martedì 27 marzo 2018

Il Re Pescatore e il Pesce d'Oro, Note al Capitolo VIII






Note al Cap.VIII


1)          Cfr. Ac., Mrig., p.12, n.17.
2)          Non stiamo a menzionare dei nomi, tanto è cosa risaputa.
3)          È possibile un simbolismo intermedio, che intenda il Centro o l’Asse come strettamente unito alla propria Circonferenza o Ruota nel senso che i Cabalisti danno alla Šëkināh, ossia in quanto ‘Presenza’ del Divino.  Questo modo d’intendere, naturalmente, è inferiore a quello che concepisce Asse o Centro quali rimandi al ‘Grande Uno’ e Cerchio o Ruota come rimandi allo ‘Zero Metafisico’; ma è superiore, viceversa, all’interpretazione dei medesimi principî intesi semplicemente quali ‘Essenza’ e ‘Sostanza’ della Creazione.
4)          Alludiamo, è ovvio, a quel che in genere si chiama ‘Zero Metafisico’.  In proposito cfr. Ac., Met., passim.
5)          Si esamini nel gveda il ruolo superiore di Aditi nei confronti di Daka.  Ella pur tuttavia è in certi passi presentata come inferiore, giacché si considera in tal caso Daka non un doppione di Prajāpati (il ‘Signore delle Creature’), bensí nel ruolo di ‘Grande Uno’; cioè quale l’insieme del Manifesto e dell’Immanifesto.  Lo Zero, viceversa, è soltanto l’Immanifesto, cosí come l’Uno è esclusivamente il Principio della Manifestazione.
6)          J.Böhme, La Storia di Giuseppe (dal Mysterium Magnum)- G. Laterza & F., Bari 1938, passim.  Che sia sempre esistita una diversa maniera d’approcciarsi alle Scritture è palesato da questo straordinario testo, ove ad ogni modo la trascendenza divina è distinta rispetto a quella umana.  Nel Cap.VII, §§ 5 e 62-6 si spiega come Adamo si fosse impallidito dopo che era venuto meno in lui il “fuoco dell’amore” (non a caso l’Orfismo poneva Eros quale Protogeno ed egualmente faceva il Vedismo con Kāma).  Per questo il Böhme insegnava che l’uomo interiore “non si chiamava piú Adamo, ma Cristo”.  E la forza che emanava dal sole prodigandosi spontaneamente verso la pianta non permetteva alla pianta di asserire: Io sono il sole– per ciò che il sole operava in essa.  Ossia «...alla creatura umana il Verbo non è concesso quale suo possesso proprio e particolare, come è in Gesú Cristo, ma come ad un recipiente ed un ricettacolo di Dio, alla stessa maniera come il fuoco s’impossessa del ferro e lo arroventa sicché il ferro diviene bensí ardente, ma non ha il fuoco in suo proprio dominio ed a sua disposizione, poiché appena il fuoco lo abbandona resta un oscuro pezzo di ferro.»   Questo punto di vista non è eguale all’idea dell’Uomo con Dio, non di “immagine e somiglianza”, come in Gen.- i. 26-7.  Ancor peggio fanno certi attuali commenti ai testi biblici che tendono a diminuire molto la portata di tale identità.  In fondo questo sminuire sé di fronte alla Divinità è proprio di tutte le fedi che, come il Cristianesimo, si rifanno all’Epoca Noaica; il Vishnuismo, egualmente, tende a porre da un lato la Divinità e dall’altro l’Uomo.  In esse funziona il meccanismo delle colpe antidiluviane (atlantidee), che hanno aggravato il senso di colpa precedente della perdita dell’Eden.  Anche se poi entrambe le fedi, con una lieve <incoerenza>, teorizzano trinitariamente l’identità delle ‘Tre Persone’.  Sia pure colle distinzioni che sappiamo, anche all’interno del Cristianesimo stesso, ad es. fra Ortodossia e Cattolicesimo (si veda il tema del Filioque).  Cfr. in merito al problema trinitario Ac., Sulla q., §2, pp. 3-5.  Ma esiste un punto di vista supremo, identitario, che sfugge persino agli alchimisti come J. Böhme.  Esso è concesso soltanto ai Profeti e agli Avatara.  L’Adamo cui si riferisce lo scrittore è in realtà l’Adamo Terreno, non l’Adamo Celeste, al quale profeti ed altri loro omologhi orientali hanno professato sempre d’identificarsi.  Ovviamente l’Adamo Celeste della sapienza giudaico-cristiana e l’<uomo interiore> del mistico calzolaio luterano, nonché primo filosofo tedesco secondo Hegel, sono quasi la stessa cosa.  Ma non esattamente, l’uno è il ‘Figlio Maggiore’ (cui è concesso pienamente il mistero dell’Unione col Padre) e l’altro il ‘Figlio Minore’ (cui è concesso solamente lo Spirito Santo) per usare il linguaggio tolteco.  Non dice egli medesimo che il possesso del ‘Fuoco’ era concesso a Gesú?  Dunque, se ne traggano le ovvie conseguenze.  Per rifarci alle Upaniad, nell’abbraccio fra l’amante e l’amata (le due anime, universale ed individuale) non si distingue piú chi dei due è ad amare ed è questa la vera identità fra Brahma e Manu, o se preferiamo fra Yahweh ed Adamo.
7)          Per un esame approfondito della figura di questo grande maestro cfr. l’ottimo testo di R.Otto Mistica occidentale, mistica orientale. Interpretazione e confronto (Marietti, Casale Monferrato 1985; ed.or. West-ostiliche Mystik Vergleich Unterscheidung zur Wesensdeutung- Klotz, Gotha 1926; II ed. C.H. Beck, Monaco 1971) anche se nel titolo – diverso comunque nella traduzione rispetto a quello originale – pone già i suoi limiti filosofico-teologici.
8)          Fonte: G. Colatruglio, Rennes le Chateau e la leggenda di Maria Maddalena. Ipotesi sul mistero d’un piccolo villaggio del sud della Francia- Il Portale Mdievale.it, on line.  Vi è chi ha utilizzato altra fonte (specificatamente i Vangeli Apocrifi), invece, per giungere alla stessa conclusione.  Cfr. J.W. Heisig, Il gemello di Gesú. Commento al Vangelo di Tommaso- Herder Edit., Barcellona 2007.  In tale libro Heisig cerca di dimostrare che non si tratta di un vangelo gnostico (benché ritrovato a Nag Hammadi nel 1942, in versione aramaica), ma di un vangelo precedente ai canonici.  La denominazione di ‘gnostici’ a tutti gli scritti apocrifi, del resto, è significativa.  Essendo lo Gnosticismo considerato erroneamente un’eresia del Cristianesimo, anziché una vera e propria via religiosa del mondo ebraico alternativa all’Essenismo e al Cabalismo, codesta definizione anni or sono faceva il gioco di coloro che sulla scia del mondo protestante ritenevano gli Apocrifi non degli scritti segreti secondo l’etimo del termine in greco; bensí degli scritti al di fuori dell’ortodossia cristiana ed, in quanto tali, da prendere colle molle.   A nostro parere, si tratta come altri (ad es. la Sophia Jeu Christi, od il Vangelo di Gesú) d’un vangelo ‘esseno’, ossia del tempo in cui non era ancora avvenuta la scissione del Nazarenismo dall’Essenismo.  Il Nazarenismo infatti, al pari del Qumranismo e forse di altre speciali scuole, ne era una sottovia.   Dopo il distacco dal giudaismo è divenuto quella religione a sé stante che noi chiamiamo Cristianesimo.  Ciononostante, le interpretazioni allegoriche della gemellarità di Tommaso come gemellarità del credente in Cristo sono senz’altro valide (anzi maggiormente elevate), poiché i simboli valgono su piú piani.
9)          Pensiamo da parte nostra che tale simbologia sia valida indipendentemente dalla verifica storica che si tratti d’un fatto reale, poiché nel simbolismo gli aspetti allegorici, cosmologici e metafisici hanno maggiore valore di quelli meramente “litterali” per usare il linguaggio dantesco.  Personalmente siamo convinti che vi sia anche un fattore storico ad aver determinato questa convergenza di accezioni da una tradizione all’altra, ma il valore delle figure di Romolo, Krishna ed Eracle non viene sminuito dalla presenza d’un gemello accanto al <Figlio Maggiore>.  Perché non dovrebbe essere la stessa cosa per il Cristo?  Si può al massimo negare che il Gesú storico ne avesse uno, ma non una forma di culto che li riguarda entrambi.  Il problema semmai è un altro, di natura teologica.  Gli è che la Chiesa Cattolico-romana ha dovuto per ragioni ambientali attribuire importanza storica a quello che nella cultura giudaica ed altrove aveva rimandi e significati maggiormente elevati.  Donde il dogma del Figlio Unigenito.  Vi è chi pensa che Gesú sia “superiore”, perché è vissuto “realmente”; mentre gli altri 3 no, sono pura leggenda e come tale da guardare con giudizio sprezzante.  Di fronte a sciocchezze del genere è inutile commentare.  La verità è che queste 4 figure si situano sul medesimo piano.  Semmai, è Gesú che si situa lievemente su un piano inferiore rispetto alle altre, essendo nato nell’Età del Ferro; però il fatto di appartenere all’Ordine di Melchisedek, come insegna la stessa Chiesa Cattolica, lo ha reso pari agli altri.  Qualcuno potrebbe obiettare che nel dogma cattolico Cristo è Dio, non potendosi dire egualmente per le altre figure menzionate nelle tradizioni pagane.  Ne siamo sicuri?  No, anche le altre hanno funzioni assimilabili a quelle del Cristo; ossia un significato divino, anche se non in senso monoteistico.  Persino nel ruolo supremo.  Come Cristo può venir identificato non solo allo Yahweh inferiore (tridenario) venerato da Noè e Melchisedek,  ma anche a quello superiore (non-duale rispetto ad Adamo) del Sacrum Regnum, parimenti accade per Romolo; figura interpretabile come una sorta di secondo Giano, fatte le debite distinzioni fra il Latium e l’Urbs, ma queste distinzioni possono pure venir meno per assunzione superiore del simbolo in qualità di Rex Primu (formula varroniana).  Per ulteriori chiarimenti vide n.seg. e, del Cap.VI,  la 47.
10)          Forse qualcuno potrebbe obiettare che stiamo mescolando personaggi storici a personaggi mitologici, ma siamo sicuri che Ka e Balarāma non siano persone realmente vissute e di poi mitologizzate?  Non si tratta di evemerismo, anche se nell’evemerismo c’è qualcosa di vero, che ovviamente non va esteso a tutto il mondo mitico e religioso.  Facciamo degli esempi di personaggi mitologizzati, pur avendo di per sé dei connotati storici: Alessandro Magno o Gesú medesimo, Noè, Eracle oppure Krishna.  Alessandro è stato un grande condottiero, ma certamente non aveva corna d’ariete.  La storia della Resurrezione di Gesú è modellata sulla Resurrezione di Adone, cioè Orione; del resto il Cristo, si sa (è ufficialmente ammesso da ciascuno), ha preso nel N.Testamento il ruolo che era di Yahweh; non naturalmente lo Yahweh-Elohīm, bensi lo Yahweh-Sebaot.  Il ‘cd. ‘Signore degli Eserciti’, sia o non sia questa la traduzione del termine ebraico ëvāʾōt.   La traduzione d’altronde non ci sembra cosí malvagia, come si vuol far credere, visto che il signore degli eserciti altro non è che Marte latinamente parlando ossia l’Ariete che ne era il simbolo; o meglio sia l’Ariete inteso come palo per sfondare le porte della città nemiche sia l’Ariete in senso vernal-zodiacal, in entrambi i casi imago quindi dell’Axis Mundi.  Queste due immagini posseggono un significato sia dissolutivo che creativo.  Vengono abbattuti a vicenda il nemico o l’inverno, ripristinando la pace o la primavera.  Non per niente Gesú vien inteso come ‘Agnello’ destinato al sacrificio.  L’Agnello corrisponde all’Ariete del Nuovo Anno, vale a dire al rinnovo del Sole; e l’Anno, come insegna la tradizione hindu, è il Sacrificio medesimo.  Certo, come tutti i simboli ciò va inteso su piani molteplici: letterale (ossia quale vicenda storica d’immolazione d’una figura profetica), allegorico (fungendo da capro espiatorio per la punizione dei peccati), cosmologico (per celebrare la resurrezione delle anime dalla morte) e ontologico (in riferimento alla perpetuità dell’Essere).  Circa Noé, patriarca nel contempo anti-diluviale e post-diluviale, è chiaro che tal personaggio biblico condensa in sé due diversi personaggi seppur apparentati dal fatto d’appartenere ad un’unica epoca ciclica; quella che in termini greco-romani chiamasi ‘Età del Bronzo’ e ciascuno dei due non vale esclusivamente per sé, ma individua anche la sua relativa epoca d’appartenenza.  Il che s’addice pure ad Eracle, come hanno rinosciuto sia Erodoto sia gli attuali storici delle religioni; ed egualmente si può dire per Ka, sebbene in questo caso la distinzione fra il Gopāla (‘Bovaro’), di stirpe yādava, e il Sārāthi (‘Auriga’ discepolo di Ghora Āṅgirasa) sia maggiore, ma in molti parimenti sbagliando li identificano non meno dei testi. 
11)         Cfr. J.A. Soggin, I manoscritti del Mar Morto- Newton C., Roma 1978, P.sec., Capp. X, §8, pp. 173-4 e XI, §3, pp. 179-81.  Il pastore valdese nel secondo paragrafo citato nega un’affinità fra il simbolismo duodenario neo-testamentario e quello qumranita, affermando che il 12 si richiama unicamente alle 12 tribú d’Israele; ma quest’osservazione risulta estremamente superficiale, per quanto egli abbia accusato di faciloneria (ibid., p.179) chi la pensava diversamente da lui in tal senso.  La verità è che non ha saputo spiegare il significato numerico dei 15 membri, 12 laici +3 sacerdoti, del Consiglio qumranita.  A dimostrazione che le 12 tribú israelite c’entrassero poco (semmai era il contrario), rimane proprio tale ripartizione, che non è spiegabile altrimenti che col simbolismo solare: vale a dire il Sole ad immagine della Divinità, colle sue principali stazioni diurno-annuali a rappresentare una concezione trinitaria, che i Vangeli Apocrifi definiscono in un modo (subordinativo) e la tradizione cristiana post-nicena in un altro (paritario).  Attorno a codesta Trinità, reperibile in forme similari in ambiente ellenico, hindu o tolteco.  In quest’ultimo compaiono parimenti le 12+3 figure dell’Essenismo, le quali vengono ritualmente raffigurate da speciali Coppe o Piatti d’un pasto sacrificale.  Ed è curioso che i 3 Piatti Centrali alludano a 3 deità denominate Padre, Figlio Maggiore (il Piatto che lo individua è maggiotre degli altri 2 affiancati) e Figlio Minore.  Perciò è chiaro che i 3 sacerdoti qumraniti incarnino la Trinità (in altre parole, la Trinità non è d’origine cristiana, ma semmai essena, essendo condivisa fra Qumraniti e Nazarei) e i 12 laici, non meno dei 12 Piatti del pasto sacrificale tolteco, i 12 Soli dell’Anno Solare.
12)         Di solito le origini della Cabala in senso specifico vengono attribuite al XII-XIII sec. d.C., in Spagna, il che non fa una grinza dal punto di vista storico.  Ma se intendiamo riferirci all’esoterismo mosaico, cosa che non si può negare aprioristicamente a meno di rinunciare a definire Mosé un profeta, dobbiamo necessariamente ritenere che vi sia stata una trasmissione iniziatica (ciò d’altronde significa esattamente il termine kabbalāh in ebraico, da taluno interpretato come ‘rivelazione’ e da altri come ‘tradizione’) che partiva da Giosué – il successore designato sulle rive del Giordano – per arrivare attraverso Re David (considerato nell’Islām un profeta) sino a Salomone (inizio del I mill. a.C.) ed oltre.  I reali hanno funto da capi delle organizzazioni esoteriche financo nell’era cristiana, oseremmo dire sino ad oggi.  Né da ragione il simbolismo legato a quest’ultima eminente figura di sapiente, il quale si tramanda dominasse i Geni, gli Uccelli e gli Uomini.  Ecco perché al suo ‘Trono Volante’ erano associati nell’iconografia tanto i Demoni (vedi Asmodeo), quanto gli Angeli (la fida Upupa che il Corano gli attribuisce funge da ‘angelo-di-grazia’ nella Lingua degli Uccelli di F. Attār).  Circa la signoria di Re Salomone sugli Uomini a lui pressoché contemporanei non c’è da aggiungere nulla, data la sua proverbiale sapienza.  Le 3 categorie succitate, ad ogni modo, vanno intese cripticamente come un chiaro riferimento alle ‘Tre Vie’ ermetiche.  Onde possiamo tranquillamente affermare che queste esistevano realmente nel mondo ebraico, al di là delle nostre supposizioni al riguardo.  Esse si chiamavano, piú o meno, Sethismo, Essenismo e Cabalismo.  Anche se non troviamo nessuna oggettivazione di queste denominazioni nei testi di quella tradizione, ma succede la stessa cosa persino in India collo Shivaismo, il Vishnusimo e lo Shaktismo.  Nell’iranismo tale triplice demarcazione risultava meno forte che In India, giacché nella Persia airyanizzata l’accento veniva posto sulla differenza fra Airya (Noachiti, di derivazione sethita) e Tūr (Abeliti), piuttosto che sulle singole vie di conoscenza.  In Israele avveniva come in India, invece, dove la doppia origine etnica avendo meno peso rimaneva sottesa e quasi ininfluente.  Dato che Salomone signoreggiava pure sugli <Uomini> (esotericamente gli esseri nati nel periodo posteriore alla Torre di Babele, eretta da Nimrod-Orione, cioè praticamente nell’Età del Ferro), non si può negare l’esistenza d’una Via esoterica di tipo mosaico già allora.  Si chiamasse o no Kabbalāh, si dà comunque comunemente il nome di ‘Cabala’ in senso lato a tutti gli insegnamenti esoterici di matrice rabbinica venuti alla luce alla fine del cd. ‘periodo inter-testamentario’ (597 a.C.70 d.C.).  Non si può certo immaginare che gl’insegnamenti siano sorti, letteralmente, in quel periodo di decadenza.  Semmai, si deve tener presente che ogni forma di esoterismo fuoriesce allo scoperto allorché non vi sono piú le condizioni per trasmetterlo in segreto e si teme vada perduto.  Ciò vale sia per la situazione venutasi a creare dopo la deportazione babilonese (la diaspora giudaica, del VII-VI sec.), sia per l’esilio con distruzione del Tempio di Salomone da parte di Tito.  Tant’è che gl’insegnamenti salomonici hanno preso la via nel IV sec. d.C. del Kebra Nagast, il libro sacro etiope, sebbene la versione definitiva sia stata redatta solo nel XII sec.  E questo può essere inteso come un non casuale aggancio al movimento cabalista ispanico, se è vero che i Templari, consacrati ad una Regola ispirata agl’insegnamenti di San Bernardo di Chiaravalle (monaco cistercense votato alla devozione verso Maria, quindi a sua volta filo-cabalista, tracciando un parallelo fra la Vergine e la Šëkināh), agirono in Etiopia nel Periodo Tardo-medievale al fine di ritrovare l’Arca dell’Alleanza.     
13)          G.Acerbi, I dieci Avatar nella mitologia induista- Hera (Marzo 2010, N°122 ), p.45/col.b.
14)         I 2 suddetti colori possono risultare invertiti, per quanto il simbolismo non sia una convenzione.  Coloro che sostengono codesta tesi (ad es. il Grossato, com.or.) evidenziano il fatto che in certe circostanze, vedi ad es. la simbologia della ‘Candida Rosa’ nella Cantica del Paradiso dantesca oppure nella formula greco-romana dell’Età dell’Oro, il Bianco designi una meta metafisica e l’Oro (equivalente al Rosso) una meta sovrannaturale ma comunque terrena.  Secondo quanto insegna la definizione di ‘Paradiso Terrestre’.  Certuni peraltro intendono quest’ultimo in senso sottile, ma se fosse cosí sarebbe chiamato ‘Paradiso Sovra-terreno’; in effetti è sovra-terreno il Mondo Lunare, che è il ‘Primo Cielo’ (non solo nella Commedia, anche nelle Upaniad), dove vanno a riposare le anime che appartengono a questo tipo di paradiso. Non si può tuttavia pensare che lo Śvetadvīpa, pur nella sua sovrumanità, non appartenesse alla condizione terrestre.  Sarebbe illogico.  Usiamo la definizione indiana anziché quella biblica di ‘Eden’ o greco-romana di ‘Terra Iperborea’ per un semplice motivo: dato che è associata ai Vara (‘Colori’, cioè le Caste), non si può negare l’esistenza d’una Sovra-casta originaria, altrimenti si negherebbe la dottrina puranica e con ciò stesso l’intero edificio dottrinale hindu.  Poiché la dottrina, in India come altrove, è un tutt’uno.  Circa l’abbinamento inverso dei 2 suddetti colori, il Rosso e il Bianco, constatiamo che la cosa non succede unicamente in Occidente; visto che la formula indiana dei gua scala dal sattvogua (bianco) al rajogua (rosso), onde di riflesso la Divinità (incarnata da Ka in tal caso, ma in senso strettamente extra-umano) è detta passare nel trascorso dal I Mahāyuga al III dal Bianco al Rosso.  Fino  al Nero finale, avendo quali stadi intermedi, rispettivamente, il Giallo ed il Blu.  La ragione di quest’inversione di colori dipende forse dal senso ascendente, nel caso della formula alchemica, e da quello discendente in tutti gli altri.  Si obietterà che la ‘Candida Rosa’ appartiene all’Empireo, non alla cosmologia; eppure la visione dantesca è poetico-descrittiva (in sostanza cosmologica), non ermetico-operativa (ontologica); infatti si estende al macrocosmo, non al microcosmo.  Dante sale a contemplare la Divinità, è vero, ma non s’identifica alla Divinità.  Come in genere succede in tutte le analoghe descrizioni di viaggi agl’inferi e ai paradisi vari.  La vera dottrina iniziatica di carattere ermetico parte dal Cielo della Luna e si conclude nel Cielo Saturno.  Ciascuno dei 7 Mondi (scr. Loka) viene inglobato interiormente nell’Ascesa, sí da divenire un inferno rispetto al cielo immediatamente successivo.  È nel Cielo di Saturno (scr. Satyaloka), appunto il ‘Settimo Cielo’ per definizione, che avviene la Unio oppositorum.  E il colore ermetico a trionfare è appunto il Rosso, in cui sono bruciate tutte le scorie dell’anima individuale ossia il Jīvātmā si unisce all’Ātmā, per dirla all’indiana.  Qui non è il Saturno della Nigrēdo, associato al Piombo  come nell’Alchimia o nel Tantrismo, concludentisi col Trionfo del Sole in associazione coll’Oro.  L’Ebdomade Planetario va percorso – Sole a parte – in senso quasi inverso, dal piú veloce al piu lento.  Suggeriamo a nostro giudizio in mancanza di riscontri testuali oggettivi, ispirandoci alle frequenze dei colori scomposti dallo spettroscopio nei confronti del raggio di luce (cui abbiamo aggiunto il bianco e il nero), tale ipotetico percorso emblematico: Luna (Nero), Mercurio (Arancio), Venere (Verde), Sole (Giallo), Marte (Rosso), Giove (Azzurro), Saturno (Bianco).  Non vi è, però, aggregato un simbolismo metallifero.  Gli altri 2 Cieli (Stelle Fisse, Empireo) sono aggiunte posteriori, probabilmente in relazione ai Nodi Lunari.   Nell’Alchimia, viceversa, la serie sequenziale parte dal piú lento giungendo al piú veloce): Saturno (Piombo), Giove (Stagno), Marte (Ferro), Venere (Rame), Mercurio (Mercurio), Luna (Argento), Sole (Oro).  Il punto culminante prima di quello finale è rappresentato, in questo caso, da Giove anziché dalla Luna.
15)         M. Erbetta (a c. di), Gli Apocrifi del Nuovo Testamento- Marietti, Casale M. (Al), T.I, Vol.1, p.253.
16)         Erb., op.cit., p.254.
17)         L. Gardner, I figli del Graal- Newton C., Roma 2006 (ed.or. The Magdalene Legacy- H. Collins, Londra 2005, Cap.8, pp.122-3.  Gardner lo deduce indirettamente, dal momento che Pietro nel lógion finale viene presentato collerico nei confronti di Maddalena e desideroso di escludere le donne dal sacerdozio, mentre Gesú le difende secondo la prescrizione esseno-nazarena di accettazione del sacerdozio femminile.  A differenza dell’autore, da parte nostra crediamo che il fatto di escludere o meno le donne dal culto non dipenda semplicemente da pregiudizio (Gardner piglia spunto da ciò per una filippica contro l’anti-femminismo di Pietro, Paolo e del Cristianesimo post-paolino), bensí da scelta rituale, proprio com’è accaduto in India; dove al principe Siddharta una leggenda ha attribuito analoghi “pregiudizi anti-femminili”, se è vero che quando le donne entrarono a far parte della comunità buddhista Egli (il Buddha storico) abbia affermato che la durata storica del Buddhismo sarebbe stata un po’ minore del previsto.    
18)         Ibid. come alla 16.
19)         Erb., cit., pp .265-6. 
20)         Ciò è assai prossimo a quel che confidava un discepolo  di Maometto in un adith agli altri Compagni del Profeta, asserendo in sostanza: –Se io vi palesassi l’esatta interpretazione d’una data sūra, in base a quanto ho ascoltato colle mie orecchie dalla bocca stessa del Profeta, voi mi lapidereste senza pietà.
21)         Cit., p.260. 


22)         Cfr. per un punto di vista diverso dal nostro, seppure convergente, su codesta figura P.Galiano, Melchitsedek e la Tradizione primordiale- Simmetria on line (N°35, Ott. 2014).   Il Galiano parla di Età dell’Oro in relazione ai Giganti, ma i Nephilīm biblici non sono i ‘Giganti del Ghiaccio’ dell’Edda (p.14/ coll. a-b); lo menziona l’autore stesso cosa essi sono, parafrasando Gen.-vi, ossia degli Eroi.  Termine, in greco, equivalente ad Ari sul piano strettamente etimologico.  Che poi gli Ari siano stati trasposti ad indicare gli uomini aurei, questo è vero, lo abbiamo ivi affermato pure noi.  Ma è una trasposizione a posteriori.  Certo, la Coppa e lo Scettro dei quali Melchisedek è portatore in alcune speciali raffigurazioni segnalate dal N. (ibid., p.10, fig.3) alludono all’Axis Mundi e al Cuore.  Sono i medesimi attributi di Manu (Coppa) e di Yima (‘Scettro’), vale a dire del ‘Primo Uomo’ nelle tradizioni vediche ed in quelle puraniche.  In altre parole, nelle tradizioni arie ed in quelle turane.  Non bastano però a far di Melchisedek una figura aurea tout court.   Nella ‘Prima Età’ non esistevano sacrifici, mentre Melchisedek viene in Gen.- xiv. 19 associato al Pane e al Vino (ib.,p.4/ col.a), cioè al Sacrificio Eucaristico.  Benché per certi versi egli appaia inferiore a Noè, data l’identificazione a Sem (p.10/ col.b), per certi altri ne è superiore per via dell’equiparazione a Seth.  È  comunque ciclicamente un personaggio leggendario della ‘Terza Età’ ciclica, potremmo finirlo <atlantideo> al pari di Noè, trasposizioni a parte in alto e in basso.  La storia della benedizione su Abramo, mostrano bene Graves & Patai (op.cit., 27.6, p.184), è il semplice riconoscimento della fortuna caduta su Abramo attraverso il pianeta Giove (ebr. Tsedek), apportatore di pace e di giustizia, dopo che il patriarca di Ur ha ottenuto una splendida vittoria contro il il re di Sodoma; al fine di liberare suo nipote Lot, fatto prigioniero nella città.
23)         La medesima cosa avviene in India con Balarāma, il fratello di Ka. 
24)         Erb., op.cit., pp. 258-60.
25)         Il Sermone del Monte appare in tutta la sua ampiezza solamente in Matteo, che lo ambienta in Galilea.  Dopo aver insegnato nelle sinagoghe la buona novella ed aver curato gl’infermi (molti esseni conoscevano l’arte delle guarigioni, secondo Gardner, avendola appresa dagli egizi), il Maestro dopo aver percorso le strade di Galilea in lungo e in largo aveva visto una folla radunata su un monte ed era salito lassú assieme ai suoi discepoli.  Luca (vi. 17-26) narra diversamente l’evento, ambientandolo in pianura.  Gesú era salito la notte a pregare su un monte (lo stesso del sermone di Matteo?) e il giorno seguente aveva scelto i suoi 12 discepoli, chiamandoli Apostoli.  Con costoro si era spinto in mezzo alla folla venuta da piú parti, in parte suoi ammiratori ed in parte forse soltanto curiosi.  In apparenza Marco (viii. 34-7-ix. 1-12) non cita le stesse cose, ma l’impressione è che il monte su cui va ad appartarsi con Pietro, Giacomo e Giovanni dopo aver radunato una folla e i discepoli, sia il medesimo menzionato da Matteo.  
26)         Non si può però far a meno di osservare che, secondo la ricostruzione della Thiering (mediata dal Gardner), la morte in croce del Salvatore è stata unicamente una recita drammatica.  Il Gardner non ci racconta tuttavia che è avvenuto del Maestro dopo l’uscita dal sepolcro, benché tutta la sua interpretazione sia volta a descrivere un fatto storico e non metaforico o simbolico.  Altri studiosi hanno fatto cenno ad un ritorno in India di Gesú, dopo una presunto contatto con quella terra avvenuto in giovinezza, fra i 13 e i 29 anni.  Si sa d’altra parte che a Śrinagar (lett. la ‘Città ella Prosperità’), nel sito di Rauza Bal (lett. ‘Tomba d’un Profeta’, ma altri traduce ‘Bal’ con ‘Posto’ e quindi sarebbe ‘Posto della Tomba’) esiste davvero una tomba accreditata a certo Īsa (Īsa ibn Maryam secondo la Sū ii. 45 è il nome arabo di Gesú, identificato a Yuza Asaf), quantunque sia dai musulmani attribuita ad un santo sufi.  Vi è chi sostiene che sotto le spoglie dell’uomo del VI sec. vi siano altre spoglie umane piú antiche.  Difatti di questa sepoltura ha tramandato la confraternita musulmana chiamata Ahmadīya.  Oltretutto non vi erano ancora sufi nel VI sec. a gareggiare in fama con Maometto.  Gardner (I fig., App.III sgg) nega possa trattarsi del personaggio profetico nazareno, ritenendo debba viceversa trattarsi d’un profeta buddhista minore.  Fra i buddhisti, tuttavia, non esistono profeti né maggiori né minori.  Il Bhavisya P.- iii. 16-33 d’altronde descrive codesto personaggio come un sant’uomo di pelle chiara e vestito di bianco, che si dichiara <Figlio di Vergine e del Signore> (Īśā-putra) ed è dedito a meditazione sul Brahman.  Né vale la scusa che i musulmani a quel tempo non esistevano.  Erano presenti infatti gli Arabi, sebbene non ancora islamizzati, ed è impensabile che attraverso i commerci non abbiano saputo anche lontanamente della vicenda di Gesú in Palestina.  Maometto stesso deve aver sentito il nome attraverso le narrazioni dei nestoriani in viaggio verso l’India o di ritorno da quel Paese.  Lo scrittore russo N. Notovich aveva testimoniato  inoltre nel suo libro del 1894 La vie inconnue de Jesus Christ che nel monastero di Hemis in Ladakh era stata tradotta da un ms. pali la storia di codesto Isa/Iśā e, sebbene non si abbiano prove certe dell’esistenza di siffatto ms., vi è da chiedersi perché mai i monaci lamaisti avrebbero dovuto mentire al riguardo?  Sebbene poi abbiano smentito il Notovich, ma potrebbero averlo fatto per ragioni di sicurezza.  Pare anzi che il ms. avesse a che fare con un vangelo esseno, il Vangelo di Gesú, nascosto presso i buddhisti per impedirne la manipolazione.  In proposito, sul Notovich in Wikipedia (vers.ingl.) sono riportate le seguenti parole, che qui traduciamo: “Benché il Notovich sia stato screditato in Europa, Swami Abhedananda, contemporaneo e collega di Swami Vivekananda, visitò il monastero di Hemis nel 1922 onde confermare i report del Notovich che aveva udito l’anno precedente negli Usa.  I Lama del monastero gli confermarono che Notovich era davvero stato portato al monastero con una gamba rotta ed era stato curato per un mese e mezzo.  Gli avevano per giunta fatto sapere che il manoscritto su Gesú era stato mostrato al Notovich ed i contenuti interpretati, sicché poteva tradurli in russo.  Il manoscritto originale fu detto essere in pali nel monastero di Marbour presso Lhasa.  Il manoscritto preservato a Hemis era in tibetano.  Il manoscritto, che possedeva 14 capitoli contenenti 223 coppie di versi (śloka) fu mostrato a Swami Abhedananda stesso.  Lo Swami ottenne alcuni porzioni del manoscritto tradotte coll’aiuto d’un lama, circa 40 versi apparendo nel diario di viaggio dello Swami.  I lama raccontarono allo Swami che Gesú Cristo venne segretamente in Kashmir dopo la sua resurrezione e visse in un monastero circondato da molti discepoli. Il manoscritto originale in pali fu preparato “tre o quattro anni” dopo la morte di Cristo, sulla base dei rapporti fatti dai tibetani locali ed i racconti sulla crocifissione desunti dai commercianti pellegrini.  Dopo il ritorno in Bengala, lo Swami chiese al suo assistente Bhairab Chaitanya di preparare un manoscritto del diario di viaggio basato sulle note che aveva preso. Il manoscritto fu pubblicato in serie nel Viśvavani, una pubblicazione mensile del Ramakrishna Vedanta Samiti, durante il 1927 e in seguito edito in forma di libro in bengali.  La quinta edizione del libro fu pubblicata nel 1987, con acclusa un’Appendice, traduzione inglese dal francese della Vita del Santo Issa del Notovich.  Però, dopo la morte di Abhedananda, uno dei suoi discepoli ammise che quand’andò al monastero a domandare riguardo i documenti gli fu detto ch’erano scomparsi.”  Un modo, come un altro, per invitare a non scocciare piú.  Sul tema l’autore britannico (ibid.), prima di morire, rimandava ad alcuni libri che citiamo qui di seguito pur non avendo avuto la possibilità di consultarli: F. Hassnain, A Search for the Historical Jesus - from Apocriphal, Buddhist, Islamic & Sanscrit Sources- Gateway B., Bath 1994 (ed.it. Sulle tracce di Gesù l’Esseno. Le fonti storiche buddhiste, islamiche, sanscrite e apocrife- Amrita, Giaveno [To] 1997); S. Olsson, Jesus in Kashmir. The Lost Tomb-  Amaazon’s Book Surge, on line 2005.  Altri libri sull’argomento sono: S.Olsson, In Search of Jesus: Last Starchild of the Old Silk Road- Author House, Bloomington 2004; A. Faber-Kaiser, Gesù visse e morì in Kashmir- DeVecchi, Milano 1975; A.Kashimir, Cristo in Kasmir- Atlantide, Roma 1996; R. Panikkar, The Unknown Christ of Hinduism- Darton, Longman & Todd, Londra 1964 (ed.riv. 1981).  Quest’ultimo, tuttavia, è orientato ad un confronto tematico, nonostante il titolo, piú che a rivelare le fonti sanscrite d‘un possibile ed inedito Gesú indiano.  Vi è poi un dvd, in italiano a c. di G. Rosati, intitolato Gesù in Kashmir. La sconvolgente scoperta della tomba del Nazareno (altri sono stati fatti in inglese).  Informazioni generali assai preziose sulla vicenda sono contenute in questo link: http://www.altrogiornale.org/gesu-in-kashmir/.  Il miglior documentario nel complesso rimane comunque La vita segreta di Gesù, 2006, della National Geographic, pubblicato su 'Youtube' il 5-09-17.  In ogni caso l’argomento della sepoltura in India non inficia l’altro della morte apparente sulla croce, distinto peraltro dalla Morte in Croce del Redentore, che è tema storico-simbolico ed è divenuto pertanto nei secoli inoppugnabile.  Trattasi di tre cose diverse, insomma, per cui l’una non esclude le altre.  Ivi, come già indicato, non prendiamo parte alla diatriba piuttosto delicata.  Ricordiamo tuttavia in ultimo che pur accettando Gesú come Profeta, l’Islam (Qūr. Xix. 91-4) respinge l’idea di Gesú come ‘Figlio di Dio’ con queste parole (trad. di L. Bonelli) –Essi dicono: ‘Il Misericordioso si è preso un Figlio’.  Dì loro: avete asserito… una cosa mostruosa, dicendo ciò.–  Ma, potremmo aggiungere, se intendiamo per divino il Verbo di Cristo e perciò identifichiamo esotericamente Gesú ad Adamo (non all’Autopátōr dunque dei Vangeli Apocrifi, bensí al Propátōr) anche l’Islām concorda che la Parola del Profeta (Mohammadīya Haqīqat) è divina.  In altri termini è la trasmissione della Rivelazione ad Adamo che è divina, avendolo trasformato in Adamo Celeste; e non l’Adamo Terreno, che è un progenitore esclusivamente sul piano etno-antropologico e biologico.
27)         Cfr. Marco- xii. 1-12 e Luca- xx. 9-19. 
28)         Sebbene in modo celato, son presenti anche i livelli interpretativi superiori (cosmologico e ontologico). 
29 )        Vide Cap.I, n.168. 
30)         Per la variante col (Re) Pescatore, senza i pesci piccoli, vide Cap.I, n.169.
31)         Se ci siamo dilungati oltre il lecito nell’affrontare una critica del Vangelo di Tommaso è proprio per avvalorare il passo del Pescatore e del Pesce, che in genere non ci pare venga colto dai commentatori in tutta la sua portata simbolica.  Oltre a rientrare in pieno nella simbolica cristiana, cristiana e non solo nazarea o gnostica (che tra l’altro predilige sethianamente l’emblema del Serpente rispetto a quello del Pesce), codesto argomento ci riporta agli aspetti piú profondi ed ancestrali delle altre tradizioni in base ad un punto di vista che noi vorremmo definire śrauta (‘rivelazionista’) e non smarta (‘tradizionalista’).  Qualcuno ha rilevato in passato, non senza una certa dose d’ironia, che era nostra intenzione fondare una nuova scuola poggiata sulla Śruti, ovviamente con tutto il peso che una simile pretesa comportava.  Preso alla lettera, ciò sarebbe troppo presuntuoso; ma qualora s’intenda affermare che noi con questo scritto intendiamo porre la pietra di fondamento in Occidente della medesima scuola che in Oriente fa capo alla Śruti, ebbene sí, lo confessiamo: è nostra pretesa.  In Occidente, però, la Rivelazione è data dalla Bibbia e non dal Veda.  E se abbiamo a volte tirato per i capelli la Genesi, lo abbiamo fatto solo a scopo di chiarimento.  Il nostro rifarci di continuo al testo sacro dei nostri antenati, per dirimere le questioni (persino in un problema spinoso come quello delle origini indoeuropee, che abbiamo riportato al problema iaphetico), giustifica ai nostri occhi la nostra personale pretesa; ma è il lettore alla fine a giudicare e a capire se abbiamo avuto ragione, o meno. 
32)         Sui Misteri Graalici cfr. G.Acerbi, Il Trono Volante di Re Salomone e il Volo Magico del demone Asmodeo- Alle pendici  del Monte Meru (blog, 8-05-11), pp. 4-6.
33)         Gardner ha cercato di mostrare che la morte del Gesú storico, distinguendolo dal Cristo della teologia, è stata solo simbolica. 
34)         Barbara E. Thiering (1930-2015) è stata una studiosa australiana di Storia delle Origini Cristiane.  Il suo punto di vista, soprattutto in Jesus the Man, mirava a delucidare gli aspetti mitici (di valore iniziatico) presenti negli inizi del Cristianesimo, poi banalizzati in interpretazioni di tipo miracolistico.
35)         Ci appoggiamo a C. Lanzi, Cristianesimo esoterico, esoterismo cristiano (Simmetria on line, N°21, Giugno 2013) per quel che riguarda il processo storico del Cristianesimo, attraverso cui soprattutto in campo artistico le confraternite hanno potuto creare un ermetismo cristiano pressoché ignoto al popolo, ma pur oltremodo efficace.  Seppure non sempre operativo.  Noi qui abbiamo puntato, però, soprattutto sulla Storia delle Origini Cristiane, che ai giorni nostri appare alquanto diversa da come si è sempre prospettato.
36)         La Parabola dei Pani e dei Pesci trovasi – presentata in una luce tuttavia del tutto diversa, nel Lancelot-St.Graal o Ciclo Vulgato; purtroppo, però noi non abbiamo avuto modo di consultare il testo direttamente nella lingua originale (d’oil) dell’Anonimo del XIII sec. (1215-1235), e ci siamo perciò rifatti ai rifacimenti di J. Boulenger (a c. di), I Romanzi della Tavola Rotonda- A. Mondadori, Milano 1981 (ed. or. Le romans de la Table ronde- Libr. Plon, Parigi 1922).  Questi ha redatto una storia in 3 voll. (in pratica un sunto del Ciclo Vulgato), di cui G. Agrati e M.L. Magini hanno curato la traduzione italiana.  L’opera originale non ha mai avuto una traduzione completa in Italia, pur essendo di estrema importanza per comprendere a fondo la vicenda graalica:  il primo libro (in 2 voll.) è uscito comunque in traduzione per i tipi della Alkaest (Genova 1981) col titolo La Storia del Santo Graal ed a c. di A. Terenzoni.  Corrisponde nel contenuto, vagamente, al Giuseppe d’Arimatea di R. de Boron, sebbene piú in esteso. Degli altri 4 libri dello Pseudo-Map sono usciti solamente La Cerca del Santo Graal (La Quest del Saint Graal) e La morte di Re Artù (La Morte le Roi Artu), col sovratitolo di EXCALIBUR sulla scia del successo del film omonimo, ha completato la serie alla fine del medesimo anno per M. Basaia Edit.  Mancano, dunque, il Merlin e il Lancelot. 
37)         R. de Boron, Il Racconto della Storia del Graal- Alkaest, Genova 1980, p.114.  
38)         De Bor., op.cit., pp. 131-3. 
39)         I primi 4 romanzi (Érec et Énide, Cligès ou la Fausse Morte, Lancelot le Chevalier à la charrette, Yvain le Chevalier au lion), con Pref. di J.-P. Foucher,  sono raccolti in Chrétien de Troyes. Romans de le Table Ronde- Gallimard, 1970-5.
40)         Una sintesi del romanzo compare in AA.VV. (a c. di A.Bianchini), Romanzi medievali d’amore d’avventura- Garzanti, Milano 1981, pp. 53-130 (con Pref. di L. Spitzer).  Per il testo in traduzione completa dal francese si veda invece Chrétien de Troyes (a c. di G.Agrati e M.L. Magini), Perceval- Guanda, Milano 1979, pp. 27-167 (con Intr. di A .Micha).
41)         W. Von Eschenbach, Parzival- Utet, Torino 1967, p.244.
42)         Non stiamo a rianalizzare la vicenda, avendolo già fatto in precedenza nel Cap.I, n.301.
43)         Terenz. (a c. di), op.cit., Introd., pp. 5-6.
44)         Il miracolo dei Pani e dei Pesci compare in Mt.- xiv. 13-21 e xv. 29-39; in Mar.- vi. 31-4 e viii. 1-9; in Lu.- ix. 10-7 e Giov.- vi. 1-13.
45)         Boul. (a c. di), op.cit., §xxxii, p.127.
46)         Op.cit., pp. 176-9.
47)         Cit., pp. 53-8.
48)         Ibid. come alla 42.
49)         L. Gardner, I figli del Graal…- Newton Compton, Cap.12 sgg.   
50)         L’autore (Gard., op.cit., p.171) si rifà per codesta acquisizione alla Thiering.
51)         Cit., pp. 170-2.
52)         Cap.14, p.209. 
53)         Il riferimento è a Gen.- ix. 1.
54)         Charb.-L., op.cit., P.Tredices., Cap. Novantaseies., §iii, p.692.
55)          Op.cit., §ii, p.691, fig.xiii.
56)          Cit., §iii, p.692, fig.xiv.
57)          Ibid. come alla 54.
58)          P.693, fig. xv.
59)          P.693.
60)          P.694, fig.xvii/ d.
61)          Fig. xxiii.
62)          P.695, fig. xxiv.
63)          Fig. xxv.
64)          Cap.Novantasett., §i, p.705, fig.i.
65)          Fig.ii.
66)         G. Acerbi, Gli Dei e i Mondi: aspetti ciclici della teogonia mesopotamica- Atopon, Vol.VI (on line), passim.
67)         Charb.-L., op.cit., §ii, pp. 706-7.
68)         Op.cit., p.707, fig.iv.
69)         Cit., p.707.
70)         Pp. 707-8.
71)         P.708, fig.vi.
72)         Fig.vii.
73)         P.709.
74)         P.710, fig.xiv.
75)         §iii, pp. 711-2.
76)         §iv, p.712, fig.xxi.
77)         P.713.
78)         Cap.Novantaseies., §iv, p.696, fig.xxvii.
79)         Pp. 696, figg. xxviii e 697, fig.xxix.
80)         P. 697, fig.xxx.
81)         P. 697.
82)         Fig.xxxi.
83)         P. 698, figg. Xxxii xxxiii.
84)         Bisogna tener conto, a tal proposito, che nella Bibbia le parentele sono intese in modo diverso da quello odierno, per cui non è mai facile capire se il termine greco adelphós (che fa da tramite) si riferisce ad un fratello o ad un cugino.  Ad es. nel Vecchio Testamento Aronne è riferito come fratello di Mosé, ma il Gardner equiparandolo al reggente faraonico (Smenkh)-ara-on ne fa un cugino di Ekhnaton.  Per contro, riguardo il cugino Giuseppe d’Arimatea, lo interpreta come fratello piú vecchio.  
85)         Gard., op.cit., Cap.13, p.195.
86)         Colchester era la cittadella maggiormente fortificata di Britannia.  Da qui nacque nacque il mito di Camelot (op.cit., p.196).
87)         Ibid. come alla prec.
88)         Vide Cap.II, n.540. 
89)         Grab., op.cit., p.103, fig.100.
90)         Grab, cit., p.85, fig.78.
91)         P.33, fig.31.
92)         P.22, fig.19.
93)         Wikim.C., s.v. JONAS AND THE WHALE (CHAPITEAU MOZAC JONAS 1)
94)         Ibid. come alla n.prec., s.v. AQUILEIA-BASILICA-GIONA GETTATO SULLA SPIAGGIA (esposizione 33).
95)         Ibid., s.v.: HORTUS DELICIARUM DER PROPHET JONAS WIRD VOM FISCH BEI NINIVE AUSGESPIEN.
96)         Ibid., s.v.: JONAS FAÇADE CATHÉDRALE D’AMIENS 190908.
97)         Ib., s.v.: JONAS REJETÉ PAR LA BALEINE BIBLE DE JEAN XXII.
98)         S.v.: JONAH AND THE WHALE, FOLIO FROM A JAMI AL-TAVARIKH (COMPENDIUM OF CHRONICLES).
99)         S.v.:  BAD AUSSEE BÜRGERSPITALKIRCHE – FRESKO 5 JONAS.    


100)     S.v.: JAN BRUEGHEL THE ELDER-JONAS ENTSTEIGT DEM RACHEN DES WALFISCHES-KOMPLETT.
101)     Riem., op.cit., Cap.II.
102)     L’opera è stata scritta fra il 1270 e il 1280.  Ne conserviamo un solo manoscritto, in dotazione alla Biblioteca Nazionale di Torino.
103)     A nostro parere i veri 2 motivi dominanti sono la Coppa e la Lancia, che rappresentano i due opposti e complementari la cui unione produce fecondità e fertilità.  Questo il vero armamentario del dio della vegetazione, ciò avendo rapporto colla Terra-cuore e il Raggio Solare (Divino).
104)     La Chiesa Cattolica ha sempre negato l’esistenza del Graal, ma ha avuto come primo vescovo un pescatore, di cui Gesú disse: –Io ti farò pescatore di uomini.”  Inoltre, nei paramenti pontificali compaiono: a) la Mitria, a forma di testa di pesce rivolta verso l’alto; b) il Manto Rosso, solare, che è proprio del Re Pescatore; c) l’Anello del Pescatore, ove per pescatore s’intende il Papa stesso quale seguace di Pietro.  Negando il Graal, quindi, la Chiesa non fa che negare gli aspetti segreti (interiori) del culto del Sacro Cuore di Cristo.
105)     Amfortas è la storpiatura di Alfonso, storico re ‘Aragona, che ferito in battaglia si ritirò nel proprio castello.  Si dice recasse con sé il Calice dell’Ultima Cena, ora conservato nella Cattedrale di Valencia. 
106)     Il Castello delle Meraviglie. ha il pavimento a scacchiera, indubitabilmente in relazione simbolica col Polo.
107)     Parsifal è in realtà pure lui un personaggio storico, essendo nipote di Re Alfonso.
108)     Prima di divenire l’amante unica di Lancillotto lo era di altri: Kay.
109)     Her., op.cit., Capp. I, §7, pp. 119-20 e II, §3, pp. 192-3.
110)     Secondo il Mhbh., Ādip.- cv. 104 il figlio di Parāśara è detto Ka poiché di color nero, ciò che lo identifica totalmente col Ka della Bhagavad Gītā.  Insomma, il protagonista e l’autore dell’epico poema sono quasi la stessa persona…, essendo distinti solamente per funzione.  Questo problema in ogni caso non deve essere confuso colla questione dei 2 Ka, di cui ha discusso da tempo senza costrutto la critica accademica.  Cfr. ad es. l’ingenua tesi della Biardeau riguardo una pretesa convergenza tematica tra l’auriga mahabharatiano e il bovaro dello Harivaśa in M. Biardeau, Études de mythologie hindou (P. V.: Bhakti et Avatāra, Cap.II, §3 sgg), riv.cit., pp. 204-36.  La verità è, invece, che si tratta di due distinti Avatāra.  Uno, il gopāla, svolge l propria azione salvifica nell’VIII Ciclo Avatarico e l’altro, lo kṣatriya, nel IX.  Quest’ultimo equivale infatti al dio pluviale Jagannātha, lett. Il ‘Signore del Mondo’; mentre il precedente è un alter-ego di Balarāma, non per nulla conosciuto quale “fratello maggiore" di Ka.

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