Note
al Cap.III
1) Tale, almeno,
la reputa il Cook; cfr. Co., op.cit.,
Vol.II, P.I, Cap.II, §3.a (iii.omicron), p.205, fig.144.
2) Cfr. M. Bussagli, Bronzi cinesi- F.lli Fabbri, Milano
1966, Cap.II (n.num.), pp. 7-41, figg. 8-9 e 14-5; inoltre, W. Willets, Origini dell’arte cionese. Dalla ceramica
neolitica all’architettura moderna- Silvana Edit., Cinisello B. [Mi] 1968 (ed.or. Origin
of Chinese Art- Thames & Hudson, Londra 1965), pp. 80-94 (tavv. E
figg.incl.).
3) Co., cit., pp. 194-9 (illustrazioni
comprese).
4) Diversamente
dal Cook crediamo che l’iconografia di Zeus in veste speciale di ‘Pilastro
Cosmico’ (§iii.epsilon sgg) sia in qualche modo distinta rispetto a quella, pur
analoga, di Apollo come ‘Colonna’; dato che vi è fra i due numi una sostanziale
alterità riguardo l’appartenenza ad una determinata generazione divina, piú o meno come
accade in India tra Viṣṇu e Śiva.
5) Cfr. Gué., Simb., passim; ed., in
particolare, i §§ 8, 25, 31 e 51.
6) Ibid.
come alla n.4, p.194, fig.134.
7) Stut., op.cit., s.v. VĀMANA, pp. 467/ col.b
e 468/ col.a.
8) A riprova di quanto abbiamo ora
asserito il Treppiede è collocato a volte
sulla cima del ‘Pilastro’, al posto del Braciere (Co., op.cit., di seguito a p.198, tav.XII/
b-c), e quale evidente simulacro del ‘Fuoco Solare’.
9) Ibid.
come alla 1.
10) In una pittura in nero d’una grotta di
Lescaux (Dordogna), pittura valutata a suo tempo dai paletnologi (P.Preziosi, L’arte dell’antica Età della Pietra- Le
Lettere, Firenze 1987 (I ed. 1956), tav.277/b,
con comm. a p.275) ”la più complessa delle rare composizioni scenografiche
dell’arte franco-cantabrica”, osserviamo un bisonte che pare attaccare un
essere itifallico ornitocefalo. Accanto
ad essi troviamo il simulacro dell’Uccello Monopode, coll’Unico Piede allungato
assialmente. In maniera analoga si
possono incontrare nella preistoria dell’India (VS. Wakankar & R.R.R.
Brooks, Stone Age Painting in India- Taraporevala, Bombay 1976, p.56., figg.
n.numm. supra et infra ridisegnate a
mano libera dal primo dei due coautori) delle rappresentazioni parallele dello
stesso tema, concernenti uno o piú Garutman
Ekapāda in forma di pavoni stilizzati come ricorrono
nell’antica Civiltà dell’Indo, per la verità un po piú tarda
cronologicamente; ai quali è giusto assegnare, in linea di massima, un
significato simbolico non troppo dissimile da quello della figura
antecedente. Le immagini indiane ora
considerate, ritratte sulle pareti di alcuni ripari rocciosi del subcontinente
(Sujampura) e relative a determinate
culture tribali di epoca neolitica o calcolitica, sono immerse in un contesto
venatorio maggiormente accentuato rispetto all’icona aviforme poco addietro
analizzata del Paleolitico europeo; l’assialità delle Gambe-verghe dei vari uccelli mostra inoltre una linearità meno rigorosa spuntando in esse
due strani peduncoli sovrapposti, che potrebbero però suddividerle in modo
ternario, sí da evocare
simbolicamente il Tribhuvana
(‘Trimundio’). Per un approfondimento
cfr. Ac., Il culto di P., passim.
11) Per l’Albero Alchemico vedi un disegno
svizzero del 1.550 tratto dal Manoscritto alchimistico della Bibl. dell’Univ.
di Basilea e riporatato da E.Neum., op.cit., tav.110 (con rimando al comm. di
Jung in ‘Psicologia ed alchimia’, s.v.
TREE); od in alternativa da T.Burckhardt, L’alchimia- Lugano 1976 (ed.or. n.cit.), fig. n.num. a fr. di
p.102. Sul Caduceo ermetico vide Bur., op.cit., p.114, fig. n.num.
La prima delle due raffigurazioni considerate allude al compimento delle
sette fasi del magisterio alchemico, configurandolo come autopercezione da
parte dell’anima umana, tornata alla sua natura originaria ed immacolata (e
ritratta quale tronco dell’Albero della Vita ossia in veste di ‘Regina del
Cosmo’, siccome illuminata dallo Spirito, figurativamente collocato in aspetto
ornitomorfico sulla corona della ‘Donna Nuda’) della propria identità coll’Anima Mundi.
Cfr. coll’immagine teologica della Colomba dello Spirito Santo, che
feconda la Santissima Vergine; mentre la seconda descrive piú semplicemente la
<Verga> quale elemento unitario ed ordinatore del mondo interiore, con
riferimento alle forze occulte presenti nella regione vertebrale, rispetto alle
due potenze cosmiche antagonistiche fronteggiantisi all’interno
dell’individuo. Una similare rappresentazione
coll’Uccello Solare sull’Arbor Mundi,
invero un albero a sette rami (cfr. Ac., La
simb., pp. 37-8 n.19), è rintracciabile anche nella cultura
precolombiana. Anziché tale
<Uccello> rinveniamo a volte sull’Albero del Mondo direttamente il
Sole. Cfr. Neu., p.243, fig.53, da un
papiro egizio della XVII Dinastia. Altre
volte al luminare diurno è contrapposta ai piedi del solito albero la Luna,
svolgente le veci del Serpente.
12) Ossia gli stessi colori dei ‘Tre Volti’
della Grande Dea’. Vide infra, nonché Grav., op.cit.,
§56, p.172, n.1. Il Graves (ibid., §90, p.278, n.3) è inoltre dell’opinione che si abbia a che fare
con una tematica omologa pure per quel che concerne i ‘Tre Colori’ vuoi del
Toro di Minosse, generante a Pasife il Minotauro, vuoi del Toro rapitore di
Europa; nonché riguardo l’analoga colorazione della Vacca Lunare (Io, alter-ego
di Hera). E che persino nel caso del
Corno Tripartito dell’Unicorno, del quale è fatto cenno nelle Ἰνδικά
di Ctesia, valga un’interpretazione equivalente. Il che è assolutamente incontestabile. L’autore non comprende bene, comunque, che si
tratta di emblemi ermetico-alchemici; quantunque nemmeno la spiegazione
calendariale da lui propugnata, se opportunamente riveduta e corretta, non sia
da escludere in parallelo.
13) Il ruolo spaziale del Tripode delfico è
strettamente legato a quello temporale.
Infatti è evidente che il Sole nei suoi passaggi vari attraverso le fasi cronologiche raffigurate
plasticamente dai ‘Tre Piedi’ era come se tracciasse ‘Tre Passi’,
circoscrivendo 3 corrispondenti estensioni dello spazio. La qual cosa doveva di necessità
sottintendere che il moto ascensionale giornaliero dell’astro diurno
all’equinozio primaverile, dal punto aurorale a quello meridiano, delimitasse
per così dire la regione atmosferica; l’opposto movimento la contrada terrena e
la fase intermedia, relativa alla posizione zenitale del Sole, il dominio celeste.
14) Pure nel racconto avatarico di Vāmana, figura dai
tratti eminentemente solari, esistono infatti gli stessi presupposti onde
applicare al significato temporale dei suoi <Passi> un senso spaziale
equivalente. Con ovvio riferimento al Tribhuvana (Svar, Bhuvar e Bhūr), l’aggiunta
dei Patāla essendo solo successiva. Vedi ad es. la V.S.- v. 15 e 18-20, ove ricorre esplicitamente l’accezione
spaziale, sottintesa peraltro già nel Ṛgveda.
15) Buss., op.cit., pp. 34-40.
16) Da non confondere collo Shih Ching (‘Libro della Poesia’), uno
dei 5 classici confuciani, questo piú tardo testo è stato redatto da 2 storici di corte
(padre e figlio) sotto l’Imperatore Wu
(140-87 a.C.); narra la storia cinese dall’Epoca di Huang-Ti (2.600 a.C.) all’Epoca della Prima Dinastia Han (100 a.C.), fino appunto a Wu, sotto il quale a giudizio di H.Franke & R.Trauzettel (L’impero cinese- Feltrinelli, Milano
1969, Cap.3, §II, p.89; ed.or. Das
Chinesische Kaiserreich- Fischer B., Francoforte sul Meno 1968) la
struttura interna e la posizione esterna della Cina – nei confronti degli Unni
Orientali – si rafforzarono notevolmente e l’impero cinese divenne un imperium universale”.
17) Dato che in Cina i treppiedi di tipo
vascolare (ting, li) risultano associati fin da Epoca Shang (1.751-1.111 ?) agli Antenati (op.cit., pp. 22, fig.8 e 27, fig.9), in onore dei quali si
offrivano libagioni, crediamo non sia troppo azzardato supporre che essi
abbiano arcaiche origini shamaniche. Il
che deve esser avvenuto tramite una produzione locale in terracotta, senza dubbio
precedente rispetto alle forme in bronzo (Will., op.cit., p.21, fig.1/a);
com’è rilevabile dal reperimento d’un modello ceramico preistorico, prototipo
del Li, portato alla luce negli scavi
dell’Andersson ed avente gli stessi caratteri di altri treppiedi coevi (ibid., figg. 1/b-d) che compaiono su grafi ossei di valore scapulomantico.
18) L’autore (Buss.,
op.cit., p.8-9). non nega una parentela dei tripodi cinesi coi
prodotti metallurgici degli ambienti shamanici centroasiatici e sud-siberiani,
ma si chiede diffusionisticamente in quale senso sia avvenuto il prestito.
19) L’aspetto magico-oracolare sia dei
Treppiedi cinesi che di quelli greci rende assodata, necessariamente, la loro
origine shamanica.
20) P.Demargne, Arte egea- Rizzoli, Milano 1964 (ed.or. Naissance de l’art grec- Gallimard, Parigi 1964), Pri.p., Cap.I,
p.17, fig.15.
21) Il V Avatāra definito il ‘Nano’, pur essendo annoverabile in
linea di massima tra le ‘Discese’ del dio Viṣṇu parimenti a tutte le altre incarnazioni parallele
di codesto nume, può nondimeno essere omologato al dio Śiva. Si analizzi il volto similare di questi nell’aspetto
di Vāmadeva
(vide Cap.I, §u e n.206.), cioè di deità
naniforme. Difatti tale nume assume talvolta
l’aspetto denominato Tripādamūrti, od
alternativamente quella di Ekapādamūrti, quando non
un ibrido fra le due (Ekapādatrimūrti). Quest’ultima viene rappresentata da un’unica
‘Gamba’ centrale e da altre due laterali, fuoriuscenti dai fianchi o dalle
cosce della figura centrale di Śiva insieme ai busti rispettivi di Brahmā e di Viṣṇu. Cfr. H.K. Sastri, South-Indian
Images of Gods and Goddesses-
Bhartiya P.H., Delhi 1974, Cap.IV, pp. 97-9, figg. 59-60.
22) Vide
in generale Cap.V, §i. Bali
secondo il Vaikhānasāgama dovrebbe
apparire in veste dorata e reggere un vaso sacrificale altrettanto dorato (G.
Rao, Elements of Hindu Iconography-
The Law Print.H., Madras 1914, Vol.1, P.I, pp. 166-7 ss). L’Imperatore Bali è talora raffigurato assieme al purohita Śukra,
che cerca di dissuaderlo dall’elargire il fatidico dono a Vāmana
donde rimarrà irrimediabilmente schiacciato. Nella scena compare a volte anche la consorte
dell’asura, che assieme a questi è
posta con lui nei Pātāḷa-loka. Ora Bali
è ritratto nell’atto di versare acqua onorifica sui piedi del V Avatāra.
23) Stut., op.cit., s.v.: VĀMANA, p.468/ col.a.
24) Per compiere i ‘Quattro Passi’ Trivikrama ricorre, opportunamente, a
quattro tipi diversi di metri vedici (Gāyatrī, Triṣṭubhī, Jagatī e Anuṣṭubh); dei primi
tre si parla, del pari, nella V.S.-
i, vs.25. Ciò va messo in correlazione
ad ogni modo, per il motivo appena spiegato, coi ‘Sette Metri’ dei quali è data
notizia piú genericamente nella Ṛ.S.- i. 22,
16. Ad essi si allude anche nella V.S.- xvii, vs.92. In tale contesto il tema dei Sette Metri
vedici, che riteniamo debba esser affiancato a quello dei Sette Hotar (ibid., vv. 57-8) – ciascuno abbinato ad una stagione bimestrale
prefissata, a parte il Settimo (denominato Brahman),
fungente da supervisore del Sacrificio – od ad altri settenari analoghi,
ritorna sotto forma delle Sette Mani di Agni;
le quali in base al comm. di Sāyaṇa (R.T.H.
Griffith, Yajurveda or Vājasaneya-Saṁhitā- Munshiram
M., N.Delhi 1987 [revis. Della traduz. del 1899, ediz. n.cit.], p.175, n.91)
sarebbero da intendere da un lato come i Sette Raggi del Sole e dall’altro
appunto come i Sette Metri del Veda, indubbiamente connessi ai precedenti. Si noti, ancora, che i ‘Tre Passi’
equinoziali aggiuntivi ai ‘Quattro Passi’ di Trivikrama sono talora ascritti a Savitar anziché a Viṣṇu (V.S.-
vi, vv. 2-3); cosa che prova se non altro la veridicità dell’interpretazione solare
da noi adottata in proposito ed il perfetto parallelismo delle ‘Orme’ del V Avatāra coi ‘Piedi’
del Tripode delfico, quantunque quest’ultimo risalga idealmente al ciclo
successivo. Non a caso, proprio nel
calendario dedicato ad Apollo era sacro in Grecia il numero 7 quale cifra
misterica (vedi il comm. del Càssola agli Inni
Omerici, pp. 84-5). Cfr. i ‘Sette
Raggi’ sul capo di Hḗlios nell’iconografia di cotale nume. Parimenti l’invocazione delle Sette Vyāhṛti (mitologicamente personificate come le figlie di Savitar e Pṛśnī, il Sole e la Terra,
personificata come maculata vacca dell’abbondanza), ossia le denominazioni
mistiche dei Mondi (Loka: Bhūr, Bhuvar, Svar, Mahar, Janar, Tapar e Satya), delle quali le prime tre
possseggono uno speciale rilievo spirituale nelle formule di preghiera
giornaliere dei Brāhmaṇa, rientrano
pienamente nella simbologia tri-settenaria quivi considerata.
25) Perché mai i Quartieri? Il problema è complesso e concerne l’esistenza sicuramente d’un vetusto
calendario solare di carattere bimestrale (perdurato in India nella veste di
calendario esa-stagionale), cui si è in precedenza – vide Cap.II, n.147 – fatto cenno.
Questo deriva, in tutta evidenza, da uno ancor piú vetusto a carattere
trimestrale e tetra-stagionale Per meglio spiegarci, il ‘Quarto Passo’ è da
concepire come un’allusione ai Quattro Quartieri; che non equivalgono però ai
Punti Cardinali, bensí ai loro Punti Intermedi.
In sede superna questi ultimi vengono a coincidere colle posizioni
annuali del Sole, nel quadrilatero celeste, all’alba ed al tramonto dei due solstizi;
codeste posizioni primarie si assommeranno successivamente (nel VII Ciclo
Avatarico) a tre altre, costituite dai passaggi equinoziali eminenti dell’astro
nel cielo diurno (ad Oriente, allo Zenit e ad Occidente). Ciò, è ovvio, avverrà gradualmente ponendo
dapprima una quinta posizione solare (zenitale) già nel V Ciclo; cui si
sostituirà lo schema a doppio triangolo rovesciato (emblema di Paraśurāma) nel VI, riassumendole alfine tutte e tre nel
VII.
26) Nel
passo succitato Viṣṇu è qualificato come Mṛga (vs.2), o
Toro (vv. 3 e 6), dimorante sul ‘Monte’.
Cfr. il testo sanscrito, poiché i due termini vengono male interpretati
dai traduttori. Il ‘Quarto Passo’ è
definito nel contesto (vv. 5-6) “Orma Suprema” del Toro e “Fonte del Dolce
Liquore” (il Soma). Adattando la simbolica delle ’Orme’ ai
P.Cardinali, ne deduciamo che lo Zenit debba essere associato al Sud e al
Mezzodí; il
Nadir, viceversa, al Nord e alla Mezzanotte.
Potremmo fornire in aggiunta, volendo, un’applicaziione epocale di tale
simbolica; ma il soggetto ci porterebbe via troppo spazio, onde occorre
riviarlo ad altro scritto. Segnaliamo
solo il fatto che nella Quarta Epoca, cioè nell’Età del Ferro, l’applicazione
dei simboli era di necessità invertita rispetto all’Età dell’Argento, in cui essi
sono venuti alla luce. L’apparente
incongruenza fra il passo yajurvedico e quello rigvedico, summenzionati,
dipende dal fatto che il primo costituisce un adattamento testuale della
sapienza vedica al Kaliyuga; mentre
il secondo, piú vetusto, ci richiama all’accezione primordiale – risalente al Tretāyuga
– del mitologhema dei ‘Passi’. Donde
consegue indirettamente che nella Seconda Epoca era il Nadir, cioè il Nord (dal
punto di vista delle costellazioni , sebbene in realtà posteriore, il
Capricorno o il Delfino), a rappresentare l’<Orma Suprema>; invece nella
Quarta, l’epoca ciclica in cui abbiamo iniziato la stesura di codesto libro (ma
non lo è piú attualmente), era lo Zenit e cioè il Sud (da associare astralmente al Granchio Celeste od al
Polpo) ad individuarla. Ecco perché
abbiamo un emblema del ‘Fondo delle Acque’ alla base del Tripode Alato, prima
discusso, in contrapposizione ad Apollo Delfinio (insomma al Delfino, vale a
dire all’Apollo Iperboreo); ad indicare il ‘Quarto Passo’ del Sole al Solstizio
Estivo, momento in cui naturalmente l’identificazione del Raggio Solare colla
Dea Madre Luniterrestre giunge al suo culmine annuale, dando origine indi ad un
nuovo ciclo generativo.
27) Vi è un’ennesima facies di Śiva
nota col nome di Ekapāda od Ajaikapāda (a <Testa Caprina>) e dotata
di una sola <Gamba> (lett. ‘Piede’).
Il Parpola (Parp., Sanskr., passim),
da parte sua, ha supposto che il termine dravidico kāl
(‘gamba, piede’, specialmente di quadrupede taurino; ovvero ‘quarto’ del quadrante
del cerchio) fosse la base filologica del scr. kāla
(‘tempo, stagione’); di contro all’ipotesi di M. Mayrhofer e F.B.J. Kuiper, da
lui respinta, che l’ultimo termine menzionato provenisse dal tema indoeuropeo *qwel (‘muovere, muoversi’). Contrariamente a quanto sostenuto dall’autore
citato, a nostro avviso la voce kāl ha una
controparte nelle lingue indoeuropee.
Cfr. il s.lat. crūs, crūris (‘gamba di animale, zampa’), indubbiamente da collegare
a cal-x (‘calcagno, calcio’); donde
abbiamo pure la voce cal-cān-e-us
(‘calcagno’, diminuitivo con raddoppiamento del tema, allungamento e
nasalizzazione del medesimo), nonché il vr. cal-c-o
(‘calcare, posare il piede su, calpestare, camminare sopra’). Cfr. pure in greco il vr. kél-o-mai (‘metter in moto, spingere,
stimolare’), donde il s.m. kél-ōr (‘moto,
spinta’), e la var. kél-l-ō (‘procedere
rapidamente’); inoltre in latino l’a.m. cel-er
(‘celere, rapido’), oltre alla var. dentalizzata e con prefisso direzionale pro-cēd-o (‘andare o muovere innanzi, procedere, camminare’). Vedi ancora in sanscrito il vr. car (‘andare attorno, muovere; muoversi,
camminare’), nonché la var. omonima car
col senso di ‘andar via, muoversi dal proprio corso abituale; tramontare,
trascorrere; spingere, stimolare’) ed inoltre kl-u (‘muovere’). Si noti
che, curiosamente, il sostantivo inglese leg
(‘gamba’) ha lo stesso tema formato da una gutturale piú una liquida, ma invertito, forse perché in tempi arcaici la
scrittura valeva in un senso o nell’altro.
Riguardo l’accezione di ‘quarto’ del suddetto vocabolo dravidico,
facciamo ulteriormente notare che il lat. quar-t-us,
cosí come il scr. tur-y-a/ tur-īy-a (var. con
raddoppiamento ca-tur-tha), lo zend kh-tuir-i-a, il gr. té-tar-tos. e l’ingl. four-th
– dentalizzazioni, labializzazioni, raddoppiamenti, aspirazioni o metatesi
consonantiche a parte – mostrano a grado zero dell’apofonia vocalica la
medesima radice della serie precedente; la cui rad. è qwṛ/
qwḷ-, ove la cosidetta labiovelare *qw rappresenta a nostro
giudizio un passaggio intermedio fra il vetustisssimo tema *wṛ/wḷ e quello
successivo *kṛ/kḷ (in ordine ciclico-temporale, come gli dèi Varuṇa ed Ouranós rispetto a Kāla e Chrónos)
piuttosto che una base donde debbano derivare entrambi. Si analizzi sull’argomento il nostro libro on line (in via di stesura, ma già
consultabile a partire dal 1-01-18 sul blog
STUDI INDOEUROPEI), La Lingua Celeste:
Nūmina nōmina. Da tutto ciò se ne deve dedurre che la radice
cosí postulata è necessariamente
pre-indouropea ed insieme pre-dravidica e che le vane speculazioni tese a
dimostrarne l’appartenza alla filologia dell’una o dell’altra famiglia
linguistica indicata non hanno motivo d’esistere, fino a che non si sia
stabilito con sicurezza – cosa peraltro asssolutamente irta di difficoltà –
donde provengano le etnie parlanti codesti due ceppi linguistici. Siccome personalmente crediamo che tali etnie
discendano dall’Atlantide, insomma dall’America preistorica, crediamo che non
abbiano nulla a che fare colle voci considerate e che queste costituiscano
l’eredità d’una cultura eurasiatica precedente al loro arrivo nel Vecchio
Continente, ossia paleolitica. Ci
conforta nella nostra tesi il fatto che, essendo le due serie succitate legate
visibilmente a numi primordiali quali Urano e Crono (Chrono), esse non possono
che appartenere al ramo paleo-turanico la prima (√wṛ/ -ḷ-)
e a quello autronesiano la seconda (√kṛ/ -ḷ-). Poiché quest’ultimo deriva da quello per
dissimilazione etno-culturale.
28) Ac., La legg., pp. 154-5, n.6.
29) Le proporzioni delle parti della
‘Parola’ possono non solo essere invertite, nella loro suddivisione simbolica
tra l’Immanifesto e il Manifesto, ma addirittura variate rispetto a quanto qui
dichiarato da parte nostra ovverosia dimezzate.
La medesima cosa avviene nella relazione tra i ‘Passi’ solari. Vedi la simbolica rigvedica precedentemente
menzionata del Paramaṁ Padam, ove
sono i ‘Tre Passi’ a costituire il Manifestato; ed il Quarto Passo, quello
supremo, a rappresentatare il Non Manifestato.
30) Sul Polipo – nel senso greco di Polýpous e cioè di
‘Polpo, Seppia, Calamaro’ – ed il Delfino quali emblemi equivalenti
rispettivamente del Cancro e del Capricorno zodiacali vide Guen., Simb., §22, pp. 136, n.2 e 139, n.14,
con
rifacimenti espliciti dell’autore a L. Charbonneau-Lessay.
31) Un
punto di vista analogo, ma applicato al mondo cristiano, è espresso in
Charb.-L., op.cit., Cap. Centes.,
p.724. I Crostacei (Granchio, Gambero
Aagosta) nel simbolismo cristiano hanno un significato positivo a differenza
dei Molluschi (Polpo, Seppia, Calamaro), rappresentando l’invulnerabilità del
Cristo. Granchi, talora con volto umano,
incarnano il Redentore in particolari monete siciliane (Agrigento). Ibid., figg. ii-iii. Anche il Gambero, od altro crostaceo simile,
parrebbe incluso nella prima delle due.
Mentre il Polpo e consimili alludono alla Piovra satanica, che come
avviene in una pietra incisa della Coll. Foggini (ib., p.725, fig.iv), sembra voler acchiappare il Pesce per
divorarlo. Un altro crostaceo, inciso in
una fibula di bronzo (fig.viii) ha l’aspetto d’un decapode (gambro od aragosta
che sia) e anche in questo caso assume un significato positivo.
32)
G.Gemoll, Vocabolario
Greco-Italiano- R.Sandron, Palermo-Milano 1922 (ed.or. n.cit., F.Tempsky, Vienna 1908), s.v. KARKINOS, p.434/ col.b. Cfr. in latino la voce parallela car-cer (‘cancelli, sbarre; carcere,
prigione’) ed il suo dimin.can-cel-l-i
(id., ma senza il senso traslato del primo termine), sostantivi senza dubbio
derivati dal concetto antecedente del solstizio estivo come porta o cancello
cieli-solare.
33) Non
stiamo qui a discutere l’origine vera di tale etimi, ma pigliamo semplicemente
atto che tali denominazioni (gr. Kār, scr. Kāl-a, lat. Càel-us)
sono presenti nel linguaggio indoeuropeo, avendo voci correlate in ciascuna
delle lingue citate.
34) Ac.,
Le ‘Caste’, p.26.
35) Si
ha ivi un raddoppiamento parziale del tema, come in cir-c-us (‘cerchio, circonferenza, orbita celeste’).
36)
Mor., op.cit., s.v. DEMETRA, p.164/ col.a.
37) Ac.,
La simb., pp. 28-9, n.7.
38) In
quanto alle corrispettive dee indiane e latine, troviamo in India Gaurī, Rohiṇī e Kālī quali forme
di Durgā (Ac., La
legg., pp. 150-2, n.2); mentre per i Latini non sapremmo indicare degli
omologhi appellativi di Diana Trivia, uno dei quali è però di sicuro Rhea
Silvia in funzione materna. Altri
potrebbero esser rintracciati analizzando in particolare i volti a costei
complementari, rispettivamente nubile-virginale e stregonesco-prostitutorio, di
Cerere e Circe. Ma ne conveniamo che,
per un giudizio maggiormente approfondito, sarebbero necessarie ricerche piú
dettagliate al riguardo.
39) La
Via di Destra invero comincia in Luna Nuova, che costituisce anche il punto
culminante, esattamente come succede nella Via di Sinistra colla Luna Piena;
poiché i 4 quadranti raffigurano 4 fasi: a) Ridiscesa nel mondo delle forme, b)
Discesa agl’Inferi, c) Rinascita, d) Conquista dell’Immortalità.
40) Mor., op.cit., p.64/ col.a (supra).
41) Neum., op.cit., tav.125.
42)
J.Fontenrose, Orion: The Myth of
the Hunter and the Huntress- Cal.Un.P, Berkeley-L.Angeles-Londra 1981,
Cap.II sgg.
43) Ac.,
Le arc., §a passim.
44) Ac.,
art.cit., §b.4 (ii). Abbiamo cercato
costí di dimostrare l’equivalenza tra il <Corno Centrale> dei Tricorni ed
il <Corno Unico> degli Unicorni.
45) Sul
ruolo della Seppia si confronti la metamorfosi, piú innanzi esaminata (vide Cap.V, §d), della Tetide ellenica in tale animale; ella crede
illusoriamente di poter in tal sembiante sfuggire all’abbraccio erotico di
Peleo, in procinto di divenire il futuro consorte secondo un divino
disegno.
46) Vide Cap.I, nn. 161 e 195.
47)
Negl’Inni Omerici (xix. 2 e
37) si allude, forse, alla monopodia originaria del nume tramite l’appellativo Αἰγίπους (‘Capripede’).
48) Plasticamente
il dio è sempre stato rappresentato coll e corna, se non l’intera testa, ed i
piedi di capra; vedi a titolo esemplificativo da un lato un bronzo arcadico
della metà del V sec. a.C. in dotazione all’Antiquarium di Berlino e,
dall’altro, un bronzo romano del II sec. d.C. appartenente al Mus. (svizzero)
di Vindonissa (Mor., op.cit. pp. 382
e 380, figg. n.numm.
49) Hēr (a c. di D.Fausti), Storie- Rizzoli, Milano 1984, L.SEC.,
p.375, n.93.
50) Mor., op.cit., p.339, fig. n.num. (supra, laeva). In tale bassorilievo su una colonna d’un tempio di
Luxor Mīn ha un solo braccio ed una sola gamba, oltre ad
essere itifallico; tuttavia le due piume che il dio reca sul capo hanno
valenza, a nostro giudizio, pari a quella delle corna. Riguardo il significato di queste ed il rapporto
con un <Terzo Corno>, assimilabile al <Corno Unico>, vide n.54.
51) Di
uno Śiva monocero (Ekaśṛṅga) e monopode (Ekacaraṇa) è fatta menzione in Vr.P.- ccxv. 24-5. Per un
semplice commento vedi Ac., La simb.,
p.34, n.13; per un’analisi del tema si analizzi invece Ac., Mrig., pp. 6-7. Circa l’itifallismo shivaico è risaputo che
costituisce un carattere costante – dovremmo dire, strutturale – della figura
di Mahādeva, anche se qualche volta esso rimane inespresso
nelle rappresentazioni quasi completamente antropomorfizzate dell’arte induista
dei tempi storici; una maggiore prevalenza dei tratti sessuali è perdurata, al
contrario, nella rozza ritrattistica divina di tipo piú marcatamente tribale e
popolare. Nel passo puranico appena
citato, comunque, una funzione fallica è già implicita nel ‘Corno Tripartito’
di Pāśupati, apparso in
forma di Mṛgeśvara. Tale
Corno, definito Gokarṇeśvara, viene per l’appunto identificato nel Māhātmya finale del Varāha Purāṇa ad un
celeberrimo Liṅga appartenente al rinomato Tempio di Pāśupatinātha (nei pressi di Kāthmāṇḍu) e consacrato a Kirāteśvara; il ‘Signore
della Caccia‘, cui si narra l’avrebbero dedicato dei Kirāta, antica
tribú autoctona di cacciatori himalayani.
Benché la motivazione vera e profonda del culto parrebbe essere piú
complessa, secondo quanto illustreremo prossimamente. Cfr. Cap.IV, n.46.
52) L’Ekapāda è infatti
una mūrti śaiva, di tipo ugra
(‘terrifico’), benché talora si abbiano delle Ekapāda-trimūrti, con 3 gambe.
Vide n.21.
53)
Padre Heras (Her., op.cit.;
Cap.II, §vi, pp. 245-6; Capp. III, §§ ii-iii, pp. 285-96 e IV, §§ iii-iv,
pp.423-4) riteneva Mīn un’ipostasi dell’An/Aṇ paleo-egizio; a propria volta un appellativo dedicato ad Osiride, o
talora a Horus-Ra. An veniva venerato ad Anu, antica
Anūr (‘Città del
Sole’, ovvero Eliopoli), esattamente come il Mīn indico era
venerato a Mohenjodaro (‘Città dei
Morti’). Codesto nume costituiva
un’ipostasi, a sua volta, dell’Āṇ paleo-dravidico. [Nonostante l’uso approssimativo di questo
termine, siamo convinti che la classe sacerdotale dell’Antica Valle dell’Indo
fosse composta non solo da Anari ma anche da Paleo-turi. Cosa con cui ci pare concordi in sostanza il
Parpola, seppur quest’autore sbagli – a nostro giudizio – nel far di costoro
dei Proto-ari, come del resto fanno altri in generale nei confronti di tutte le
genti turaniche. La distinzione fra
Turan e Iran era molto netta in passato, essendo di natura etnoculturale. Non ha senso abolirla. I Turi sono uno dei ceppi che hanno dato
luogo al gruppo uralo-altaico, strettamente apparentato a quello ugro-finnico.]
54) Che
il Mīn egizio fosse
in certi casi da ritenere <unicorne> è dimostrato dal fatto che nella
parte inferiore di due simulacri litici del dio rinvenuti a Coptos (op.cit., Capp. II, §vi, p.246 e IV, §iv,
p.424), località dell’Alto Egitto, siano state trovate incise alcune sagome
delle ‘Lame’ del Pescesega (ibid.,
p.247, fig.139 e 424, fig.280); la cosa però non trova purtroppo riscontro nel
corrispettivo indico, quantunque vi sia ancora in tempi odierni in Nepal
un’equivalenza sotterranea fra i due aspetti shivaici di Mīnanātha e Pāśupatinātha, il secondo dei quali ha a che fare con
l’effettivo nume unicorne denominato Mṛgeśvara. In altre
parole il nume in questione, volendo assimilare le Due Piume (=Corna) delle
quali a volte la sua versione egizia si dota al Rostro pescino di cui s’è ora
detto, è da valutare come una sorta di Tricorno; o, se vogliamo, di
Unicorno. Vide n.44. A riprova della
veridicità della nostra congettura, figurazioni tricorni o meglio triradiate
dell’An/Aṇ paleo-egizio e dell’Āṇ paleo-indico (analoghe a quelle dell’An/Anu
paleo-mesopotamico, raffigurato con 3 Germogli sul capo) compaiono da una parte
nei dipinti parietali della Cultura paleo-nilotica della Valle del Wadī Hammāmāt; e,
dall’altra, nei sigilli in steatite della Civiltà paleo-dravidica della Valle
dell’Indo (Ac., Le arc., §a.1; inoltre, le figg. 5-6, 9, 15 e
21).
55) Cfr.
n.44. Inoltre, Capp. II, n.549 e VI, n.13. Padre Heras (cit., Cap.IV, §iii, p.422) segnalava che nella versione tamilica
della leggenda del Diluvio e del Pesce Avatarico si parlava talvolta del
Pescesega (confuso nel contesto coll’Histiophorus
brevirostris), piuttosto che del Pesce Cornuto; sebbene egli adottasse,
crediamo per semplice disattenzione o forse per un non corretto impiego
dell’inglese, le espressioni ‘Sword’ e Sword-fish
indicanti la ‘Spada’ ed il Pescespada, anziché quelle piú corrette di ‘Saw’ e Saw-fish.
56) Vide n.54.
57)
Oltre all’autrice cit. alla
n.49 cfr. Font., Pyth., Cap.IX,
p.193. Il prestigioso (da noi
ammiratissimo) Preside della Multiuniversità di Berkeley segnala il fatto che in base alle fonti
classiche elleniche Min – quantunque sia minima la parte attribuitagli dalle
fonti egizie – ha svolto una funzione indispensabile nella lotta fra Oro e Set,
proprio come Pan nell’agone fra Dei e Titani secondo Plutarco et al.
A Pan viene assegnato, in particolare, il merito di aver avvisato gli
Dei onde si trasformassero in animali al fine di sfuggire al Mostro Tifone; il
che, fuor di metafora, indica una rivalorizzazione dell’antica spiritualità
imperniata sul culto planetario a carattere agrario-ofidico in una nuova
spiritualità poggiantesi su un un simbolismo stellare di tipo
pastoral-piscatorio. Gli 8 Segni –
ciascuno di 45° – originari dello Zodiaco (Ariete, Toro, Cancro, Leone,
Vergine, Scorpione, Capricorno, Pesci) non per niente, facciamo notare, avevano
tutti in principio tale caratteristica oggi dispersa. Ad eccezione della Vergine, che però ha
cambiato sicuramente connotazione; siamo convinti che un tempo fosse
raffigurata dalla Sirena (lambente pure la seconda metà del Leone), che non a
caso è stata identificata in tempi cristiani alla Madonna. La VI Fatica di Eracle (cfr. Cap.VI, §j ) lo comprova, anche se la donna-pesce
ha preso in quel caso forma di donna-uccello.
Circa la Bilancia, si sa che non esisteva e che le chele dello Scorpione
– secondo quanto asseriscono certi autori greci – arrivavano sino all’inizio di
essa, ma evidentemente la costellazione si chiamava in modo diverso; cioè
Cavallo, come in Cina il VII Segno. Per
quel che riguarda la seconda quindicina dello Scorpione e l’intero Sagittario,
che egualmente non esiteva, è evidente che hanno sostituito la Capra, giacché
il Capricorno attualmente segna uno spazio bimestrale all’incirca a metà fra
quella che doveva essere una volta la costellazione della Capra (cioè la
seconda metà dello Scorpione piú il Segno susseguente) ed i Pesci. Il Capricorno del resto e la prima quindicina
dell’Aquario non potevano esser rappresentati da un animale misto
(pastoral-piscatorio), ma semmai da uno domestico quale il Gallo, come succede
al X Segno dello Zodiaco cinese; oppure, preferibilmente, da un cetaceo quale
il Delfino. Seguiva probabilmente il
(Grosso) Pesce, quale ritoviamo nelle ‘Fatiche’ di Ercole (vide infra), anziché i Pesci.
Anche il Leone deve aver sostituito un animale marino o fluviale (in
Cina corrisponde infatti al Drago), che al momento identificheremmo –
nonostante un po’ di perplessità – alla Sirena o a qualcosa di simile; poiché
troviamo ben 4 animali domestico-pastorali (Ariete, Toro, Cavallo e Caprone o
Gallo) accanto ad uno selvaggio e la cosa sul piano razionale non avrebbe alcun
senso. Gli animali di tipo
marino-piscatorio sono anch’essi 4: il Granchio o Gambero (effigiato dal
Cancro), la Sirena, il Delfino ed il Pesce (distinto chiaramente dal cetaceo, a
differenza di quanto ci viene di solito tramandato), escludendo il Capricorno a
metà fra le due categorie. Una
ricostruzione ipotetica in definitiva, tenendo conto di quanto da noi formulato
(ossia delle due categorie principali, ciascuna di 4 animali considerando tale
anche la Sirena, che le vecchie leggende associavano ai Sirenidi quali il
Dugongo od il Lamantino), potrebbe esser questa: Ariete (1°-45°), Toro
(46°90°), Granchio o Gambero (91°-135°), Sirena o Sirenide (136°-180°), Cavallo
(181°-225°), Caprone (226°--270°), Delfino (271°-315°), Pesce (316°-360°). In codesta serie ipotetica, eppure basata
sulla logica, si vedrà che appaiono prima due Segni pastorali (Ariete, Toro),
poi due piscatori (Granchio o Gambero, Sirena o Sirenide); indi altri due
pastorali (Cavallo, Caprone), ed infine due di nuovo piscatori (Delfino,
Pesce). Come in una successione ordinata
e dunque tutt’altro che artificiosa, seppur solo presunta.
58) Op.cit., Cap.XI, p.296.
59) Cit.
Cfr. al riguardo il nostro Cap.II, n.167. L’identificazione invece con Pan fa di Min un
nume, alternativamente, dionisiaco; o shivaico, se preferiamo. Sempre rammentando che Shiva ha in India
doppia funzione, solare (apollinea) e saturnina (dionisiaca), a parte quella
celeste-temporale (cronia).
60)
S.Donadoni, L’Egitto- Utet,
Torino 1981, Cap.I, p.13; inoltre fig.7 a-b,
supra.
61)
Wikim.C., op.cit., s.v.MIN (god), immagini varie.
62) Su
quest’identità si riesamini il Cap.II, §i
sgg.
63) D.A.
Mackenzie, Egyptian Myth and Legend…-
Bell P.C., N.York 1978 (I ed. Gresham P., Londra 1907), Cap.XIV, p.190.
64) Mack., op.cit.
65) Op.cit.
66)
G.Acerbi, Il Re Scorpione e i re
pre-dinastici. Alle fondamenta della civiltà egizia– Smmetria on line
(prossim.).
67) Cfr.
n.22.
68) Ker., op.cit., Cap.10, p.163.
69) Ecco
che si spiega in questo modo la ragione onde Egipan è visto impudicamente
montare la capra, che probabilmente è sua madre Amaltea (immagine della Terra
fecondata dal Sole), in un rilievo pompeiano a tutto tondo che ha fatto molto
scalpore.
70) A.di
Nola, s.v. EGITTO, Religione dell’, §4,
p.1049/ col.a; apud AA.VV., Enc.,
Vol.2. Sulla strana personalità di Nut cfr. l’art. inedito (La singolare ‘sovranità’ di Nut)
contenuto in Pest., op.cit., Cap.II,
p.71 ss.
71) Vedi
Cap.IV, §§ l-m. Amaltea
è notoriamente connessa, non meno di Egipan, al Segno del Capricorno e
guardacaso esistono raffigurazioni come quella di C. Paradin, che in un disegno
del 1557 ci ritragggono la Capra-pesce in veste unicorne.
72) Baig.-Lei.Linc.,
op.cit., P.sec., Cap.IX, pp. 254-5.
73) Si
esamini in greco il concetto di Τρί-οδος (‘Trivio’), parallelo a quello di Τρι-όδους (‘Tridente’).
Entrambi rimandano allo schema delle ‘Tre Vie’ iniziatiche, in rapporto
alle ‘Tre Età’ successive a quella Aurea, che a causa del Sacrificio cui sono
comunemente dedite gl’indú definiscono infatti Triyuga. Per un
approfondimento cfr. il testo menzionato alla 144 del Cap.I.
74)
D’altronde pure il Titanopan potrebbe aver serbato nel contempo la
stessa prerogativa, ma in senso titanico-planetario, come accade allo Hunahpú (il Dio-cacciatore)
amerindo. La differenza consiste nel fatto
che in tal caso sono contemplate unicamente le 7 stelle delle quali l’asterismo
è composto, ma vi è assenza di zodiaco; nell’Ermopan, invece, si ha a che fare
collo Zodiaco Lunare.
75)
Wikip., s.v.: FAUNUS.
76) Del
P., op.cit., Cap.5, §1, p.170.
77) Op.cit.
Si noti che pure il nome Śiva in sanscrito viene interpretato in vari modi e,
in uno di questi, asssume il significato egualmente di ‘fausto’.
78)
Donde l’agg. fulvus (‘fulvo’),
che è poi il senso dell’agg. inglese fawn,
omonimo del sostantivo significante ‘cerbiatto’. Vide
supra.
79)
Wikip., s.v.: PAN.
80)
Mor., op.cit., p.380/ col.a.
La statua, tra l’altro, è anche itifallica a differenza della
precedente.
81) Op.cit., p.382/ col.a.
82) Vide Cap.IV, n.51.
83)
Càss., op.cit., p.567.
84) Op.cit., p.569. Ciò ricorda i tratti lupeschi di Fauno,
identificato a Luperco (Del P., op.cit.,
Cap.4, p.159, n.96).
85)
Mor., op.cit., p.381/a-b.
86)
Wikip., s.v.: SIRINGA (mitologia).
87) Ibid. come alla 79, p.381/ col.a.
88)
D.Cenci, Dizionario mitologico
universale- Esperia, Torino 1977, p.277/ col.b., s.v.: SILVANO. Da non confondere col Ciparisso maschile,
triste per aver ucciso il suo amato cervo e trasformato da Apollo in
cipresso. Tutte queste storie alludono
alla precessione equinoziale in tempi neolitici. Il dio (Pan, Fauno, Ciparisso) incarna
l’asterismo di Orione nel calendario luni-solare, non meno del cacciatore
Orione stesso o di altri omologhi quali Atteone, Cefalo ecc. Apollo, ovviamente, è il Sole. Selene, amante soddisfatta di Pan in altro
mito, è la Luna. E la Pianta (Canna,
Pino, Cipresso) è l’Axis Mundi, che
sorregge il Punto Vernale; in senso solare quando si ha a che fare con un
maschio, in senso lunare quando vi è una femmina. Sotto quest’aspetto bisogna notare che
l’asterismo di Orione può fungere da tappa iniziale del calendario lunare
oppure da paranatéllon di quello
solare.
89) M.
Riemschneider, Il Mondo degli Hittiti- Primato Ed., Roma 1957 (ed.or. Die Welt der Hethiter- G. Kilpper V.,
Stoccarda ?), Cap.4, p.115. Scrive
l’autrice in proposito: “Quale distintivo… della dignità regale è considerato
il bastone ricurvo (tav.36), chiamato… lituo, in analogia al bastone degli
auguri romani. Ma il lituo non è tenuto
verticale come il pastorale del papa; afferrato all’estremità inferiore, viene
appoggiato alla spalla o portato con la curvatura in basso (tav.99). È
erroneo
però definirlo uno scettro. Anche il
lituo spetta solo a un gruppo di dèi e non viene portato da tutti come, ad
esempio, lo scettro degli dèi egiziani.
Il lituo non è un distintivo del rango, bensì un’arma. Colla parte inferiore più corta non
corrisponde più al pastorale, bensì al bastone per colpire le lepri. Viene portato quindi dagli Hittiti secondo
l’uso prettamente venatorio, mentre se fosse un pastorale appoggiare il bastone
sulla spalla sarebbe ritenuto una sconvenienza ed una mancanza di dignità.
90) Il
Lituo romano ha generato il Pastorale cristiano, non c’è dubbio. Ma il nome tradisce anche un’origine ebraica,
che potremmo definire mosaica. Del resto
la latinità medesima, tramite Enea, ha trasmesso alla romanità una componente
ebraica; benché in seguito andata negletta, ma rimessa all’onore delle cronache
di recente dagli studi graalici. Si
tratta d’un simbolo di origine sacerdotale, o meglio pastorale; seppur in senso
arcaico e titanico, non produttivo. Come
altri simboli, è poi degenerato a livello regal-aristocratico a strumento di
caccia; rimesso in auge dal primo cristianesimo, che ne ha rivelato i
significati profondi (vide n.92), è
indi ridisceso a semplice emblema ecclesiastico di <fecondità> per la
stretta aderenza della religione cristiana alla mentalità borghese.
91) Sul Pastorale
nel Cristianesimo – in particolare in Irlanda – abbiamo fatto uno studio, in un
libro che non abbiamo ancora completato (G.Acerbi, Sant’Onofrio e Sant’Antonio, segreti protettori delle mistiche nozze)
e di cui non possiamo pertanto indicare un futuro eventuale editore.
92) In
un sarcofago romano del III-IV sec. (Roma, Mus. delle Terme) osserviamo il cd.
‘Buon Pastore’ in un’apparente strana posa, ovverosia è appoggiato al Pastorale
Rovesciato, col braccio destro sorretto dalla mano sinistra, mentre 2 pecore
(una maschio e l’altra femmina) in posizione quasi araldica brucano pianticelle
ai suoi lati. Cfr. al riguardo A.
Grabar, L’arte paleocristiana (200-395)-
Rizzoli, Milano 1967 [ed.or. Le premier art chrétien (200-395)], p.125, fig.124. Che si tratti di arte simbolica sono tutte le
manifestazioni artistiche coeve a provarlo, non c’è bisogno di affermarlo
perentoriamente. Qual è alllora il
probabile significato? Sicuramente vi è una
chiara allusione al Luz, il
cabalistico ‘nocciolo d’immortalità’. La
Cabala si dice appunto sia rifiorita dal II sec. d. C. in poi, assai prima del
suo trasferimento nella Spagna del X-XII sec.
In ogni caso, Cabala a parte, il riferimento esoterico, magari ermetico,
non può esser messo in dubbio.
93) Del P., op.cit.,
Cap.5, §1 sgg.
94) Che
Silvano sia stato tardivamente identificato a Fauno è provato dal fatto che,
come insegna il prof. Del Ponte (op.cit.,
p.170) citando Catone, “dal culto di Silvano fossero rigororosamente escluse le
donne”. Ciò è nient’altro che un
contrappeso all’uso di escludere gli uomini dal culto della Bona Dea. Ma in principio Silvano era identificato a
Marte, il dio agrario per eccellenza.
Benché questo sia ritenuto ormai datato dal Professore, la natura
agraria di Marte è incontestabile, visto che Marte è un dio ario (cioè un dio
degli aratori…). Del resto è per il
duplice rapporto colla Vita e la Morte, come indica il doppio etimo (mas/ mors),
che Marte è divenuto tanto dio della fecondità quanto dio della guerra. Entrambi i caratteri dipendono difatti
dall’Elem. Fuoco, inteso ora come passione ed impeto sessuale, ora come ira
distruttiva e fatale. In alcune immagini
si vede guardacaso dietro la figura di Silvano l’ara del Fuoco e questo è un
emblema che poco ha a che fare colla natura faunesca, anche se talvolta il dio
viene presentato, singolarmente o in gruppo, al modo dei Fauno e dei Fauni. In tale ottica Silvano, qualche volta, ha
persino il Lituo. Rispetto a Crono e a Saturno,
signori dell’orticoltura primitiva (l’una mediante bastone da scavo per i
tuberi e l’altra col bastone trapiantatoio per i semi delle leguminose), Marte
raffigura l’orticoltura avanzata a base di scasso del terreno mediante
rudimentale aratro. Non a caso Marte è
insieme a Giove il dominatore dello Zodiaco Solare duodenario, dato che
l’inizio del 1° dell’Ariete, presieduto da Marte, coincide col 30° dei Pesci,
presieduto da Giove. La Tavola dei Segni
altro non è, infatti, che un percorso agrario figurato. Silvānus deriva sul piano storico dal Selvans etrusco, protettore delle selve e delle attività
agresti. Cfr. al riguardo Wikip. s.v.: SILVANO. Anche il Morelli (op.cit., p.455/ col.a, s.v: SILVANO) et al. attribuiscono alla stessa figura un prevalente culto
agreste, soprattutto delle piantagioni, oltreché quello delle greggi. Gli attributi consueti sono, oltre al cane da
guardia ai suoi piedi, il Falcetto a becco di corvo (alla maniera di
Saturno) o le Cesoie nella destra ed il
Pino nella sinistra.
95) Il
tipico modo d’intendere i Fauni nel classicismo moderno e contemporaneo dell’era
post-pagana è dato dal poema sinfonico di C. Debussy (1862-1918) Prélude à l’après-midi
d’un faune
(‘Preludio al pomeriggio d’un fauno’, 1892), ispirato all’impressionismo
letterario di S. Mallarmé (L’après-midi
d’un faune, 1876). Il contenuto
consiste nelle fantasie diurne d’un fauno, che in ambiente bucolico si diletta
a suonare il flauto ed ha piacevoli incontri con alcune ninfe. Poi si addormenta beato.
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