indubbiamente connessi ai precedenti.  Si noti, ancora, che i ‘Tre Passi’ equinoziali aggiuntivi ai ‘Quattro Passi’ di Trivikrama sono talora ascritti a Savitar anziché a Viu (V.S.- vi, vv. 2-3); cosa che prova se non altro la veridicità dell’interpretazione solare da noi adottata in proposito ed il perfetto parallelismo delle ‘Orme’ del V Avatāra coi ‘Piedi’ del Tripode delfico, quantunque quest’ultimo risalga idealmente al ciclo successivo.  Non a caso, proprio nel calendario dedicato ad Apollo era sacro in Grecia il numero 7 quale cifra misterica (vedi il comm. del Càssola agli Inni Omerici, pp. 84-5).  Cfr. i ‘Sette Raggi’ sul capo di Hlios nell’iconografia di cotale nume.  Parimenti l’invocazione delle Sette Vyāhti (mitologicamente personificate come le figlie di Savitar e Pśnī, il Sole e la Terra, personificata come maculata vacca dell’abbondanza), ossia le denominazioni mistiche dei Mondi (Loka: Bhūr, Bhuvar, Svar, Mahar, Janar, Tapar e Satya), delle quali le prime tre possseggono uno speciale rilievo spirituale nelle formule di preghiera giornaliere dei Brāhmaa, rientrano pienamente nella simbologia tri-settenaria quivi considerata.  
25)        Perché mai i Quartieri?  Il problema è complesso e concerne  l’esistenza sicuramente d’un vetusto calendario solare di carattere bimestrale (perdurato in India nella veste di calendario esa-stagionale), cui si è in precedenza – vide Cap.II, n.147 – fatto cenno.   Questo deriva, in tutta evidenza, da uno ancor piú vetusto a carattere trimestrale e tetra-stagionale Per meglio spiegarci, il ‘Quarto Passo’ è da concepire come un’allusione ai Quattro Quartieri; che non equivalgono però ai Punti Cardinali, bensí ai loro Punti Intermedi.  In sede superna questi ultimi vengono a coincidere colle posizioni annuali del Sole, nel quadrilatero celeste, all’alba ed al tramonto dei due solstizi; codeste posizioni primarie si assommeranno successivamente (nel VII Ciclo Avatarico) a tre altre, costituite dai passaggi equinoziali eminenti dell’astro nel cielo diurno (ad Oriente, allo Zenit e ad Occidente).  Ciò, è ovvio, avverrà gradualmente ponendo dapprima una quinta posizione solare (zenitale) già nel V Ciclo; cui si sostituirà lo schema a doppio triangolo rovesciato (emblema di Paraśurāma) nel VI, riassumendole alfine tutte e tre nel VII.
26)         Nel passo succitato Viu è qualificato come Mga (vs.2), o Toro (vv. 3 e 6), dimorante sul ‘Monte’.  Cfr. il testo sanscrito, poiché i due termini vengono male interpretati dai traduttori.  Il ‘Quarto Passo’ è definito nel contesto (vv. 5-6) “Orma Suprema” del Toro e “Fonte del Dolce Liquore” (il Soma).  Adattando la simbolica delle ’Orme’ ai P.Cardinali, ne deduciamo che lo Zenit debba essere associato al Sud e al Mezzodí; il Nadir, viceversa, al Nord e alla Mezzanotte.  Potremmo fornire in aggiunta, volendo, un’applicaziione epocale di tale simbolica; ma il soggetto ci porterebbe via troppo spazio, onde occorre riviarlo ad altro scritto.  Segnaliamo solo il fatto che nella Quarta Epoca, cioè nell’Età del Ferro, l’applicazione dei simboli era di necessità invertita rispetto all’Età dell’Argento, in cui essi sono venuti alla luce.  L’apparente incongruenza fra il passo yajurvedico e quello rigvedico, summenzionati, dipende dal fatto che il primo costituisce un adattamento testuale della sapienza vedica al Kaliyuga; mentre il secondo, piú vetusto, ci richiama all’accezione primordiale – risalente al Tretāyuga – del mitologhema dei ‘Passi’.  Donde consegue indirettamente che nella Seconda Epoca era il Nadir, cioè il Nord (dal punto di vista delle costellazioni , sebbene in realtà posteriore, il Capricorno o il Delfino), a rappresentare l’<Orma Suprema>; invece nella Quarta, l’epoca ciclica in cui abbiamo iniziato la stesura di codesto libro (ma non lo è piú attualmente), era lo Zenit e cioè il Sud (da associare astralmente al Granchio Celeste od al Polpo) ad individuarla.  Ecco perché abbiamo un emblema del ‘Fondo delle Acque’ alla base del Tripode Alato, prima discusso, in contrapposizione ad Apollo Delfinio (insomma al Delfino, vale a dire all’Apollo Iperboreo); ad indicare il ‘Quarto Passo’ del Sole al Solstizio Estivo, momento in cui naturalmente l’identificazione del Raggio Solare colla Dea Madre Luniterrestre giunge al suo culmine annuale, dando origine indi ad un nuovo ciclo generativo.        
27)         Vi è un’ennesima facies di Śiva nota col nome di Ekapāda od Ajaikapāda (a <Testa Caprina>) e dotata di una sola <Gamba> (lett. ‘Piede’).  Il Parpola (Parp., Sanskr., passim), da parte sua, ha supposto che il termine dravidico kāl (‘gamba, piede’, specialmente di quadrupede taurino; ovvero ‘quarto’ del quadrante del cerchio) fosse la base filologica del scr. kāla (‘tempo, stagione’); di contro all’ipotesi di M. Mayrhofer e F.B.J. Kuiper, da lui respinta, che l’ultimo termine menzionato provenisse dal tema indoeuropeo *qwel (‘muovere, muoversi’).  Contrariamente a quanto sostenuto dall’autore citato, a nostro avviso la voce kāl ha una controparte nelle lingue indoeuropee.  Cfr. il s.lat. crūs, crūris (‘gamba di animale, zampa’), indubbiamente da collegare a cal-x (‘calcagno, calcio’); donde abbiamo pure la voce cal-cān-e-us (‘calcagno’, diminuitivo con raddoppiamento del tema, allungamento e nasalizzazione del medesimo), nonché il vr. cal-c-o (‘calcare, posare il piede su, calpestare, camminare sopra’).  Cfr. pure in greco il vr. kél-o-mai (‘metter in moto, spingere, stimolare’), donde il s.m. kél-ōr (‘moto, spinta’), e la var. kél-l-ō (‘procedere rapidamente’); inoltre in latino l’a.m. cel-er (‘celere, rapido’), oltre alla var. dentalizzata e con prefisso direzionale pro-cēd-o (‘andare o muovere innanzi, procedere, camminare’).  Vedi ancora in sanscrito il vr. car (‘andare attorno, muovere; muoversi, camminare’), nonché la var. omonima car col senso di ‘andar via, muoversi dal proprio corso abituale; tramontare, trascorrere; spingere, stimolare’) ed inoltre kl-u (‘muovere’).  Si noti che, curiosamente, il sostantivo inglese leg (‘gamba’) ha lo stesso tema formato da una gutturale piú una liquida, ma invertito, forse perché in tempi arcaici la scrittura valeva in un senso o nell’altro.  Riguardo l’accezione di ‘quarto’ del suddetto vocabolo dravidico, facciamo ulteriormente notare che il lat. quar-t-us, cosí come il scr. tur-y-a/ tur-īy-a (var. con raddoppiamento ca-tur-tha), lo zend kh-tuir-i-a, il gr. té-tar-tos. e l’ingl. four-th – dentalizzazioni, labializzazioni, raddoppiamenti, aspirazioni o metatesi consonantiche a parte – mostrano a grado zero dell’apofonia vocalica la medesima radice della serie precedente; la cui rad. è qw/ qwḷ-, ove la cosidetta labiovelare *qw rappresenta a nostro giudizio un passaggio intermedio fra il vetustisssimo tema *w/w e quello successivo *k/k (in ordine ciclico-temporale, come gli dèi Varua ed Ouranós rispetto a Kāla e Chrónos) piuttosto che una base donde debbano derivare entrambi.  Si analizzi sull’argomento il nostro libro on line (in via di stesura, ma già consultabile a partire dal 1-01-18 sul blog STUDI INDOEUROPEI), La Lingua Celeste: Nūmina nōmina.  Da tutto ciò se ne deve dedurre che la radice cosí postulata è necessariamente pre-indouropea ed insieme pre-dravidica e che le vane speculazioni tese a dimostrarne l’appartenza alla filologia dell’una o dell’altra famiglia linguistica indicata non hanno motivo d’esistere, fino a che non si sia stabilito con sicurezza – cosa peraltro asssolutamente irta di difficoltà – donde provengano le etnie parlanti codesti due ceppi linguistici.  Siccome personalmente crediamo che tali etnie discendano dall’Atlantide, insomma dall’America preistorica, crediamo che non abbiano nulla a che fare colle voci considerate e che queste costituiscano l’eredità d’una cultura eurasiatica precedente al loro arrivo nel Vecchio Continente, ossia paleolitica.  Ci conforta nella nostra tesi il fatto che, essendo le due serie succitate legate visibilmente a numi primordiali quali Urano e Crono (Chrono), esse non possono che appartenere al ramo paleo-turanico la prima (√wṛ/ -ḷ-) e a quello autronesiano la seconda (√kṛ/ -ḷ-).  Poiché quest’ultimo deriva da quello per dissimilazione etno-culturale.
28)         Ac., La legg., pp. 154-5, n.6.
29)         Le proporzioni delle parti della ‘Parola’ possono non solo essere invertite, nella loro suddivisione simbolica tra l’Immanifesto e il Manifesto, ma addirittura variate rispetto a quanto qui dichiarato da parte nostra ovverosia dimezzate.  La medesima cosa avviene nella relazione tra i ‘Passi’ solari.  Vedi la simbolica rigvedica precedentemente menzionata del Parama Padam, ove sono i ‘Tre Passi’ a costituire il Manifestato; ed il Quarto Passo, quello supremo, a rappresentatare il Non Manifestato.
30)       Sul Polipo – nel senso greco di Polýpous e cioè di ‘Polpo, Seppia, Calamaro’ – ed il Delfino quali emblemi equivalenti rispettivamente del Cancro e del Capricorno zodiacali vide Guen., Simb., §22, pp. 136, n.2 e 139, n.14, con rifacimenti espliciti dell’autore a L. Charbonneau-Lessay.
31)        Un punto di vista analogo, ma applicato al mondo cristiano, è espresso in Charb.-L., op.cit., Cap. Centes., p.724.  I Crostacei (Granchio, Gambero Aagosta) nel simbolismo cristiano hanno un significato positivo a differenza dei Molluschi (Polpo, Seppia, Calamaro), rappresentando l’invulnerabilità del Cristo.  Granchi, talora con volto umano, incarnano il Redentore in particolari monete siciliane (Agrigento). Ibid., figg. ii-iii.  Anche il Gambero, od altro crostaceo simile, parrebbe incluso nella prima delle due.  Mentre il Polpo e consimili alludono alla Piovra satanica, che come avviene in una pietra incisa della Coll. Foggini (ib., p.725, fig.iv), sembra voler acchiappare il Pesce per divorarlo.  Un altro crostaceo, inciso in una fibula di bronzo (fig.viii) ha l’aspetto d’un decapode (gambro od aragosta che sia) e anche in questo caso assume un significato positivo. 
32)        G.Gemoll, Vocabolario Greco-Italiano- R.Sandron, Palermo-Milano 1922 (ed.or. n.cit., F.Tempsky, Vienna 1908), s.v. KARKINOS, p.434/ col.b.  Cfr. in latino la voce parallela car-cer (‘cancelli, sbarre; carcere, prigione’) ed il suo dimin.can-cel-l-i (id., ma senza il senso traslato del primo termine), sostantivi senza dubbio derivati dal concetto antecedente del solstizio estivo come porta o cancello cieli-solare.
33)        Non stiamo qui a discutere l’origine vera di tale etimi, ma pigliamo semplicemente atto che tali denominazioni (gr. Kār, scr. Kāl-a, lat. Càel-us) sono presenti nel linguaggio indoeuropeo, avendo voci correlate in ciascuna delle lingue citate.
34)        Ac., Le ‘Caste’, p.26.
35)        Si ha ivi un raddoppiamento parziale del tema, come in cir-c-us (‘cerchio, circonferenza, orbita celeste’).
36)        Mor., op.cit., s.v. DEMETRA, p.164/ col.a.
37)        Ac., La simb., pp. 28-9, n.7.
38)        In quanto alle corrispettive dee indiane e latine, troviamo in India Gaurī, Rohiṇī e Kālī quali forme di Durgā (Ac., La legg., pp. 150-2, n.2); mentre per i Latini non sapremmo indicare degli omologhi appellativi di Diana Trivia, uno dei quali è però di sicuro Rhea Silvia in funzione materna.  Altri potrebbero esser rintracciati analizzando in particolare i volti a costei complementari, rispettivamente nubile-virginale e stregonesco-prostitutorio, di Cerere e Circe.  Ma ne conveniamo che, per un giudizio maggiormente approfondito, sarebbero necessarie ricerche piú dettagliate al riguardo. 
39)        La Via di Destra invero comincia in Luna Nuova, che costituisce anche il punto culminante, esattamente come succede nella Via di Sinistra colla Luna Piena; poiché i 4 quadranti raffigurano 4 fasi: a) Ridiscesa nel mondo delle forme, b) Discesa agl’Inferi, c) Rinascita, d) Conquista dell’Immortalità.
40)        Mor., op.cit., p.64/ col.a (supra).
41)        Neum., op.cit., tav.125.
42)        J.Fontenrose, Orion: The Myth of the Hunter and the Huntress- Cal.Un.P, Berkeley-L.Angeles-Londra 1981, Cap.II sgg.
43)        Ac., Le arc., §a passim.
44)        Ac., art.cit., §b.4 (ii).  Abbiamo cercato costí di dimostrare l’equivalenza tra il <Corno Centrale> dei Tricorni ed il <Corno Unico> degli Unicorni.
45)        Sul ruolo della Seppia si confronti la metamorfosi, piú innanzi esaminata (vide Cap.V, §d), della Tetide ellenica in tale animale; ella crede illusoriamente di poter in tal sembiante sfuggire all’abbraccio erotico di Peleo, in procinto di divenire il futuro consorte secondo un divino disegno.  
46)        Vide Cap.I, nn. 161 e 195.
47)        Negl’Inni Omerici (xix. 2 e 37) si allude, forse, alla monopodia originaria del nume tramite l’appellativo Αἰγίπους (‘Capripede’).
48)        Plasticamente il dio è sempre stato rappresentato coll e corna, se non l’intera testa, ed i piedi di capra; vedi a titolo esemplificativo da un lato un bronzo arcadico della metà del V sec. a.C. in dotazione all’Antiquarium di Berlino e, dall’altro, un bronzo romano del II sec. d.C. appartenente al Mus. (svizzero) di Vindonissa (Mor., op.cit. pp. 382 e 380, figg. n.numm.
49)        Hēr (a c. di D.Fausti), Storie- Rizzoli, Milano 1984, L.SEC., p.375, n.93.
50)        Mor., op.cit., p.339, fig. n.num. (supra, laeva).  In tale bassorilievo su una colonna d’un tempio di Luxor Mīn ha un solo braccio ed una sola gamba, oltre ad essere itifallico; tuttavia le due piume che il dio reca sul capo hanno valenza, a nostro giudizio, pari a quella delle corna.  Riguardo il significato di queste ed il rapporto con un <Terzo Corno>, assimilabile al <Corno Unico>, vide n.54.
51)        Di uno Śiva monocero (Ekaśṛṅga) e monopode (Ekacaraa) è fatta menzione in Vr.P.- ccxv. 24-5.  Per un semplice commento vedi Ac., La simb., p.34, n.13; per un’analisi del tema si analizzi invece Ac., Mrig., pp. 6-7.  Circa l’itifallismo shivaico è risaputo che costituisce un carattere costante – dovremmo dire, strutturale – della figura di Mahādeva, anche se qualche volta esso rimane inespresso nelle rappresentazioni quasi completamente antropomorfizzate dell’arte induista dei tempi storici; una maggiore prevalenza dei tratti sessuali è perdurata, al contrario, nella rozza ritrattistica divina di tipo piú marcatamente tribale e popolare.  Nel passo puranico appena citato, comunque, una funzione fallica è già implicita nel ‘Corno Tripartito’ di Pāśupati, apparso in forma di Mgeśvara.  Tale Corno, definito Gokareśvara, viene per l’appunto identificato nel Māhātmya finale del Varāha Purāṇa ad un celeberrimo Liga appartenente al rinomato Tempio di Pāśupatinātha (nei pressi di Kāthmāṇḍu) e consacrato a Kirāteśvara; il ‘Signore della Caccia‘, cui si narra l’avrebbero dedicato dei Kirāta, antica tribú autoctona di cacciatori himalayani.  Benché la motivazione vera e profonda del culto parrebbe essere piú complessa, secondo quanto illustreremo prossimamente.  Cfr. Cap.IV, n.46.
52)        L’Ekapāda è infatti una mūrti śaiva, di tipo ugra (‘terrifico’), benché talora si abbiano delle Ekapāda-trimūrti, con 3 gambe.  Vide n.21.


53)        Padre Heras (Her., op.cit.; Cap.II, §vi, pp. 245-6; Capp. III, §§ ii-iii, pp. 285-96 e IV, §§ iii-iv, pp.423-4) riteneva Mīn un’ipostasi dell’An/A paleo-egizio; a propria volta un appellativo dedicato ad Osiride, o talora a Horus-Ra.  An veniva venerato ad Anu, antica Anūr (‘Città del Sole’, ovvero Eliopoli), esattamente come il Mīn indico era venerato a Mohenjodaro (‘Città dei Morti’).  Codesto nume costituiva un’ipostasi, a sua volta, dell’Āṇ paleo-dravidico.  [Nonostante l’uso approssimativo di questo termine, siamo convinti che la classe sacerdotale dell’Antica Valle dell’Indo fosse composta non solo da Anari ma anche da Paleo-turi.  Cosa con cui ci pare concordi in sostanza il Parpola, seppur quest’autore sbagli – a nostro giudizio – nel far di costoro dei Proto-ari, come del resto fanno altri in generale nei confronti di tutte le genti turaniche.  La distinzione fra Turan e Iran era molto netta in passato, essendo di natura etnoculturale.  Non ha senso abolirla.  I Turi sono uno dei ceppi che hanno dato luogo al gruppo uralo-altaico, strettamente apparentato a quello ugro-finnico.]   
54)        Che il Mīn egizio fosse in certi casi da ritenere <unicorne> è dimostrato dal fatto che nella parte inferiore di due simulacri litici del dio rinvenuti a Coptos (op.cit., Capp. II, §vi, p.246 e IV, §iv, p.424), località dell’Alto Egitto, siano state trovate incise alcune sagome delle ‘Lame’ del Pescesega (ibid., p.247, fig.139 e 424, fig.280); la cosa però non trova purtroppo riscontro nel corrispettivo indico, quantunque vi sia ancora in tempi odierni in Nepal un’equivalenza sotterranea fra i due aspetti shivaici di Mīnanātha e Pāśupatinātha, il secondo dei quali ha a che fare con l’effettivo nume unicorne denominato Mgeśvara.  In altre parole il nume in questione, volendo assimilare le Due Piume (=Corna) delle quali a volte la sua versione egizia si dota al Rostro pescino di cui s’è ora detto, è da valutare come una sorta di Tricorno; o, se vogliamo, di Unicorno.  Vide n.44.  A riprova della veridicità della nostra congettura, figurazioni tricorni o meglio triradiate dell’An/Apaleo-egizio e dell’Āṇ paleo-indico (analoghe a quelle dell’An/Anu paleo-mesopotamico, raffigurato con 3 Germogli sul capo) compaiono da una parte nei dipinti parietali della Cultura paleo-nilotica della Valle del Wadī Hammāmāt; e, dall’altra, nei sigilli in steatite della Civiltà paleo-dravidica della Valle dell’Indo (Ac., Le arc., §a.1; inoltre, le figg. 5-6, 9, 15 e 21).     
55)        Cfr. n.44.  Inoltre, Capp. II, n.549 e VI, n.13.  Padre Heras (cit., Cap.IV, §iii, p.422) segnalava che nella versione tamilica della leggenda del Diluvio e del Pesce Avatarico si parlava talvolta del Pescesega (confuso nel contesto coll’Histiophorus brevirostris), piuttosto che del Pesce Cornuto; sebbene egli adottasse, crediamo per semplice disattenzione o forse per un non corretto impiego dell’inglese, le espressioni ‘Sword’ e Sword-fish indicanti la ‘Spada’ ed il Pescespada, anziché quelle piú corrette di ‘Saw’ e Saw-fish.
56)        Vide n.54. 
57)        Oltre all’autrice cit. alla n.49 cfr. Font., Pyth., Cap.IX, p.193.  Il prestigioso (da noi ammiratissimo) Preside della Multiuniversità di Berkeley  segnala il fatto che in base alle fonti classiche elleniche Min – quantunque sia minima la parte attribuitagli dalle fonti egizie – ha svolto una funzione indispensabile nella lotta fra Oro e Set, proprio come Pan nell’agone fra Dei e Titani secondo Plutarco et al.  A Pan viene assegnato, in particolare, il merito di aver avvisato gli Dei onde si trasformassero in animali al fine di sfuggire al Mostro Tifone; il che, fuor di metafora, indica una rivalorizzazione dell’antica spiritualità imperniata sul culto planetario a carattere agrario-ofidico in una nuova spiritualità poggiantesi su un un simbolismo stellare di tipo pastoral-piscatorio.  Gli 8 Segni – ciascuno di 45° – originari dello Zodiaco (Ariete, Toro, Cancro, Leone, Vergine, Scorpione, Capricorno, Pesci) non per niente, facciamo notare, avevano tutti in principio tale caratteristica oggi dispersa.  Ad eccezione della Vergine, che però ha cambiato sicuramente connotazione; siamo convinti che un tempo fosse raffigurata dalla Sirena (lambente pure la seconda metà del Leone), che non a caso è stata identificata in tempi cristiani alla Madonna.  La VI Fatica di Eracle (cfr. Cap.VI, §j ) lo comprova, anche se la donna-pesce ha preso in quel caso forma di donna-uccello.  Circa la Bilancia, si sa che non esisteva e che le chele dello Scorpione – secondo quanto asseriscono certi autori greci – arrivavano sino all’inizio di essa, ma evidentemente la costellazione si chiamava in modo diverso; cioè Cavallo, come in Cina il VII Segno.  Per quel che riguarda la seconda quindicina dello Scorpione e l’intero Sagittario, che egualmente non esiteva, è evidente che hanno sostituito la Capra, giacché il Capricorno attualmente segna uno spazio bimestrale all’incirca a metà fra quella che doveva essere una volta la costellazione della Capra (cioè la seconda metà dello Scorpione piú il Segno susseguente) ed i Pesci.  Il Capricorno del resto e la prima quindicina dell’Aquario non potevano esser rappresentati da un animale misto (pastoral-piscatorio), ma semmai da uno domestico quale il Gallo, come succede al X Segno dello Zodiaco cinese; oppure, preferibilmente, da un cetaceo quale il Delfino.  Seguiva probabilmente il (Grosso) Pesce, quale ritoviamo nelle ‘Fatiche’ di Ercole (vide infra), anziché i Pesci.  Anche il Leone deve aver sostituito un animale marino o fluviale (in Cina corrisponde infatti al Drago), che al momento identificheremmo – nonostante un po’ di perplessità – alla Sirena o a qualcosa di simile; poiché troviamo ben 4 animali domestico-pastorali (Ariete, Toro, Cavallo e Caprone o Gallo) accanto ad uno selvaggio e la cosa sul piano razionale non avrebbe alcun senso.  Gli animali di tipo marino-piscatorio sono anch’essi 4: il Granchio o Gambero (effigiato dal Cancro), la Sirena, il Delfino ed il Pesce (distinto chiaramente dal cetaceo, a differenza di quanto ci viene di solito tramandato), escludendo il Capricorno a metà fra le due categorie.  Una ricostruzione ipotetica in definitiva, tenendo conto di quanto da noi formulato (ossia delle due categorie principali, ciascuna di 4 animali considerando tale anche la Sirena, che le vecchie leggende associavano ai Sirenidi quali il Dugongo od il Lamantino), potrebbe esser questa: Ariete (1°-45°), Toro (46°90°), Granchio o Gambero (91°-135°), Sirena o Sirenide (136°-180°), Cavallo (181°-225°), Caprone (226°--270°), Delfino (271°-315°), Pesce (316°-360°).  In codesta serie ipotetica, eppure basata sulla logica, si vedrà che appaiono prima due Segni pastorali (Ariete, Toro), poi due piscatori (Granchio o Gambero, Sirena o Sirenide); indi altri due pastorali (Cavallo, Caprone), ed infine due di nuovo piscatori (Delfino, Pesce).  Come in una successione ordinata e dunque tutt’altro che artificiosa, seppur solo presunta.
58)       Op.cit., Cap.XI, p.296.
59)       Cit.  Cfr. al riguardo il nostro Cap.II, n.167.  L’identificazione invece con Pan fa di Min un nume, alternativamente, dionisiaco; o shivaico, se preferiamo.  Sempre rammentando che Shiva ha in India doppia funzione, solare (apollinea) e saturnina (dionisiaca), a parte quella celeste-temporale (cronia).
60)        S.Donadoni, L’Egitto- Utet, Torino 1981, Cap.I, p.13; inoltre fig.7 a-b, supra.
61)        Wikim.C., op.cit., s.v.MIN (god), immagini varie.
62)        Su quest’identità si riesamini il Cap.II, §i sgg.
63)        D.A. Mackenzie, Egyptian Myth and Legend…- Bell P.C., N.York 1978 (I ed. Gresham P., Londra 1907), Cap.XIV, p.190.
64)        Mack., op.cit.
65)        Op.cit.
66)        G.Acerbi, Il Re Scorpione e i re pre-dinastici. Alle fondamenta della civiltà egizia– Smmetria on line (prossim.).
67)        Cfr. n.22.
68)        Ker., op.cit., Cap.10, p.163.
69)        Ecco che si spiega in questo modo la ragione onde Egipan è visto impudicamente montare la capra, che probabilmente è sua madre Amaltea (immagine della Terra fecondata dal Sole), in un rilievo pompeiano a tutto tondo che ha fatto molto scalpore.  
70)        A.di Nola, s.v. EGITTO, Religione dell’, §4, p.1049/ col.a; apud AA.VV., Enc., Vol.2.  Sulla strana personalità di Nut cfr. l’art. inedito (La singolare ‘sovranità’ di Nut) contenuto in Pest., op.cit., Cap.II, p.71 ss.
71)        Vedi Cap.IV, §§ l-m.  Amaltea  è notoriamente connessa, non meno di Egipan, al Segno del Capricorno e guardacaso esistono raffigurazioni come quella di C. Paradin, che in un disegno del 1557 ci ritragggono la Capra-pesce in veste unicorne.
72)        Baig.-Lei.Linc., op.cit., P.sec., Cap.IX, pp. 254-5.
73)        Si esamini in greco il concetto di Τρί-οδος (‘Trivio’), parallelo a quello di Τρι-όδους (‘Tridente’).  Entrambi rimandano allo schema delle ‘Tre Vie’ iniziatiche, in rapporto alle ‘Tre Età’ successive a quella Aurea, che a causa del Sacrificio cui sono comunemente dedite gl’indú definiscono infatti Triyuga.  Per un approfondimento cfr. il testo menzionato alla 144 del Cap.I.
74)        D’altronde pure il Titanopan potrebbe aver serbato nel contempo la stessa prerogativa, ma in senso titanico-planetario, come accade allo Hunahpú (il Dio-cacciatore) amerindo.  La differenza consiste nel fatto che in tal caso sono contemplate unicamente le 7 stelle delle quali l’asterismo è composto, ma vi è assenza di zodiaco; nell’Ermopan, invece, si ha a che fare collo Zodiaco Lunare.
75)        Wikip., s.v.: FAUNUS.
76)        Del P., op.cit., Cap.5, §1, p.170.
77)        Op.cit.  Si noti che pure il nome Śiva in sanscrito viene interpretato in vari modi e, in uno di questi, asssume il significato egualmente di ‘fausto’.
78)        Donde l’agg. fulvus (‘fulvo’), che è poi il senso dell’agg. inglese fawn, omonimo del sostantivo significante ‘cerbiatto’.  Vide supra.
79)        Wikip., s.v.: PAN.
80)        Mor., op.cit., p.380/ col.a.  La statua, tra l’altro, è anche itifallica a differenza della precedente.
81)        Op.cit., p.382/ col.a.
82)        Vide Cap.IV, n.51.
83)        Càss., op.cit., p.567.
84)        Op.cit., p.569.  Ciò ricorda i tratti lupeschi di Fauno, identificato a Luperco (Del P., op.cit., Cap.4, p.159, n.96).
85)        Mor., op.cit., p.381/a-b.
86)        Wikip., s.v.: SIRINGA (mitologia).
87)        Ibid. come alla 79, p.381/ col.a.
88)        D.Cenci, Dizionario mitologico universale- Esperia, Torino 1977, p.277/ col.b., s.v.: SILVANO.  Da non confondere col Ciparisso maschile, triste per aver ucciso il suo amato cervo e trasformato da Apollo in cipresso.  Tutte queste storie alludono alla precessione equinoziale in tempi neolitici.  Il dio (Pan, Fauno, Ciparisso) incarna l’asterismo di Orione nel calendario luni-solare, non meno del cacciatore Orione stesso o di altri omologhi quali Atteone, Cefalo ecc.  Apollo, ovviamente, è il Sole.  Selene, amante soddisfatta di Pan in altro mito, è la Luna.  E la Pianta (Canna, Pino, Cipresso) è l’Axis Mundi, che sorregge il Punto Vernale; in senso solare quando si ha a che fare con un maschio, in senso lunare quando vi è una femmina.  Sotto quest’aspetto bisogna notare che l’asterismo di Orione può fungere da tappa iniziale del calendario lunare oppure da paranatéllon di quello solare.
89)        M. Riemschneider,  Il Mondo degli Hittiti- Primato Ed., Roma 1957 (ed.or. Die Welt der Hethiter- G. Kilpper V., Stoccarda ?), Cap.4, p.115.  Scrive l’autrice in proposito: “Quale distintivo… della dignità regale è considerato il bastone ricurvo (tav.36), chiamato… lituo, in analogia al bastone degli auguri romani.  Ma il lituo non è tenuto verticale come il pastorale del papa; afferrato all’estremità inferiore, viene appoggiato alla spalla o portato con la curvatura in basso (tav.99).  È erroneo però definirlo uno scettro.  Anche il lituo spetta solo a un gruppo di dèi e non viene portato da tutti come, ad esempio, lo scettro degli dèi egiziani.  Il lituo non è un distintivo del rango, bensì un’arma.  Colla parte inferiore più corta non corrisponde più al pastorale, bensì al bastone per colpire le lepri.  Viene portato quindi dagli Hittiti secondo l’uso prettamente venatorio, mentre se fosse un pastorale appoggiare il bastone sulla spalla sarebbe ritenuto una sconvenienza ed una mancanza di dignità.
90)        Il Lituo romano ha generato il Pastorale cristiano, non c’è dubbio.  Ma il nome tradisce anche un’origine ebraica, che potremmo definire mosaica.  Del resto la latinità medesima, tramite Enea, ha trasmesso alla romanità una componente ebraica; benché in seguito andata negletta, ma rimessa all’onore delle cronache di recente dagli studi graalici.  Si tratta d’un simbolo di origine sacerdotale, o meglio pastorale; seppur in senso arcaico e titanico, non produttivo.  Come altri simboli, è poi degenerato a livello regal-aristocratico a strumento di caccia; rimesso in auge dal primo cristianesimo, che ne ha rivelato i significati profondi (vide n.92), è indi ridisceso a semplice emblema ecclesiastico di <fecondità> per la stretta aderenza della religione cristiana alla mentalità borghese.
91)        Sul Pastorale nel Cristianesimo – in particolare in Irlanda – abbiamo fatto uno studio, in un libro che non abbiamo ancora completato (G.Acerbi, Sant’Onofrio e Sant’Antonio, segreti protettori delle mistiche nozze) e di cui non possiamo pertanto indicare un futuro eventuale editore.
92)        In un sarcofago romano del III-IV sec. (Roma, Mus. delle Terme) osserviamo il cd. ‘Buon Pastore’ in un’apparente strana posa, ovverosia è appoggiato al Pastorale Rovesciato, col braccio destro sorretto dalla mano sinistra, mentre 2 pecore (una maschio e l’altra femmina) in posizione quasi araldica brucano pianticelle ai suoi lati.  Cfr. al riguardo A. Grabar, L’arte paleocristiana (200-395)- Rizzoli, Milano 1967 [ed.or. Le premier art chrétien (200-395)], p.125, fig.124.   Che si tratti di arte simbolica sono tutte le manifestazioni artistiche coeve a provarlo, non c’è bisogno di affermarlo perentoriamente.  Qual è alllora il probabile significato?  Sicuramente vi è una chiara allusione al Luz, il cabalistico ‘nocciolo d’immortalità’.  La Cabala si dice appunto sia rifiorita dal II sec. d. C. in poi, assai prima del suo trasferimento nella Spagna del X-XII sec.  In ogni caso, Cabala a parte, il riferimento esoterico, magari ermetico, non può esser messo in dubbio.
93)        Del P., op.cit., Cap.5, §1 sgg.
94)        Che Silvano sia stato tardivamente identificato a Fauno è provato dal fatto che, come insegna il prof. Del Ponte (op.cit., p.170) citando Catone, “dal culto di Silvano fossero rigororosamente escluse le donne”.  Ciò è nient’altro che un contrappeso all’uso di escludere gli uomini dal culto della Bona Dea.  Ma in principio Silvano era identificato a Marte, il dio agrario per eccellenza.  Benché questo sia ritenuto ormai datato dal Professore, la natura agraria di Marte è incontestabile, visto che Marte è un dio ario (cioè un dio degli aratori…).  Del resto è per il duplice rapporto colla Vita e la Morte, come indica il doppio etimo (mas/ mors), che Marte è divenuto tanto dio della fecondità quanto dio della guerra.  Entrambi i caratteri dipendono difatti dall’Elem. Fuoco, inteso ora come passione ed impeto sessuale, ora come ira distruttiva e fatale.  In alcune immagini si vede guardacaso dietro la figura di Silvano l’ara del Fuoco e questo è un emblema che poco ha a che fare colla natura faunesca, anche se talvolta il dio viene presentato, singolarmente o in gruppo, al modo dei Fauno e dei Fauni.  In tale ottica Silvano, qualche volta, ha persino il Lituo.  Rispetto a Crono e a Saturno, signori dell’orticoltura primitiva (l’una mediante bastone da scavo per i tuberi e l’altra col bastone trapiantatoio per i semi delle leguminose), Marte raffigura l’orticoltura avanzata a base di scasso del terreno mediante rudimentale aratro.  Non a caso Marte è insieme a Giove il dominatore dello Zodiaco Solare duodenario, dato che l’inizio del 1° dell’Ariete, presieduto da Marte, coincide col 30° dei Pesci, presieduto da Giove.  La Tavola dei Segni altro non è, infatti, che un percorso agrario figurato.  Silvānus deriva sul piano storico dal Selvans etrusco, protettore delle selve e delle attività agresti.  Cfr. al riguardo Wikip. s.v.: SILVANO.  Anche il Morelli (op.cit., p.455/ col.a, s.v: SILVANO) et al. attribuiscono alla stessa figura un prevalente culto agreste, soprattutto delle piantagioni, oltreché quello delle greggi.  Gli attributi consueti sono, oltre al cane da guardia ai suoi piedi, il Falcetto a becco di corvo (alla maniera di Saturno)  o le Cesoie nella destra ed il Pino nella sinistra. 
95)        Il tipico modo d’intendere i Fauni nel classicismo moderno e contemporaneo dell’era post-pagana è dato dal poema sinfonico di C. Debussy (1862-1918) Prélude à l’après-midi d’un faune (‘Preludio al pomeriggio d’un fauno’, 1892), ispirato all’impressionismo letterario di S. Mallarmé (L’après-midi d’un faune, 1876).  Il contenuto consiste nelle fantasie diurne d’un fauno, che in ambiente bucolico si diletta a suonare il flauto ed ha piacevoli incontri con alcune ninfe.  Poi si addormenta beato.

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