martedì 27 marzo 2018

Il Re Pescatore e il Pesce d'Oro, Note al Capitolo II (401-557)





401)      Certuni, nel delineare tali 4 forme, menzionano il nipote di Bellerofonte anziché Melicerte, ma costui deve eser considerato un quinto Glauco.  Il Glauco omerico d’altra parte è una figura miticamente scialba, seppur letterariamente molto valida; il suo ruolo è essenzialmente epico, nel Canto VI dell’Iliade (vv. 168-330).  Gli Achei fanno strage dei Teucri, sino a che Ettore balzando dal suo carro prova a rianimarli.  A questo punto interviene il duello fra Diomede e Glauco.  Il greco, vedendolo l’oppositore sicuro di sé a differenza degli altri, prende il guerriero troiano per un nume e vorrebbe esentarsi dal combatterlo.  Ma nel caso egli abbia davvero forma umana lo sprona a farglisi presso, affinché lo possa ben presto affidare ai lacci della morte.  Il figlio d’Ippòloco, re dei Lici, gli risponde che gli uomini sono come le foglie che una volta giunte a terra il vento disperde.  E la selva germogliante le riproduce in primavera continuativamente.  Glauco gli spiega allora la sua discendenza da Sisifo attraverso Bellerofonte, il vincitore sulla Chimera; fatto al quale erano seguite altre imprese vittoriose (contro i Sòlimi e le Amazzoni) e un’insidia tesagli dai Lici finita male per costoro, fino a che era stato riconosciuto eroe dal Re dei Lici, che gli aveva alfine concesso in isposa la figlia.  Dei suoi 3 figli,  era da  Ippòloco che Glauco era nato.  Diomede a queste parole riconosce nell’avversario il nipote d’un ospite del proprio nonno Enèo.  L’invita, pertanto, ad evitare reciprocamente di offendersi colle punte delle lance anche in mezzo alla mischia.  E gli domanda lo scambio cerimoniale delle armi.  Segue la discesa dal loro carro dei due contendenti: Glauco dona armi d’oro, Diomede di bronzo.  Il bellissimo episodio è effigiato in un pelike attico a figure-rosse del V sec. a.C. (Coll.Nocera, Mus.Region. Archeologico, Gela).  Notiamo Diomede a sinistra chiedere di scambiare le armi con lui, uno dei capi dell’esercito licio (Wikim., s.v.  DIOMEDES GLAUCUS).  Vi è addirittura un sesto Glauco che avrebbe accompagnato Paride al ratto di Elena e poi sarebbe stato ucciso da Agamennone nella Guerra di Troia, oppure secondo altra versione sarebbe stato risparmiato da Ulisse e raggiunto il Po avrebbe fondato Padova.
402)      Grav., op.cit., §71/a.
403)      Ibid.
404)      Wikim., s.v.: SCYLLA BM 621.
405)      Wikim., s.v.: SCYLLA (BELL-CRATER SCYLLA LOUVRE CA 1341).
406)      Wikim., s.v.: SCYLLA (ANTIKENSAMMLUNG KIEL 107), n. d’inv.: B 895.
407)      Wikim., s.v.:URNA FUNERARIA CON SCILLA IN ALABASTRO, 225-200 AC CA, DA VOLTERRA (MUSEO GUARNACCI).
408)      Wikim., s.v.: URNA FUNERARIA CON SCILLA IN TRAVERTINO, CASTIGLION DEL LAGO, LOC. CASTELLANO, 200-190 AC CA. (MAN FIRENZE).
409)      Wikim., s.v.: SYRACUSAE AR TETRADRACHM 591222.
410)      Wikim., s.v.: CUMA AR SCYLLA 591018.
411)      Wikim.,  s.v. HERAKLEIA.  A retro la moneta riporta un’Eracle che lotta col Leone Nemeo.  Eraclea era una città della Magna Grecia, sulle coste dello Ionio, a testimonianza che la cultura lucana antica dopo un periodo di forti ostilità verso la colonizzazione proveniente dall’Egeo aveva finito per accettare entrambi gli aspetti di detta civiltà: la componente greca (Atena, Scilla) e quella ellenica (Eracle).  L’una maggiormente affine al sostrato greco-tracio degli Apuli (Dauni ecc.) di per sé d’origine illirica, affini quindi ai Daco-Traci, di poi ibridati con genti greche; l’altra, invece, piú prossima al sostrato irpino (sannitico)-ellenico de Campani.  La compagine originaria osca (anche questa diramatasi dal gruppo sannitico) della Lucania, dimorante in un’ampia zona fra l’Abruzzo e la Basilicata con parti della Campania e della Calabria oltreché delle Puglie, aveva formato nel V sec. a.C. la cd. ‘Grande Lucania’ (sebbene la definizione non fosse autoctona); la quale venne sottomessa dai Romani nel III sec., a partire dalle guerre sannitiche e pirriche.
412)      Wikim., s.v.: THURIUM 2.
413)      S.v.: DENARIUS SEXTUS POMPEIUS-SCILLA.
414)      Cfr. G.Acerbi, Il culto di Pico in area indomediterranea, dalla Sicilia al Deccan- Alle pendici del Monte Meru, blog (29-05-17).
415)      Grav., op.cit., §16, p.52, n.2.     
416)      Wikim.C., s.v.: JOHN MELHUISH STRUDWICK22.
417)      Wikim., s.v.: URBINO XANTO AVELLI, CIRCE, SCILLA E GLAUCO, 1535.
418)      S.v.: CIRCE STRAFT GLAUCUS DOOR SCYLLA IN EEN MONSTER TE VERANDEREN RIJKSMUSEUM-SK-A-4874.
419)      S.v.: CIRCE INVIDIOSA-JOHN WILLIAM WATERHOUSE.
420)      S. v.: DSC 00207-8- COMPAGNO DI ULISSE – COPIA DA ORIGINALE SEC. II SEC aC DA VILLA ADRIANA SEC II dC - FOTO DI G. DALL’.
421)      S. v.: SCYLLA (CAUGHT BETWEEN A ROCK AND A HARD PLACE).
422)      S.v. FONTANA DEL NETTUNO IN MESSINA (GIOVAN ANGELO MONTORSOLI).
423)      S.v.: SCYLLA (JOHANN HEINRICH FUSSLI 054)
424)      S.v.: SCYLLA AND SYRENS-GOOGLE ART PROJECT.
425)      Font., op.cit., Cap.VI, p.97.
426)      Ennesima variante è Kelt, antenata leggendaria dei Celti, forma che parrebbe modellata su Kēt (op.cit., pp. 98-9). 
427)      In genere le Sirene sono citate nel folclore europeo ed in quello dei paesi di cultura latino-americana come le compagne marine dei Tritoni, anziché dei Sireni.  In tal caso i Tritoni, tuttavia, sono effigiati in maniera diversa dalla loro fisionomia classica greca ossia con corpo metà sepentiforme alla maniera delle Nereidi (delle quali le Sirene pigliano a volte il posto).  A dimostrazione di ciò un artista anonimo del folclore russo ha offerto un’effigie della Sirena accanto al Tritone, ma questo non meno di essa ha corpo per metà pescino.  La stampa è del 1866 ed è depositata presso la Biblioteca Pubbblica di N.York.  Cfr. Wikim.C, s.v.: MERMENLUBOK.
428)      Ker., op.cit., Cap.3, p.56 ss.
429)      Nel Mar del Giappone è stato osservato un pesce di questo tipo, metà antropomorfica a parte, cioè lungo uno sproposito di metri e con scaglie che parevano squame di serpente marino.  L’andatura – a quanto si poteva intravedere dal breve filmato – era quella a zigzag dei rettili, ma non ovviamente in senso ondulatorio-orizzontale secondo quanto avviene in ambiente terrestre; piuttosto, in senso ondulatorio-verticale per sfruttare nel moto la spinta delle onde.
430)      Vide Cap.I, n.117.
431)      Font., op.cit., Cap.X, p.232.
432)      La sequenza giusta dovrebbe essere, comunque, la seguente: Eros, Oceano.  Dato che Eros ed Urano appartengono entrambi al I G.A., seppur uno alla prima fase e l’altro alla seconda; infatti, il primo in India corrisponde a Brahmā (Kāma) ed il secondo a Varua.
433)      Ker., op.cit., p.57.
434)      Ibid. come alla prec.
435)      Stutl., op.cit., s.v.: GANDHARVA, p.131/ coll. a-b, n.1.
436)      In un piatto beota del 580-70 a.C., di stile corinzio-medio, troviamo un sireno barbuto in forma d’uccello colla sola testa umana. (Mus. del Louvre, Parigi).  Cfr. Wikim.C., s.v.: LOUVRE ASSIETTE SIRENE BARBUE.
437)      Ibid. come alla 434, pp. 57-8.
438)      Wikip., s.v.: SIRENE (religione greca).
439)      Sul tema cfr. Ac., Plut. sgg.
440)      Ibid. come alla 437, n.16.
441)      Wikip., s.v.: MUSE (divinità).  Per la citazione di Diodoro S. vedi n.13.
442)      Ibid. come alla 437.
443)      Ib.
444)      Ib.
445)      Ac., Mrig., p.12, n.17.
446)      Wikim.C., s.v.: FIGURES ALADES, UNIÓ D’ANSA D’OLLA, SEGLE VIII AC. MUSEU ARQUEOLÒGIC D’OLÍMPIA.
447)      Ibid. come alla n.prec.
448)      Sui significati cosmologici delle Sfingi cfr. G.Acerbi, Edipo e l’Enigma della Sfinge tebana- Heliodrmos (Inv. 1998.-Inv. ‘99), N°15, Catania 1999, pp. 7-14.
449)      Porf., De Ant.- x.
450)      Vide n.280.
451)      Wikim.C. ., s.v.: SIRENA DE CANOSA S. IV ADC (M.A.N. MADRID) 01.
452)      Wikim., s.v.: FUNERARY SIREN LOUVRE MYR148.
453)      Wikim., s.v.: 1875 BOECKLIN SIRENEN ANAGORIA; ibid., FERDINAND MAX BREDT - SIRENEN.
454)      Wikim., s.v.: SIRENS IN MEDIEVAL ART.
455)      Ac., Il culto del N., p.62.
456)      L’ugaritico Atart – donde la prima parte del nome divino Atar-gatis –corrisponde al fenicio Aštart (ellenizzato in Astarte), all’ebraico (vetero-testamentario) Aštoreth, nonché all’himyarita (neo sabeo-sud yemenita) Ahtar e all’accadico Ištar; mentre la seconda parte, -gatis, ha a che fare col gr. *gados (‘pesce’).  Cfr. Wikip., s.v.: ATARGATIS.  Per cui il significato dovrebbe risultare: la “(dea)-pesce Atar”.
457)      Ibid. come alla prec.
458)      Wikip., s.v.: DOGON.
459)      Enc.Brit. on line, s.v.: OANNES.  Il dio è presentato quale emissario di Ea, ma questi ha un secondo emissario: Usumu.  Vide n.seg.
460)      Siccome anche di En-ki (il ‘Signore della Terra’) è dichiarata la stessa cosa è possibile che in principio i 3 dèi costituissero una specie di Triregnum che si spartiva il Cielo (Ea), l’Atmosfera (Oannes) e la Terra (Enki) alla maniera di Zeus, Ade e Poseidone in Grecia o di Giove-Marte-Quirino a Roma.  Se Dagon,  è un doppione di Oannes, il gianiforme luogotenente Usumu (vide n.468) parrebbe un allonimo di En-ki.
461)      D.A. Mackenzie & C. Squire, Encyclopaedia of Myth and Legend in Art, Religion an iterature- Caxton P., Delhi 1992 (ed.or. n.c.), Vol.VI, Cap.II, p.27.
462)      Mack. & Sq., op.cit., p.28.
463)      Op.cit., p.32.
464)      R.Girard, La Bibbia Maya. Il Popol-Vuh: storia culturale di un popolo- Jaca B., Milano 1976 (ed.or. Le popol-vuh. Histoire culturelle des maya-quichés- Payot, Parigi 1972).   Il grande paletnologo svizzero mostra la figura del dio del mais, tratta dal Codice Tro-cortesiano (P.sec., Cap.5, p.205, fig.57).  Questi ha a guisa d’acconciatura del capo il Pesce quale proprio nahual (emblema).  Insegna l’autore  – vissuto tra gli eredi contemporanei di quella cultura, i chorti – che tale dio, ritto sui trampoli, porta codesta acconciatura per il fatto che la spiga di mais quando si erge sugli steli assomiglia nella forma ad un pesce.  “L’equivalenza simbolica tra il pesce e la spiga è dimostrata nell’arte mesoamericana dall’uso alternativo di questi due elementi e inoltre dal modo corrente di riprodurre il pesce, sostituendo alle scaglie dei chicchi di mais e rappresentando la coda con delle barbe simili a quelle della pannocchia.”  Un pesciolino d’oro pendeva anche dall’idolo del dio agrario, padre del dio del mais.  Cfr. in proposito ibid., pp. 194-5, figg. 43-4 accluse, e 197, fig.47.
465)      Ibid. come alla 463, p.29. 
466)      Siffatta borsa è rintracciabile nell’arte di molte culture: dall’America Precolombiana al Vicino Oriente, sino all’Indonesia.
467)      Per le 3 icone esaminate cfr. Wikim., s.v.: DAGON.
468)      Wikim., s.v.: ATARGATIS.
469)      Luciano (II sec. d.C.) attesta che la regina babilonese Semiramide veniva considerata figlia di Dercetō (gr. Δερκετώ), cioè di Atargatis.
470)      Wikim., s.v.: ENKI.
471)      Wikip., s.v.: ISIMUD.
472)      Ibid. come alla 470.
473)      È forse un caso che la Sirenetta di Andersen, una volta morta al mondo marino nel finale della fiaba, divenga una creatura dell’aria?
474)      Wikip., s.v.: MERMAID, Gallery.  Un’illustrazione della Biblioteca Nazionale Gallese, risalente al 1604, mostra una strana mermaid con testa canina e coda pescina, che potrebbe vagamente far ricordare Scilla.  Altra collezione d’immagini, pittoriche e scultoree, trovasi in Wikim.: s.v. MERMAID.  Le raffigurazioni pittoriche hanno tutte un carattere romantico, non hanno granché valore dal punto di vista iconografico.  Infatti sono state realizzate fra la seconda metà dell’Ottocento ed il primo ventennio del Novecento.  Maggiormente interessanti sotto quest’aspetto sono al contrario le sculture, composte fra il Cinquecento ed il primo decennio del XXI sec.    
475)      Per il testo tradotto cfr. a c. di G. Rodari, Andersen. Fiabe- Enaudi, Torino 1970.
476)      La versione italiana trovasi in M. d’Amico (a c. di), Oscar Wilde. Tutte le opere- Newton C., Roma 1994, pp. 246-65; oppure in M. Maddamma (a c. di), C’era una volta… Le più belle fiabe di tutti i tempi- Newton C., Roma 1997, pp. 797-820.  
477)      I.Calvino (a c. di), Fiabe italiane- Einaudi, Torino 1956, Vol.II, pp. 528-31.  Di questa fiaba abbiamo prodotto una sceneggiatura intitolata La Donna, il Marinaio e il “Fiore-piú-bello”, presentata al Videoscript di Pescara nel 1998.
478)      Rod., op.cit., pp. 99-100.  La sorelle di Schiuma sacrificano le loro belle chiome alla Strega del Mare, la quale fornisce loro un coltello che la sirenetta dovrà conficcare nel cuore del principe; a lei ingrato avendo sposato un’altra fanciulla, siccome aveva erroneamente creduto che fosse costei ad averlo salvato presso un tempio.  Che è questo tempio?  Benché i letterati abbiano fatto di tutto per confondere le cose in situazioni sentimentali non ben chiarite, cambiando o tralasciando quei particolari dei racconti che parevano loro ostici, ciononostante si può ipotizzare che microcosmicamente il tempio sia il cuore e macrocosmicamente il Cielo.  Ovvero la sirenetta sceglie di divenire una creatura dell’aria, insomma una stella, prima di raggiungere l’Assoluto…
479)      Calv., op.cit., p.860, n.132.
480)      Ibid. come alla 474.
481)      Il riferimento è alla celebre The Nile Song (1969) dei Pink Floyd, composta da  R.Waters.
482)      Wikim., s.v.: CLONFERT CATHEDRAL MERMAID.
483)      M.Bulteau, Le figlie dell’acqua- Ecig, Genova 1993 (ed.or. Mithologie des filles des eaux- Edit. du Rocher, Monaco 1982), Intr., p.7.
484)      Bult., op.cit., Le fate delle acque, p.49.
485)      O meglio fra il 1382 e il 1394.
486)      Wikip., s.v.: MELUSINE.
487)      Bult., op.cit., pp. 50-1.
488)      Op.Cit., pp.52-6.
489)      Il Casato dei Lusignan, sorto presso la città francese omonima nel X sec., afferma di discendere emblematicaente da costei; codesto casato partecipò alle Crociate ed ebbe in mano il Regno di Cipro e di Gerusalemme, in seguito conquistato dalla Repubblica Veneziana.  Anche il Casato dei Lussemburgo reclama una discendenza analoga, attraverso Sigfrido.
490)      Cit., p.56.
491)      Wikim.C., s.v.: MELUSINE (Melusinen-Brunner, München-Ramersdorf).  Nei blasoni appare con Specchio e Pettine.
492)      Ibid. come all prec. (miniatura, Le Roman de Mélusine, 1450-1500, Biblioteca Nazionale di Francia).
493)      Ib. (ill. di S. Barin-Gould, Curious Myths of the Middle Age, p.471).
494)      Bult., op.cit., p.58.  Il riferimento è ad una fontana monumentale del XVI sec., nel cortile principale del Castello di Vouvent.  La fontana era alimentata unicamente da acqua piovana raccolta in un ampia tinozza.  Il bacino era sorretto da 4 Serpi: sotto stava Meleusina cogli attributi delle Sirene.
495)      Op.cit., p.60.
496)      Cit., p.61.
497)      Vide Cap.V, n.162.
498)      Bult., op.cit., pp. 125-8.
499)      Op.cit., p.101.
500)      Cit., pp. 101-2.
501)      Ibid. come alla prec.
502)      P.102.
503)      P.60.  Per altre informazioni sul soggetto cfr. G.Acerbi, Oltre il limes. I confini dell’Impero Romano dinanzi alle invasioni barbariche: digressione sulle origini asiatico-mediterranee della concezione imperiale- S.O.C., Roma 2017 (N°212.), pp. 277-302, n.33.
504)      Wikip., s.v.: RUSALKI.
505)      Wikip., s.v.: MERMAID.
506)      Vide Cap.VII, n.27.     
507)      Bulteau, op.cit., p.60.  L’autore purtroppo non spiega di quale mitologia faccia parte.  La dea pluviale in India ha molti nomi: Mariamman, Mahima, Varshini ed in suo onore si tengono danze.
508)      Vide Cap.I, §§ a-b.
509)      Per un punto di vista opposto al nostro e prossimo all’interpretazione di Weicker, Kérenyi et al., cfr. E. Albrile, Serena- Nel nido del Simorgh (blog, 1-02-13), pp. 1 e 7, n.1.  Il testo di codesto articolo è stato ripubblicato, in seguito, su rivista cartacea.  Il dott. Albrile si riferisce tuttavia solo alla Grecia, dove a livello archeologico e storico-artistico effettivamente le cose stanno cosí come egli afferma.  Altro discorso si può fare invece per l’India in cui le due effigie, aviaria e pescina, appaiono sovrapposte e maggiormente difficili da delineare storicamente; anche perché a differenza che in Grecia si può contare su una iconografia letteraria precedente a quella delle arti plastiche.  Il Mahābhārata, ad es., è dichiarato nel poema risalire nella sua versione originaria alla “fine del Dvāpara” (insomma poco prima del 4.480 a.C.) e in esso sono attestate due Apsaras in forma ittica: Adrikāmatsya nel Lib.I (vide n.505), collegata a Śāntanu, ed un’altra concernente Arjuna in un passo che non siamo però riusciti letterariamente a reperire, ma del quale esiste un’immagine pittorica – forse è la stessa Adrikā, od Ulūpī in forma di matsyakanyā anziché di nāgakanyā?  Sta di fatto che in tale passo il Panduide si rifiuta di congiungersi sessualmente a lei, chiamandola ‘Madre’, e perciò costei si sdegna contro di lui.  Vi è inoltre l’Atargatis assiro-siriana, che era raffigurata con coda pescina già almeno all’inizio del I mill. a.C., essendo un’amante annegatasi in un lago presso Ascalona (Negev, Palestina Meridionale) per la vergogna d’esser stata resa gravida da Caistro, un giovane siriano.  Difatti era ritenuta la madre di Semiramide, identificata dagli storici dalla regina assira Shammuramat (X-IX sec. a.C.).  Secondo una vicenda narrata invece dal liberto C.G. Igino (I sec. a.C.-I sec. d.C.) un uovo era caduto nell’Eufrate e l’aveva trasportato a terra un pesce, dopodiché una colomba l’aveva covato e ne era nata Venere.  Una variante attestata da Eratòstene (III-II sec. a.C.) nei suoi Catasterismi, poema mistico-astrale, c’informa della generazione della costellazione dei Pesci dal Pesce Australe (situato presso l’Aquario); e collega tal fatto alla caduta spontanea di Atargatis in un lago vicino a Bambyce, nei pressi del tratto siriano dell’Eufrate, e alla susseguente sua salvazione da parte d’un pesce.  Come si noterà, le cose sono talmente intrecciate che è assai difficile venir a capo del quesito iniziale. A meno di ragionare per schemi precostituiti.
510)      Nel Rāmay.- vii. 18, 2ss (trad. di Krishnacharya, cit. in E.W. Hopkins, Epic Mytholgy- Motilal B., Delhi 1974 [I ed. Strasburgo 1915], §22, p.58), allorché Rāvaa spaventa gli Dei, Varua si trasforma in hasa; Dharma in corvo, Kubera in lucertola ecc.   Cfr., in Grecia, collo spavento degli Dei dinnanzi a Tifone. 
511)      Vide Cap.II, n.1.
512)      Vide Cap.I, §§ n e q.
513)      Wikip., s.v.: APSARAS.
514)      Wikim.C., s.v.: APSARA GANDHARVA DANCER PEDESTAL TRA KIEU.
515)      Cfr. Hop., op.cit., §93, p.153.  Questa Gandharvī equivale senz’altro all’unica Apsaras originaria.  Del resto il Cavallo, o Asino che fosse, viene fuori col ‘Rimestamento dell’Oceano-di-Latte’ ossia esattamente all Fine del II Ciclo Avatarico.
516)      La voce Gandharva a nostro giudizio è da collegare a Gaa (‘Genio’) e a Dhruva (la S. Polare), sebbene i testi sacri facciano derivare la prima parte del nome per assonanza da gandha (‘profumo’), ma in questo modo è impossibile spiegare il resto della parola.  Se invece suddividiamo in due la radice osserviamo che la √gn-, indicante generazione, si coniuga in maniera agglutinante (essendo un vocabolo molto arcaico, pre-indoeuropeo, anche se si trova nel Veda) con la √dh-, esprimente l’idea di sostegno.  A sua volta il suff. –v- ha un significato iterativo come nell’ a.m. dhruva (‘fisso, stabile, costante’), donde il nome dell’omonima ‘Stella Polare’.  Cfr. pure il s.f. dhruvā = ‘mestolo’ (sacrificale).  La voce Apsaras si rifà filologicamente ad ap (‘acqua’) e sar (‘muoversi’), ma altri (Albr., art.cit., p.2) riportano l’etimo al tema *sar/har-, var. svar/hvar-, alludente alla forza luminosa.  Cfr. in sanscrito colla ś- (‘luce’).  Egualmente il gr. Σειρ- può esser connesso alla stessa radice piú il suff. -ήν, denotante signoria.  In tal modo si può intendere le Apsarasacome le ‘Luci delle Acque’ e le Σειρνες come le ‘Signore delle Acque’.  Cioè, in entrambi i casi, le Stelle...  L’A.V- ii 2. 4 le mette in correlazione, oltreché colle stelle, colle nuvole ed il lampo.  Se intendiamo invece l’Apsaras unica come la Luna è possibile, allora, che nel cielo artico o circumpolare indicasse la sua prossimità al perno celeste raffigurato plasticamente dal Gandharva; cui, di tanto in tanto, si approssimava come in un atto di uranica danza.  Vi è evidenza (x. 177, 2) del Gandharva quale appellativo primevo dell’Uccello Solare (menzione precedente a quella del Garua) e del Soma in senso solare, in rapporto naturalmente alla sua funzione di guardiano nella volta celeste ovvero identificato all’Axis Mundi (ix. 85, 12), donde si spiega la moltiplicazione successiva di tale genio per rappresentare i raggi del luminare diurno.  I 27 Gardharva sono, viceversa, i 27 asterismi lunari.  Cfr. A.A. Macdonell, Vedic Mythology- Motilal B., Delhi 1974 (I ed. Strasburgo 1898), §48, p.136.
517)      Macd., op.cit.,  §47, p.134.
518)      Macdonell (cit., p.135) ci fa sapere che da parte di alcuni studiosi (Weber ecc.) Purūravas e Urvaśī sono stati additati come emblemi del Sole e dell’Aurora.  Il fatto però che il re abbia ricevuto dai Gandharva (secondo una variante  dagli Dei) per la sua devozione e fedeltà verso l’amata l’istruzione per potersi trasformare in un gandharva lui medesimo e potersi cosí recare in Paradiso sul Meru assieme a lei indica che il riferimento cosmografico vero non può essere che all’Artide, ove l’Aurora è unica annualmente; per questo egli poteva incontrare la sua bella, ed Urvaśī è la piú bella di tutte le Apsaras, solamente una volta l’anno.  Questo luogo nel Veda è diventuto in realtà il Paradiso di Indra, non il vero Paradiso Iperboreo, che proprio per la sua scomparsa sotto l’Oceano Artico non ha conservato nella lingua indiana un nome preciso; a parte quello di Paradiso (Paradeśa), o di Terra Nascosta’ (Iḷāvta).  Non a caso, d’altronde, Purūravas è figlio d’Ia/Ia.  Circa l’etimo di Urvaśī va spiegato che questo di norma è riconducibile a uru (ampio’) + aś (‘estendendersi’), ma nel contempo il primo termine può alludere a ūru (‘coscia’), dato che ella nasce unitamente dalle cosce di Nara e Nārāyaa (rispettivamente il Primo Uomo e l’Assoluto).  Dal che si può dedurre che la coppia di amanti potesse alludere parimenti, oltreché al Sole e all’Aurora artici, anche alle 2 Orse. 
519)      Menakā non è da confondere colla sposa di Himavat e madre di Gagā e Pārvatī, detta pure Menā.  Qui è la seduttrice del i Viśvamitra, aspro rivale del i Vasiha, nonché madre di Śakuntalā.
520)      Vasiha era figlio di Varua ed Urvaśī, la quale apparteneneva a Mitra (Il Sole) ma amava Varua (il Cielo).  Cfr. Hop., op.cit.,  §61, p.118.
521)      Op.cit., §100, p.159.
522)      Cit. ., §101, p.162.
523)      §102, p.162.
524)      §103, p.163.
525)      §104, p.164.
526)      §93, p.153.
527)      Un’affermazione come questa risulta di difficile interpretazione.  Crediamo la si possa intendere pensando che i Gandharva cronologicamente appartengono alla seconda metà del I Mahāyuga, i Deva viceversa alla seconda metà del IV.  Le varie categorie designano tanto delle ‘Generazioni Divine’ quanto delle corrispondenti ‘Generazioni Umane’, per cui se intesi limitatamente all’ambito terreno questi conflitti non possono che riferirsi a quelli fra Ari (d’origine atlantidea) e Turi (d’origine paleo-siberiana).  Non troviamo altra spiegazione razionale. 
528)      Pp. 153-4.
529)      §94, p.154.
530)      P.155.
531)      §95, p.155.
532)      Codesti due episodi non sono menzionai nell’edizione di Calcutta del poema, compaiono solamente in quella di Bombay.
533)      P.156.
534)      §97, p.157.
535)      Non avendo la possibilità per questioni di tempo di approfondire in biblioteca tutta la letteratura che lo riguarda, essendo molta (troppa per noi, a meno di raddoppiare gli anni di stesura del libro, ché già ha raggiunto la quota di 25 anni e non l’abbiamo ancora terminato al momento attuale), ci limitiamo per ora a sfruttare alcune deduzioni fatte da altri.  Sarebbe opportuno in futuro, da parte nostra, poter dedicare all’argomento un articolo piú appofondito.    
536)      F. Scolareci, La leggenda di Cola Pesce- Messina Ieri e Oggi (on line).
537)      Scol., La legg.
538)      Vide n.115.
539)      Ibid. come alla 537.
540)      Il personaggio descritto nel Libro di Giona viene oggi considerato una figura esemplare ascrivibile ad epoca ellenistica o poco prima, mentre il profeta omonimo appartiene al IX-X sec. a.C.  La storia narra di come il Signore abbia ingiunto a Giona di andare a predicare a Ninive, che infatti non era ancora divenuta capitale assira nell’VIII sec.  Ma Giona si dirige verso Tarsis, tuttora non ben identificata, o forse è Tarso in Cilicia.  Durante una tempesta la nave si trova in pericolo di affondare ed allora Giona si ricorda d’aver disobbedito al comando divino.  Avendo svelato ai compagni che quanto stava capitando loro era a motivo dell’ira divina verso di lui, costoro lo buttano a mare, ma un grosso pesce lo inghiotte e lo trattiene in sé per 3 giorni e e 3 notti.  Rivolta però a Dio un’intensa preghiera dal ventre del pesce, il pesce lo vomita sulla spiaggia.  E, in seguito, Giona va a predicare a Ninive convertendo la città.  Il <Grosso Pesce>, che nel Corano (x. 98) diviene espressamente una Balena (ar. Nun, ma l’iconografia islamica fa di questa una grossa carpa), è chiaramente il simbolo dell’Amore Divino avvolgente il Mondo, figurativamente il suo ventre.  I 3 giorni e le 3 notti trascorse nel ventre dell’animale vengono paragonate nel N.T. (Mt.- xii. 40 e Lc.- xi. 29-32), per il loro valore emblematico, ai 3 giorni della Resurrezione del Cristo.  Orbene, che sono questi 3 giorni se non gli stessi i quali servono a Gesú per riedificare il tempio abbattuto?  Guénon lascia trasparire che questo <tempio> a livello macrocosmico è il Trimundio e a livello microcosmico l’unità di Corpo, Mente e Spirito.  Vi può essere un’ulteriore interpretazione, cosmologicamente parlando, accordando il triduo ai ¾ del Cerchio Annuale.  In tal caso i 3 giorni indicheranno iniziaticamente la <Discesa agl’Inferi>, la <Risalita verso il Paradiso Terrestre> e l’<Ascesa al Paradiso Celeste>.  Queste tappe equivalgono ai 3 gradi superiori della Massoneria (Compagno, Maestro e Gran Maestro), anche se nella contemporaneità sono rimasti in genere solamente virtuali; specialmente l’ultimo, come i massoni medesimi evidenziano apertamente.    Rimane fuori dal quadro descritto unicamente un quarto del cerchio nel simbolismo considerato: questo quarto evidentemente corrisponde alla <Ridiscesa nel Mondo>, che nell’uomo comune equivale alla nascita in senso materiale.  Mentre, nel caso del Profeta o dell’Avatara, è la tappa finale della Perfezione Assoluta; insomma una sorta di ‘Quinto Grado’, cui possono aspirare esclusivamente coloro che sono stati scelti allo scopo dalla Divinità. 
541)      Ciò è dimostrato dal fatto che a seguito del culto dell’Aureo Pesce Monodono sviluppatosi a partire dalla fine del I Ciclo Avatarico si assiste alla nascita di Airāvata, l’Elefante Bianco Unizannato proprio della Fine del II Ciclo, divenuto storicamente Ganeśa Ekadanta per perdita di una delle due zanne; indi segue alla fine del III il culto di Varāha Ekadanta – che a differenza del precedente assomma l’Unica Zanna alle altre 2 anziché sottrarla – e alla fine del IV quello di Narasiha.  Quest’ultima figura deve un tempo essere stata modellata non sul leone, mammifero che probabilmente non ha mai vissuto nell’Ecumene Sudorientale, bensí su un felino con ampie zanne pendenti dalla mascella superiore; appaiate ai canini della mascella inferiore, esse potevano esser pigliate a pretesto d’un simbolismo quaternario.  La simbologia delle Corna, invece, nasce alla Fine del V Ciclo; lo Yajña infatti, caratteristica precipua dell’Ecumene Meridionale, veniva contrassegnato da un Cervide a 4 Corna.  A differenza delle Zanne, esprimenti assialità, le Corna sono emblema di circolarità; in altre parole, di temporalità annuale.  Vengono fuori nell’Età Argentea (Tretāyuga), siccome – per parafrasare Wagner in senso opposto – dopo la Cacciata dall’Eden “lo spazio si è tramutato in tempo”.
542)      Questa è composta da Viu (oppure Indra), Ka ed Arjuna.
543)      Ibid. come alla 539.
544)      A testimoniare la trasformazione delle Sirene dalla forma aviaria alla forma ittica – anche se il primo sembiante doveva essere quest’ultimo in origine, secondo quanto prova l’antenato neo-greco di Cola Pesce – fra l’Età Arcaica e il Periodo Tardo-antico è la metamorfosi parallela degli Erotidi, in principio alati (con ali di cigno) attorno ad Afrodite e poi a cavalcioni dei delfini o ritti su questi, al modo di Eros.  Gli uni diverranno Angeli nel mondo cristiano e gli altri semplici putti.  Una delle prime comparse di Eros a dorso di 2 Delfini, dei quali tiene le briglie come fossero cavalli marini, è a Delo in un mosaico della Casa dei Delfini della seconda metà del II sec.   In precedenza è sempre rappresentato soltanto alato, senza accompagnamento pescino.  Cfr. Charb.- Mart.-Vill., La Gr. ell., P.sec., p.164, fig.168.
545)      È quel che abbiamo fatto in Colapisci, Federico II e la nostalgia del Paradiso- Alle pendici del Monte Meru (blog, 5-10-17).
546)      Sull’analisi del mito, a livello artistico-letterario, da parte dell’autrice cfr. G.Acerbi, Cola Pesce nel folclore. Note sull’analisi della Seppilli nel campo della Storia delle Tradizioni Popolari- Alle pendici del Monte Meru (blog, 8-11-17).
547)      Sepp., op.cit., passim.
548)      Op.cit., pp. 298-9.
549)      Gross., com.or.
550)      Gross., op.cit., §43, p.153.  L’autore rimanda al §38 (pp.136-7) per delle conclusioni sul simbolo dell’Unicorno.   Molto genialmente ivi egli asserisce che la diversità fra la posizione apicale del Corno Unico e quella frontale è collegabile simbolicamente nel primo caso coll’asse polare nel mezzo del Paradiso Terrestre e nell’altro collo spostamento di tal asse durante una catastrofe primordiale tramandata dai testi sacri e dalla letteratura di varie contrade.   A conferma di quanto afferma il Grossato, occorre aggiungere che il ‘Terzo Occhio’ non è di per sé un emblema del Paradiso Terrestre, ma della capacità di rangiungerlo mediante un raddrizzamento dello sguardo contemplativo verso l’Eterno, in altre parole un trascendimento della circolarità temporale.
551)      A.Pegaso, Lo sterminio dei Pescispada- Sulle lievi ali di Pegaso (blog, 1-01-18), §c.  
552)      Abbiamo in progetto per il futuro l’articolo Il Narvàlo nell’arte germanica- Alle pendici del Monte Meru (pross.).
553)      La cosmografia puranica postula infatti la presenza d’una ecumene dislocata in direzione sudorientale, di nome Hiranyaka, fra il 43.360 e il 36.880 a.C.  La datazione è nostra, infatti – com’è noto attraverso un art. di R. Guénon, fattogli pubblicare dalla studiosa slava Stella Kramrisch (1896-1993) in un importante rivista d’arte orientale (J.I.S.O.A.) – le datazioni ufficiali della cosmografia hindu non sono attendibili.  La vera datazione, prima ch’egli la palesasse, era segreta.  E anche dopo di lui nel mondo accademico, a parte le conoscenze personali della suddetta professoressa ceca dell’università indiana (Santiniketan, Calcutta) od americana (Philadelphia, N.York) e di pochi altri, tutto è rimasto come prima.   Insomma, non c’è stata presa di posizione alcuna, com’è d’altro canto normale che sia…
554)      Charb.-L., op.cit., Cap.Novantanov.°, §1, p.274.  L’immagine è tratta dalla Revue de l’Art chretien, n.s., 1890, T.I, p.138.  Sul bordo della lampada sono effigiati altri pesci d’aggressiva natura, evidente allusione all’aspetto combattente del Cristianesimo di quell’epoca.
555)      L’autore parla di “mari nordici”, ma non si capisce bene quali intenda, dato che il suddetto pesce vive solamente in acque torride o temperate.  Solo il pescespada si spinge un poco piú a nord.
556)      Da una Breve storia della lampada ad olio (lucerna) di G. Buse, in ‘Aste di Antiquariato’ (on line), veniamo a sapere che le lucerne consistevano in principio in un semplice contenitore d’olio piatto con beccuccio per lo stoppino, ma senza coperchio.  L’autore cita un passo dell’Odissea (vide xix. 47-9) in proposito, cosa che è confermata dal ritrovamento di resti di lampade ad olio nei palazzi cretesi di civiltà micenea (dal XV sec. in poi).   Dai Greci e dai Fenici l’uso passò ai Romani attorno al IV sec. a.C.  Successivamente sono stati aggiunti il coperchio per proteggere l’olio dalle impurità e dei fori di ventilazione, nonché altri beccucci oltreché dei manici. Di solito le lampade, posate su una superficie piana o attaccate ad una catenella, venivano sagomate in creta od in bronzo; piú di rado in oro, come quella retta da Atena nel passo succitato, in argento oppure in pietra o vetro.  Per combustibile venivano impiegati oli vegetali, ma in certi ambienti (ad es. in Sicilia) si usavano oli minerali; mentre gli stoppini eran ricavati da fibre, vegetali od animali.  Circa la forma, le lucerne in un primo tempo furono quadrangolari, indi si allungarono passando all’ovale come quella indicata alla n.prec.  A questo punto cominciarono ad essere decorate in vario modo: le terrecotte sul coperchio, con tanto di bordi incorniciati; i bronzi sul beccuccio, i lati e i manici.  Un fattore che all’inizio impedí la diffusione di tale tipo di lucerne era l’alta specializzazione cui erano soggette, vale a dire la lavorazione al tornio, ma i Romani risolvettero la situazione fabbricando degli stampi.  In due matrici concave era pressata l’argilla, poi le due parti venivano assemblate.  Durante il Medioevo le lampade ad olio caddero in disuso e furono riprese soltanto a partire dal XVI sec.  grazie a G. Cardano.   
557)      Per i miti e le leggende concernenti la fauna marina qui non trattata cfr. Ac., La saga univ., passim.

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