martedì 27 marzo 2018

Il Re Pescatore e il Pesce d'Oro, Note al Capitolo V






Note al Cap.V


1)          Neum., op.cit., tav.138, con comm. alle pp. 287-8.
2)          L’etimo posto dagli eruditi è giusto, ma non nel significato di ‘allontanare’; il quale è secondario e da porre pur esso in relazione al Principio, piuttosto che interpretarlo nel senso banale di portarsi a distanza da una zona diluviale.
3)          L.Godart, La civiltà delle Cicladi- Archeo. Attualità del passato (A.IX, feb., N°2 [108]), De Agostini-Rizzoli, Roma 1994, pp.56-99.  Ad ogni buon conto il Godart rileva (ib., p.66) che nel Cicladico Antico II (sviluppatosi all’incirca fra il 2.800 ed il 2.300), e piú precisamente nell’isola di Siro, sono stati rinvenuti dei dischi fittili denominate ‘padelle’; contenenti indicazioni di chiaro valore astrale a nostro giudizio, nonostante il parere opposto dell’articolista, che viceversa ne esclude ingenuamente l’importanza cosmologica (p.76).  Al centro di tali ‘padelle’, senza dubbio adibite al culto solare, è immancabilmente raffigurata una Navicella la cui prua è sormontara ancora una volta da un’immagine a sagoma pescina,
4)          God., art.cit., p.65, fig. n.num.  Alltre immagini (ibid., p.65 e 67, figg. n.numm supra et infra) appaiono decisamente meno chiare.
5)          Art.cit., p.72.
6)          Co., op.cit., §c, (iv. Gamma), p.795, n.3, fig.763.
7)          Op.cit., fig.764.
8)          Grav., op.cit., §170, p.681, n.9.
9)          Personalmente crediamo che le due demonesse avessero a che fare con ben altri gorghi, di natura celeste; vale a dire con il Polo Sud, allorché questo era situato in prossimità delle costellazioni meridionali di Canis Maior e di Canis Minor.  Ciò si è verificato cosmologicamente – prendendo come punto di riferimento l’inizio del nostro Grande Eone – nel I, nel III e nel V Grande Anno.  Insomma l’ultima volta nel semiperiodo, coincidente col Ciclo Avatarico indiano, precedente a quello attuale; in cui il Polo, a dispetto dell’evidenza che avrebbe indicato la sede visibile di questo nella Croce del Sud, trovavasi in verità sotto il dominio di Canopo.  Ma vi sono buoni motivi per pensare pure ad un aspetto benefico di tale simbolo, in rapporto alla ‘Coda Pescina’ di Scilla – cfr. Font., op.cit., Cap.VI, p.97 – e all’innamoramento nei confronti di costei da parte di Glauco.
10)        Ibid. come alla 8.
11)        F. Matz, Creta e la Grecia preistorica- Il Saggiatore, Milano 1963 (ed.or. Creta und frühes Griechenland- Holle, Baden-Baden 1962), Cap.IV n.num., p.165, fig. n.num.
12)        Ibid. come alla 10
13)        Vedi rec. Gau., vers.beng. (nella trad. del Gorresio), uscita nel periodo 1843-70 e ripubblicata postuma nel 1988.
14)        Cfr. Font., op.cit., Cap.IX, §2 (n.num.), p.206; inoltre il Diz. Stutley (op.cit.), s.v.:KABANDHA, pp. 193/ coll. a-b e 194/ col.a.
15)        Ibid., come alla 12.
16)        Dichiara ancora il Graves (§81. 1, p.248) a commento dell’episodio dell’amplesso di Tetide e Peleo, che il culto della Seppia era assai diffuso nell’antica Europa.  A partire da Creta, dove l’effigie di codesto mollusco veniva comunemente rappresentata nell’arte locale alternativamente a quella del Polpo; fino ad arrivare ai monumenti megalitici della Britannia, in particolare a Carnac.  Fuori dell’Eurasia, rincontriamo un analogo culto nell’isole dell’Oceania; presso le quali guardacaso quest’animale dei fondali marini possiede piú o meno le stesse valenze infere riscontrabili in Europa, la seppia essendo colà custode del Regno dei Morti.  Per informazioni maggiormente dettagliate al riguardo si veda piú avanti.
17)        Font., op.cit., passim.
18)        Op.cit., Cap.VI sgg.
19)        Vide Cap.IV, n.49.
20)        Cit., §4 (n.num.), p.106.
21)        Cap. XI, § 1 (n.num.), p.283.
22)        Cap.X, §1 (n.num.), p.238.
23)        Passim.
24)        L’elemento marino predomina ad es. nella ritrattistica di Okeanós, che però presenta a volte una fisionomia ofidica (p.234): quello ipoctonio (o vulcanico) ricorre in genere nelle descrizioni di Thypháōn, pur avendo questi occasionalmente una fisionomia ittiomorfica (Cap.VII, §4 n.num., p.143, n.46).  Perciò si può dire che i due titani siano tratteggiati, simultaneamente, sia con caratteri itttiomorfici sia con caratteri ofidiomorfici; ma nel primo caso risulta preminente il sembiante umano-pescino, nel secondo quello umano-serpentino.
25)        È il caso, ad es., di Acheloo; che possiede testa di toro, corpo di serpente e coda di pesce. 
26)        Vide Cap.IV, n19.
27)        Ibid. come alla n.prec.  Le cosmogonie orfiche (Ker., op.cit.,Vol.I, pp. 107-8) attestano una tradizione secondo cui vi sarebbero stati, nel corso dell’ormai trascorso Grande Eone, ‘Cinque Regni’ divini; anche se qualcuno (ibid.), interpretando nel contesto malamente il ruolo della Notte (una dea trimorfa, il triplice volto del quale viene asssimilato a quello pure triplice delle Moire), parla erroneamente di ‘Sei Regni’.  Orbene, il ‘Primo Re’ è costituito da Érōs Protógonos (‘Primo Nato’) alias Phaétōn (‘Splendente’) e il ‘Secondo Re’ da Urano, cui consegna lo Scettro la Notte; nel ‘Terzo Regno’ subentra Crono, nel ‘Quarto Regno’ Zeus e nel ‘Quinto Regno’ Dioniso.  Ciò collima piú o meno con quanto asserito da Plutone nel Timeo, testo che ci tramanda il seguente ordine:  1. Urano e Gea, 2. Oceano e Teti, 3. Crono e Rhea,  4. Zeus e Era, 5. I <Figli> di questi ultimi (cioè – crediamo – Apollo e Diana oppure Pan e Selene, od altrimenti Dioniso ed Arianna).  Si vedrà come le due liste di numi in realtà equivalgono, a parte il prmo nome ed il secondo delle due serie, che sono invece reciprocamente invertiti; giacché, come abbiamo già riferito (vide Cap.IV, n.19), Eros non è che un semplice doppione di Oceano.  Nella dottrina orfica si racconta che Chrónos (il Tempo Eterno) abbia prodotto dapprima un <Uovo d’Argento> (l’Uovo del Mondo) il quale, roteando su di sé in mezzo all’Etere, ha generato Érōs; che, perciò, è considerato figlio dell’Etere.  Dopo che tale principio (personificato) si è distaccato dal caos Eros, l’essere androginico dotato di 4 Corna, 4 Volti – giustamente paragonati dal Grossato (Gross., Sign., p.111, n.17) a quelli di Brahmā ed ulteriormente apparentabili agli analoghi 4 Volti cabalistici di Adamo – e 4 Nature (il Leone di Elio, il Toro di Dioniso, l’Aquila di Zeus e il Serpente di Ade), è vissuto costantemente in una <Grotta> (la ‘Caverna del Mondo’) assieme alla Notte.  Attraverso costei sarebbe avvenuto, poi, quel passaggio di consegna dello Scettro Divino cui abbiamo poco sopra fatto cenno.
28)        Ov., Met.- xi. 307-8: …frenatō Delphynē sedens...
29)        Il cavo antro ove si reca Tetide è un’immagine, ancora una volta, della ‘Caverna del Mondo’ (microcosmicamente della ‘Caverna de Cuore’).  Nello speco costiero, effettivamente esistente nell’ambiente tessalico descritto nella n.seg., era forse allestito un culto dedicato alla dea-seppia; giacché, come sosteneva non a torto – la scuola mediterraneista, le grotte costituivano i santuari della Grande Dea mediterranea.  R. Graves (ibid. come alla 16) immgina che nella spelonca sacra a Tetide si svolgessero determinati riti, officiati da 50 sacerdotesse-seppie¸ che costituivano una variante delle 50 sacerdotesse-foche ed intendevano cosí celebrare, sul modello della danza delle Nereidi in occasine del matrimonio fra Peleo eTetide, l’unione ierogamica d’una somma sacerdotessa, incarnazione della dea, col proprio divino paredro.  Resta solo da aggiungere che la <Grotta> sacra a Tetide ed il <Monte> che la sovrasta, consacrato a Peleo (il cd. ‘Monte Pelio’), sono già per conto loro due simboli aniconici – con valori d’emblemi, l’uno ipoctonio e vaginale, l’altro uranico e fallico – della potenza generativa del Cielo e della Terra.
30)        Nei dintorni del fondale marino ubicato nei pressi di tale scogliera (Sēpiás, da sēpía = ‘seppia’), dislocata in Tessaglia, precisamente nella regione denominata Magnesia, si dice (U.Pestalozza, Religione mediterranea. Vecchi e nuovi studi- Cisapino-Goliardica, Milano 1971 [I ed. 1951], Cap.IV, p.95, n.24) che vivano numerose seppie, le quali pare frequentino volentieri le profondità marine nella località rocciosa.  Questo non prova ad ogni modo – come vorrebbe il Pestalozza – la fondazione autoctona del mito in questione.  Semmai, è piuttosto a ritenere che un mito preesistente sia stato rielaborato ed applicato ad un fine eziologico, proprio dagli abitanti del luogo; e che poscia, in siffatta forma interamente rinnovata, esso si sia  diffuso all’internno di tutta la penisola greca.
31)        Cfr. G.Acerbi, Edipo e l’Enigma della Sfinge tebana- Heliodromos (N°15, Aut. ’98-Inv. ’99), Catania 1999, pp. 6-14 sgg.
32)        Plut., De def. orac.- x, b-c.  Lo scrittore di Cheronea, rifacendosi al tema delle ‘Quattro Generazioni divine’ tratttato da Esiodo, dichiara che “nel campo delle anime elette” è ammesso il passaggio da Uomini ad Eroi, e da Eroi a Demoni; solo a pochi eletti, tuttavia, spetta la purificazione finale e la trasformazione in Dei.  Plutarco non fa però distinzione, sbrigativamente, fra Piccoli e Grandi Misteri.
33)        Il vocabolo érōs, donde abbiamo il nome omonimo del dio (vide n.27) – ma sarebbe piú corretto a nostr’avviso affermare l’opposto, anche restando su un piano squisitamente filologico anziché ontologico – è indubbiamente collegato per un verso a erō (‘vibrazione, oscillazione’) od i paralleli di questa voce in latino (rōs = ‘rugiada’) ed in sanscrito (rasa = ‘fluido, umore nettare; acqua, latte; bevanda, succo, essenza, elisir’); per un altro verso al lat. ardor (‘ardore, calore’), con caduta in greco della dentale (da un possibile tema *erōt-donde proviene l’a.m. erōtikós), secondo quanto mostra il parallelismo interlinguistico fra il gr. erōdiós (‘airone’) e il lat. ardea (id.).  Si noterà che abbiamo a che fare, per l’occasione, con aggettivi tutti denotanti in generale la Vibrazione Universale; sia essa sotto forma sonoro-luminosa, opputr igneo-umorale.  Codesta Erō non può che essere l’Au, il sacro monosilabo concepito ad un tempo quale Eterno Suono ed Eterna Luce e simultaneamente descritto nel linguaggio fiorito di altri popoli, che evidentemente conoscono pure la  cd. ‘Realtà delle Realtà’ (la definizione è tantrica), nei termini assai suggestivi di “Acqua-che-brucia” o di ”Fuoco-che-lava”.  È significativo d’altro canto che proprio il disegno schematico della sagoma del Pesce, formata linearmente da un intuitivo accostamento geometrico dei tratti delle lettere A_V_M sia servito in passato ai Carmelitani da emblema dell’Ave Maria sotto forma pescina.  Cfr. R. Guénon, Il Re del Mondo- Atanòr, Roma 1952, Cap.II, p.18, n.3; ed.or. Le Roi du Monde- Ch. Bosse, Parigi 1927.  È facile vedere la forzatura inerente all’applicazione cristiana di questo simbolo, il che prova l’origine non cristiana del medesimo.  Guénon stesso sottolinea opportunamente in proposto che l’Ordine dei Carmelitani, al quale apparteneva nel Medioevo una via iniziatica del tipo di quella dei Templari, ricollegasi a fonti ermetico-cabalistiche (greco-giudaiche) esattamente come la Massoneria.  Altrove (ibid., Cap.IV, pp. 31-2, n.1) egli, ribadendo l’importanza  dello stesso emblema, asserisce che lo schema triletterale cui abbiamo prima accennato deriva in verità dall’unione delle lettere estreme dell’alfabeto greco: l’Alpha e l’Omega.
34)        Vide n.26.
35)        Ivi intendiamo gli Asura diversamente che altrove (vide Cap.IV, n.17), ovvero in senso argenteo, non aureo; insomma quali equivalenti dei numi presiedenti al V, VI e VII Ciclo Avatarico (= Tretāyuga).  Mentre i Deva corrispondono alle divinità dominanti l’VIII e il IX Ciclo (Dvāpara).
36)        L’Achelòo è il fiume piú importante della Grecia, cosí come il Gange lo è dell’India.  Sull’accostamento fra Achilleús ed Achelóos cfr. Ker., op.cit., Vol.II, L.III, Cap,VII, p.328.
37)        De Sant. & Von Dech., opcit., App.15, p.443.
38)        Abbiamo suggerito in altro scritto inedito (La lingua Celeste. Nomina numina, Cap.II) che il prode Lancillotto essendo il figlio di Re Ban (lett. ‘Testa’), vale a dire d’un esatta replica di Uther Pendragon (lett. ‘Testa del Dragoone del Nord’), il misterioso padre di Re Artú, è in certo senso da considerare il ‘fratello’ (maggiore) di quest’ultimo.  Dato poi che Mago Merlino – com’è arcinoto – presenta pure lui valenze dragonesche, in quanto <Figlio> del Diavolo, se ne dovrà trarre la conclusione che i tre principali personaggi – insieme a Ginevra – del racconto graalico costituiscono unitamente una specie di trimurti celtica; dove Merlino (omologabile sia a Re Ban che a Uther Pendragon) svolge un ruolo urano-brahmanico, essendo l’artefice di Camelot e della Tavola Rotonda.  Mentre Re Artú, il <Figlio minore> per cosí dire, e Lancillotto, il <Figlio maggiore>, prendono il posto viceversa di Viu e Śiva nell’induismo.  Tra i due emblematici personaggi graaliani è il prode cavaliere, beninteso, ad aver serbato qualche tratto d’una fisionomia in origine titano-asurica; benché, in seguito, riteniamo siano intervenuti altri fattori ciclici che hanno rovesciato la situazione di superiorità in favore di Artú.   Difatti, quegli è il piú forte dei due.  Ed il Re, avendolo quale rivale in duello nell’episodio del loro primo incontro, per poterlo vincere non riesce a far a meno dell’inganno) impiegando la ’magica spada’ Excalibur; proprio come i Pāṇḍava mahabharatiani, che sconfiggono i cugini Kuru in maniera ignobile ed indecorosa.  Ai Pāṇḍava nel Mahābhārata vengono conferiti caratteri eroici e semidivini di contro ai Kaurava, che hanno al contrario caratteristiche demoniche.  Basterà pensare alla differenza fra Arjuna e Kara, il primo reputato la veste terrena di Indra  e il secondo di Sūrya.   L’invincibilità di Bhīma Gageya, forma umana di Skanda Gageya (entrambi sono figli della dea del Gange), del resto, ricorda da presso quella di Lancillotto.  Mentre l’istituzione di 12 Cavalieri principali come fondamento gerarchico della Tavola Rotonda, talora descritti come signori feudali di altrettanti dominî (J. Evola, Il mistero del Graal- Mediterranee, Roma 1972), P.II n.num., §9, pp. 37-8; I ed. Il mistero del Graal e la tradizione ghibellina dell’Impero- Laterza, Bari 1937) avvicina Re Artú al Principe Ka, il fondatore indiano dello Zodiaco in veste di Cakravarti; per questo il rampollo della stirpe degli Yadava in epoca ellenistca è stato identificato sincreticamente ad Eracle, l’eroe solare per eccellenza della mitologia greca ed in ciò distinto da Hlios-Krónos, il demone solare per antonomasia.  
39)        Cioè di Mahādeva, in veste di Varua.  Ricordiamo in proposito l’equazione Śāntanu = Sāgara, sostenuta in precedenza sulla base dello Harivaśa.
40)        Apóllōn e Rudra sono degli allomorfi, rispettivamente, di Ōríōn e Prajāpati.  Donde se ne ricava che Páris, l’uccisore di Achilleús, è un’incarnazione di Apollo; cui, non per niente, viene alternativamente attribuito l’atto proditorio dell’annientamento dell’eroe acheo.  Achille dunque, sebbene di per sé mitologicamente piú arcaico di Ka, può esser concepito quale alter-ego di Orione non a caso definito nella tradizione cinese il ’Grande Guerriero’.
41)        Anche Kalki, una volta esaurita la sua missione salvifica (tuttora in corso), verrà annientato da Rudracakrin; siccome questi è, nel contempo, l’Avatara Eterno ed il simbolico Oppositore.  Cfr. simultaneamente da un lato col Khizr islamico nel primo ruolo e, dall’altro, coll’Anticristo apocalittico  nel secondo.
42)        Essa è stata intagliata in un ‘Frassino’ cresciuto sulla vetta del Monte Pelio e donata a Peleo, l’uomo-cavallo, da Chirone (padre di Tetide in luogo di Nereo ed allomorfo del marito in forma semiequina); nonché, al pari di lui, divinità preposta al dominio del monte appena nominato.
43)        Grav., op.cit., §r e n.8, p.246; dove, comunque, l’autore scambia erroneamente Śāntanu per Ka.
44)        Sul preciso significato di tali distinzioni etnogeografiche si veda quanto da noi già delineato a proposito dello scontro fra i contendenti della Guerra del Kuruketra.  Vide Cap.IV, n.11.
45)        Nella mitologia iranica abbiamo un omologo in Aži Dahāka, l’avversario di Verethragna; corrispondente al scr. Vtrahan (‘Uccisore di Vtra), epiteto di Indra, z.av. Andra.
46)        A.A. Macdonell, Vedic Mythology- Motilal B., Delhi 1974 (I ed. Strasburgo 1898, edit. n.c.). Cap.VI, §68 sgg.
47)        Vide Cap.IV, n.19.
48)        K.N. Mukherji, Popular Hindu Astronomy. Tārāmandalas and Nakshatras- N. Mukherjea, Calcutta 1969, p.114.  Vala è dipinto nella mitologia come ‘fratello’, cioè alter-ego di Vtra (Macd., op.cit., p.160). 
49)        Parimenti a Vāmana e a Kumāra, il Re degli Asura ha in dotazione tra i suoi contrassegni specifici l’Ombrello Solare ed il Cappio (Mukh., op.cit., p.113).  Altre categorie settenarie, come i Saptai ed i Saptapit od i Sette Prajapati, ci rimandano invece ad un’intereprtazione in chiave polare.
50)        Op.cit,, pp. 113-4.
51)        Cit., p.113.
52)        Cfr. la stupenda illustrazione (da una miniatura jammu del XIX sec.) di Bali, dotato di mazza che affronta il Matsyāvatāra, con in mano la Spada del Verbo Divino; intanto Brahmā sta ad osservare, da vicino, il grandioso duello cosmico.  Essa è riportata a colori, come surriferito, nel testo di K.C. Aryan  & S. Aryan, op.cit.  Vide Cap.II, n.248.
53)        Omologamente il posto di Bali, nello schema dei Mahāyuga, è da collocare nel II Grande Anno, rappresentando egli la versione solare di Varua-Sāgara.  Cfr. col ruolo di Sūrya nell’ambito della serie dei Pañcadeva.  Cfr. Cap.IV, n.19.
54)        Costui può apparire in veste demiurgico-creativa di Purua oppure come Principio Divino (= Brahmā-Prajāpati) complementarmente ad Aditi, a sua volta possibilmente invece incarnazione della Prakti o dello Zero Metafisico; alternativamente, egli si presenta quale superiore ad Aditi medesima, in veste cioè di <Grande Uno> (l’Assoluto, il Brahma). 
55)        Riguardo un’interpretazione solare-invernale, cioè solstiziale-boreale di Ahir Budhnya cfr. Tilak, op.cit., Cap.Vi, p.182, n.2 (ed il nostro comm. di seguito).
56)         Tifone al pari di Rāvaa posssiede varie teste, che nel primo dei due sono di tipo dragonico; ma accanto a quelle domina, nell’un e nell’altro caso, una bella ‘Testa d’Asino’.
57)        È probabile che Rahu e Ketu, effigiati – com’è noto – in forma rispettivamentte di Testa e Coda di Drago, ri riferiscano oltreché ai Nodi Lunari ed alle Eclissi lunisolari pure ai Poli.
58)        Il nostro ragionamento, è chiaro, implica che tanto Ajaikapāda (Aja) quanto Aigipán (Aíx) posseggano dei connotati che li legano all’Orsa Maggiore e all’Orsa Minore.  La cosa, evidentemente, non può esser data per scontata.  Per quel che concerne le implicazioni polari del nume indiano rimandiamo al Gross.,  ‘Sh.Legs’, passim.  Circa Pan occorrereà del resto tirare in ballo una strana storia d’amore non ricambiato tra il dio semicaprino e la Ninfa-pino (Pítis) per accorgerci manifestamente che codesti due amanti, i quali non riesconoo ad incontrarsi ed abbracciarsi mai (Ker., op.cit., Vol.I, Cap.X, § 3 n.num., p.164) sono da concepire, al di là della metafora, cme le detà presiedenti alla 2 Orse.  E Pan logicamente è preposto alla Maggiore, mentre l’amata di costui alla Minore.  Analogamente fra i Latini Silvānus, omologo di Faunus (l’equivalente, checché se ne dica, del greco Pán), insegue invano Cyparissus, la ninfa-cipresso.

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