martedì 27 marzo 2018

Il Re Pescatore e il Pesce d'Oro, Note al Capitolo VI






Note al Cap.VI


1)          Art., Geogr. (fragm.) – ii. 35.  Il passo è segnalato in Her., op.cit., §IV, p.426, n.3.
2)          Op.cit., p.426.
3)          Grav., op.cit., §87.c, p.263.
4)          Op.cit., §87, p.264, n.2.
5)          Cit., §87.a-b, pp. 262-3.
6)          La prima parte è viceversa dedicata all’Apollo Delio.
7)          Her., op.cit., p.425, fig.281.
8)          Il sigillo è stato rinvenuto da Sir Arthur Evans negli scavi susseguenti alla scoperta di Cnosso e dunque risale all’Antico Minoico, databile all’incirca al III mill. a.C.; ossia ad un’epoca coincidente piú o meno con la presenza in tutto l’Egeo del Cicladico Antico, nel continente bagnato dal medesimo mare dall’Elladico Antico ed in Egitto dell’Antico Regno (o, secondo una piú recente cronologia, dell’insieme fra il Periodo Protodinastico, l’Antico Regno ed il I Periodo Intermedio).   
9)          Op.cit., p.425 (con rimandi al Cap.II, App.I).
10)        Vide infra.  Il sito di Ninou Khani (altrimenti trascritto come Niru Chani), uno dfei luoghi di riferimento di tali tripodi, è dislocato un poco piú a nord di Cnosso.
11)        Sulle relazioni cultuali tra l’sola di Creta e la sede oracolare greca di Delfi, dalla fase cronologica chiamata dagli archeologi Elladico Recente III sino ad Epoca Tardo-ellenistica, cfr. M.Guarducci, Creta e Delfi- S.M.S.R. (AA. 1943-6, Voll. XIX-XX), Zanichelli, Bologna 1946, pp. 85-114.
12)        Vide n.23.
13)        Nella tradizione hindu il Triśūla shivaita ha perso, o forse non ha mai detenuto, la natura principalmente marina del Triódous poseidonico.  Nel caso di Apollo Delfinio, invece, assistiamo addirittura ad un raddoppiamento dei 2 denti laterali del forcone; sicché il Dente del Delfino viene paradossalmente a raffigurare in qualità di <Dente Centrale> non un <Terzo Dente> (o Corno), come al solito in casi del genere, bensí un vero e proprio <Quinto Dente> (o Corno).  E se volessimo contrapporre il suddetto <Dente Centrale> agli altri 4 Denti del Forcone, dovremmo allora considerare lo stesso quale <Rebbio Centrale> o <Quinto Rebbio> d’un emblematico Forcone Pentadentato; cui sembra legato, indirettamente, il destino dell’Arca abbozzata in modo sommario nel riquadro del sigillo.
14)        Guard., art.cit., pp. 101-2.
15)        Colapisci, l’eroe popolare della regione, è descritto in certe tradizioni siciliane (M.Calogero, Usanze proverbi e canti della marina di Sicilia; apud AA.VV., Etnografia e folklore del mare- L’arte tipografica [a c. dell’Ente Auton.], Napoli 1957, p.276) non solo quale frequentatore pelagico di delfini; bensì, talvolta, pure nell’atto di disincagliare dei polpi mediante i suoi arpioni.  Il doppio simbolo rappresenta, palesemente, un riferimento extra-zodiacale ai 2 solstizi annuali.  Che la Sicilia, in un periodo antecedente a quello dell’avvento dei coloni ellenici, sia stata per contro terra di culti titanico-solari è però attestato da Macr., Sāt.- i. 8, 11 e 17, 24.  Questi culti debbono evidentemente risalire alle civiltà dei primi abitatori dell’isola, come sembra lecito dedurre dalle culture egeo-anatoliche di Castelluccio e di Thapsos; ma vi è notizia (ibid., 7, 28-31) in base a Varrone che anche i Pelasgi – fondatori dei Saturnali romani secondo una tradizione latina riportata da Macrobio, nonché promotori della cacciata delle genti sicule al sud – abbiano avuto dimestichezza con tali riti cruenti (sacrificio di teste in onore degli Antenati, secondo quel che si può dedurre dal testo citato), in seguito caduti in disuso per il prevalere di un diverso cerimoniale legato alla venerazione di Ercole e di carattere incruento.  I Pelasgi erano, infatti, nient’altro che fuggiaschi di stirpe greca scacciati dalle loro proprie terre (ib., 28).  Altre fonti ci riportano invece alla presenza in Sicilia di culti ciclopici, ma la sostanza è in fondo la stessa; poiché in verità il Poseidone di cui i Ciclopi sono miticamente descritti essere figli  rappresentava un tempo, ovviamente precedente all’assunzione del nume nel Triregnum olimpico, un doppione titanico dell’Apollo-Crono ‘argenteo’ (distinto in realtà siccome oltremodo piú arcaico dell’Apollo-Dioniso ‘ferreo’, la cui mitologia risale viceversa appena all’inizio del Neolitico).
16)        Ci riferiamo alle immagini su conio della dea greca Aréthousa, affiancata dai Delfini; oltreché a quelle analoghe, in quanto su di esse modellate, della dea punica Tanit (consorte di Baal).
17)        Il fenomeno della talassocrazia cretese offre spunti per una comparazione tra le tecniche nautiche  impiegate nel Mediterraneo e quelle in uso nell’Oceano Indiano.  Sennonché, bisogna precisare, il dominio marittimo delle popolazioni dravidiche è una conseguenza del loro dominio fluviale, data la conformazione geografica del territorio ove esse hanno dimorato storicamente; un po’ come forse è avvenuto, seppure con maggiori limitazioni del fenomeno, nell’ambito delle terre nilotiche.  Mentre, nel caso dell’Egeo, la navigazione marittima sostituiva ampiamente quella fluviale.
18)        Il che è potuto accadere solamente nell’arco di tempo che andava, pressappoco, fra la fine del III mill. a.C. e quella del I; piú esattamente, fra il 2.320 ed il 160 a.C.
19)        Her., op.cit., Cap.III, §V, pp. 327-30, fig. 190-6.
20)        Se nell’Inno Americo ad Apollo il nume assume mostruosamente il sembiante di Delfino, è evidente che il Rostro di tale aspetto teriomorfico della divinità – di cui pure non abbiamo una controparte iconografica sul piano delle arti plastiche – può esser benissimo assunto quale simbolo assiale; giacché, si badi bene, iconologicamente parlando (è la prima regola dell’Iconologia delle Religioni) ogni parte dell’animale sacro al pari delle componenti somatiche d’una figura divina antropomorfizzata costituisce non meno dell’intero animale valenza simbolica.  Come vedremo più oltre (cfr. §g), del resto, vi è almeno un immagine apollinea nella Grecia arcaica che ritrae codesto nume in figura umana ma con un corno di tipo taurino sul capo.
21)        Le ipotesi attuali circa l’avvento in Creta della civiltà minoica all’inizio del III millennio, o poco piú tardi, parlano di una provenienza anatolica degli abitanti dell’Egeo; anche se, ad essere piú precisi, alcuni dati tradizionali concernenti l’origine rituale del Tridente presso i Telchínes – definiti cretesi o rodiensi a seconda delle circostanze – farebbero pensare ad una soluzione diversa del problema.  Insomma, è possibile ritenere in base a codesti dati che sia avvenuto un ripopolamento dell’isola dopo il Diluvio; occorso, al dire degli archeologi, all’inizio del III mill. a.C. ed invece, secondo la tradizione c.1.500 anni prima.  Ma non ci stupiremmo se avessero ragione gli archeologi, poiché anche per il Diluvio precedente (atlantideo) la differenza fra il calcolo teorico poggiante sulle congiunzioni astrali e quello pratico, tratto da Platone, risulta piú o meno di 1.500 anni.  Dal che si può dedurre in linea teorica che le congiunzioni planetarie settenarie avviino il fenomeno di per sé sul piano geo-magnetico, ma che poi trascorrano altri 1.500 anni c. affinché i cambiamenti in atto determinino il fenomeno diluviale vero e proprio, ovvero quello rilevato dagli studiosi contemporanei.
22)        E che dire, inoltre, del preteso culto di Apollo fra i Cretesi?  Gli storici ellenici (Paus., Per.- vii. 2, 6), sappiamo (A.H. Krappe, Apollon- S.M.S.R. [AA. 1943-6, Voll. XIX-XX ], Zanichelli, Bologna 1946, p.115 ss.), riferivano d’una provenienza del culto – lett. del nume – in area egea dall’Asia Minore.  Il nostro informatore rilevava a suo tempo, peraltro, una parentela di Febo col dio licio Sýros (definito non per nulla da Plutarco figlio di Apollo), nonché con il massagetico Sver ed il vedico Sūrya.  Sennonché, facciamo notare da parte nostra, la parentela non significa omologia; in quanto è Hlios a fungere in Grecia da corrispettivo anche filologico di Sýros-Sver-Sūrya, non Apóllōn, il quale come indica l’etimo (dal vr. ἀπόλλῡμι = ’distruggere’) è affine piuttosto a Śiva, il nume induista distruttore e trasformatore del cosmo.
23)        Vide Cap.III, n.44, nonché la n.17 dell’art. colà menzionato.  Abbiamo discusso in quella nota delle affinità tra il Pesce Unicorne – invero una Carpa ingrossata a dismisura, come si è già visto  – dei testi hindu  (puranici od epico-brahmanici) ed il Mīn o Min indo-egizio (connesso al Rostro del Pescesega, diffuso nell’Oceano Indiano), postulando un’omologia fra gli stessi e il Delfino Monodono del sigillo cretese, cui abbiamo attribuito caratteri pre-apollinei (o forse apollinei tout court).  Pensando ad una soluzione di mezzo potremmo altrimenti ritenere l’icona contenuta nella placca d’avorio minoica una prefigurazione assai prossima, in chiave pre-ellenica, di codesto nume nell’isola di Creta.  Ci siamo, inoltre, richiamati ad un supposto culto boreale del Narvalo come ad un arcano prototipo della simbologia ittiomorfica.
24)        Her., op.cit., pp. 425-6.
25)        E. Akurgal, Oriente e Occidente- Il Saggiatore, Milano 1969 (ed.or. Orient und Okzident- Holle, Baden Baden 1966), Cap.VIII (n.num., concernente i rapporti tra l’arte greca arcaica e quella corrispettiva vicino orientale), p.239, tav.LIX.
26)        Ker., op.cit., Vol.2, L.sec., Cap.3, pp. 203-4.  Per un approccio piú approfondito all’argomento cfr. Font., op.cit., Cap.XIII, pp .401-5.  Il Fontenrose analizza bene in dettaglio la vicenda del ratto del Tripode, indicando tutte le varianti del mitologhema; ma non siamo d’accordo su una conclusione, cioè che la disputa per il Tripode equivalga a quella per la Cerva di Cerinea (ibid., p.104).  Difatti, la prima disputa precede (o segue, secondo altri, vedi il Graves) i Lābōres, la seconda è uno di questi.
27)        Vedi §i.           
28)        Akur., op.cit., p.240 con figg. 120-1 accluse.       
29)        Vide n.20.
30)        Charb.-Mart.-Vill., La Gr. arc., P.sec., p.160, fig.199.
31)        Charb.- Mart.-Vill., cit., P.ter., p.330, fig.379.
32)        Charb.- Mart.-Vill., p.341, fig.390.
33)        Il simbolismo del Leone Nemeo in ogni caso, come vedremo tra poco al §i, è retrogrado riferendosi al tempo in cui il Punto Vernale trovavasi in Leone; invece quello delle 2 Corna Taurine allude al ciclo diretto, che sempre stando sul piano siderale all’inizio dell’Età del Ferro partiva dal Segno del Toro.  Forse il piano tropicale è stato preso maggiormente in considerazione piú tardi, ossia dall’Epoca dell’Ariete in poi, rimanendo in auge anche successivamente nell’Epoca dei Pesci.
34)        Akur., op.cit., p.236, fig.121.
35)        Gli Eroi o Semidei dal punto di vista delle Generazioni Divine, correlate ad altrettante Stirpi Umane, occupano in Grecia come in India il terzo posto in senso discendente in relazione allo schema quaternario ed il quarto in rapporto a quello quinario.  Vide Cap.IV, n.14.  Vale a dire, sono da assegnare cronologicamente alla mitica Età del Bronzo nel primo caso ed al IV Grande Anno nel secondo.  Viceversa i Titani appartengono all’Età dell’Argento, secondo lo schema quaternario, ed ai primi due terzi della stessa Età nell’ambito quinario.  Naturalmente in questo secondo schema Semidei ed Eroi non coincidono, essendo la natura semidivina effigiata dal III Grande Anno anziché dal IV; in altre parole, dall’ultimo terzo dell’Età dell’Argento e dalla prima metà dell’Età del Bronzo.  
36)        Sul 7 quale cifra misterica del culto apollineo, da intendere evidentemente come numero planetario, cfr. Cap.III, n.25.  Ovvio che questo particolare Apollo, non meno di Elio (cui s’identica) e di Crono (con cui forma le due estremità dell’Ebdomade Planetario, personificato dai 7 Titani), va considerato una deità pre-eroica.  Non è l’Apollo figlio di Zeus, omologato ad Ercole come signore del Leone, e nemmeno l’Apollo tardo; vendicatore di Artemide, o di Eos, nei confronti dell’alter-ego Orione.
37)        A riprova delle valenze sacrali del 13 – numero zodiacale per eccellenza –  nel culto eracleo vedi in parallelo la posizione dominante (ossia doppia, come α e ω) di Ζεύς Πατήρ (lat. Iuppiter, scr. Dyaus Pitar) nei confronti dei subordinati 12 Dei delle Piogge; ovvero fra i Latini di Romolo (allotropo di Pico Marzio), anche questi preposto nel ciclo pluviale annuale in qualità di signore della fecondità e della fertilità ai 12 Dei romani in vesti di uccelli-verghe con valenze solari.  Pure nel simbolismo cristiano c’imbattiamo talvolta nel Cristo signoreggiante gli Apostoli, rappresentati angelicamente come Uccelli, in funzione analoga a quella dei succitati dei solari.  In merito a ciò non appare inopportuno sottolineare altresí che l’Ordine di Melchisedek, cui tradizionalmente si rifà la simbologia evangelico-paolina (Epist. agli Ebrei- vii) rappresenta per gli Ebrei un perfetto equivalente sul piano sacerdotale di quel che funge la Stirpe Eroica (o Semidivina) per gli Ari sul piano cosmografico; secondo quanto traspare visibilmente sia dal fatto che Tsedek (insegna Guénon) costituisce in ebraico il nome del pianeta Giove sia da un’approfondita analisi, scevra da ogni pregiudizio, della mitologia indoeuropea.
38)        Per spiegarci meglio, Apollo signoreggia sia l’Età dell’Argento chel’Età del Ferro; ciò significa che a dominare la scena in entrambi i casi è lui, nei panni di signore planetario avversario della figura saturnina di Dioniso in un caso od in quelli di annientatore demiurgico di Orione nello Zodiaco Lunare nell’altro.  Mentre Eracle signoreggia l’Età del Bronzo, facendo in ciò il paio con Zeus: al primo viene riservato il dominio nell’Astrologia Siderale (a partire dal Leone, in senso retrogrado), al secondo quello nell’Astrologia Tropicale (a partire dall’Ariete,  in senso diretto).
39)        Qui appare evidente un riadattamento del tema eracleo allo schema tropicale (fisso, a differenza dell’altro), nonché alla situazione cosmologica propria dell’inizio dell’Età del Ferro, allorché l’Eqinozio di Primavera trovavasi in Toro.
40)        Tanto nell’Età del Bronzo quanto nell’età del Ferro i Piccoli ed i Grandi Misteri culminano a vicenda in Toro ed in Leone (il riferimento ivi è all’inizio del V Grande Anno nel primo caso e alla metà di esso nel secondo), ma nella Terza Epoca ciclica i due punti culminanti si trovano rispettivamente al Solstizio d’Inverno e all’Equinozio di Primavera, mentre nella quarta Epoca i due culmini avvengono all’Equinozio di Primavera e al Solstizio d’Estate.  Per un chiarimento maggiore si consulti Ac., Le Tre V., passim.
41)        Karfi, sopra la Piana di Malia (nella zona centro-orientale dell’isola di Creta), fu rifugio insieme ad altre roccaforti montane di Minoici ed Achei durante le invasioni barbariche dell’ultimo quarto del II millennio a.C. (doriche od altro che fossero). 
42)        Dem., op.cit., Sec.p., Cap.XI, figg. 396-7.  Non capiamo perché l’autore, nel commentare l’immagine (ibid., p.443) parli di rhyton a forma di carretta; il ῥυθόν è un bicchiere per il vino, terminante nella parte appuntita con una testa d’animale.  Vedi ad es. quello a testa di leonessa di Cnosso, nel Mus.di Hiraklion, appartenente all’arte minoica (1.500 a.C.); ib., Pri.p., Cap.V, p.161, fig.219.  Qui abbiamo a che fare con una cosa ben diversa, un tripode.  Per la presenza del Tripode nel Lineare B vide Cap.III, n.20.
43)        Figurativamente sono note poche icone di Acheloo.  La piú nota (riportata in Font., op.cit., Cap.X, p.233, fig.22; oppure in Charb.-Mart.,-Vill., op.cit., p.315, fig.361) è quella di Stamno, che lo ritrae con tratti semiantropomorfici (solo la testa, a parte il Corno impugnato da Eracle, e le braccia), ma il resto del corpo appare secondo i canoni letterari; codesta pittura attica a figure rosse appartiene ad Olto, pittore di vasi e di coppe nell’ultimo quarto del VI sec., e si trova al Museo Britannico.  Una terza icona, presente nel Mus. di Berlino (Mor., op.cit., p.3), è un’opera classica della  prima metà del V sec.; si tratta d’un rilievo mutilo in pietra, in cui compare soltanto il capo, totalmente umano.  Ma alla tempia sinistra (la destra manca proprio nel punto corrispondente) si scorge una rotta protuberanza, che parrebbe indicare un corno infranto, non certamente da Eracle…                                                                               
44)        Toc., op.cit., s.v.ACHELÒO, pp. 7/ col.b e 8/ col.a.
45)        Cfr. Cap.I, §q; inoltre, n.161.
46)        R.Ettinghausen, The Unicorn- Studies in Muslim Iconography (Vol.1, n°3), Freer Gall. of Art (Occ.Papers), Washington 1950, tav.31 (dex.); l’autore spiega nel testo (ibid., p.67) che il bassorilievo del palazzo di Persepoli conosciuto come ‘Trono di Jamshid’ (Takht-i-Jamšīd) è stato descritto, all’inizio del XII sec. da Ibn al Balkhī,  nei termini d’un mitico re che combatte un mostro dalle varie nature.
47)        L’animale composito oggetto dell’atto cosmogonico, di cui è fatto riferimento alla n.prec., è un pentamorfo.  Infatti possiede visibilmente oltre al Corno Unico Testa di Leone, Coda di Scorpione,  Ali di Aquila e Zampe di Toro; ma la postura della figura, ritta in piedi, è quella umana.  Non può trattarsi perciò che del quadrinaturato Zurvān (Chrónos), con aggiunta della <Quinta Natura>, infinita (Akārana = gr. Ápeiros).   E il mitico re altri non è che Jamšīd, cioè El-Krónos per intenderci, sebbene etimologicamente e letteralmente andrebbe chiamato… Giano-Saturno.  In altre parole, il signore dell’età aurea e quello dell’età argentea fusi assieme in un unico nome (nume); esattamente come avviene con Yahweh-‘Elôhīm in Gen.- xxi. 33, solitamente tradotto in maniera ecclesiastica con ‘Jahveh-Dio’, ma questa traduzione è troppo approssimativa.  Una traduzione migliore sarebbe alla lettera la forma latina ‘Giano-Sole’ (o ‘Cielo’), s’intende dell’Eone, ovvero in termini greci Ouranós-Hlios oppure – tagliando la testa al toro – Chrónos Aiôn; onde appare evidente che la traduzione giusta risulta per la verità impossibile, dato che il secondo termine funge da signore dei ‘Sette Soli’ dell’Ebdomade.  Per adottarla in questi termini comparativi bisognerebbe prima ammettere che l’Ebraismo pre-mosaico tramandato nel ‘Pentateuco’ concepiva il tempo ciclicamente come tutte le altre tradizioni religiose dei popoli di discendenza noaica e che allora non vigeva il monoteismo, ma semmai l’enoteismo come altrove, generazioni divine incluse.
48)        Siamo convinti quindi che mentre nel caso dell’Unicorno iranico <dalla quintuplice natura> l’atto d’annientamento rituale del mostro abbia valenza cosmogonica, nel caso invece della vittoria parziale di Eracle sull’Unicorno greco <dalla triplice natura> la vittoria sul mostro presenti un rimando semplicemente annuale e cerimoniale.
49)        Un simile animale si trova, in effetti, nell’arte iranica; cfr. al riguardo A.Parrot, Gli Assiri- Rizzoli, Milano 1970 (ed.or. Assur- Gallimard- Parigi 1961), Pri.p., Cap.V, p.209, fig.262.  In un cilindro achemenide di data imprecisata (c.VI-IV sec. a.C., Mus. di Belle Arti, Boston) si osserva la stessa scena del bassorilievo di Persepoli, di cui alla n.42, ma con qualche sostanziale differenza; vale a dire, il sacrificio viene compiuto dal medesimo re mitico o da uno equivalente con un falcetto a becco di corvo anziché col pugnale da caccia, sebbene questi non impugni il corno del mostro come nell’altra scena.  Inoltre, particolare decisivo, il mostro ha solo due nature (Leone ed Aquila) oltre a quella trascendente evidenziata dal Corno.
50)        Vide Cap.IV, n.51.
51)        Vide Cap.III, n.47.
52)        Ibid.,  §g sgg e n.71.
53)        Ahirbudhnya è un epiteto di Rudra-Śiva e come tale ambiguo.  Qualcuno (Stut., op.cit., s.v.AHIRBUDHNYA, p.13/ col.a) lo ritiene il volto benefico di Ahi Vtra, che fa il paio nella sua qualità di demone delle acque con il tricefalo iranico Aži Dahāka, dal sembiante draconico-ofidico (ibid., s.v.: AHI, pp. 11/ col.b e 12/ col.a).  Infatti, secondo il Mhbh., Udyogap.- ix. 2 ss. (ib., s.v.TRIŚIRAS, pp. 442/ coll. a-b e 443/ col.a), Ahi V. nasce dal corpo cadaverico fulgente di Triśiras (nome attribuito anche a Ravaa o a Kubera) per volere del padre Tvaṭṛ adirato per l’atto sacrilego compiuto da Indra dopo che questi lo ha colpito col Vajra in apparenza senza ragione.  Quest’atto è tuttavia la ripetizione d’un altro consimile effettuato, in precedenza, da parte di una figura titano-demonica anziché divino-eroica; dato che nella mitologia iranica è Thraetaōna (pahl. Freton, pers. Firedon/ Ferōdūn) a compierlo ai danni di Aži D., cioè l’equivalente iranico del greco Perseo.
54)        Egipan è figlio del titano Aíx e costui è figlio di Pitone, che a sua volta viene assimilato a Tifone (Font., op.cit., Cap.V sgg) o all’indiano Vrtra (ibid., Cap.IX, p.194), in quanto entrambi sono demoni incarnanti il Caos Primordiale, vincendo il quale si liberano le Acque, vale a dire la Manifestazione.  A sentenziare definitivamente sull’argomento il Fontenrose (ib., Cap.XIII, pp. 378-9) mostra l’affinità fra Dioniso e Pitone, essendo ciascuno dei due effigiato in forma ofidica; ovvero fra Dioniso e Aix, dato che entrambi posseggono una comune raffigurazione caprina.   
55)        Riguardo tale apparentemente strana gemellanza di Eracle ed Ificle, quest’ultimo nato a differenza del primo dal padre Anfitrione cfr. Ac., La quest., §3, p.10 (n.17 accl.).
56)        Grav., op.cit., §122.a; inoltre, i §§ c-e.
57)        Grav., cit., p.427, n.3.
58)        Non siamo del tutto d’accordo con quel ch’è asserito da certi studiosi di stampo accademico riguardo la pretesa “plasticità e vivacità della mitologia eraclea”.  Cfr. sul tema a titolo esemplificativo ciò ch’è postulato da C. Bonnet Xella in un peraltro ottimo dossierLe grandi fatiche di Ercole- Archeo (A.IX, gen., N°1 [107]), De Agostini-Rizzoli, Roma 1994, p.63 – a proposito delle “versioni uniformizzate, in parte arbitrarie” (il riferimento è ad autori quali Diodoro S. ed Apollodoro A.), che falserebbero la prospettiva in cui intendere il tutto.  A meno che si riesca a dimostrare un prospetto orginale valido, nel quale la simbologia delle ‘Fatiche’ vada a posto da solo, senza bisogno di “correzioni opportune”.  L’articolo, di carattere divulgativo come del resto l’intera rivista, è comunque la sintesi ottenuta in base ai risultati d’un importante congresso tenutosi all’Academia Belgica ed all’École Française su iniziativa di Corinne Bonnet; i cui Atti, c’informa gentilmente la medesima, sono stati pubblicati precedentemente.  Vide C.Bonnet & C.Jourdain-Annequin (a c. di), Héraclès d’une rive à l’autre de la Méditeranée: bilan et perspectives- Actes de la Table Ronde de Rome (Ac.Belg. et Ic.Fr. de Rome), 15-6 set. ’89, Roma 1992.  Per altri testi sull’argomento rimandiamo alla bibliografia riportata alla fine dell’art. (ibid., p.101).  A giudicare da quanto si legge in siffatta sintesi, il “nuovo approccio” per qualche intuizione parrebbe assai promettente, quantunque certi errori di valutazione immancabilmente sembrino viziare la ricerca in generale.  Ad esempio, la distinzione nel personaggio di Ercole fra un aspetto divino ed uno eroico è lecita, visto che la suggeriva già Erodoto.  Sebbene altri (Platone in primis) non stessero troppo a distinguere, identificando gli Eroi ai Semidei dell’Età del Bronzo.  Ma è chiaro che stando ad Esiodo, il quale differenzia nettamente l’Età Bronzea dall’Età Eroica, i Cronidi si contrappongono agli Uranidi; mentre gli Eroi, è ovvio, si contrappongono ai Cronidi.  Anche se questa seconda dicotomia è meno forte e sentita bisogna distinguere, ciclicamente parlando, una ‘Generazione Divina’ da una coeva ‘Generazione Umana’; per quanto sovente le due ricevano un’unica denominazione, sí da creare confusione nell’effettiva comprensione dei passi.  Ciò è dovuto al fatto che le generazioni umane divinizzate nel post-mortem rientrano nell’ambito di quelle divine, dalle quali provengono in forma archetipica.  Insomma, se ci si riferisce all’Età Bronzea all’interno di uno schema epocale quaternario, occorre collocare nella prima metà gli Dei Olimpici e nella seconda gli Eroi.  Ciò corrisponde, se vogliamo esser sinceri, alla discriminazione fatta a livello accademico nella mitologia eraclea fra simbologia divina ed eroica; la quale, in termini archeologici,  si riallaccia da un lato ad una cultura di tipo tardo-paleolitico e dall’altro ad una di tipo mesolitico.  Cfr. sul tema G.Acerbi, I Misteri di Eracle, dai ‘Collegia Fabrorum’ all’antica Massoneria- Alle pendici del Monte Meru, blog (prossim.).
59)        L’ordine da noi elencato è quello in cui i Segni Fissi appaiono nei Misteri Eleusini, i quali rimandano allo schema sidereo dell’inizio dell’Età del Ferro.  Nell’ordine eracleo invece la ripartizione delle 4 terne capeggiate dai Segni Fissi è disordinata (Leone, Scorpione, Toro, Aquario), poiché la seconda dovrebbe essere la quarta, la terza la seconda e la quarta la terza.  A nostro parere inoltre non può esservi stato scambio di terne nel momento ciclico ora indicato, vale a dire nell’Era del Toro; ché altrimenti la terza terna (Toro, Ariete, Pesci), ossia presumibilmente la seconda nell’Era del Leone, sarebbe diventata la prima. 
60)        Il disordine di posti in cui son collocati le terne capeggiate dai Segni Fissi non è di per sé caotico, ma segue all’interno d’ogni terna l’ordine retrogrado.
61)        In un  nostro articolo (G.Acerbi, I numi erano numeri. Carattere matematica della vetusta astrologia e della conseguente teogonia- Alle pendici del Monte Meru, blog, [24-07-11], fig.28) abbiamo riprodotto l’immagine d’una pittura, o forse un’ incisione parietale (nel testo ove viene segnalata appare in forma schematizzata senza l’originale), riportata in un libro di L.Frobenius e H.Obermaier in cui è stata considerata – al dire del Sementovski-Kurilo – “non posteriore al 10.000 a.C.”  Il reperto, oltre al fatto di rappresentare il piú antico Zodiaco Solare a 12 Segni di cui si è trovata traccia, è la dimostrazione che l’Astrologia Tropicale già in tempi preistorici fiancheggiava l’Astrogia Siderale senza smentirla.  A riprova che fin da allora non erano contrapposte, diversamente da come certi sciocchi contemporanei senza studio della materia pretenderebbero, al solo scopo di dimostrare l’assurdità di codesta (per loro) “pretesa scienza”.  Sul tema ovvero sulle risposte da offrire ai detrattori dell’arte o scienza astrologica che dir si voglia cfr. ibid., p.1 ss.  Nell’art. (ib., p.6), oltre a spiegare i dettagli dell’immagine preistorica rinvenuta, diamo conto della connessione fra Eracle ed i suoi omologhi indo-ebraici (Krishna, Noè).  
62)        Ker., op.cit., Cap.2 sgg.
63)        Grav., op.cit., §§ 123-34 passim.
64)        Tale ordine è quello riportato dal grammatico stoico Apollodoro di Atene (II sec. d.C.) nel suo compendio mitologico, intitolato Biblioteca; che ha influenzato tutti gli scrittori venuti dopo di lui, sino ad oggi.  In realtà il testo viene ora attribuito ad uno Pseudo-Apollodoro, o meglio allo scrittore romano Castore l’Annalista, del I sec.  Abbiamo preso le informazioni da Wikip., op.cit., ss.vv. LE 12 FATICHE e BIBLIOTECA (PSEUDO-APOLLODORO).
65)        Si può ipotizzare che, essendo lo Zodiaco Solare in tempi tardo-paleolitici formato di 8 Segni (vide Cap.III, n.57), anche le ‘Fatiche’ di conseguenza avessero pari numero.  Kerényi (op.cit., p.161) sembra quasi sollevare il problema, ma non è in grado di risolverlo.
66)        Font., op.cit., Cap.XII, p.323 ss.  A differenza di altri il Preside della Multiuniversity di Berkeley pone il conflitto colla Morte quale episodio centrale della mitologia eraclea, pur avendo avvertito il lettore nelle righe introduttive al capitolo (ibid., pp. 321-2) che Ercole è un personaggio complesso, dalle molte sfaccettature; tanto che per trattarlo compiutamente, avrebbe avuto bisogno d’un libro intero come Python, anzi persino piú voluminoso.  Partendo dal mito di Alcésti, la sposa che grazie all’intercessione di Apollo salvò il marito Admeto dalla morte offrendosi a Thánatos al posto suo ma fu poi liberata dalla discesa al Tartaro di Eracle (o secondo una variante mitica per intervento di Persefone, ammirata dall’incredibile affetto manifestato da parte della donna verso il marito, presso Ade), l’autore passa a considerare l’omologia fra Ádmētos (lett. ‘Indomito’) ed Eurystheús; al cui servizio rimangono per determinato tempo tanto Apollo, quanto Eracle.  Euristeo d’altronde ha una figlia, Admtē,  che è ovviamente la Regina degl’Inferi (ib., p.325); non per nulla Esichio definisce la dea lunare Ecate figlia di Admeto, in altre parole figlia del dio infero.  Onde è lecito arguire che Admeto ed Euristeo non siano altro che alcune delle tante facies di Ade (di seguito ne enumera altre quali Anteo, Gerione e Caco), contro cui difatti Eracle combatte in un diverso mitologhema menzionato da Omero e Pausania  (p.327).  Il combattimento avviene a Pýlos, termine che al minuscolo significa ‘portone dell’Ade’.  Ragion per cui si deve interpretare l’Eroe alla stregua d’un ordinatore del Caos, non meno di Zeus (p.357).
67)        F.Calonghi, Dizionario Latino-Italiano- Rosenberg & Sellier, Torino 1967 (I ed. 1950), s.v. HERCULEUS (apud HERCULES, Deriv.: C, pp. 1246-7).
68)        L’autore – menzionato da H.Humphreys in The Horn of the Unicorn- O.G.S. Crawford, C.B.E., Litt.D, F.B.A. (Vol.XXVII, mar., N°105), Gloucester 1953, p.16 – è titolare d’un articolo sul tema pubblicato sulla stessa rivista nel 1930.
69)        Su Ebe, figlia di Era Teleia (una forma di Era in virtù di dea dei matrimoni), quale consorte di Eracle cfr. Ker., op.cit., Cap.3, p.216.
70)        Font., op.cit., p.356.
71)        L’Argolide, donde la definizione di ‘Argivi’, è la terra di sviluppo della civiltà micenea; è situata in Peloponneso, ad est dell’Arcadia e a nord della Laconia.
72)        Da non confondere coi 7 Cakra.   In tal caso è Saturno all’opposto e non il Sole che domina il capo, in analogia col Settimo Cielo di shamanica memoria.  Per una raffigurazione chiara di questo simbolismo si osservi l’effigie della I Lama del Tarocco Esoterico spagnolo, mazzo di carte risalente alla Cabala ermetica; secondo qualcuno (P.D.Ouspensky, The Symbolism of the Tarot. Philosophy of Occultism in Pictures and Numbers- Dover P., N.York 1976 [ed.or. in russo 1913], Intr., p.15) questa rappresenta la carta dell’Iniziato, del Mago.  Ouspensky nella sua disamina ha per oggetto il Tarocco britannico, nella formulazione iconografica del Waite, che effettivamente ha per prima carta The Magician.  Altri (O.Wirth, I Tarocchi- Mediterranee, Roma 1973 [ed.or. Le Tarot des imagiers  du Moyen Age- C.Tchou Ed., Parigi 1966], pp. 121-5) interpreta la I Lama in riferimento all’Unità-principio e, cosmologicamente, ad Orione; di cui il Bagatto (cfr. col scr.Bhagavat = ‘Beato’ in senso bhaktico), base di analisi in questo caso essendo il Tarocco marsigliese coi suoi 4 Strumenti di valore elementale (Coppa =Aria, Bastone=Fuoco, Spada=Acqua, Oro=Terra) e la posizione particolare delle mani, fornisce un’evidente incarnazione antropomorfica.  In tal caso, viceversa, l’influenza almeno in principio è indiana attraverso la cultura degli Zingari; su questa, nel momento in cui gli Zingari si sono trasformati in Gitani (dimoranti nel ‘Piccolo Egitto’ ossia in Asia Minore), si è sovrapposta dapprima un’influenza ebraica di tipo cabalistico ed in seguito un’influenza ermetica.
73)        L’Idra per la sua potenza ricorda l’effetto microcosmico della Śakti-Kuṇḍalinī, oltre a quello macrocosmico delle Sfere celesti. 
74)        Grav., op.cit., §d, p.432.
75)        Vedi ad es. la raffigurazione del Granchio su vaso funerario del VI-V sec. a.C. (ora al Louvre) riportata in Bonn., art.cit., p.65, fig. n.num.  
76)        Grav., op.cit., §§ f-g, pp. 432-3.
77)        Cit., pp. 433-4, n.3.
78)        Ibid. come alla n.prec.


79)        Toc., op.cit., p.266, fig. n.num.  Le interpretazioni pittoriche di Antonio del Pollaiolo, nel XV sec. – sia quella di Palazzo Venezia a Roma, sia l’altra della Galleria degli Uffizi a Firenze (ibid., p.204/ col.a, fig. n.num.; p.265/ col.b, idem) – mostrano invece iconograficamente un drago policefalo.  I pittori moderni e contemporanei, dal tenebroso spagnolo F. de Zurbaràn (XVII sec.) al tradizionalista francese G.Moreau (XIX sec.), hanno seguito la lezione rinascimentale del Pollaiolo; mentre un mosaico romano rinvenuto in Spagna, del III sec. d.C., ritrae l’Idra a mo’ di serpente setticipite.  In proposito cfr. Wikim.C., op.cit., s.v.HYDRA.
80)        Grav., op.cit., p.433, n.1.
81)        Ker., op.cit., Cap.2, p.162.
82)        Che la caccia alla ‘Cerva’ o alla ‘Daina’ – spesso come qui ritrovate dopo un lungo inseguimento sotto un albero – raffiguri metaforicamente la ricerca della Sapienza, a parte il suggerimento del Graves (op.cit., pp. 435-6, n.1), il quale correttamente si rifà alla tradizione celto-irlandese, ce lo indica all’interno della tradizione giudeo-cristiana l’amata del Cantico dei Cantici; e poi tutta una serie di figure femminili, quali la Laura del Canzoniere di Petrarca, paragonate dai Fedeli d’Amore ad una Bianca Cerva.  Per non parlare de L’Acerba (anagramma per ‘’La Cerva’, Cerba in marchigiano) di Cecco d’Ascoli, circa la quale rimandiamo agli studi di L.Valli.  La Cerva compare pure nei Salmi (Ps.- xviii, 33 e xlii. 1), ma in questo caso rappresenta semplicemente un’immagine dell’anima devota rivolta a Dio, secondo quanto è illustrato nel secondo passo citato: «Sicut cerca desiderat ad fontem acquarun/ ita desiderat anima mea ad Te Deum».
83)        Grav., op.cit., §125.a, p.434.
84)        È cosí che appaiono nell’iconografia, come dimostra la scena scolpita in calcare a Priniàs; cfr. in proposito Dem., op.cit., Sec.p., Cap.XIII, p.352, fig.456.  La dea ivi ritratta appartiene all’arte cretese orientalizzante (II metà del VII sec. a.C., Mus. di Hiraklion) e, sebbene non ne conosciamo il nome, ci sembra un’evidente prefigurazione della dea lunare greca.  Il carro su cui transita rassomiglia quasi ad una slitta preistorica, cosa che si spiega pensando alla condizione climatica del Mediterraneo in tempi mesolitici, quale traspare ad es. nell’Odissea.  Del resto un’Artemide su Carro, questa volta trainato da 2 sole cerve (senza corna, a differenza di quelle cretesi), appare in un’anfora apula del Mus.Etrusco di Roma.
85)        Per la  ‘Quinta Luna’ – rintracciabile tanto in Grecia quanto in India – si esamini G.Acerbi, Kali, la dea-scorpione- Alle pendici del Monte Meru, blog (8-11-14), §3, p.11.
86)        Su tale correlazione avevamo impostato il progetto d’una seconda tesi di laurea (G.Acerbi, Il Cervo Paradisiaco ed il Cor Fidēle, rel. G.Filoramo), a Torino in Lett.Mod., ma purtroppo per problemi vari il progetto è poi saltato.  Ciononostante avevamo racimolato parecchio materiale d’indagine, che forse un giorno riusciremo a riordinare e dare alle stampe.
87)        Il Cervo si riferisce alla Rivelazione trasmessa direttamente in un dato periodo (Eone, Grande Anno), la Cerva alla Tradizione che indirettamente ne consegue.
88)        Ker., op.cit., p.163.
89)        Per la var. vedi Mor., op.cit., s.v.REITHIA, p.433.
90)        È un passaggio obbligato di tutte le grandi imprese eroiche.  Cfr., ad es., la decapitazione di Medusa da parte di Perseo. 
91)        Ker., op.cit., p.162.
92)        Questa Cerva è chiaramente un’ipostasi di Artemide denominata Elafia (Grav., op.cit., p.435, n.1), poggiantesi su Pausania (vi. 22, 11); sebbene figuri altrimenti come nutrice della dea o in base ad una diversa versione faccia da travestimento della Pleiade Taigéte, figlia di Atlante.  Anche tale seconda versione ha una doppia interpretazione.  Da un lato si narra che Taigete, uno dei molteplici nomi della Settima Pleiade, sia sfuggita all’amplesso di Zeus una prima volta; ma la seconda il dio olimpico sia riuscito ad averla generando in lei Lacedemone, lett. il ‘Demone del Lago’ (ibid., p.436, n.3), capostipite dei Lacedemoni ovvero della regione ove era ubicata Sparta (ib., §c, p.435).  Codesto Lacedemone aveva per moglie Sparta, figlia del dio fluviale Eurota, sicché è ipotizzabile (suggerisce sempre Graves alla n.3) che i re della città venissero di quando in quando ritualmente sacrificati al mostro nonché antenato lacustre-fluviale.  Dall’altro lato si asserisce che fu Artemide a punirla trasformandola in cerva per aver accettato le lusinghe di Zeus (Ker., ibid. come alla n.72) oppure che fu la Pleiade stessa per espiazione a sacrificare la Cerva ad Artemide Ortosia, analoga (ib. come alla 69) ad A. Ortia e forse anche a Rezia.  Vide n.72.
93)        Ibid. come alla 74.
94)        In una complessa scena ritratta su un’anfora cicladica del VII sec. a.C. (Akur., op.cit., p.254, fig.152°) s’intravede Apollo giunto a Delo sul suo carro a 2 ruote tirato da un cavallo alato a 4 teste (equivalente al cocchio a 4 cavalli), avendo alle spalle 2 Vergini iperboree, le Aurore; ritto in piedi colla cetra a sua insegna, mira solenne innanzi a sé Artemide, la quale si presenta a lui col braccio destro teso in avanti stringendo col pugno il Corno Unico d’un Capriolo.  Che non si tratti di 2 corna di profilo, lo si deduce chiaramente dagli emblemi solari, le croci gammate e le spirali sparse sullo sfondo della rapprsentazione; ossia, tutt’attorno alla dea e al destriero divino.  Non può che essere una scena rituale, in un contesto simbolico che ricorda vagamente il motivo de La Donna e l’Unicorno di certi arazzi rinascimentali.  D’altronde, i palchi cervini sono irregolari e non si sovrappongono vedendoli di profilo.  L’Unicorno, perciò, ha valenza assiale; o, se vogliamo, quintessenziale.  Il che fa pendant col motivo a scacchiera della lunga veste decorata di Artemide, sormontata da un manto nero e riecheggiante la veste egualmente a scacchiera con identico manto di una delle 2 Vergini.
95)        Vedi a tal proposito le voci latine Mor-s (‘Morte’, anche personificata), Mār-s (Marte, dio della guerra) e Mā-vor-s (id., arc.) rispettivamente al scr. Mtyu (‘Morte’ , anche personificata), Māra (dio del male e della morte) e Marut (anime degli eroi morti poste al servizio di Indra, equivalente indiano del Pico Marzio latino, e riplasmate quali deità pluviali).  Naturalmente la m/ m(w)>m(w) detiene, in alternativa, un’opposta accezione vitale anziché mortifera.  Cfr. il lat.mās, gen.māris (‘maschio’, o ‘marito’ in senso semplicemente generativo), scr. Marīci (appellativo di Prajāpati siccome ‘Signore della Progenie’).
96)        In Arcadia,  La Bonnet Xella (doss.cit., p.66/ col.a) riferisce il nome al fiume omonimo del Peloponneso, affluente dell’Alfeo.
97)        Grav., op.cit., §126.a, p.436.
98)        I cinghiali hanno l’abitudine, come si sa, di scavare colle zanne sotto i pali delle vigne per cibarsi dei lunghi lombrichi che si nutrono di cellulosa in fermentazione.  Di qui, ottenendo il risultato di dissodare lunghi tratti di terreno da coltivazione, la loro nomea in altri luoghi (Medio ed Estremo Oriente) di prototipi divini dell’orticoltura.
99)        Probabile che la cosa stia in relazione al passaggio in retrogradazione del Punto Gamma dal Sagittario allo Scorpione.
100)      Ker., op.cit., p.165.
101)      Cfr. Cap.III, n.57.  Del resto tanto Elio quanto Poseidone hanno a che fare coi cavalli.
102)      Op.cit., p.167.
103)      Grav., op.cit., §128.a, p.442.
104)      Op.cit., §d, p.443.  L’autore asserisce che sul soffitto e nel retro del vetusto tempio di Artemide Stinfalia, a Stinfalo, si trovano statue di donne con gambe aviformi.   Vedi anche, alla stessa pagina, la n.1.  Circa la natura ittiomorfica od ornitomorfica delle Sirene vide Cap.II, §t.
105)      Cit., §b, pp. 442-3.
106)      Vide Cap.III, n.57.  Si noti che la Vergine (o Sirena) esprime sterilità, di contro ai Pesci, immagine teriomorfica di Eros e Venere secondo il mito di Tifone e dunque emblema di fecondità.
107)      Sempre a Stinfalo sarebbero stati fondati, secondo Graves (ibid. come alla 85), 3 templi in onore di Era: in uno veniva onorata quale <Fanciulla> allevata da Temeno (figlio di Pelasgo), in un altro quale <Sposa> di Zeus e in un altro ancora come <Vegliarda> ritiratasi a Stinfalo dopo aver ripudiato il ‘Padre degli Dei’ nonché suo paredro.
108)      Secondo quanto conferma il Graves (op.cit., §98, p.315, n.2).
109)      Ker., op.cit., p.174.
110)      Bonn.-X., doss.cit., p.68.
111)      Grav., op.cit., §98.p, 310.
112)      Figlio di Minosse ucciso dagli Ateniesi.
113)      Per lo piú, aserisce l’autore, si trattava di figli di schiavi ateniesi presenti a Creta.
114)      Grav., cit., §130. a-b, p.445.
115)      Grav., §130, pp. 446-7, n.1.
116)      Ker., op.cit., pp. 169-70.
117)      Riguardo Licaone non ci è giunto purtroppo nulla (Ker., cit., p.172), su Cicno conosciamo viceversa un’opera esiodea, il poemetto epico in esametri Lo scudo di Eracle; che oggi la critica letteraria reputa pseudo-esiodea, ossia appartenente alla scuola esiodea ma non opera diretta del rapsodo beota.  Kýknos può esser ritenuto una metamorfosi ornitomorfica del dio della luce, onde la sconfitta subita da Heraklês equivale a quella patita dallo stesso Apóllōn (vide §g).
118)      Grav., op.cit., §131.c, p.447.
119)      A nostro giudizio le Amazzoni costituivano il residuo a livello guerriero, e quindi parzialmente degenerato, della ‘Cultura delle Madri’; biblicamente equipollente al ‘Ciclo Evaico’ e localizzato ecumenicamente ad Est, non a Sud, come si tende a credere in modo erroneo.  Sul piano spirituale era dominata da quel tipo di veggenti shamanici che i Cinesi denominavano Rsi (al maschile) e Wu (al femminile).  Questo tipo umano dovette essere dominante prima durante il III Ciclo Avatarico e poi anche nel IV, con prevalenza rispettiva della tipologia maschile nel primo caso e di quella femminile nel secondo.
120)      Grav., cit., §131 passim.
121)      Sulla bipenne d’Ippolita cfr. Ker., op.cit., Cap.3, pp. 204-5.  Da notare che il gr. zōnē (‘cinto’) è connesso nell’etimo e nel significato al lit. jûstas, al scr. yajño(-pavita) e al mar. janve.  Dal, vr. ζώννυμι (‘cingere’) deriva, probabilmente, anche la voce ζῷον (‘essere vivente, animale, Segno dello Zodiaco’).
122)      Grav., op.cit., §§ f-g, p.449.
123)      Grav., cit.i, p.450.
124)      Per l’intera storia cfr. Grav., §137 sgg. 
125)      Di ritorno a Tebe dalle sue ‘Fatiche’, Eracle aveva ripudiato la moglie Megara cercandone una maggiormente giovane.  Trovatala in Iole, la figlia di Eurito, non aveva avuto modo d’averla per il rifiuto del padre, invaghito peraltro della figlia.  Successivamente ne aveva ucciso il figlio piú vecchio (Ifito) a Tirinto, la propria sede, nonostante questi fosse stato suo ospite in un banchetto e lo avesse in precedenza appoggiato nella richiesta matrimoniale a differenza degli altri 3 fratelli.  Ragion per cui l’eroe aveva deciso di purificarsi ed espiare la colpa dell’uccisione dell’ospite, ma essendo ancora preda d’incubi notturni, aveva voluto consultare la Pizia Senoclea; la quale dapprima si era rifiutata di parlargli, ma poi alfine lo aveva fatto, avendo Eracle spogliato il tempio delle offerte votive.  Ivi s’inserisce anche la storia del ratto del Tripode ed il conflitto con Apollo, sebbene altri (Kerényi) la pongano prima delle 12 ‘Fatiche’.  La risposta della Pizia fu che egli doveva rimaner schiavo per 3 anni presso Onfale. Allora Hermes lo portò in Asia e finí per venderlo a costei (§135 sgg).  Durante questo periodo Eracle condusse in porto imprese minori, come la cattura dei 2 Cercopi, che gl’impedivano di dormire.  Costoro erano gemelli i quali si comportavano da ladri e da burloni incalliti, vagando qua e là per il mondo in cerca sempre di nuove avventure.  Una volta avevano ronzato accanitamente come mosconi attorno al letto di Eracle, finché spazientito costui li costrinse a riassumere la loro vera forma e li appese a testa in giú ad una pertica, secondo quanto ce li mostra la scultura antica (Charb.-Mar.-Vill., P.sec., pp. 120-1, figg. 135-6).  Un’altra impresa assolutamente comica fu causata dall’innamoramento a prima vista di Pan per Onfale, che tentò di assalire e violentare in una grotta, ove la regina s’era rifugiata assieme al suo schiavo per riposare in giacigli separati; ma purtroppo per il nume caprino ella s’era scambiata di veste con Eracle, il quale la serviva senza fiatare.  Scostata dunque la veste femminile della presunta Onfale, si trovò dinanzi ad una sorpresa inaspettata, sí che gli fu rifilato un gran calcione da farlo ruzzolare fuori dalla grotta.  Da questo fatto mitico, si narra, prese avvio l’abitudine dei sacerdoti di Pan di servire nudi i sacrifici al dio (ibid., §136 sgg).  La spedizione di Eracle contro Troia avviene alla fine dei 3 anni di schiavitú.  Sebbene poi, con incoerenza, codesta impresa minore venga inserita nella Nona Fatica.  “Tale leggenda” al dire del Graves (ib., §137.1, p.494) “riguarda il saccheggio della sesta città di Troia, cioè di quella preomerica: saccheggio probabilmente compiuto dai Mini, ossia dai Greci Eolici, appoggiati dai Lelegi…  Dalla leggenda del Vello d’Oro sappiamo che Laomedonte” – re di Troia  – ”si era opposto sia alle spedizioni mercantili dei Lelegi, sia a quelle dei Mini nel Mar Nero… e che l’unico modo di indurlo alla ragione fu di distruggere Troia, chiave dell’Ellesponto e della pianura dello Scamandro, dove si teneva annualmente una grande fiera mercato.  La Nona Fatica si riferisce anch’essa ad imprese analoghe sul Mar Nero.”  Stando al mito, Eracle e Telamone di Salamina (figlio di Eaco, nonché colpevole di fratricidio e padre di Aiace il Grande) nel viaggio di ritorno dal paese delle Amazzoni o nel viaggio di ritorno degli Argonauti secondo altre fonti, avrebbero scorto Esione incatenata nuda  ad una roccia della spiaggia di Troia con solamente addosso i propri gioielli.  Vennero a sapere in seguito che Poseidone, onde punire Laomedonte (reo di non aver fatto i dovuti sacrifici ad Apollo e Poseidone dopo che i due dei avevano costruito le mura di Troia), aveva inviato un mostro marino al fine di vessare le coste.    Il Mostro, secondo l’ingiunzione di Poseidone, faceva strage fra la popolazione e gettava acqua salina sui raccolti.  Mentre Apollo, per lo stesso motivo, causò pestilenza.  Allora Laomedonte si era rivolto all’oracolo di Zeus Ammone, il quale gli aveva consigliato di esporre la figlia Esione sulla spiaggia troiana per farla divorare dal Mostro, cosa che il padre aveva alfine rifiutato.  In seguito, però, dovette cedere alla sorte.  Giunto a Troia, Eracle la liberò dai ceppi ai quali era incatenata e promise di abbattere il Mostro se Laomedonte gli avesse donato le due candide cavalle  avute in dono da Zeus quale compenso per il ratto di Ganimede.  Ciò pattuito, l’eroe coll’aiuto della sempre vigile Atena, fece costruire un muro sulla spiaggia troiana per non essere scorto dal Mostro nell’agguato che gli voleva tendere.  Quando il Mostro emerse dall’acqua salí verso la terraferma e splancò le enormi fauci onde inghiottire la vittima sacrificale, ma ecco che subitamente Eracle balzò armato di spada nella sua bocca; e rimase per un triduo nel suo ventre, alla maniera di altre parallele figure della leggenda e del folclore, uscendone alfine vittorioso. Siccome Laomedonte neanche questa volta mantenne la parola data, il figlio di Zeus finí per saettarlo ed incendiare Troia, concedendo poi Esione in isposa a Telamone; quale nuovo re della città saccheggiata fu lasciato un figlio di Laomedonte che non gli era parso ostile, Podarce (il futuro Priamo), riscattato da Esione fra i compagni prigionieri per mezzo d’un velo dorato (§137 passim).        
126)      In un noto dipinto su un cratere di Volterra (Tomba dei Volumnii), depositato a Perugia nel Mus.Naz.Archeol. dell’Umbria e datato alla seconda metà del IV sec. a.C. (R.Band.-A.Giul., op.cit., P.qua., p.273, fig.312), si ravvisa Eracle munito di spada alle prese col Grosso Pesce (Κῆτος) inviato da Poseidone.  Questo Kêtos, rileva qualcuno (Font., op.cit., p.348),  rispetto al Mostro della leggenda di Perseo è piú direttamente collegato al Diluvio.  La <Spada> di Eracle ha del resto valore analogo a quella di Cristo, è il Lógos; cosí come i fatidici 3 Giorni nel <Ventre> del Pesce sono da equiparare ai 3 Giorni di Giona nella <Pancia< della Balena, dopodiché il personaggio appare rinato sul piano spirituale.  Poiché il triduo rappresenta in sintesi, come nella Pasqua cristiana, le 3 tappe fondamentali del percorso interiore: la Discesa agl’Inferi, la Rinascita e l’acquisizione finale dell’Immortalità.
127)      Il Graves (op.cit., §131, p.432, n.1) allorché ci spiega che, essendo Admeta il nome della principessa onde Eracle compí tutte le prove impostegli prima delle nozze, l’atto di scioglierle la cintura (un gesto rituale del matrimonio greco) nella camera nuziale doveva segnare la fine delle sue Fatiche.  Ma prima d’arrendersi probabilmente Admeta lottò coll’eroe, come fece Ippolita, e come Pentesilea fece con Achille… e Teti con Peleo…  In tal caso Admeta subí le consuete metamorfosi, il che ci fa supporre che l’Idra-seppia fosse Admeta, nonché il Serpente che Eracle sopraffece sotto nome di Ladone; e che si sia trasformata via via in Granchio, in Cerva, in selvaggia Cavalla e in una Nuvola (Nefele, “tempestosa nonna dei Centauri”, invia una pioggia per allentare la corda dell’arco del Figlio di Zeus  mentre questi dava loro la caccia) prima che Eracle riuscisse a toglierle la verginità.  La spiegazione è magistrale.  Non c’è dubbio che tale interpretazione venga a concordare ontologicamente colla nostra spiegazione cosmologica su base siderale, facendo della Nona Fatica in realtà la Dodicesima, ciò finendo per avvalorare il nostro ulteriore impianto.  Se la Principessa Admeta incarna la Morte, insomma il principio passivo del fluire temporale, essendo in ciò un alter-ego di Rhea o piuttosto di Era, l’Eroe-sposo incarna l’Eros immortale; in una parola, l’Amor (lett. il ‘Senza Morte’) quale dono infinito di Sé, ovvero vittoria della Luce sulle Tenebra del Non-sé.  Bisogna far attenzione, tuttavia, che il Non-sé include sia l’inesistenza sia il Non-essere; l’uno è ovviamente inferiore al Sé, l’altro ne è superiore e lo modella o lo riassorbe.  Il mistero della <Camera Nuziale> compare persino in una tradizione dagli apparenti connotati sessuofobi quale il Cristianesimo, ove il sacramento matrimoniale ha sempre funto da non-plus-ultra dei 7 Sacramenti, un tempo 5.  Il ruolo di Eracle quale <figlio> di Zeus Pater e quello del fratello Ificle (maggiore o minore a seconda delle interpretazioni) ricordano da vicino la funzione cristiana del Figlio rispetto al Padre, nonché quella dello Spirito Santo nel dogma trinitario.      
128)      Vide n.66.  Scrive in proposito il Graves (cit., §132, p.464, n.1): “Il tema principale delle Fatiche di Eracle è il compimento di determinate prove rituali che gli consentiranno di essere accettato come sposo da Admeta o Auge o Atena o Ippolita o quale altro fosse il nome della regina.”  Siamo del tutto d’accordo coll’autore, fatto salvo il simbolismo zodiacale, che si conclude colla consegna della Cintura d’Ippolita alla figlia di Euristeo.  La <Cintura> medesima, non meno del ‘Filo di Arianna’ (cfr. coll’analogo ‘Filo Azzurro’ consegnato al cacciatore Kešši dalla madre in un poema omonimo ittita), è un emblema zodiacale; relativo all’Età dell’Ariete (2.320 a.C.-160 a.C.) nel primo caso, alla precedente Età del Toro (4.480-2.320 a.C.) nel secondo.
129)      Ibid. come alla 122.  Da notare che le tribú scitiche erano in parte d’origine turanica e ciò spiega la presenza della Doppia Ascia presso di loro, trasmessa naturalmente pure alle Amazzoni.
130)      Grav., op.cit., §131.j-k. 
131)      Secondo gli antichi il Sahara era un lago, prosciugatosi migliaia d’anni fa.
132)      Op.cit., p.443, n.3.
133)      Mor., op.cit., ss.vv. MIRINA e MIRINNA, p.341/ col.a.
134)      En-na corrisponde ad An-na, tant’è che nella mitologia sumerica En-lil è lett. il ‘figlio di An’.
135)      Vide Cap.VII, n.102.
136)      Notare che la dea indiana Annapūra, analoga alla latina Anna Perenna, rappresenta un momento di passaggio fra il tema venereo e quello lunare; dato che è signora dell’abbondanza (porta in mano la boccetta dell’Amta, cioè l’Ambrosia), ma nel contempo essendo una delle consorti di Shiva possiede natura lunare.
137)      La trasformazione completa in una dea lunare, signora della vita e  del suo contrario, è palese nella devī induista Mārī-amma; nella quale la funzione di dea delle malattie, con peculiare attinenza al vaiolo e alla peste, e della morte è controbilanciata da altre positive prerogative quale la concessione di benefiche piogge ad un fine generativo.  Cfr. Wikip., s.v.MARIAMMAN.
138)      Vedi l’episodio dell’isola di Lemno (ubicata a nord di Lesbo, prima dell’ingresso nel Mar Nero), in cui Eracle sosta colla nave Argo durante il viaggio degli Argonauti, capeggiato da Giasone.  Le donne di Lemno erano state lasciate (Grav., op.cit., §149 sgg) dai mariti perché puzzolenti, a causa forse di certi tatuaggi rituali fatti con sostanze molto odorose; i mariti si erano quindi scelte per concubine delle fanciulle tracie, ottenute nel corso di determinate scorrerie marinare.  Ciò aveva spinto le mogli a vendicarsi, uccidendo tutti i maschi ed instaurando un regime ginecocratico; allorquando erano sbarcati gli Argonauti li tennero in un primo tempo lontani dalla città di Mirina, sede del massacro.  Risultando tuttavia senza uomini, finirono per concedersi ai nuovi avventurieri; ma, essendo Eracle rimasto di guardia presso l’Argo ed intuendo quanto era successo, entrò in Mirina e bussò colla clava porta a porta al fine di richiamare al dovere tutti i marinai.  Dopodiché gli Argonauti salparono per Samotracia, ove furono iniziati ai Misteri Cabirici, che salvavano gli uomini dai naufragi… d’ogni tipo.
139)      S’intende, l’Atlantico.
140)      Esiste una doppia iconografia di Gerione, in sostanza, a  livello pittorico; una relativa alla Decima Fatica di Eracle e l’altra ispirata al Canto XVII dell’Inferno di Dante, vv. 1-30 e 74-136.  La prima forma iconografica comincia nella Grecia arcaica col Pittore delle iscrizioni (550-530 a.C.) di Reggio: in un’anfora calcidese a figure nere di Vulci (Etruria) Eracle è contrapposto in duello a Gerione, dal triplice scudo, ed al tifonico Ortro morente.  Sul retro sta il bestiame.  Cfr. Charb.-Mart.- Vill., op.cit.,  pp. 81-2, figg. 86-7.  E poi con Eufronio (VI-V sec. a.C.), pittore della ceramica attica a figure rosse di stile severo; si tratta d’una coppa di Vulci preservata a Monaco di Baviera (Staatliche Antikensammlungen), in cui Eracle saetta il tricefalo Gerione e il dicefalo Ortro (a terra a pancia all’aria), riconoscibile per la coda serpentina.  Cfr. Charb.-Mart.- Vill., op.cit., P.ter., p.324, fig.373. Tralasciando l’iconografia a livello scultoreo, facciamo solo un breve cenno alla D.Commedia: nell’ambito cristiano quasi tutto ciò che è pagano è trasformato in un’incarnazione del Male, ad eccezione di Virgilio e dei filosofi o letterati greco-latini.  Quindi anche Gerione, che diviene emblema di frode, ma in questo caso rappresenta una specie di macchinario ante-litteram per muoversi nell’aere del Settimo Cerchio infernale.  Per capire Gerione dal punto di vista cosmologico sarebbe interessante partire non dal suo soma draco-ofidico, che è titanicamente una sostituzione d’un soma pescino, bensí dalle sue zampe di leone e dalla sua coda scorpionica, cui si aggiungono ali aquiline e (probabilmente) qualche parte taurina, visto che è un bovaro.  Ciò che rimanda allo Zodiaco, inteso semplicemente come immondo divenire e rotazione di titanici soli, vale a dire un negativo tetramorfo.  Lo Zodiaco, insomma, inteso ezechielanamente quale ‘Ruota nella Ruota’ per motivi precessionali. 
141)      Grav., op.cit., §132.a-c, p.455.
142)      Op.cit., §d, pp. 455-6.
143)      Isola d’incerta collocazione, sacra ad Era (cit., §e, p.456).
144)      Esiste un’icona realizzata da Eufronio, in un cratere a calice a figure rosse, che contrappone nella lotta le teste di Eracle ed Anteo.  La terracotta di Cere (Etruria) appartiene all’arte attica ed è ora preservata a Parigi, Mus. del Louvre. Charb.-Mart.-Vill., La Gr.arc., p.321, fig.369.  In essa Padre Heras intravede fattezze libico-camitiche, di tipo egizio, nell’uno (Anteo) e iaphetiche nell’altro (Eracle).   Cfr. Her., op.cit., Cap.V, ii.
145)      Ker., op.cit., p.179.
146)      Nella versione originaria (Hyg.- x) secondo Kerényi (op.cit., p.180) Gerione non veniva ucciso, ma fuggiva sotto forma di aquila.
147)      Non per niente i napoletani son chiamati ‘partenopei’, essendo Partenopeo un figlio di Ercole.
148)      Il Fontenrose (Font., op.cit., Cap.VI, p.98) spiega che Eracle in maniera simile funge anche da antenato dei Celti, avendo mescolato il suo seme con Κελτώ (<Κητώ).  Essendo stato Eracle imparentato colle Danaidi (le 50 figlie di Danao, progenie di Belo, corrispondente in parte all’Abele ebraico), Celti e Sciti pertanto detengono doppia componente etnica, una eracleo-noaica (aria, se preferiamo) ed una danaide-abelita (turanica, in sostanza).                 
149)      Grav., op.cit., p.465, n.4.
150)      De Vr., op.cit., Cap.qua., p.182.  Per l’iconografia del Tarvos Trigaranos si consulti Ha., op.cit., p.229, fig.138 (in basso, dex.); la spiegazione del mito, concernente la Gran Madre ed i suoi due paredri (lo sposo celeste e l’amante terreno), è data nel testo invece a pp. 216-7.  La Grande Dea, consorte di Taranis (possessore di 2 terribili cani, ovviamente Canis Maior e Canis Minor), alla fine dell’inverno diveniva l’amante di Hesus (dio della vegetazione e suo paredro primaverile); il quale sotto nome di Kernunnos, a seconda delle stagioni, appariva in forma antropomorfica o semiantropomorfica (esattamente con corna di cervo, cosa che lo assimilava in tutta evidenza all’asterismo di Oríon).  A protezione di Hesus vi era un accolito, Smertrius (sorta d’eroe solare alla maniera di Eracle), che spinto dalla dea-madre ammazzava il molosso di Taranis (comparabile a Cerbero) e simultaneamente sacrificava un cervo per permettere a Kernunnos di tornare sulla terra al fine di congiungersi colla dea.  Per vendetta Taranis, coll’ausilio dell’altro cane, trasformava la consorte e le 2 ancelle (drammatizzazione del Triplice Volto della Grande Dea, in correlazione ai 3 Volti di Cernunno) in gru.  Esus, in veste di taglialegna, le cercava invano nella foresta fino a che le 3 gru andavano ad appollaiarsi sulla schiena del toro (cioè la costellazione di Taurus) destinato al sacrificio.  Dopodiché le 3 dee ripigliavano forma umana e celebravano la loro unione con l’altrettanto triplice Hesus-Kernunnos.  Forse il ‘Terzo Volto’ era quello di Smertrius stesso.  Cfr. per la raffigurazione di questo mito anche (ibid., p.229, fig.138; in basso, lae.) l’immagine di Smertrius boscaiolo in uno dei riquadri illustranti il Pilastro dei Nautes (Dioscuri), appartenente al Regno di Tiberio (Mus. di Cluny, Parigi).  Vedi inoltre sul Calderone di Gunderstrup, alle pp. 109-11 e 115 le figg. 49, 52, 53, 54 e 60, altre immagini relative a Cernunno nelle sue 2 forme umana e semiumana; nonché Smertrius che strangola il Cane ed infine il Sacrificio del Toro.  Talora (pp. 194-5, figg. 118-9) compaiono viceversa 3 teste taurine, sormontate da 3 dee (erroneamente chiamate ‘Triade di Saintes’), ritte su di esse dopo il sacrificio di 3 tori da parte del’eroe solare.  Sono appunto la ritrasformazione in dee-madri delle gru, per ciascuna delle quali è stato necessario sacrificare un apposito animale.  
151)      L’alfabeto semitico comincia in effetti coll’Aleph a forma di ‘Testa di Toro’, donde son derivati l’Alpha greco e la A latina.
152)      Grav., op.cit., n.3.
153)      Per una piú precisa collocazione del ‘Giardino delle Esperidi’ vide n.161.
154)      Op.cit., §133.a-b, pp. 466-7.
155)      Guén., Form., pp. 43-4.  Benché un testo ebraico apocrifo confermi la lettura guénoniana ponendo l’Eden direzionalmente ad Ovest e collegandolo al Diluvio di Noè, è Guénon medesimo (ibid., pp. 45-6) a rammentarci che per trasposizione il luogo può esser preso come immagine del Paradiso Terrestre in senso dantesco.
156)      C.Dupuis, Compendio dell’origine di tutti i culti- Bastogi, Tratturo Cast. [Fo] 1982., Cap.IX, p227.                                                                                                                                                                                                                                                                                       
157)      Ac., Utt. K., pp. 24, n.37 e 22, n.25.
158)      Guen., op.cit., p.27 ss.  Veramente la definizione è nostra, o meglio di P. Le Cour, lo scrittore francese avendo dapprima criticato la confusione introdotta da H.Wirth in Der Aufgang der Meschheit e di seguito precisato (ibid., p.29) che occorreva “distinguere la Tula atlantica (luogo d’origine dei Toltechi, probabilmente situata nell’Atlantide settentrionale) dalla Tula iperborea.  Se abbiamo reintrodotto la defizione di Le Cour, non è perché la pensassimo diversamente da Guénon, ma per quanto spiegato piú addietro.  Vide Cap.I, n.47.  Dall’opera di Wirth ha tratto spunto comunque Evola, cui ci siamo ispirati in un nostro art. ( Ac., L’Is. B., passim) identificando l’Atlantide Settentrionale all’<Isola Verde> di certe memorie tradizionali e mediando in tal modo fra la teoria wirthiana-evoliana della semplice idiovariazione etnica e l’asserzione d’una diversificazione piú netta da parte le-couriana-guénoniana.
159)      Le Pleiadi sono da tempo immemorabile ritenute 6 o 7, a seconda che si tolga od aggiunga nel computo la ‘Settima Pleiade’, una stella rossastra della costellazione del Toro; detta per l’appunto ‘Occhio del Toro’ e simboleggiata iconograficamente dall’Occhio Frontale dell’animale taurino, spesso sostituito – a Creta cosí come nella Gallia pre-romana – per via del colore della stella nonché per l’antica associazione col Punto Vernale (ossia colla Primavera) da una Rosa.

160)      Vide infra.
161)      Il nome che la designa è connesso al gr. hésperos (‘sera, regione della sera, occidente’), lat. vesper (id.), armen. erek = (‘sera’).  Le Ἑσπερίδες Νύμφαι d’altro canto, al dire del Diz. Calonghi (op.cit., s.v.Hesperis, p.1249) “abitavano un’isola dell’Oceano al di là dell’Atlante, sull’estremo confine occidentale della terra.”
162)      Astronomicamente la settima stella viene oggi denominata, con nome arabo, Aldebaràn.  Per un’esatto intendimento del simbolo valga la doppia interpretazione già segnalata del ‘Giardino’ (di Eva o di Esperide) sia come Terra Iperborea sia come Atlantide Iperborea.  Non è certo un caso che Ladone sia figlio anch’esso di Forco e Ceto, come le 3 o 7 Esperidi; o, se vogliamo, come l’unica Esperide.  Si pensi all’immagine della Donna-serpe (una serpe con testa di donna), icona dell’equivalente giudaico-cristiano della Śakti-Kuṇḍalinī (la prima corrispondendo nella Cabala alla Šëkhināh e la seconda al Luz), che a volte sostituisce Eva ed il Serpente in certi dipinti europei tardo-medievali o rinascimentali.  Cfr. ad es. Gross., op.cit., §44, p.157.
163)      Grav., op.cit., §33.d, p.113.
164)      Op.cit., §40.a, p.134.
165)      Cit., p.134, n.2.
166)     
167)      Non per nulla anche le Esperidi, come asserisce il Dizionario di Latino (Cal., op.cit., s.v. cit. alla 161), a volte sono 4; o secondo altri addirittura 5, contando il centro.  Vide n.85.
168)      L’episodio è ambientato in Macedonia.
169)      Vide n.117.
170)      Le 3 Mele sono un rimando, come su approssimativamente suggerito, alle 3 Età cicliche trascorse prima dell’Età del Ferro; mentre coloro che le colgono incarnano, logicamente, le rispettive conoscenze che le caratterizzavano a livello spazio-temporale.  Compresa, ovviament e, la nozione di Trimundio e relativi significati simbolici sui vari piani dell’essere, non escluso quello metafisico.
171)      Grav., op.cit., §§ d-e, pp. 467-8.
172)      Questo mitologhema assurdo è la riprova che ivi si usa un linguaggio criptico.
173)      Op.cit., §f, p.468.
174)      Secondo Plutarco, menzionato da Tilak, Tifone raffigurava l’Orsa; benché, di primo acchito, il rimando vero parrebbe Canopo per via della Testa Asinina.  Tifone infatti compare analogamente a Rāvaa nell’ambito del VII Ciclo Avatarico, essendo l’avversario del VII Avatara, perciò incarna il perno polare appena trasorso in quella fase ciclica; simultaneamente tuttavia, soggiornando il Polo Antartico durante lo stesso periodo (23.920-17.440 a.C.) nella Croce del Sud (Satyavrata per gl’induisti), il perno opposto artico era dato dall’Orsa Minore ed anche questa opposizione possedeva uguale valenza dell’altra.  Come insegna il simbolismo apocalittico neotestamentario, ove al Cavallo del Cristo del Secondo Avvento (l’asterismo di Canopo) si contrappone il Drago (cioè il Dragone del Nord).  Facciamo notare che, diversamente dal Drago apocalittico, Tifone in alternativa al possesso della suddetta testa equina veniva associato alla Capra-pesce ovvero al Capricorno quale doppione negativo di Seth-Saturno; come si rileva ancor oggi dalla X Lama del Tarocco marsigliese, la ‘Ruota dellla Fortuna’, in cui la figura tifonica armata sulla sinistra di tridente pare volgere verso Nord (Solstizio Invernale) di contro al Cane-pesce ermetico (Ermanubi, vale a dire Ermete-Anubi al dire del Wirth, che attribuisce ad E.Levi l’elaborazione di codesto simbolismo) volgente verso Sud (Solstizio-estivo) impugnando nella destra un caduceo.  Quest’ultimo fa riferimento chiaramente alla Canicola estiva e quindi al Cancro, dato che il Cane abbaiando al luminare diurno lo fa retrocedere dal suo cammino…   Le Code Pescine delle 2 figure mitiche sono, evidentemente, quelle dei 2 Delfini opposti e complementari che a volte fiancheggiano il Tripode delfico.
175)      Cit., §§ g-h, pp. 458-9.
176)      §§ k-n, pp. 470-1.
177)      Ac., L’Is.B., fig.7.
178)      Si analizzi la convergenza fonetica, in sanscrito, fra Vka (‘Albero’) e Vtra (il Serpente Cosmico, trattenitore delle <Acque>).  Il Segno del Capricorno, che tra l’altro corrisponde al Makara-rāśi dello Zodiaco Solare hindu (e la forma di Drago anziché di Serpe è quella che viene attribuita alternativamente a Ladone), è posto sull’asse solstiziale del cerchio annuale; quindi, potremmo asserire, contiene in nuce tutto lo sviluppo del seme nel terreno durante l’intero percorso annuale.  Ecco dunque che la fisionomia sostanziale dell’impresa viene alfine messa in risalto: è l’Albero (Solstiziale) su cui sta appollaiato il Drago Ladone, che difende i Pomi d’Oro, cioè i frutti del divenire ciclico ed in particolare dell’accrescimento annuale.
179)      Vedi Shiva in India nel doppio ruolo di Cacciatore-arciere (scr.Mgavyādha) e Cane (Śvan), due denominazioni entrambe di Sirius-Canis Maior.  Nello Zodiaco Solare, antecedente d‘uno yuga allo Zodiaco Lunare (vide n.180), il ruolo del Cervo-Orione era coperto evidentemente dall’Antilope-Capricorno e quello di Cane-Sirio dal Sagittario.  Sennonché quest’ultima costellazione, come indicato, nell’Epoca del Leone si trovava posizionata ove nello Zodiaco Tropicale sta ora la Vergine.  Ecco perché Cerbero si trova subito dopo l’ingresso agl’Inferi.
180)      Til., op.cit., Cap.V passim.  Ciò vale per tutte le tradizioni indoeuropee, compresa quindi quella greca.  Da notare in sanscrito il rapporto persino filologico fra Śvan, il Cane Celeste, e Śiva, il Cacciatore Divino.
181)      Non è lo Zodiaco Siderale che deve esser considerato per capire il significato cosmologico d’una impresa, bensí quello Tropicale. L’ultima, abbiamo già stabilito in anticipo, è la svestitura del Cinto d’Ippolita.  Facciamo notare che questo cinto verginale era per le fanciulle greche una fascia vera e propria, che veniva sfasciata dallo sposo la sera delle nozze.  E che difficilmente avrebbe potuto essere riguardato al pari degli altri trofei, se fosse stato preso letteralmente, a meno di pensare ad Euristeo come ad un feticista…; ma evidentemente svestire di quel cinto la prescelta, ossia la Regina delle Amazzoni, non poteva che aveva un senso liberatorio di unione colla Divinità attraverso una unio oppositorum. 
182)      Ker., op.cit., pp. 192-3.   
183)      Op.cit., pp. 193-4.
184)      Cit., pp. 194-5.
185)      Bonn., art.cit., p.71, fig. n.num.  
186)      Alternativamente si potrebbe parlare di un’Unione tra il Cielo e la Luna, oppure fra il Sole e la Luna o la Terra.  Πασιφάη (termine connesso a πασιφαν= totalmente luminosa’, evidentemente un epiteto della Luna Piena), avente a Sparta una sede oracolare, si mostra talvolta in quanto figlia di Elio o di Perse (ninfa generata da Oceano) nell’aspetto della sorella di Circe e di Perseide (alias Dino); la quale ultima funge, di norma, da <Terza> Graîa (‘Vecchia’).  Ma le tre non sono che gli ennesimi volti di un’unica dea.  Pasife è identificabile pure ad Ino-Leucotea (vide Cap.II, §r) ossia ad Ἁλία, altro appellativo della sovrana pelagica (da ἅλς, ἁλός = ‘mare’) oltre a quelli di Anfitrite, Afrodite Anadiomene e delle molteplici titanesse degli abissi sul tipo di Tetide; nonché a Δανάη (figlia di Acrisio e madre di Perseo), la Diana ellenica, e ad Elettriona (dispositrice dell’ambra).  Cfr. Grav., op.cit., §51, p.163, n.5.  È opinione ulteriore del N. (ibid.) che Era, Pasife ed Ino – non capiamo bene in quale ordine, ma abbiamo in ogni caso riportato quello seguito purtroppo senza spiegazioni dall’autore, che a nostro giudizio ci pare tuttavia invertito (nel senso della Giovane, della Madre e della Vegliarda) – costituiscono uno dei tanti travestimenti della Triplice Dea Lunare.
187)      Il nome Ariádnē deriva secondo il Diz.Gemoll (op.cit., p.128/ col.b) dalla partic. ari (‘molto’) e ágnē (‘venerata, venerabile; santa, pura, ).    
188)      Cfr. in proposito G.Acerbi, Dioniso e Arianna- Alle pendici del Monte Meru (blog, 24-02-16) sgg.
189)      Sul personaggio cfr. G.Acerbi, Teseo e la Regina delle Amazzzoni, da Omero a Shakespeare- Alle pendici del Monte Meru (blog, 4-02-16) sgg.
190)      Grav., op.cit., §90, p.227, n.1.
191)      Op.cit., §91, p. 281, n.2.
192)      Cit., §88, p.269, n.7.
193)      Plut., Thes.- xix.
194)      Vide n.196. 
195)      Ac., Le arc., §a.2 sgg e fig.4.
196)      Indubbiamente, come ha sottolineato con molta efficacia un paletnologo in altro contesto (E.Holm, Arte rupestre sudafricana,  §4 n.num., pp. 198-200; apud AA.VV., Età della Pietra- Il Saggiatore, Milano 1960; ed.or.Die Steinzeit- Holle, Baden-Baden 1960), gli uomimi preistorici avevano un comportamento talmente armonico nei confronti dell’ambiente circostante e della fauna da sfuggire quasi ad ogni senso di dualità; dal momento che era dato loro di vivere a stretto contatto colla natura; con tutte le proprie facoltà in essa immerse, sí da non potersene distinguere in alcun modo.  Tuttavia, al di là delle spiegazioni un po’ entusiastiche degli studiosi moderni e contemporanei (anche quando si tratta beninteso di persone ad un livello spirituale eccellente, com’è il caso certamente dell’autore citato, il cui sapere mostra però pur sempre una patina naturalistica), a livello tradizionale s’insegna che quanto ora asserito fosse vero soltanto in Epoca Paradisiaca.  Si tramanda infatti nei testi sacri di qualsivoglia cultura e pure nelle tradizioni orali dei popoli senza scrittura che le cose siano cambiate a poco a poco,  nel senso del prevalere d’una crescente dualità; sino al limte dell’insanabile dualismo menifestatosi nel mondo moderno e di quell’orgoglioso titanismo a lungo vagheggiato, seppur adesso per la verità un po’ fuori moda, che ha spinto l’uomo ad una pretesa ed assurda “lotta contro la Natura”.  Col risultato di un a mentalità che ha finito per rinchiudere sempre piú  gli spazi vitali degli animali, riducendoli a puri oggetti estetici, biologici o meccanici; e quand’anche essi siano riusciti a scampare alla sperimentazione, alle sevizie, alle catalogazioni varie ed alle attenzioni isteriche degli “amanti della Natura”, è una sorte ben misera che li attende ai nostri occhi quali mere larve sopravvissute del passato, capaci tutt’al piú di destare fievoli sentimenti di commiserazione.  Orbene, questi nobiluomini attuali che non hanno avuto scrupoli nel reificare quei poveri esseri mercificandoli e riducendoli a prodotti di consumo o facendo della loro morte, delle loro sofferenze e delle loro selvagge cacce per l’esistenza un volgare spettacolo televisivo, pretenderebbero – non comprendiamo bene con quali credenziali etiche – di giudicare “bestiali” le scene preistoriche di amplesso rituale con alcuni animali simbolici; per quanto, si badi, l’unione carnale coi medesimi (destinati a fungere da messaggeri celesti) e la loro conseguente soppressione cruenta fossero effettivamente praticate fino a tempi non molto lontani.  
197)      Art.cit., §b.2 sgg e n.15.
198)      Ibid. come alla 195.
199)      Vi è chi (U.Pestalozza, Nuovi Saggi di Religione mediterranea- Sansoni, Firenze [data n.cit.], Cap.XVII [data n.cit.], pp. 341-71) in un breve saggio dedicato al soggetto del “Torello d’Oro” ha illustrato  degli argomenti che potrebbero essere utilizzati a definitiva conferma  della diffusione di certe tematiche cosmogoniche, a sfondo erotico, presso tutte le popolazioni camitiche dell’area indomediterranea.  Per una disasmina sul problema vedi il nostro art. Le figure tricorni nell’arte preistorica e protostorica dell’area indomediterranea. Paralleli e confronti coll’Eurasia, elaborato per il Simposio Valcamuno del 1995, ma poi momentaneamente accantonato; il quale costituiva, peraltro, un’estensione in altro ambito dell’articolo presentato al Simposio Valcamuno del ’93.  Cfr. Cap.I, n.144.  Altro materiale sull’argomento è stato raccolto in parallelo per un libro più ampio ed intitolato Il simbolo delle Corna nella cultura pagana e tribale (P.II, Cap.III), che avevamo tempo fa proposto ai tipi de ‘Il Cinabro’ di Catania; il titolo era già stato annunciato in catalogo alla fine dello scorso secolo, ma poi non riuscimmo a prepararlo e non se ne fece piú nulla.       
200)      Ibid. come alla 198.
201)      Quando abbiamo abbozzato per la prima volta codeste righe pensavamo soprattutto ai Paleo-dravidi, come faceva in genere la critica storica definendoli ‘anari’; ma, a parte il fatto che il concetto di Ārya se allargato a designare il ceppo eroico-antico è estendibile anche a loro (vide Capp. I e II passim), ci siamo successivamente accorti che secondo le tradizioni indiane medesime esistevano prima ed accanto ad essi preistoriche popolazioni di culto ramaita provenienti dalla Siberia attraverso l’Asia Centrale.  Popolazioni che, in via approssimativa, abbiano definito “turaniche”.  Senza naturalmente scordare le ancor più ancestrali genti austronesiane, tanto a sud (paleo-veddoidi) quanto a nord (proto-mundariche).
202)      A.T. Embree & F.Wilhelm, India. Dalla Civiltà dell’Indo al dominio inglese- S.U.F. (Vol.XVII), Milano 1968 (ed.or. Indien. Geschichte des Subkontinents von der Induskultur bis zum Beginn der Englischen Herrschaft- Fischer Bhcherei G., Francoforte sul Meno 1967), Cap.X, p.120.
203)      Diana-Artemide sta ad Apollo come Arianna-Ariadne sta a Bacco-Dioniso.  Per questo capita d’imbatterci nella effigie della prima in composizione colla figura di Febo, esattamente come avviene per la seconda nei confronti del proprio divino compagno.  Su Diana ed Apollo in veste di Iānus-Iāna cfr. Macr., Sāt.- i. 9, 3-5; ancorché simili ritratti siano valutati da certuni, a torto pensiamo, di origine tarda.  Pure il nome Pasifáē, ci testimonia in base a Paus., Per.- iii. 26, 1 il Graves (op.cit., §88, p.269, n.7), non sarebbe altro che un epiteto lunare.  Come abbiamo difatti supposto, a nostra insaputa, vide n.186.  Ciò spiegherebbe oltretutto l’equiparazione prima sostenuta e d’altronde assolutamente legittima tra la figlia di Elio e di Creta (al posto di Perse), una ninfa a volte descritta quale genitrice della voluttuosa Pasife, e la figlia di Minosse.  In altre parole, potremmo ritenere le dee anelleniche Ariádnē (insieme alle sorelle Fedra ed Egle, chiamata pure ‘Coronide’) e Pasifáē (accanto a Circe e a Medea) due forme apparentate della Pótnia (‘Signora’) per antonomasia dei Pelasgi, da Erodoto reputati gli abitatori pre-ellenici di Creta.  Mentre Diana-Danáē (la seconda funge non per nulla da madre di Perseo) deve esser considerata una dea egualmente d’origine pre-indoeuropea (a differenza di Artemide, il cui etimo denota chiaramente la sua origine ario-eroica), ma anche pre-mediterranea.  In altre parole, turanica.  Il nome di Artemide invece, come già suggerito, si rifà alla base ie. *h-t/ k-t- (‘cervo, orso’); talora – ad es. in sanscrito od in greco – si vede tale base formare una metatesi fra la prima consonante e la sua vocale, dissimilando tuttavia la seconda consonante (da dentale a sibilante) del tema in *(h)-/ k-- .  Si noti che nel primo caso (ad es. nel scr. ya = ‘cervo’ oppure i = ‘rishi’) l’aspirata è riassorbita dalla sibilante, generando una palatale; mentre nel secondo (scr. k-ṣ-a = ‘orso’, gr.árk-t-os) la gutturale rimane comunque, ma la dentale può rimanere oppure generare una cerebrale.   Nel nome della suddetta dea parrebbero inclusi i valori linguistici complementari di ‘corna, cerchio; centro, cuore’ in unione col suff. –em/am- (a propria volta denotante ‘signoria, maternità’), circa cui si osservino le varr.  Árt-em-is /Árt-am-is; onde il significato generale del termine, per intero, potrebbe esser quello di ‘Signora o Madre dei Cervi’.  Cfr. colla ‘Madre delle Renne’ dei paesi artici.  Se gli Ari – come sembra – provengono dal Nordamerica (o dall’Atlantide Settentrionale, se preferiamo dire, ma la sostanza non muta), allora potrebbe essersi trattato in principio d’una ‘Madre dei Caribú’ ovvero d’una ‘Madre delle Alci’.  Il termine ad ogni modo era sinonimo un tempo di ‘Signora della Caccia’, sia pur nel senso primitivo del termine, non dimenticando la comunione che univa uomini ed animali nella lontana preistoria.  I cervi e le antilopi sono animali che nelle lingue arie svolgono la parte di prede venatorie per eccellenza, secondo quanto si rileva dall’accostamento fra il scr. mga (‘cervide, antilocapride’) e mgayu (‘cacciatore’).  Tale doppia definizione, se comprovata filologicamente, sarebbe del resto compatibile colla concezione arcana della dea luniterrestre quale celeste detentrice della vita e della morte.  Pure l’appellativo Kr-ón-os, assegnato alla controparte virile e saturnina di Artemide, crediamo debba venir concepito alla stregua di quello della dea, intendendolo cioè come l’associazione della medesima base *k/ h- (privata, non è ben chiaro perché, della dentale) col suff. –on-, var. di –en/ an- od em / am-.
204)      La voce Pallás (connessa a pállas = ‘giovane, fanciulla’) è concatenata indirettamente dal punto di vista filologico anche al vr.pál-l-ō var. di kél-l-ō/kél-o-mai, nel senso di ‘metter in moto, procedere rapidamente’ ossia sostanzialmente qualcosa che indichi l’andare attorno; donde è possibile ipotizzare una parentela linguistica del nome della parthénos greca, appellativo locale di Ἀθηνᾶ a parte, col nome della dea indiana facente da controparte a Durgā.  Vale a dire Kālī , nella circostanza da intendere tuttavia sotto l’aspetto di Matsyakālī  (o di Kumārī ).  Insomma Pallás, originariamente distinta se non addirittura contrapposta ad Athena, avendo assunto i panni di costei ne ha ereditato le veci svolgendo in tal modo il ruolo di volto virginale di Κήρ; la dea della morte cretese, cui forse una volta s’identificava.  Vide Cap.VII, n.37.  Siamo personalmente convinti che quest’ultima deità presiedesse al cielo notturno, al tempo, al male, alla morte e alla guerra (tutti concetti chiaramente correlati) e ad ogni altra funzione alla quale è ancor oggi preposta Kālī  nell’induismo.
205)      Su Pasife come dea-capra che si univa un tempo al dio-capro (il riferimento ciclico di codesto rituale risalendo in quel mentre all’inizio dell’Età Bronzea, allorquando alla costellazione dl Capricorno veniva affidata la parte – nello schema a Segni mobili dell’Astrologia Siderale – di emblematizzare la Rinascita Paradisiaca) vide op.cit., §89, p.274.  Essendo la dea cretese un allotipo di Amaltea, appare dunque legittimo dedurre da ciò che anch’ella fosse in certo senso unicorne o tricorne, oppure triradiata se preferiamo.  Cfr., in proposito, Cap.III, n.44.  Alla maniera cioè in cui apparirà effettivamente Pallade Atena, qualora si stabilisca di assimilare il copricapo triradiato della vergine greca alla corona egualmente triradiata – ed, altre volte, tricorne o tripuntata – disposta sul capo della corrispettiva dea indica, prefigurante Durgā-Kālī  in sede preistorica.  Si veda (Bian.B.-Giul., op.cit., P.qua., Cap.1, p.247, fig.284) in particolare il magnifico ritratto di Atena che compare in un insolito rilievo pompeiano (una metopa del III sec. a.C. c., ora all’Antquarium di Pompei), dov’ella è posta accanto ad Efesto e ad Issione; o, secondo le interpretazioni, a Dedalo e ad Icaro. 
206)      Ibid. come alla 203.  Nella nota colà citata il Graves c’informa opportunamente di un rito cretese relativo all’unione annuale, allestita a scopo sacrificale, di una sacerdotessa lunare con un re solare; nella pantomima erotica che ne costituiva il fulcro la figura sacerdotale portava sul capo ritualmente un paio di corna vaccine, mentre quella regale  indossava una maschera taurina.  Perciò è possibile indirettamente definire Pasife ‘Bicorne’ – cfr. col personaggio omologo di Dirce – anche dal punto di vista formale, giacché la sacerdotessa nella sua azione pantomimica impersonava sicuramente la dea; ma è chiaro che il numero delle corna (2 o 3) debba esser inteso sempre in senso simbolico, allusivo alle due metà del ciclo lunare, benché la doppia fase sia mossa da un unico principio effigiato dal <Corno Unico> o dal <Corno Centrale> (spesso ritratto in forma assiale).  Cfr. n.prec.  Ha osservato peraltro qualcuno (Pest., op.cit., Cap.XIII n.num., p.222) in modo davvero pertinente che l’Uomo e la Donna, il Toro e la Vacca, l’Aratro e la Terra rappresentavano in passato nella mitologia panellenica (pelasgico-mediterranea) una Triplice Míxis; onde i fattori di codesta triplicità potevano incrociarsi e scambiarsi l’un l’altro, nel mito e nel cerimoniale che la glorificava.  Ciò a nostro parere si  applicava pure per analogia, in virtù della potenza fecondatrice – rispettivamente attiva e passiva – di ciascuno dei termini testè citati, alle varie manifestazioni litomorfiche, zoomorfiche ed antropomorfiche del mondo divino.
207)      Ib. come alla 206.
208)      Ker., op.cit., Vol.I, Cap.VI, §7 n.num., p.104.  Astérios, od Astérion, è nel contempo un appellativo del Minotauro in funzione di qualifica astrale (ibid., Cap.XV, §6 n.num., p.247);  vale a dire di figlio stellare del celeste Minosse, il re lunisolare alla maniera del Manu hindu.
209)      Ibid. come alla 207,  §98, p.315, n.2.  Cfr. in India con Mahiāsura e Nandin (o Nandikeśvara), rispettivamente il demone-bufalo ed il dio-toro della tradizione induista; l’uno e l’altro a volte in veste semitaurina, a volte interamente taurina o del tutto umana.  Proprio come Poseidone – il Cronide in codesta funzione essendo un doppione del padre (Pest., Rel., Cap.IV, p.142) – o l’alter-ego di questi Minosse, i quali posseggono entrambi un triplice aspetto; antropomorfico (la veste normale del dio marino o del mitico re cretese), semiteriomorfico (col capo equino o taurno) e teriomorfico (avendo l’intero simulacro in veste equina o taurina).  Cfr. ibid., pp. 137-8.  I tre aspetti testé descritti appaiono, in effetti, nella storia di Pasife sotto forma di Signore del Mare (o Re di Creta), di Toro Bianco – fecondatore scandaloso della medesima – e di Minotauro.  Occorre annotare, infine, che il gr. Ποσειδῶν/ Ποσειδάων proviene etimologicamente dal termine pósis (‘signore, marito, sposo’) e dal vocabolo dê/dâ; voce derivata per contrazione, checché se ne dica, da dêm-os/dâm-os = ‘terra’.  Ad uso di prefisso come in Δη-μέτηρ, oppure di suffisso come in Ποτιδᾶς (var. del nome del nume marino) = ‘Sposo della Terra’, (lat. potis = ‘signore’, scr.pati = id.) e dâ; quest’ultimo sostantivo è sinonimo di gê (contraz. di géa), affine al scr. ku, a sua volta contraz. di kuru (‘terra’).
210)      Grav., op.cit., p.316, n.6. 
211)      Si tramanda (op.cit.,  §§ 27.4, p.96; 123.1, p.430 e 129.2, p.445) che il culto di Dioniso – vedi l’epiteto attribuitogli a Creta di Ζαγρεύς – sia sorto allorché, per sfuggire ai Titani, il dio si era dapprima tramutato in Leone (all’Equinozio Primaverile) e di seguito in Serpe (al Solstizio Estivo); indi in Pioggia ovvero nel Crono Pluvio, signore dell’Aquario (all’Equinozio Autunnale), ed infine in Toro (al Solstizio Invernale).  Il Graves nelle sue tipiche argomentazioni di carattere frazeriano fa un po’ di confusione ogni tanto, pur riconoscendo almeno l’importanza per gli antichi dal punto di vista simbolico d’un dominio rituale sulla fenomenica stagionale; il N. non comprende tuttavia che tali posizioni equinozial-solstiziali, analoghe a quelle evidenziabili nei 4 Elementi del Tetramorfo vicino orientale (ce ne sono vari in piú culture), risalgono ciclicamente a 10.000-12.000 anni fa.  Perciò, bisogna riconoscere che le epifanie del dio, appena descritte, si rifanno agli stessi presupposti remoti della simbologia eraclea (vide supra); il che, trasposto in termini archeologici, coincide sicuramente coll’inizio in Europa della cultura mesolitica, se non addirittura colla fine di quella paleolitica.  D’altra parte, le 4 metamorfosi annuali descritte di Zagreús equivalgono iconograficamente ai 4 volti di Érōs Protógonos, identificabile a Kár (ibid., §15.1, p.49); ossia al Leone zodiacale di Elio, al Toro di Dioniso, all’Aquila di Ganimede (che tiene nel becco la Pioggia, emblema dell’Aquario alternativamente al Vaso) e al Serpente di Ade (= Scorpione).  Cfr. con il Kāla hindu od il Kālacakra buddhista, talora pure quadricipiti siccome personificati, dei quali si ha in greco un parallelo nell’Apollo Cario ossia appunto Kār (ib., §95., p.297, n.5).   Ovviamente Eros non è completamente omologabile a Kar, giacché a volte ha 5 Teste anziché 4, la ‘Quinta Testa’ avendo a che fare col Centro della Ruota Zodiacale.  È chiaro che la ripartizione quinaria allude ai 5 Grandi anni, mentre quella quaternaria alle Quattro Età; in questo secondo caso, per di piú, Crono viene elevato ermeticamente alla funzione di dio aureo in luogo di Urano (nella dottrina orfica) o di Oceano (nella cosmologia platonica).  Analogamente accade ad Eros quando possiede solo 4 Teste, dato che rappresenta l’Età dell’Oro in senso generico, senza allusione ai 2 Grandi Anni differenti che la compongono.  In termini biblici potremmo definirli, utilizzando la concezione greca, il primo il Grande Anno ‘Adamico’ ed il secondo il Grande Anno ‘Evaico’. 
212)      Il Graves (cit., §§ 27.6, p.97 e 38.3, p.126), con grande acume, paragona senza mezzi termini Dioniso a Deucalione ed il secondo a Noè.  D’altronde, una comparazione  tra Noè e Minosse è altrettanto plausibile; dal momento che entrambi raffigurano il Legislatore, o Nómos, detenente i principia mundi nell’Arca Solare.
213)      Elleno, il figlio di Deucalione (re dei Tessali, omonimo ed alter-ego del Deucalione cretese, figlio di Minosse) e nipote di Prometeo nonché pronipote di Giapeto (omologo dello Iaphet biblico), è l’antenato eponimo di tutti gli Elleni.  R.Graves (§38, p.127, n.9) lo considera il rappresentante regale della sacerdotessa di Elle, alias Ellena o Elena; secondo noi una replica della Θέμις, la Tradizione ellenica personificata (vide supra).  Al dire di Pausania (Per.- iii. 20, 6) le prime tribú di Elleni erano giunte in Tessaglia, dove per l’appunto si venerava Elle, la figlia di Atamante.  Certamente costei, come suggerisce l’etimo di λένη, è apparentabile alla dea lunare Σελήνη; tuttavia non si può non sottolineare nel contempo l’attinenza di tale appellativo, designante la mistica cerbiatta ovvero la sapienziale cerva (Elle, Elafia), colla Settima Pleiade.
214)      Europa si affida ad Asterio dopo che Zeus l’ha abbandonata, pur avendo generato in lei sott’aspetto tauromorfico 3 figli: Minosse, Sarpedonte e Radamante.  Costoro sono la solita terna di numi solari (vedi Cap.II), adempienti nel racconto mitico in questione la parte di contrassegni direzionali, secondo quanto prova la loro assunzione posteriore a custodi delle 3 vie dell’oltretomba, colla sola sostituzione di Sarpedonte da parte di Eaco.  Infatti, il primo dei 3 fratelli succitati è ritenuto il dominatore dell’Isola di Creta; ovvero, immaginiamo, il dispositore del Meridione.  Il secondo invece – ma talvolta la sua signoria viene invertita con quella del successivo fratello – è preposto all’Asia Minore, ossia piú ampiamente all’Oriente; mentre il terzo presiede all’Isola dei Beati, od all’Europa, entrambe corrispondenti verosimilmente all’Occidente.  Ovviamente in quest’elenco manca tra i passi solari il ‘Quarto’, in rapporto col Nord.  Cfr. Cap.III, §e.
215)      Il ruolo di Varua quale signore del II Mahāyuga è approssimativo, essendo il nume in verità secondo i testi cosmografici induisti spuntato fuori nella parte conclusiva del II Ciclo Avatarico, il che significa alla fine del I Mahāyuga.  Il corrispettivo greco Urano, analogamente, è collocato primo nella sequenza quinaria dei Grandi Anni da parte di Platone (ossia prima di Oceano e Crono) e secondo nella corrispondente sequenza da parte dell’Orfismo (dopo Eros Protogonio, ma prima di Crono).
216)      Grav, op.cit., §92.7, p.287.
217)      Op.cit., §92m, p.285.
218)      La base *min- nelle lingue paleo-dravidiche significava ‘pesce’ secondo Padre Heras, con allusione in particolare al dio-pesce delle origini.  Minosse, d’altra parte, è il <Re di Creta> per eccellenza, come Menes in Egitto fa da <Primo Faraone>.  Vi è insomma da credere che una mitologia concernente l’identità fra il ‘Primo Nume’ in forma ittica ed il ‘Primo Uomo’ sotto forma di Re Sacro fosse diffusa presso le antiche culture camitiche, da Creta all’Egitto, dall’Egitto all’India.  Di essa si rinviene traccia, per quanto maggiormente in sordina, anche presso le culture semitiche e iaphetiche. 
219)      Ker., op.cit., Vol.II, Intr., p.26.  Cfr. altresí Plut., De Is. Et Os.- xxviii.
 


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